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Autore: thewickedwitch    14/08/2018    5 recensioni
AU SwanQueen
Il sole stava tramontando, all'orizzonte, immergendosi lentamente nel mare. La sua luce, che si rifletteva sulle numerose bottiglie alle sue spalle, aumentava la calura di quel giorno estivo ormai al termine, resa sopportabile dal piacevole vento fresco che, di tanto in tanto, le accarezzava il volto.
Il chiosco, appartenente al resort di lusso situato a poca distanza, nella parte più interna dell'isola, stava per chiudere per lasciare il tempo agli addetti, lei in questo caso, di cenare, prima della riapertura serale, che si protendeva fino a notte inoltrata.
Aveva appena iniziato a disporre i bicchieri su un panno quando udì un voce, proveniente dal lato opposto del bancone, alla sua sinistra.
"Scusi?"
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Verso le quattro del mattino circa ogni avventore abbandonò  chiosco e relativa discoteca, per tornare nella sua comoda stanza a dormire. Tutti tranne Emma naturalmente, che di tornare al resort non aveva alcuna voglia.
Rimase poggiata al bancone ad aspettarla, mentre lei finiva di sistemare le ultime cose.
"Ecco fatto" spense le ultime luci e la raggiunse.
Lei sorrise: " dove vuoi portarmi?"
"Vedrai" le disse semplicemente avviandosi giù per la scogliera, verso la spiaggia.
 
Camminarono per un bel po', fuori da ogni sentiero, sulla sabbia, di tanto in tanto, finchè non giunsero ad una piccola spiaggia nascosta da alte pareti rocciose.
Emma si domandò un'ultima volta se fosse saggio fidarsi, ma la vide sedersi su una roccia e si rilassò leggermente.
Ora la illuminava la luce della luna, ombreggiando i suoi lineamenti, e mostrandola in una bellezza ancora diversa. Rimase a guardarla mentre si accendeva una sigaretta e iniziava a fumare.
Fu presa da un improvviso impulso e la raggiunse, prendendole la sigaretta dalle labbra e spegnendola contro la roccia.
Ricevette un'occhiata a dir poco assassina dalla donna.
"Hey, ma che diavolo fai?!" esclamò indignata.
"Questa roba ti uccide, non dovresti fumare! "
"E a te che te ne frega?" rispose brusca.
Era sul punto di accenderne un'altra quando la vide allontanarsi di qualche passo, con espressione ferita. E si rese conto di essere stata forse troppo brusca. Ma le era una cosa del tutto estranea avere qualcuno che si preoccupasse per lei. Ripose la sigaretta.
"Ok senti, mi dispiace, scusami, non volevo rispondere così"
Emma la guardò, mentre la sua coscienza aveva già ricominciato a farle la predica, per essersi fidata di qualcuno che, ora più probabilmente di prima, l'avrebbe delusa. Ma era arrivata fin lì ormai...e lei sembrava sinceramente pentita. Sorrise debolmente.
"Non fa niente..."
Roni ricambiò il sorriso e si girò a guardare il mare.
"Sai, dicono che questa fosse 'la spiaggia delle sirene', secoli fa, è che nelle notti di luna piena sia ancora possibile udire l'eco del loro canto. "
L'altra la guardò scettica: " E tu ci credi?"
Si voltò con uno sguardo di rimprovero: "Hey, non rovinarmi la poesia!" disse, per ridere con lei subito dopo.
"Ovvio che non ci credo ma... mi sarebbe piaciuto incontrare una sirena, se fossero esistite. Dovevano essere...beh, wow!"
Emma rise nuovamente. " si, immagino di si. Nel tuo bar potresti anche fare un cocktail dedicato a loro: La spiaggia delle sirene"
"Già...perchè no? " le rispose con sguardo perso nel vuoto, immaginando quel suo grande sogno avverarsi.
"Hai delle ottime idee, sai? Potresti essere la mia collaboratrice!" disse ridendo.
Emma si illuminò: " Allora ammetti che la cannella ti è piaciuta!".
Lei storse la bocca: "Mm...si, diciamo che era buona, signorina Swan"
Lei sbuffò: " Non chiamarmi più 'signorina Swan'. Insomma, ora ci...conosciamo?"
Vi era un punto interrogativo alla fine di quella frase, quasi a volere una conferma se le cose fossero cambiate anche per lei, rispetto al loro primo incontro.
Ricevette un sorriso, ma al tempo stesso un'espressione seria, per una volta: "Come vuoi che ti chiami?"
La bionda sorrise, sinceramente grata di quello sviluppo: " Il mio nome potrebbe andare bene, sono sicura che te lo ricordi"
"Oh certo!" le rispose ridendo. Scosse la testa leggermente, cadendo nel silenzio, lo sguardo perso nelle onde, la mente forse in un ricordo lontano.
