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Autore: T00RU    14/08/2018    2 recensioni
[Stray Kids]
«No, scusami, fammi capire» appoggiò la forchetta nel piatto, gli occhi fissi in quelli di Felix. «Noi siamo a Seoul».
«Sì».
«E tu vorresti andare a Gumi».
«Proprio così».
«E ti dovrei fare da autista».
«Vedo che hai capito, Changbinnie hyung!».
Silenzio.
«Tu sei davvero fuori di testa».

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[changlix centric ; markhyuck + nomin if you squint really really hard]
[7.554 words]
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per Changbin ormai era diventata  una specie di routine; ogni giorno all’ora di pranzo trovava Felix nel proprio appartamento, reduce di “faticose” –non faceva altro che farsi i cazzi propri mentre i professori spiegavano- ore di economia all’università, affamato e con la scusa sempre pronta.
«Non ho i soldi per mangiare in mensa».
«Oggi ho più tempo e ho preferito mangiare con te».
«Changbinnie hyung avrà sicuramente bisogno di compagnia!».
«Vivi vicino al campus, il tuo appartamento è una tentazione continua».
E queste erano solo alcune di quelle che si era sentito dire nell’arco di un anno, forse di più; sotto sotto non gli dispiaceva la presenza del più giovane, che con la sua risata riempiva per qualche oretta quell’appartamento solitamente silenzioso.
Changbin non era tipo da fare molta confusione, da solo.
Quel giorno non era da meno; Changbin stava preparando della pasta alla carbonara -proprio come si era premurato di insegnargli Chan-, sentì bussare alla porta e si limitò ad urlare «Avanti!», già intuendo chi avrebbe visto entrare dalla porta.
Felix non se lo fece ripetere due volte; entrò nell’appartamento, si tolse le scarpe, appese il giaccone all’appendiabiti lamentandosi del freddo fuori e si avviò dritto verso il divano, stendendocisi sopra.
Changbin si girò e lo guardò con la coda dell’occhio, scuotendo la testa. «Quel divano sta iniziando a prendere la tua forma».
«Beh» iniziò Felix, portandosi entrambe le mani dietro alla testa e chiudendo gli occhi, beandosi del profumo che stava invadendo la casa. «Ti aiuterà a sentirti più alto».
Qualche istante dopo gli sembrò di percepire una presenza al suo fianco; aprì gli occhi, trovandosi faccia a faccia con Changbin, che lo stava a dir poco polverizzando con lo sguardo.
Aveva anche un coltello in mano.
«Vuoi ripetere?».
Felix gli rivolse un sorriso, alzandosi leggermente sui gomiti per riuscire ad arrivare al viso del più grande e fece per lasciargli un bacio sul naso, quando l’altro si spostò.
«Sei un pazzo, Lee Felix».
Felix sicuramente non lo vide, ma Changbin sentì –eccome, se lo sentì- il rossore passare dalle guance, al collo, quasi fino alle clavicole, al petto. Sempre la stessa storia.
«Pazzo di te, Changbinnie!».
Ora prendo questo coltello e mi ci trafiggo lo stomaco.
 
