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Autore: MomoiDancho    13/08/2018    4 recensioni
Osservavo gli addetti alla cucina con grande attenzione, come temendo che potessi coglierli mentre versavano gocce di arsenico nel mio piatto di pasta, spostandomi da un lato all'altro mentre erano di schiena, per controllarli meglio.
Non mi fidavo comunque, tanto da scambiare il cibo del mio vassoio con quello dei miei amici che, sempre più perplessi, mi guardavano storto perché comunque non volevo prendere neanche le pietanze dal loro piatto.
E se fossero stati d’accordo con gli inservienti per fare in modo che, sapendo che avrei scambiato il cibo, avessero avvelenato il loro al posto del mio?
Quindi non potevo parlarne nemmeno con loro, perché se loro avessero saputo che io sapevo, sapevo che volevano uccidermi, avrebbero tentato di raggirarmi in modi ancora più contorti.
Genere: Angst, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono qui, a casa. Da qualche mese ho come l’impressione che qualcuno mi voglia uccidere.
Non so chi, ma sono diventato sospettoso verso chiunque.
E’ iniziato all’università, è stato subito un problema.
I miei amici mi chiedevano con sempre più insistenza di mangiare con loro alla mensa e, mio malgrado, ho dovuto accettare qualche volta.
Osservavo gli addetti alla cucina con grande attenzione, come temendo che potessi coglierli mentre versavano gocce di arsenico nel mio piatto di pasta, spostandomi da un lato all’altro mentre erano di schiena, per controllarli meglio. Non mi fidavo comunque, tanto da scambiare il cibo del mio vassoio con quello dei miei amici che, sempre più perplessi, mi guardavano storto perché comunque non volevo prendere neanche le pietanze dal loro piatto. E se fossero stati d’accordo con gli inservienti per fare in modo che, sapendo che avrei scambiato il cibo, avessero avvelenato il loro al posto del mio? Quindi non potevo parlarne nemmeno con loro, perché se loro avessero saputo che io sapevo, sapevo che volevano uccidermi, avrebbero tentato di raggirarmi in modi ancora più contorti.
Ho iniziato a vedere uno psicologo, ma so che anche questo è un modo per incastrarmi, perché con una scusa qualunque potrebbero farmi internare da qualche parte e costringermi a prendere cose che mi ucciderebbero… o addirittura uccidermi perché sono pericoloso per gli altri? Quest’ipotesi balena nella mia testa, mentre sono intento a prepararmi il caffè: prima lo prendevo con il dolcificante, ma adesso ho paura che qualcuno possa averlo sostituito con qualche veleno, mentre sono fuori casa.
All’inizio mi sono detto “Usa lo zucchero, no?” ebbene, ho valutato l’opzione, ma mettiamo che qualcuno si sia introdotto in casa, abbia sostituito lo zucchero con dei cristalli di qualche droga e mi rapisca, per poi uccidermi? Faccio per bere il caffè, ignorando la sensazione che, essendomi voltato verso il frigo per prendere il latte, qualcuno possa averci messo qualcosa dentro.
“Maledizione, Robert!” mi dico, versando il caffè nel lavandino. Non riesco a berlo, ho troppa paura.
“Devo… devo risolvere questa cosa”. Non sto mangiando da due giorni, ormai, perché ogni giorno aumenta l’angoscia. Sono stanco, molto stanco. Ho paura anche a farmi vedere in giro. Sono sicuro che qualcuno sta controllando i miei spostamenti, difatti mi avvicino alla finestra, sbirciando dal buco della tapparella.
Non c’è nessuno. “Certo, lo sanno. Sanno che  l’ho scoperto! Maledizione!” quella voce nella mia testa, che ho soprannominato Percival, si fa più forte. “Calmati, Robert” mi dice con tono rassicuratore “C’è una soluzione, a tutto questo. Devi fare il loro gioco. Inscena il tuo omicidio, così nessuno crederà che ci sarà bisogno di ucciderti!” “Certo, certo, hai ragione!” dico, scattando in piedi come una molla.