Emma si sedette sulla sabbia per stare più comoda, e dopo qualche secondo fu richiamata dalla sua voce. Un tono serio, profondo. Se doveva essere sincera, quello che preferiva. Le era ormai chiaro che si stava aprendo su un qualche argomento che la riguardava, quando lo utilizzava.
"Sai, Roni non è il mio vero nome"
Rimase alquanto sorpresa da quella affermazione, e si voltò a guardarla. Ma l'altra non ricambiò quello sguardo, restando a fissare il mare.
" Cioè, è quello che uso quotidianamente, perchè... non mi fa piacere ricordare l'altro"
La curiosità ora la stava bruciando, ma non intendeva forzarla, quindi provò ad andare per gradi.
"Perchè? Se vuoi dirmelo, ovvio"
E lei incrociò il suo sguardo per la prima volta da quando aveva iniziato quel discorso, con un sorriso riconoscente sul viso, mentre lasciava crescere in sé la convinzione di potersi fidare di quella ragazza praticamente sconosciuta. Di avere una sorta di connessione con lei. Sospirò.
"Perchè...è il nome che mia madre ha scelto per me. E da quando...da quando sono andata via da lei, sette anni or sono, non ho voluto avere più niente a che fare con quel passato"
Emma la guardò, cogliendo tutta la tristezza racchiusa in quelle parole
Tastò il terreno con delicatezza: " Tua madre...non ti amava?"
Lei sorrise sarcastica: "Oh si, lei diceva di amarmi. Forse lo credeva davvero. Ma di sicuro non lo dimostrava affatto. Se a 27 anni ancora non ho la licenza per aprirmi un dannatissimo bar...beh, è solo colpa sua. Per lei era un lavoro troppo misero, un bar. "come quello sfigato di mio zio", parole sue."
L'altra la guardò triste e le venne spontaneo posare una mano sul suo braccio.
"Mi dispiace...davvero"
Ma entrambe, a quel contatto, sentirono qualcosa di simile ad una scarica elettrica percorrerle, ma al tempo stesso un nuovo legame formarsi, più forte che mai. E fu questa la ragione per cui restarono così, mentre Emma le rivolgeva un sorriso di incoraggiamento, come invitandola a continuare.
Roni lo ricambiò debolmente, sinceramente grata per quella comprensione che sapeva essere reale, ma troppo intristita dal passato per reagire in qualunque altro modo.
Tornò a fissare le onde che, leggere, si infrangevano sulla riva in un leggero mormorio.
"Sai noi...eravamo povere. Vivevamo in un misero quartiere di Seattle, Hyperion Heights, praticamente sconosciuto, dove per vivere... dovevi fare parte di qualche gang. Non esisteva avere un lavoro pulito, non c'era nulla di vero. Tutto dipendeva dalle simpatie e dalle antipatie che ti facevi, la tua vita stessa. E mia madre..." sospirò " ...beh, lei vi si era adattata perfettamente. C'era nata e cresciuta, come me, ma io non ero come lei. Per lei, non avrei mai potuto lavorare in un bar. Dovevo avere potere, dovevo arrivare a capo della gang più importante del quartiere. Sin da bambina mi metteva in affari di cui non sapevo nulla, gang di delinquenti che mi costringevano a fare... beh, di tutto, e da cui era un'impresa uscire. "
Parlava a fatica. Ogni ricordo, una lama che le trapassava il cuore. Tutto quello che le avevano fatto, tutto quello che lei stessa aveva fatto...
Emma continuò a guardarla, senza accorgersene aveva iniziato a passarle il pollice sul braccio, come in una carezza, non aveva saputo trattenersi, vedendo quello sguardo così distrutto.
"Loro...mi hanno fatto cose terribili. Mi rifiutavo di svolgere i compiti peggiori, di uccidere, e venivo punita. E mia madre mi lasciava nelle loro mani, li incitava a farmi del male. Dio, avevo solo dieci anni quando..."
sentì le lacrime pungerle gli occhi per quel ricordo che non aveva ancora superato e capì di doversi fermare.
Non voleva perdere tutte le sue barriere, non lo avrebbe più fatto.
E poi, inavvertitamente, sentì delle braccia avvolgerla. Capelli biondi le ricoprirono il viso. Potè sentire il loro profumo, un lieve aroma di mandorla e cannella. E non la scacciò, come normalmente avrebbe fatto, troppo sbalordita per muovere un muscolo. Sbalordita da lei, da sé stessa, ma trovando al tempo stesso, in quell'abbraccio, una conferma di potersi fidare di quella ragazza, quella Emma.
Lei si allontanò dopo poco e la bruna si affrettò a passarsi una mano sugli occhi, preoccupata che potessero tradirla e lasciare andare qualche lacrima.