«Migliori sempre di più» Felix aveva la bocca piena di cibo, le guance solitamente paffute messe ancora più in evidenza mentre masticava con gusto.
Changbin stava arrotolando gli spaghetti con la forchetta, alzò lo sguardo e si lasciò sfuggire un sorriso davanti a quella vista; contemporaneamente però gli si strinse lo stomaco, facendogli sparire quasi del tutto l’appetito. Sospirò.
Evidentemente se ne accorse anche Felix che –con non poca fatica- mandò giù il boccone, si pulì la bocca con il tovagliolo, e «Tutto bene?» chiese.
Il più grande annuì, prendendo un sorso d’acqua.
«Sì, sì. Sono solo stanco».
«Dovresti smetterla di lavorare così tanto, Changbin» Felix avvicinò la propria mano a quella del più grande, sfiorandogli le dita lentamente. «Finirai per stare male davvero».
Changbin soffiò una risata, scuotendo la testa e allontanando la mano quasi immediatamente.
Gli occhi di Felix seguirono la mano del più grande e si soffermarono su di essa per qualche secondo di troppo, ma Changbin non disse nulla al riguardo.
«Prova tu a dover pagare l’affitto di un appartamento con un solo stipendio» prese nuovamente la forchetta in mano, iniziando a giochicchiare con gli spaghetti rimasti nel piatto. Non che fosse una bugia; lavorava sicuramente troppo, ma non era necessariamente quello il motivo della sua stanchezza; era proprio chi era seduto davanti a lui. Felix.
«Facciamo così» disse quest’ultimo, prendendo un altro abbondante boccone.
«Non si parla con la bocca piena».
Felix lo ignorò, liquidandolo con un gesto veloce della mano. «Stasera io devo partire per andare a far visita a papà; sai, per le feste e quant’altro» iniziò.
Changbin annuì, non proprio attento alla conversazione; tra la voce bassa del più giovane e il suo sputacchiare dappertutto pezzetti di pasta mentre parlava –sì, che schifo-, non sapeva ben definire cosa lo distraesse di più.
«Mhmh».
«Avevo pensato di prendere il treno, ma visto che sicuramente non ti muoverai da qui, e anzi darai anche la disponibilità per lavorare, cosa che non mi sta bene, ho deciso che mi ci porterai tu» concluse.
A Changbin ci volle qualche secondo per processare la frase del tutto.
«No, scusami, fammi capire» appoggiò la forchetta nel piatto, gli occhi fissi in quelli di Felix. «Noi siamo a Seoul».
«Sì».
«E tu vorresti andare a Gumi».
«Proprio così».
«E ti dovrei fare da autista».
«Vedo che hai capito, Changbinnie hyung!».
Silenzio.
«Tu sei davvero fuori di testa».
Changbin si alzò, prese il suo piatto e lo mise nel lavello, pronto per essere lavato. Prese anche quello di Felix, che aveva già finito da un bel pezzo, e infine i due bicchieri.
«Dai, non ci si impiega tanto!» Felix sbatté un piede a terra, come un bambino capriccioso.
«No, hai ragione. Al massimo tre ore e mezza. Ma io non ho intenzione di portartici lo stesso».
«E perché no?» il più piccolo si alzò in piedi e si avvicinò a Changbin, che si stava preparando per lavare i piatti. Si appoggiò con la schiena al ripiano della cucina, incrociò le braccia al petto. «Non voglio saperti da solo, non in questo periodo di festa. Ti aiuterà a non pensare al lavoro per un po’, e potremo anche passare un po’ di tempo insieme» si giustificò.
«Pranzi qui ogni giorno» osservò Changbin, inarcando un sopracciglio; passavano fin troppo tempo insieme, per i suoi gusti –e il suo debole cuore-.
«Sì, ma subito dopo io rimango in salotto a studiare e tu vai in camera a lavorare. Solo quando sei di buon umore rimani con me sul divano».
«Passiamo comunque del tempo insieme».
«Dai».
«No».
«Per favore».
«Basta discuterne».
«Ti prego».
«Ho detto di no, Felix. Non sono il tuo autista personale».
Un vetro rotto.
Changbin aveva fatto cadere quello che era stato il bicchiere di Felix, frantumandolo in tanti piccoli pezzettini. Si lasciò sfuggire un’imprecazione sotto voce quando una scheggia di vetro gli si infilò nel palmo della mano, al che Felix si avvicinò ulteriormente. «Hai una pinzetta con cui la possa tirare fuori?» chiese, prendendo la mano di Changbin tra le sue. Quest’ultimo annuì. «In bagno».
Il più giovane si avviò verso il bagno, quasi ogni angolo della casa ormai familiare. Tornò immediatamente con la pinzetta, una garza, un cerotto e del disinfettante e appoggiò tutto sul ripiano della cucina, pronto a prendersi cura della mano di Changbin.
Mentre disinfettava la ferita, Felix era fin troppo consapevole di avere lo sguardo del più grande su di sé, a seguire ogni suo piccolo movimento, e questo lo rendeva quasi nervoso. Gli occhi di Changbin erano fissi su di lui, non si spostavano; Felix si chiese cosa ci fosse di così interessante nel disinfettare una ferita, dalla quale non era uscito nemmeno troppo sangue.
Appoggiò il cerotto sulla garza, in modo tale da tenerla ferma, poi sospirò.
«Stai più attento la prossima volta, mh?».
«La prossima volta non distrarmi con i tuoi discorsi inutili» Changbin roteò gli occhi, facendo per prendere le schegge di vetro saltate per il lavandino e il ripiano della cucina; Felix lo fermò, scuotendo la testa.
«Hai intenzione di farti male di nuovo?».
«Se ho entrambe le mani ferite non potrò guidare; di conseguenza, non potrò portarti a Gumi stasera».
Felix lo guardò interdetto per qualche secondo; quella volta non era stata qualche parola detta troppo velocemente a confonderlo, ma l’intera frase. Gli ci volle un po’ per capire, ma quando arrivò a quello che aveva sottinteso Changbin, un sorriso smagliante si fece strada sul suo volto.
«Ti sono debitore» lo abbracciò, stando attento alla mano; Changbin storse il naso, ignorando il rossore che sentiva sulle proprie guance –di nuovo-, e scosse la testa. «Renditi utile e prendi queste schegge di vetro. Attento a non farti male».
«Certamente».
Uno sospirò, l’altro sorrise.
 