Percival è l’unico che si preoccupa di me, l’unico che veramente mi vuole vivo, in un mare di menzogne.
“Ma come faccio?” “Non preoccuparti, ho una soluzione anche per questo”  mi sussurra con fare cospiratorio.
Non so nemmeno cosa sto facendo. So solo che la voce mi ha guidato nelle mie azioni, terribili azioni.
Ho profanato una tomba, una del cimitero a fianco a casa mia, e ho comprato qualche gallone di benzina in alcune taniche, al benzinaio del quartiere.
 Sono come in trance, non mi ricordo bene i dettagli. So solo che lui ha previsto tutto.
E’ ormai l’una di notte quando ho preso il corpo di una giovane donna, una certa Julie Hobbs, l’ho sistemato sul divano e ho iniziato a cospargere il corpo di benzina. Abito al piano terra di un piccolo condominio fatto di monolocali, quindi non è stato difficile coprire l’intero perimetro con il liquido infiammabile.
“Avanti, fallo!” mi dice Percival, con una voce che tradisce una nota di follia, che non avevo mai riconosciuto nella sua voce.
Prendo l’accendino e lo lancio sulla scia di benzina che ho condotto fino al di fuori del portone di casa mia.
In quel momento realizzo, realizzo cosa ho fatto. Sento la voce nella mia testa ridere, con fare minaccioso.
Li hai uccisi, Robert. Hai ucciso il signor Jason, che abitava sopra di te, quello a cui davi sempre una mano con la spesa. Hai ucciso Camille, quella dolce bambina francese di quattro anni, dalle lunghe trecce bionde. Hai persino profanato una tomba, pur di salvarti da quello che io ti ho fatto credere. Come ti senti, Robert, all’idea di essere il responsabile di tutto ciò?” “No… io … non ho…” mi sfugge un’imprecazione, mentre cerco il cellulare, chiamando i vigili del fuoco.
Passo notti insonni, al ricordo di quello che i miei occhi hanno visto. Sagome carbonizzate,  i vigili del fuoco che cercano di domare l’incendio, i curiosi, i giornalisti… e scappo. L’unica cosa che riesco a fare è correre, correre verso il mio luogo sicuro, l’unica cosa che mi può far sentire al sicuro.
Sto seguendo il piano di Percival, perché non so cosa fare.
Alla fine, dopo quattro giorni, sono rimasto nella mia villetta in campagna, quando vedo comparire dei poliziotti alla mia porta. Questo non mi fermerà dal fare quello che ho deciso di fare io, ignorando la voce nella mia testa, che si congratula con me e mi propone nuove vie di fuga.
Finisco di scrivere la lettera nella quale spiego tutto e mi dirigo verso la stanza arredata in stile giapponese, sapendo di dover fare in fretta. Tolgo la corta katana dall’apposito sostegno sul muro e chiudo gli occhi, mentre vedo materializzarsi Percival davanti a me, che ignaro di tutto, mi dice “Anche a Dio deve piacere uccidere. Lo fa in continuazione. E noi non siamo fatti a sua immagine?”  citando una famosa frase di Hannibal Lecter e mentre lo afferma, lo guardo e mormoro, con un ultimo sospiro, mentre mi metto nella classica posizione del seiza “Certo, Percival, ma a differenza del dottor Lecter, io so come rimediare ai miei errori”: prima che lui possa fermarmi, mi pratico un taglio sull’addome, eseguendolo da sinistra verso destra e poi verso l’alto.
Percepisco il dolore, ma quel male è una liberazione per la mia anima. “Finalmente, sono libero” sussurro, esalando l’ultimo respiro.


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Buonasera, ringrazio tutti coloro che hanno letto questo racconto: nel caso voleste lasciare recensioni, sarei felicissima di leggerle! Alla prossima  
   
 
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