Le sorrise leggermente, Emma,la tristezza negli occhi, prendendole una mano. Non aveva potuto resistere al bisogno impellente di abbracciarla. Non sapeva perchè ma non poteva sopportare di vederla così. E qualcosa si era stretto nel suo cuore, sentendole dire quelle parole, qualcosa di più forte della compassione o del dispiacere.
"Parlarne ti fa bene. Immagino che...tu non lo faccia con molte persone, quindi grazie per...la fiducia"
Ricambiò il sorriso, incerta, e al tempo stesso incoraggiata a continuare.
"Insomma, io stessa ho fatto cose terribili di cui tutt'ora mi pento e..." si sentì stringere la mano.
"Non è stata colpa tua" le disse, dolcemente ma con decisione.
"Già, forse no... Comunque, a vent'anni, decisi di averne abbastanza. Mio padre era morto quando ero bambina, per degli affari in cui mia madre lo aveva immischiato, mio zio morì quell'anno e...non ebbi più niente a legarmi a quel posto. Così andai via, più lontano che potei. Sapevo che non sarei mai più potuta tornare, avevo rubato dei soldi, mi avrebbero uccisa nel migliore dai casi. Poi, circa due anni fa, feci delle ricerche. Scoprii che molte bande erano state portate allo scoperto e fermate, grazie ad un nuovo supervisore di quartiere, una certa Victoria Belfrey. Vi ha portato molte modifiche e ora, per quanto ne so, è un moderno quartiere pacifico e...residenziale. Chissà, forse un giorno potrei tornarci..."
Emma le sorrise incoraggiante, tenendole ancora la mano: "Già, forse un giorno..."
Ma una curiosità continuava a tormentarla nel profondo. Lasciò passare qualche minuto di silenzio mentre Roni ritirò la mano, liberandosi dalla sua stretta. Poi glielo chiese,timidamente.
"Senti tu...hai detto che Roni non è il tuo vero nome e mi chiedevo se...sai se ti andasse di..."
Lei non la lasciò finire.
"Regina" esalò.
"Cosa?" le chiese perplessa la ragazza.
"Il mio vero nome, è Regina."
Emma restò senza parole.
"è..è un nome bellissimo!"
Lei si rabbuiò: " no, non per me. Perchè ogni volta che lo pronuncio mi torna in mente la voce di mia madre. Era lei, a pronunciarlo, sempre, in un costante richiamo all'ordine. Ed è insopportabile, credimi"
"già...lo so, lo capisco, ma...è un bellissimo nome ed è il tuo vero nome. Non devi lasciare che il passato rovini la tua vera identità."
Regina scosse la testa: " non è così semplice... Roni era come avevano iniziato a chiamarmi le persone che ho incontrato durante la mia fuga. L'ironia è sempre stata il mio scudo e... da questo il nome Roni. Ma in fondo, non mi dispiaceva, glielo lasciavo usare e alla fine mi hanno conosciuta solo con quello"
"Capisco..."sussurrò.
"Ovviamente, avendo iniziato tardi i vari corsi, avrò tardi le licenze che mi servono ma...confido nel farcela, un giorno".
Emma le sorrise: " Sono sicura di si".
Tornarono nel silenzio per qualche minuto, poi Regina parlò nuovamente.
"E tu?"
"E io cosa?" chiese perplessa.
" abbiamo parlato di me fino ad ora, dimmi qualcosa di te. Andiamo, tutti hanno qualcosa su cui sfogarsi!"
Si strinse nelle spalle: " rispetto a quello che hai vissuto tu, la mia vita è una favola. Terribilmente noiosa ma...una favola"
La bruna scosse la testa: "non è così. Potrai anche star vivendo, o aver vissuto, una vita migliore della mia, ma non per questo non hai il diritto di lamentarti su ciò che non va in essa. Insomma, ci sarà sempre chi sta peggio di noi, lo sappiamo, ma abbiamo bisogno di sfogarci lo stesso, è la natura umana, è non c'è nulla di male in questo"
Emma la guardò, grata, profondamente grata, di quelle parole. Perchè quello era un problema che si poneva spesso, forse più spesso del dovuto, e con quelle semplici parole quella donna le aveva offerto una soluzione.
Sospirò.
"Beh...i miei genitori sono ricchi, insieme, sono a capo di diverse aziende in campo meccanico e farmaceutico. Hanno amici ricchi e... dal loro punto di vista, hanno una  vita  perfetta, ma non per me. Hanno sempre messo le loro aziende, i loro incontri di lavoro, i loro ricchi colleghi, prima di me. Tutto quello che vogliono è che segua le loro impronte, che sia sempre la loro figlia immacolata e perfetta, che un giorno avrà il matrimonio perfetto e porterà avanti con onore il nome e le aziende di famiglia. Ed è un'ottima occasione, non posso negarlo, forse la migliore che avrò mai, ma...insomma, io voglio vivere la mia vita. Non dico che non accetterò le opportunità di lavoro che mi daranno ma... io voglio innamorarmi, voglio stare con quella persona, una persona che io avrò conosciuto da sola, senza che siano stati loro a presentarmela come buon partito, qualcuno che abbia vissuto, vissuto davvero, non una vita nella bambagia, una vita vera..."