Changbin guardò Felix, sguardo misto tra divertimento e incredulità; quest’ultimo stava cantando la sigla di Spongebob, in inglese, seduto sul divano con le gambe incrociate e battendo le mani a ritmo.
Lee Felix. Studente universitario di economia e marketing. Ventuno anni.
Nemmeno suo nipote aveva quella reazione di fronte ai cartoni animati.
«Tututututututuru» finì, con un salto d’ottava; si girò verso Changbin, scrollando le spalle. «Puoi anche cambiare, ho già visto quest’episodio».
«Sono abbastanza sicuro che tutta la popolazione mondiale abbia già visto questo episodio» Changbin scosse la testa,  sporgendosi per afferrare il telecomando che aveva appoggiato qualche minuto prima sul tavolino davanti a sé. «Non posso credere che tu mi abbia obbligato a lasciare su questo canale solo perché tu potessi cantare la sigla».
«Ho le mie priorità, Binnie».
Il più grande roteò gli occhi, ma non disse nulla; si limitò a cambiare canale, capitando su un telegiornale.
Appoggiò il telecomando sul cuscino di fianco a sé.
«Noioso» sbuffò Felix, proprio come un bambino piccolo.
«Necessario. Come hai intenzione di sapere quello che succede qui fuori se non fai altro che cantare la sigla di Spongebob?» alla fine della frase soffiò una risatina.
«Uhm, scusami? Canto anche quella di Doraemon, e quando mi sento particolarmente di buon umore anche quella di Dragon Ball» disse l’altro con fare annoiato, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso. «Dai, passa il telecomando che cer-» ma l’attenzione di entrambi fu catturata dalla voce dell’uomo che stava presentando il meteo.
«Questo pomeriggio inizierà una forte nevicata, accompagnata da una probabile tempesta di neve che colpirà soprattutto queste aree» disse, muovendo la mano nelle direzioni approssimative delle città.
Seoul.
Gumi.
Changbin spense la tv, alzandosi in piedi. «Vai a prepararti, partiamo ora».
Felix lo guardò stranito per un paio di secondi, il suo cervello ancora fermo alla canzoncina orecchiabile che tanto gli piaceva, poi si avviò verso la porta e si mise le scarpe. «Vado al campus a preparare una borsa, forse lo dovresti fare anche tu».
«Ti mando un messaggio quando devi uscire. Ti passo a prendere».
«Ricevuto, capo» Felix si infilò in fretta la giacca, sorrise al più grande e uscì, probabilmente correndo per le scale; Changbin poteva sentire i suoi passi pesanti rimbombare per tutto l’edificio.
Trovò nell’armadio una borsa in cui infilare un paio di vestiti, andò a prepararsi.

 

Felix entrò in camera sua con il fiatone, a malapena rivolse un misero saluto nella direzione del suo compagno di stanza, Donghyuck.
Quest’ultimo alzò lo sguardo dal proprio pc e gli sorrise, alzando una mano in segno di saluto. «Che c’è, il tuo Changbinnie oggi ti ha cacciato?».
«In realtà» Felix aprì entrambi gli armadi –uno suo e uno di Donghyuck- e iniziò a metterli in subbuglio nel disperato tentativo di trovare un borsone, o una valigia. Qualcosa. «Andiamo per qualche giorno da mio padre».
«Ah, vedo che hai trovato finalmente le palle per chiederglielo. Dopo ben due settimane».
Donghyuck stava chiaramente alludendo al fatto che la sua proposta non fosse stata fatta in modo spontaneo, al momento; Felix sapeva già da due settimane che sarebbe andato a Gumi per le feste, così come aveva saputo fin dal principio che avrebbe voluto portare Changbin con sé.
Confidarsi con Donghyuck era stato indubbiamente un errore.
«Oh, sta’ zitto» senza guardare, Felix gli lanciò una camicia capitatagli sotto mano; quando si girò notò compiaciuto che il pezzo di stoffa era andato a finire sulla testa del suo amatissimo compagno di stanza –non era un cattivo amico, in realtà. Si divertivano solamente a stuzzicarsi a vicenda-, che l’aveva poi buttato per terra.
«Mi passa a prendere, sarà qui tra qualche minuto».
«Oh, un viaggio romantico».
Felix lo ignorò, troppo distratto a buttare un ammasso di vestiti –non era nemmeno sicuro fossero tutti suoi, ma non ci prestò troppa attenzione- nella borsa –sì, ne aveva fortunatamente trovata una- che aveva appoggiato sul proprio letto. Fece per chiudere la zip, quando sentì il telefono vibrare nella tasca posteriore dei jeans.
 