Pronunciando quelle parole sentì quasi un qualcosa di familiare in esse, un sottinteso ovvio che però non riusciva a portare alla luce. Regina la osservava intensamente, con un interesse che nessuno le aveva mai rivolto, mentre affrontava quegli argomenti. E ciò la spinse a parlare ancora.
"Sai io...amo le storie. Amo leggerle, amo scriverle. Sin da bambina la mia mente viaggiava ad ogni immagine diversa dal normale, ogni piccola cosa che colpisse la mia attenzione. Il mio cervello vi produceva storie su storie, e poi ho iniziato a scrivere ed un nuovo mondo mi si è rivelato. Insomma, io voglio seguire le mie passioni, non voglio diventare come loro, così...falsa"
Terminò restando in silenzio.
"Si, ti capisco perfettamente" le disse Regina a bassa voce.
Ancora passarono secondi di silenzio. Il cielo era ancora scuro, il sole non sarebbe sorto prima delle cinque e mezza, e le stelle brillavano luminose su di loro, illuminando la spiaggia.
D'improvviso, Regina parlò.
"Dici che ti piace scrivere...come descriveresti questo momento?"
Lei si girò a guardarla, stupita da quella richiesta improvvisa. Ma presto iniziò ad elaborare una risposta. Guardò le stelle e la trovò scritta in loro. Prese un respiro profondo.
"Le stelle brillavano, sul manto nero della notte, calata ormai da diverse ore su quella piccola isola. Donavano la loro luce a quella terra, vuota e spenta, tenendole compagnia, mentre tutti erano a dormire.
Una piccola spiaggia in particolare era da loro illuminata. Era il luogo scelto dalla luna stessa, perchè vi era qualcosa di diverso, quella notte. Vi era...una donna" deglutì mentre lei si girò a guardarla, ma si fece coraggio e andò avanti.
"Sedeva su una piccola roccia scalfita dalle onde delle più alte maree, a contemplare quello spettacolo unico che le si rivelava di notte. Aveva capelli scuri, che le accarezzavano la pelle ambrata mossi dal vento, lineamenti decisi, evidenziati dalle ombre create dalla luce lunare, sfumature sul suo viso, così come sulla sua anima, e due profondi occhi scuri, che vagavano all'incessante ricerca di qualcosa di più, proprio lì, nell'istante prima a quello in cui l'onda si lasciava cadere, esausta, sulla sabbia, morbida ed accogliente. "
Regina fissò gli occhi nei suoi, le labbra socchiuse in un' espressione stupita. E fu continuando a fissarli che Emma andò avanti.
"In quegli occhi, scudo della sua anima per i più, solo pochi potevano scorgervi lo specchio, quel lieve punto di trasparenza dove vivente e vissuto si incontravano, in un debole riflesso di luce. E proprio lì, proprio in quel punto, ogni istante della sua vita era conservato, ogni più minuscola parte di essa. E solo chi fosse riuscito a vedervi attraverso sarebbe stato in grado di capirla, sarebbe stato meritevole del suo...amore"
la sua voce si spense lentamente. Rimasero entrambe incantate, immobili, l'una dal riflesso di lacrima nascente che scorgeva negli occhi dell'altra, e quest'ultima da quelle parole che sfioravano la sua anima come una dolce carezza.
Fu solo dopo qualche secondo che Emma realizzò quello che aveva detto. E distolse lo sguardo, voltò il capo, sentendo le guancie bruciare, profondamente imbarazzata. Cercò di smorzare quella tensione.
"Beh si insomma...più o meno così" disse fingendo noncuranza.
Ma Regina rimase in silenzio, l'espressione invariata. E lei non ebbe il coraggio di girarsi una seconda volta, restando con lo sguardo fisso sui jeans.
Mai nessuno, in tutta la sua vita, le aveva dedicato parole così. Era stata descritta in tanti modi, oh si, davvero in tanti modi, ma mai con una dolcezza simile, con una profondità simile.
Riuscì a parlare solo dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio.
"Emma è...è bellissimo, io...grazie"
E sentire il suo nome per la prima volta uscire dalle sue labbra la portò a voltarsi. Sorrise timidamente.
"Non sono poi così brava..."
"Stai scherzando? Era stupendo! Hai mai pubblicato un libro o qualcosa del genere? Perchè se la risposta è si il mio prossimo stipendio lo spendo per comprare i tuoi libri"
Emma rise: "no, non ho mai pubblicato nulla. Spero di poterlo fare, un giorno..."
La bruna annuì: " Sono sicura che ci riuscirai"
Tornarono nuovamente in silenzio, ma dopo poco fu proprio Regina a parlare.
"Hey, ti va di...sentire della musica?"
Lei annuì entusiasta: "Certo!"
Sorrise: "Bene, ti faccio sentire la mia canzone preferita"
"Davvero?" le chiese la bionda interessata: " Qual'è?"
"'Slow dancing in a burning room', di John Mayer. La conosci?" chiese cercandola sul cellulare.
Lei ci pensò un attimo: "No, in verità no..."
"Devi assolutamente allora, immagino ti piacerà".
Così avviò la canzone, lasciando che le lente e dolci note si diffondessero nell'aria tersa della notte.
Restarono in ascolto, in silenzio per un po', guardando il mare. Poi a Regina venne un'idea, e per quanto assurda e spropositata le potesse sembrare decise di non pensarci .  Si alzò e le tese una mano.
"Vuoi ballare?"
Lei sollevò lo sguardo, a dir poco meravigliata. E furono forse quelle stesse note, quella voce calda che parlava di un amore profondo quanto doloroso, prosperante tra le fiamme, in costante pericolo, a convincerla a non sprecare più un solo attimo della sua vita. Mai più uno solo.
Così prese la sua mano e si alzò. La testa le girò per un momento, mentre l'effetto del 'Mela avvelenata' iniziava a penetrare nel suo cervello, ma lo ignorò. Si lasciò trasportare al centro della spiaggia, ed in un momento si trovò a pochi centimetri da lei, la vita circondata dalle sue braccia in quel calore così piacevole. Le sue stesse braccia avvolte al suo collo.
Ci mise un secondo a mettere a fuoco, nella vista che iniziava ad offuscarsi, per l'alcol e per le mille sensazioni che sentiva invaderle il cuore e la mente, il suo viso, così vicino, i suoi occhi, che non smettevano di fissarla, le sue labbra perfette, che notò solo ora essere solcate da una piccola cicatrice. Sentì lo stomaco contrarsi dolorosamente a quella scoperta, in quella che potè definire in tutto e per tutto un'ondata di desiderio. Si morse il labbro, ancorandosi nuovamente ai suoi occhi, dove non trovò altro che un riflesso del proprio sguardo, liquida e dolce lussuria, che si perdeva nelle profondità di un baratro più grande, qualcosa di più importante, quello che le teneva connesse.
Si muovevano insieme, al suono cadenzato della canzone, a malapena, non sentendo il reale bisogno di nient'altro che guardarsi a vicenda e vivere quel momento con tutte le loro anime, immerse in una seconda dimensione, tenute strette dalle funi delle loro vite che si incrociavano in quella precisa frazione di tempo. Sempre più vicine, mentre tutto il resto scompariva, sempre di più, perchè nient'altro importava, per nessuna delle due.
E alla fine, o forse a quello che era solo l'inizio, il bruciore allo stomaco divenne troppo forte per essere sopportato un secondo di più. Così si avvicinò alle sue labbra, piano, quasi in trance, socchiudendo gli occhi, e nella lucidità sbiadita dall'alcol ebbe un solo secondo per domandarsi ancora una volta se non stava commettendo soltanto un grandissimo errore. Solo un secondo, perchè poi toccò le sue labbra.
E allora non rimase spazio per nient'altro, nella sua mente, nell'intero universo.
Quelle labbra, dolci, incredibilmente morbide, leggermente umide, che ricambiarono il suo bacio con la stessa intensità. E pensò di voler rimanere così per sempre, come se da esse prendesse la sua stessa essenza vitale, aggrappandosi al suo collo, sopraffatta da tutto quello. E per la prima volta sentì di essere dove davvero doveva essere.
La baciò ancora e ancora, senza mai staccarsi del tutto, finchè non rimasero entrambe ansimanti, a prendere fiato l'una poggiata sulla fronte dell'altra.
Emma si girò, dandole le spalle, senza liberarsi dalla stretta delle sue braccia intorno ai suoi fianchi, solo per poggiare la testa, reclinata all'indietro, sulla sua spalla, stringendosi in quell'abbraccio, posando le mani sulle sue. E allora lei la strinse di più, sapendo che era quello che voleva, quello di cui entrambe avevano bisogno. Ripresero ad ondeggiare lentamente, quasi cullandosi, al tempo della musica.
E Regina non potè resistere al richiamo di quel collo chiaro , di quelle spalle scoperte proprio sotto la sua bocca, di quella pelle di cui poteva definire i pori frementi di desiderio, dove scese a lasciare delicati baci roventi di un'incontrollabile voglia, ognuno capace di generare innumerevoli brividi lungo le spalle della bionda. Non si era mai sentita così prima, le sembrava di elevarsi oltre ogni conosciuta dimensione, di dissolversi quasi nella musica sempre meno udibile.