Messaggio da: Changbinnie (♡)  -quel cuore l’aveva inserito Donghyuck; Felix aveva deciso di tenerlo-.
Sono qui fuori, puoi uscire. Ti aspetto.
 
«Messaggini d’amore; ah, che bello quando due giovani s’amano!» esclamò Donghyuck con fare drammatico, una mano sulla fronte in gesto palesemente teatrale.
Felix gli rivolse il dito medio, scuotendo la testa. «Spero di tornare e di trovarmi Jaemin come compagno di stanza» si mise la borsa per metà chiusa in spalla, avviandosi verso la porta.
«Non mentire, mi adori. Hey, aspetta, quella è la mia felpa?» ma Felix era già uscito.

 

Changbin era seduto al volante, picchiettandoci le dita in segno d’attesa, il motore dell’auto spento.
Non sapeva nemmeno lui cosa l’avesse convinto ad accettare di accompagnare Felix –e di conseguenza, di stare da suo padre per qualche giorno-.
O meglio, lo sapeva ma il suo orgoglio non gli permetteva di ammetterlo; forse voleva solamente passare le feste con qualcuno. Con Felix.
Scosse la testa quando lo vide uscire dal campus, borsa in spalla, giubbotto aperto nonostante il freddo di dicembre.
I suoi capelli erano scompigliati, leggermente, mentre stava correndo verso l’auto.
Changbin si morse l’interno della guancia, prendendo un respiro profondo.
Riprenditi, Changbin.
Felix aprì la portiera posteriore, appoggiando la borsa sul sedile, accanto a quella di Changbin; poi aprì quella anteriore, si sedette al posto del passeggero. Si girò verso Changbin, guance arrossate a causa dello stacco tra il freddo fuori e il caldo del veicolo, e  gli sorrise.
A Changbin non servì altro, mise in moto.
 
Oltre al rumore delle ruote sull’asfalto e quello delle poche altre macchine attorno a loro –sono poche le persone temerarie disposte a mettersi in viaggio con un’imminente bufera di neve-, non si sentiva niente; forse il vento che picchiava forte e che andava a finire contro ai vetri, niente di più.
L’atmosfera, però, non era imbarazzante; Changbin guidava con una mano, l’altra appoggiata pigramente contro alla portiera, mentre Felix aveva appoggiato la testa contro al sedile, gli occhi ancora chiusi. Non si era ancora addormentato, Changbin lo sentiva dal suo respiro. E dal fatto che di tanto in tanto apriva gli occhi, si guardava intorno, fermava lo sguardo su Changbin e poi tornava a chiudere gli occhi.
«Allora» iniziò il più grande, un po’ per interrompere il silenzio, un po’ per evitare che Felix si addormentasse. Aveva mangiato davvero tanto a pranzo, la sonnolenza era inevitabile.
Felix alzò la testa pigramente, con gli occhi semichiusi lo guardò. «Sì?».
«Non mi hai mai detto davvero come ti trovi all’università».
Felix tenne lo sguardo fisso su di lui, poi si lasciò sfuggire una risatina.
«Che c’è?» Changbin scostò gli occhi dalla strada solo per poter guardare Felix, ridendo a sua volta. «Che hai da ridere?».
«No, niente» rispose il più piccolo, scuotendo la testa. « È solo che ho appena iniziato il mio secondo anno, e in tutto questo tempo non me l’hai mai chiesto».
Changbin rimase in silenzio; era vero, non gliel’aveva mai chiesto ed era già al secondo anno.
Forse era il lavoro. Forse era la stanchezza.
«Hai ragione».
Felix, però, non sembrava dispiaciuto della sua scelta, non da come parlava dei suoi amici, o delle poche lezioni che gli raccontava.
Era stata una domanda poco ragionata, ma hey, stavano parlando e ora Felix era bello sveglio.
«Mi trovo molto bene» Felix sorrise, forse a Changbin, forse a se stesso. «Alcune lezioni sono un po’ noiose, ma economia è la mia materia preferita da quando ero in Australia. Sto bene».
«Sono felice di sentirtelo dire. E il tuo compagno di stanza? Donghyuck? Lui sta bene?».
Felix roteò gli occhi, non senza lasciarsi sfuggire un sorriso. «Lui sta fin troppo bene, per i miei gusti. Jaemin e Jeno sono più innamorati che mai, la settimana scorsa hanno obbligato me e Hyuck ad uscire con loro e siamo stati costretti a fare da terzo e quarto incomodo per il loro secondo anniversario» ridacchiò.
Changbin aveva incontrato i suoi amici un paio di volte, quando Felix li aveva invitati ad uscire con il vecchio gruppo; la prima volta Donghyuck gli aveva lanciato qualche occhiata strana, la seconda aveva fatto per dirgli qualcosa, ma Felix lo aveva interrotto immediatamente. «Ricordati di Mark» gli aveva sorriso, in maniera falsa.
Donghyuck era stato in silenzio per tutta la serata, uccidendo Felix con lo sguardo.
Changbin sorrise al ricordo.
«Stanno bene tutti. Anche Renjun, ma lui vive un po’ nel suo mondo».
«Ancora disegna?».
«Sì; sembra impossibile, ma migliora sempre di più. È incredibile, davvero».
E Changbin era davvero, davvero felice di sentire Felix parlare dei suoi amici, di quella che era la sua vita al di fuori delle quattro orette che passava nel suo appartamento dopo pranzo.
Ma c’era qualcosa che continuava a tormentarlo.
Nel frattempo il silenzio era piombato nuovamente sul veicolo, silenzio che prontamente Changbin spezzò.
«C’è qualcosa tra te e Donghyuck?».
Se avesse potuto avrebbe ritirato la domanda immediatamente, l’avrebbe cancellata dalla memoria di Felix. Che razza di domanda era? Così improvvisa, poi?
Felix però rise. Rise tanto, talmente tanto che si appoggiò sul cruscotto dell’auto per sorreggersi.
«Io e Donghyuck? Per favore» riuscì a dire, tra una risata e l’altra. «Donghyuck è perso per il suo migliore amico Mark da quando aveva qualcosa come dieci anni».
Oh.
Ricordati di Mark.
«Non ti preoccupare, Changbinnie, lo sai che ho occhi solo per te».
 
Non erano partiti nemmeno da un’ora e mezza, ma già avevano acceso la radio, e stavano cantando a squarciagola una canzone di cui nemmeno conoscevano le parole –se fosse partita Perfect ancora una volta, Changbin avrebbe guidato dritto in un fosso-, la conversazione di prima bella che dimenticata.
Felix partì con un falsetto, buttando la testa all’indietro contro al sedile della macchina, alzando una mano come per aiutarsi nell’ “ardua impresa” del beccare le note corrette.
«Ti dovrei portare al karaoke, qualche volta» disse Changbin a fine performance, senza pensarci troppo; ancora picchiettava le dita contro al volante -la fasciatura che gli aveva fatto Felix ormai non gli dava più fastidio-, seguendo un nuovo ritmo datogli dalla radio, ed occasionalmente schioccava la lingua al palato.
Felix rimase in silenzio per qualche secondo –silenzio a cui fortunatamente Changbin non badò particolarmente-, poi si girò verso al più grande. «Tu?».
Il picchiettio cessò. «Beh, sì. In una delle serate della compagnia, sai» Changbin scrollò le spalle, sentendosi notevolmente più teso rispetto a qualche secondo prima.
Calmati, Changbin. Rilassati.
«Ah, ecco… mi sembrava strano» Felix gli rivolse un sorriso, tornando poi a guardare la strada. Solo dopo qualche minuto riprese a canticchiare sottovoce una canzone che questa volta conosceva, però non c’era sentimento; per quanto potesse sembrare stupido, Changbin lo sentiva dalla sua voce.
Gli lanciò un’occhiata, poi tornò con lo sguardo sulla strada.
 