Sentì le sue mani, morbide, quelle mani perfette scivolare lentamente sotto la leggera camicetta di cotone, posandosi sul suo ventre, che si contrasse al primo contatto, offrendole il leggero rilievo degli addominali. Salire e fermarsi, appena sotto il seno, per tornare giù, con la stessa lentezza di prima, in quella carezza che pareva senza fine.
Le sentì disegnare la circonferenza dei suoi fianchi, appena sotto il margine dei jeans, con la punta delle dita, sentendo il leggero graffiare delle sue unghie laccate, che aizzavano un fuoco che divampava piano, dolcemente, al di sotto di quel sottile strato di pelle e carne.
Sospirò leggermente girando la testa verso la sua, in un improvviso quanto impellente bisogno di avere nuovamente le sue labbra. Fissò i suoi occhi, una muta richiesta nella lucidità che li ricopriva, nelle labbra socchiuse che cercavano le sue.
E Regina non potè fare altro che catturarle ancora una volta, dando loro quello a cui ambivano disperatamente, un bacio lento, lungo e dolce che si protese nel tempo, solcando le note calme della canzone, ancora sospese nell'aria, mentre Emma vi si aggrappava come fosse la sua fonte di vita, ancora una volta, l'acqua nel deserto, il sole sulla landa ghiacciata, tutto quello di cui aveva bisogno.
Si girò verso di lei nuovamente, iniziando a baciarla più avidamente, sentendo un nuovo impellente bisogno di vivere a fondo ogni momento, di sentirla più vicina, come se non fossero già separate solo dalla leggera barriera dei loro vestiti estivi. Strinse la sua maglietta tra i pugni, febbrilmente, come se temesse che lei potesse fuggire da un momento all'altro, approfondendo quel bacio, spingendosi verso di lei al massimo che le era possibile, mentre lei la accoglieva, cercando di darle sempre più spazio tra le sue braccia, nel suo petto, tenendola stretta in un abbraccio che non le concedeva nessuna via di fuga, che lei comunque non avrebbe cercato, perchè quella donna era la sua via di fuga., lo realizzò in quel momento.
E lentamente il contatto con la realtà iniziò a sbiadire, aiutato dall'effetto lieve che l'alcol aveva sulla sua testa. Prese i suoi polsi guidando le sue mani su di sé, invitandola a toccarla, forse pregandola, perchè alleviasse anche solo per un secondo, con il fresco delle sue mani, quell'insopportabile calore che le impregnava ormai ogni brandello di carne. Ma improvvisamente la sentì fermarsi. La sentì distaccarsi a fatica dalle sue labbra, cercando convulsamente di risalire dalla nuove profondità che quel bacio le aveva mostrato, nel suo petto, in cui l'aveva gettata, invitandola dolcemente ad andare sempre più giù.
Si era accorta, Regina, che quello era troppo. Che stavano per superare un confine troppo importante. Era insicura, si, quasi certa di star compiendo un altro degli innumerevoli sbagli della sua vita, lasciandosi trascinare così in profondità da quelle emozioni, da quella ragazza che conosceva da meno di un giorno, dal legame che sentiva si fosse creato con lei, straordinario, in così poco tempo. Ma aveva anche capito che, dopotutto, era pronta ad affrontare il rischio. Era una dolorosa consapevolezza quella che le diceva che, se anche le cose fossero andate male, se anche fosse stato tutto lì, tutto in quella notte, sarebbe riuscita a tirare avanti senza poi troppe difficoltà, perchè lo aveva fatto, una, troppe volte. Ma quello che non sapeva era se lei fosse davvero pronta. Se non fosse solo l'ebrezza del corpo a spingerla a farlo.
Certo, era stata con altri prima, senza preoccuparsi del se si trattasse di reale volontà o solo di un capriccio momentaneo,  la maggior parte di loro era stata solo un corpo di passaggio, il divertimento di una notte. Ma non doveva, sentì di non poter lasciare che fosse lo stesso con lei. Perchè quella ragazza era troppo pura, troppo bella per cadere in un simile errore. Perchè mai, mai avrebbe voluto che si pentisse di quello che avevano fatto, che si pentisse di lei.
Le prese il viso tra le mani, richiamando totalmente la sua attenzione.
"Emma...sei sicura che sia questo quello che vuoi?" chiese con il fiato corto per il bacio appena terminato, perdendosi nel verde, ora più scuro, delle sue iridi.
Lei la guardò a sua volta, in silenzio, per qualche secondo di terribile attesa. Poi annuì leggermente.
"Si...tutto"
Regina scosse la testa, non credendole.