La poca neve che in precedenza aveva adornato leggermente il parabrezza dell’auto di Changbin, e che aveva portato Felix ad ammirare il paesaggio con entrambi i palmi delle mani attaccante al finestrino e un’espressione meravigliata ed emozionata – “In Australia la neve è inesistente”.
“Lo so, me lo dici ogni volta”.
“Per me è sempre una sorpresa”.
“Vivi qui da sei anni”.
“E quindi?” – sul suo volto, era quasi diventata una tempesta di neve in piena regola; fortunatamente erano stati messi in guardia dal meteo, non fecero fatica a cavarsela per le strade innevate e il vento che andava a colpire l’auto.
Pian piano il cielo stava diventando gradualmente più scuro, Changbin non ci fece troppo caso.
Felix stava disegnando sul finestrino, nonostante Changbin gli avesse detto più volte e in modo sgarbato di non farlo – “Lascia segni sul finestrino e poi mi tocca lavare tutta l’auto” -, quando si girò improvvisamente.
«Changbin?».
«Sì, Felix?» Changbin aveva gli occhi ridotti a fessure, concentrato sulla strada. Il più giovane tornò con il viso rivolto verso la strada, lo sguardo perso nel vuoto.
«Ti ricordi la prima volta in cui ci siamo incontrati?».
Changbin iniziò a tossire incontrollabilmente, una mano lasciò il volante e si tirò qualche pugno sul petto, cercando di prendere respiri profondi.
Come dimenticare.
 
Erano entrambi al liceo, Felix era il nuovo ragazzo australiano del secondo anno, Changbin era… solo Changbin, del terzo anno.
Il ragazzo nuovo aveva fatto tanto clamore nella scuola; raramente persone di altre città si trasferivano lì, e il fatto che venisse da tutto un altro paese aveva portato un po’ di fermento nell’aria.
Con il passare del tempo, era già trascorso un mese da quando la notiziona del nuovo studente aveva fatto il giro della scuola, molti già lo conoscevano di vista, Changbin non si era mai premurato di presentarsi, o anche solo dare una sbirciatina tra i corridoi per vedere chi fosse; in fondo, se non toccava i suoi amici, non toccava nemmeno lui. Chan era l’unico a lamentarsi di tanto in tanto, insistendo sul conoscerlo, perché «È raro trovare australiani qui, se è uno dei miei lo devo conoscere». Ma finiva sempre lì, e le sue lamentele non portavano mai a nulla di concreto.
Finché un giorno, all’ora di pranzo, Jisung si presentò con un ragazzo a loro sconosciuto al proprio fianco, dicendo di averci parlato durante l’ora di fisica, e che aveva presentato velocemente come “quello nuovo”, tanto per lasciare spazio per parlare al ragazzo. Ragazzo dai capelli mori, un orecchino a forma di croce pendente solo dall’orecchio sinistro, e un viso tempestato di lentiggini.
Changbin sentì il proprio cuore involontariamente perdere un battito; non fece altro che guardarlo, panino a mezz’aria, senza proferire parola.
        «Uhm, hey» salutò lui, un po’ imbarazzato. «Sono Lee Felix, piacere di conoscervi» il suo coreano era ovviamente un po’ spezzato, qualche parola detta con un accento diverso, qualche esitazione nel trovare le cose giuste da dire.
Ma Felix sorrise subito dopo, e improvvisamente per Changbin, del terzo anno, le imprecisioni non contarono più.
Jeongin e Hyunjin trattennero il fiato, completamente sconvolti. «La tua voce» iniziò Jeongin, con la sua parlata un po’ strascicata.
«È davvero profonda» finì Hyunjin, annuendo.
Non si seppe a cosa o a chi, ma annuì.
Changbin rimase in silenzio.
«Beh, siediti» aveva detto poi Jisung, indicandogli la sedia proprio in mezzo a Changbin e Chan, solitamente riservata a Jisung.
Non appena Felix si sedette, Chan gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo come se lo conoscesse da una vita intera. Iniziarono a parlare dell’Australia, di persone, posti, dolci che solo loro potevano capire e conoscere, e tutti gli altri rimasero in silenzio a mangiare, chi cercando di seguire la conversazione in maniera divertita (Minho e Jisung), chi fermandosi occasionalmente per fare qualche esercizio di matematica (Jeongin, che aveva chiesto aiuto a Woojin), chi perdendosi anche a parlare (Hyunjin e Seungmin).
Changbin non stava facendo nessuna delle sopracitate cose. Changbin, senza accorgersene, ancora stava pensando a come aveva sorriso, a come la sua voce profonda e sicura contrastasse con quel coreano incerto, al suo orecchino.
Era davvero involontario, non se ne accorse fino a quando Felix si girò verso di lui e gli rivolse un altro sorriso.
«Hey, scusa… Chan… hyung? Mi ha bloccato dal parlarti» ridacchiò avvicinando la sedia al tavolo. Sporse la mano. «Felix».
Changbin appoggiò il proprio panino nel piatto e si pulì le mani alla bell’è meglio. «Changbin» la strinse, sorridendo debolmente a sua volta.
 
 
Dopo essersi ripreso, Changbin si girò verso Felix, che era tornato a canticchiare sottovoce, guardando il paesaggio innevato; la neve ancora stava scendendo, ancora stava coprendo le strade, le colline, le montagne con il suo manto bianco, e probabilmente non si sarebbe fermata per i prossimi giorni.
«Felix?».
«Oggi sei proprio in vena di parlare» rise il più giovane, alzando la testa che aveva pigramente appoggiato contro al sedile. «Ti ascolto».
«Quando ci siamo conosciuti, hai sottinteso che avresti preferito parlare prima con me, ma Chan ti aveva bloccato».
«Sì, me lo ricordo».
«Perché proprio me e non, per esempio, Seungmin?».
Felix esitò; aveva già la risposta pronta, per anni aveva temuto quella domanda e per anni aveva preparato una scusa da utilizzare. Per un secondo pensò di dire semplicemente la verità, poi quel momento di inaspettato coraggio svanì, lasciando spazio solamente alla risposta da copione.
«Eri l’unico che non aveva ancora detto niente ed ero curioso» rispose semplicemente, scrollando le spalle con nonchalance.  Sorrise. «Probabilmente  il panino era così buono da lasciarti senza parole» ridacchiò.
O forse eri tu che eri talmente bello da lasciarmi senza fiato.
Changbin rise. «Già, è probabile. Nemmeno mi ricordo cosa ci avessi messo dentro».
 
Felix non riusciva a stare fermo: muoveva le ginocchia su e giù ripetutamente, quando Changbin gli diceva di smetterla iniziava a giocare con le proprie mani, e la cosa andava avanti, senza mai finire.
All’improvviso, più o meno venti minuti prima, la realizzazione che wow, Changbin mi sta portando da mio padre e passeremo le feste insieme lo aveva colpito come un pugno dritto nello stomaco.
Era passato dall’essere triste e sconsolato dopo quel “ti porto al karaoke insieme alla compagnia” all’essere nervoso, impaziente. Si morse la lingua.
Changbin era in macchina con lui.
Lo stava portando a Gumi.
Avrebbe rivisto suo padre dopo anni.
E Felix voleva un po’ –tanto- baciarlo.
Cazzo.
Alzò lo sguardo e lo posò su Changbin, che ormai aveva rinunciato a dirgli di stare fermo, e aveva solamente deciso di ignorarlo, alzando il volume della radio.
Aveva gli occhi fissi sulla strada, non potendosi permettere distrazioni con la bufera di neve che li aveva colpiti; in più erano usciti dall’autostrada, c’era buio, e avevano imboccato una strada secondaria che non sembrava troppo sicura.
Felix voleva sbattere la testa contro al finestrino ripetutamente, invece si limitò a guardare Changbin.
«Mi stai mettendo ansia» disse il suddetto, senza distogliere lo sguardo. «Ho qualcosa sulla faccia?» chiese, riferendosi alla piccola sosta che avevano fatto per mangiare.
«No, no» Felix tornò a guardare in avanti. «Stavo solo pensando».
E in effetti non stava mentendo, stava veramente pensando; stava pensando a tutte le volte in cui Changbin gli aveva fatto nascere l’impulso di prendere e baciarlo, così, semplicemente. E non erano poche.
Una in particolare gli era rimasta impressa nella mente, però.
 