"Ti prego, devi esserne davvero sicura. Non devi farti condizionare dall'alcol o da quello che vuole il tuo corpo ora. Fidati, è molto importante"
La guardava, emozionata come poche volte lo era stata, sull'orlo di un baratro. Da una parte, la convinzione di essere davvero quello che voleva, dall'altra, la preoccupazione di non esserlo, la preoccupazione che quello fosse un errore, che si sarebbe potuto rivelare madornale per entrambe, perchè ormai non poteva più nascondere a se stessa quanto ci tenesse, a quel contatto, a quella notte, a quella ragazza.
Ed in risposta, Emma annuì.
"Lo so. E ne sono sicura. Voglio te. Voglio che tu sia la mia prima."
Regina la guardò a bocca aperta, non nascondendo lo stupore a quelle parole.
"La tua prima? Io credevo che..." le chiese incredula.
Lei sorrise debolmente, lievemente imbarazzata. Certo, non era così che aveva immaginato la sua prima volta, su una spiaggia, con una sconosciuta, ma in quel momento capii che non poteva essere più perfetta di così. Il destino l'aveva messa davanti a quel punto della sua vita in quel momento, con lei. No, non il suo destino, lei stessa. L'aveva scelta, e questo era tutto quello che contava.
Scosse impercettibilmente la testa.
"La mia prima."
Regina restò a guardarla, in silenzio, senza sapere cosa dire, ancora sbalordita, da una parte ulteriormente scoraggiata, dall'altra ulteriormente rassicurata. Ma poi Emma riempì quel silenzio, troppo dolorante l'attesa.
"Ti prego... ne ho bisogno".
Si avvicinò alle sue labbra, sempre di più, quasi a rallentatore, mentre la canzone giunse al termine lasciandole nel silenzio.
Si fermò ad un centimetro da esse guardandola intensamente negli occhi, rendendola impossibilitata a muovere un singolo muscolo.
"Liberami" esalò.
E fu quanto bastò. Perchè non potè resistere a quella supplica. Non più.
Tutto ciò che potè fare fu portare una mano ad accarezzarle leggermente la guancia, avvicinando al suo quel viso d'angelo al confine del paradiso che chiedeva disperatamente l'inferno, per poi eliminare quell'ultima distanza, aprendogliene le porte.
Nuove note iniziarono a librarsi nell'aria: 'Firestone'
E sprofondarono insieme in quel fuoco bruciante di passione, i loro corpi uniti come unico bersaglio di quelle pietre  infuocate che le colpivano, proteggendosi ed esponendosi a vicenda a quel dolore, a quel calore lancinante, mentre l'unico impulso ancora rimasto in loro le spingeva l'una verso l'altra, eliminando quelle ultime barriere materiali che ancora le dividevano, con una dolcezza ed una sicurezza che fino a quel momento entrambe avevano ignorato di avere, dividendo solo per brevi attimi quelle labbra che avevano trovato il loro incastro perfetto. 
Quando si trovarono naturali, così come erano nate, nella forma di imperfetta perfezione senza maschera alcuna che ad ognuno viene donata, visibile per i più solo al principio della vita, Regina la accompagnò verso una grotta, una rientranza nella roccia a malapena visibile nel buio della notte, dove un telo le attendeva, pronto ad accoglierle come il buio, in quello che era stato il suo rifugio preferito per anni, e che ora avrebbe tenuto in se per sempre un ricordo unico e strordinario. Perchè mai avrebbe potuto smettere di ricordarle la morbidezza di quella pelle, le forme perfette di quel corpo con cui si era sentita a casa come non le era mai successo prima, che aveva distinto a malapena, bianco nella luce lunare, ma percorso come se già fosse marchiato a fuoco nella sua memoria. Respirò ogni suo sospiro, accolse ogni sua carezza, in una danza senza bisogno di maestri, che la lasciò senza fiato il più delle volte, ma piena di un nuovo sentimento che non avrebbe saputo descrivere, dritto nel suo petto, ad ogni scatto, ad ogni battito.
Giunse nella realtà di una nuova dimensione, superiore a tutto quello che aveva mai sperimentato, dove non fu solo il corpo a sentirsi bene, ma sopratutto l'anima. Ed in quel momento, fu sicura di star vivendo la notte migliore della sua vita.
E in quel tempo inaspettato ed unico, imparò ad amare il suo vero nome, sentendo il suo suono uscire da quelle labbra come petali di rosa tremanti al vento, ad un millimetro dal suo orecchio, come un dolce canto, un sussurro, una preghiera. E fu sicura che per nulla al mondo avrebbe voluto cambiarlo, perchè nessun altro nome sarebbe potuto suonare così bene sulle sua labbra.
Ed infine giacquero, strette l'una tra le braccia dell'altra, dopo aver saziato la loro fame di bellezza e di libertà, appagate come mai nulla le aveva fatte sentire nella loro vita.
Regina restò a guardarla addormentarsi, accarezzandole il viso e quei meravigliosi capelli, felice di vederle addosso un'espressione serena come non l'aveva mai vista, tornando lentamente a contatto con la realtà.
Quando il suo respiro divenne pesante si alzò a malavoglia e si rimise i suoi abiti, per poi tornare vicino a lei e ripiegarle il telo addosso, proteggendola dal fresco della sera. Le si sdraiò di fianco, rilassandosi, con la certezza che nessuno, neanche in quell'aurora che timorosa iniziava a tingere il cielo, sarebbe arrivato a quella spiaggia, per come era nascosta. Nessuno le avrebbe viste. Lasciò che il sonno la avvolgesse e la catturasse, senza chiudere mai gli occhi, volendo osservare fino all'ultimo istante concessole quell'angelo dormiente che era finalmente riuscito a spiegare le ali, pur avendole ora chiuse, e la cui presenza al suo fianco, lo sapeva, era insicura e volubile come un soffio di vento.
E il suo viso, ora illuminato dalle tenui sfumature rosa del cielo, fu l'ultima cosa che vide prima di addormentarsi.
 
 
Fu svegliata dalla luce del sole e da un vociare lontano che il suo orecchio attento percepì subito.
Aprì gli occhi, recuperando in un istante i ricordi, mentre un sorriso nasceva spontaneo sulle sue labbra.
Ma quando mise a fuoco l'ambiente intorno a lei, si ritrovò da sola.
Il sorriso si spense lentamente.
Ma certo.
Che stupida.
Cosa credeva, di ritrovarla lì, ad aspettarla, la mattina dopo? Cosa pensava di aver significato per lei?
Si accorse di una lacrima che, leggera, le stava rigando il volto.
La asciugò, inorridita da se. Cosa faceva, piangeva per una ...sconosciuta? Non era da lei, non poteva permetterselo. Aveva avuto una notte fenomenale, questo era certo, ma... non la migliore di sicuro. Era una ragazza carina, e sperava davvero che non si fosse pentita di quello che avevano condiviso, ma era tutto lì. Non c'era nulla di più.
Si alzò, raccogliendo la sua borsa risoluta. Il suo cellulare segnava le dodici. Sbloccando lo schermo lo ritrovò ancora fermo alla fine della playlist. Potè leggere il nome del brano, Firestone, per poi spegnerlo rapidamente tirando un rapido sospiro.
Doveva sbrigarsi, o non sarebbe stata pronta per il turno pomeridiano in tempo.
Così se ne andò da quella spiaggia, lasciandosi un ultimo sguardo alle spalle, che contro la sua volontà risultò nostalgico, prendendo la via meno frequentata che portasse alla sua casa.
Insieme a quello sguardo seppe di star lasciando lì una parte di sé.
 
 
Ed eccola nuovamente lì quel pomeriggio, dietro quel bancone, in comodo abbigliamento da lavoro, in quei jeans che ora le sembravano troppo stretti e quella maglia, che sentiva troppo larga.
Roni era di nuovo lì, a fare ciò che le riusciva meglio, preparare cocktail che offuscassero la ragione e dessero serenità od euforia a qualcuno. Chiunque. Nessuno.
 Nessuno.
Sforzatasi con tutte le forze di tenere Emma fuori dalla sua mente, era più che felice di avere così tanti clienti da non potersi concedere un attimo di pausa.
Una birra a sinistra, una vodka a destra...così volava il pomeriggio, così scorreva la sua vita.
Tutto era di nuovo normale, come doveva essere e sempre sarebbe dovuto restare.
E quei sogni che solo la sera prima erano sembrati così vicini, erano ora solo un pensiero lontano, rinchiuso in un cassetto.
Eccola di nuovo lì, la sua normalità: i sogni infranti.
Puliva un bicchiere con più perizia del necessario, per concentrarsi ancora, svolgendo al meglio il suo lavoro, quando la sagoma di una cliente poco distante richiamò la sua attenzione. Non alzò lo sguardo su di lei. Come un automa registrò la sua presenza, come già decine di volte quel giorno aveva fatto, centinaia, negli anni addietro.
"Si?" ripose finalmente il bicchiere.
"Un mojito"
E rimase immobile, trafitta da una lancia al petto, da quella voce che aveva rotto le barriere del suono, ed insieme zittito tutte le altre.
E da quella ferita, da quella fessura, entrò in lei nuova luce, che risalì fino al suo volto.
Un sorriso crebbe sulle sue labbra, mentre alzava la testa e con essa lo sguardo, lentamente.
E fu sicura che la luce del sole avesse brillato più forte nel momento in cui vide, su quel volto di fronte al suo, tremendamente familiare, quello stesso sorriso.
 
 
 
 
 
 
   
 
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