Era una giornata di primavera, gli inizi di maggio, probabilmente; ormai si conoscevano da due anni, Felix era al quarto anno e Changbin all’ultimo. Infatti, era un miracolo che Felix fosse riuscito a portarlo fuori di casa, al parco, vista la mole di lavoro giornaliera a cui era sottoposto Changbin, che aveva un esame da preparare e un lavoro da tenersi stretto; lo stress era diventato una costante nella sua vita, Felix aveva solo bisogno di vederlo spensierato ancora per un po’.
Quindi sì, erano al parco, seduti su una panchina a parlare –Changbin aveva bisogno di aiuto in matematica e non faceva altro che lamentarsi dopo che il suo tutor si fu trasferito, lasciandolo da solo, in balìa degli eventi e delle parabole che tanto odiava-, una macchina fotografica attorno al collo di Felix.
Era uno dei suoi hobby preferiti, proprio per questo al secondo anno, non appena fu arrivato nella nuova scuola entrò a far parte del club di fotografia, oltre che a iscriversi alle ore di economia del signor Jung.
La prese tra le mani e iniziò a fotografare il paesaggio che si estendeva davanti a lui: le panchine in lontananza con coppie di anziani sedute su di esse, bambini che giocavano sulle giostrine, le chiome degli alberi leggermente scosse dal vento. Fece anche qualche foto da vicino a qualche fiore particolarmente bello, poi gli venne una mezza idea di guardarsi di fianco, dove Changbin ancora stava parlando, troppo assorto nel suo discorso.
«E la signora Na ha messo la verifica proprio la prossima settimana, Jungwoo se n’è andato all’università e io non ho idea di come fare a prendere la sufficien-».
Click.
Changbin si fermò. «Cos’è stato?».
«Niente, stavo facendo alcune foto ai fiori» Felix roteò gli occhi, alzandosi in piedi. «E a te».
Si mise di fronte al più grande, piegandosi sulle ginocchia quanto necessario per prendere un bell’angolo del ragazzo davanti a lui che ora lo stava guardando con finto fastidio, cercando di reprimere un sorriso.
Click.
«Dai Felix, lo sai che non mi piacciono le foto» il più grande si coprì il viso con una mano, ma Felix gli si avvicinò ancora di più, costringendolo ad allontanarla.
«Sei davvero fantastico».
E gli scattò un’altra foto.
 
Ripensandoci e riguardandola, l’ultima foto era ancora una delle sue preferite; lo sguardo di Changbin dritto su di lui, il sorriso che contornava le sue labbra, il leggero rossore sulle guance e i capelli scompigliati dal vento.
Eh sì, avrebbe voluto baciarlo allora, e anche in quel momento la voglia era parecchia.
Poi c’era stata la volta in cui i suoi genitori ancora vivevano con lui a Seoul, ed era scappato di casa per una notte intera.
 
Felix stava piangendo, anche se involontariamente; era tardi, c’era buio e c’era freddo, le strade deserte e nessun segno di vita attorno a lui.
Non sapeva dove andare, non sapeva a chi rivolgersi, era sicuro che nessuno dei suoi amici avrebbe realmente capito; Jeongin, forse, ma non voleva far tornare alla mente del ragazzino tutto quello che aveva dovuto passare.
Ad essere sinceri, nemmeno aveva capito a fondo perché si fossero arrabbiati così tanto, né perché avessero iniziato a litigare: forse perché suo padre tornava sempre a casa tardi dal lavoro?
O forse perché suo padre aveva trovato in camera da letto la maglietta di suo zio, e sua madre non era riuscita a trovare una scusa abbastanza convincente per giustificarne la presenza su quella sedia che tenevano un po’ come appendiabiti.
Però non importava, perché ora si trovava per strada alle dieci di sera, e stava anche iniziando a piovere; non sapeva a chi chiedere aiuto, da chi rifugiarsi dopo quello che aveva dovuto sentire dalla sua camera, chiusa a chiave.
Changbin.
Fu lui il primo a passargli per la testa in quel momento. Sapeva che Changbin avrebbe capito.
Changbin avrebbe sempre capito.
Si mise il cappuccio della felpa sulla testa, cercando di proteggersi miseramente dalle gocce che stavano cadendo sempre più intensamente, bagnandolo da capo a piedi, fino alle ossa, il freddo che lo faceva tremare incontrollabilmente; iniziò a correre, ben consapevole di non avere il telefono con sé e di non poter avvertire Changbin –che abitava anche piuttosto lontano da lui- del suo arrivo.
Corse e corse, le lacrime ancora gli rigavano le guance, le riusciva a distinguere dalla pioggia solo perché calde a contatto con la sua pelle e salate quando gli entravano in bocca quasi prepotentemente.
Corse ancora, forse per un paio di minuti, forse per una decina, ormai aveva perso il senso del tempo; ma corse, e si trovò finalmente davanti alla porta d’entrata della casa di Changbin.
Mise a tacere la vocina che gli diceva che non avrebbe fatto altro che disturbare la quiete di una famiglia tanto diversa dalla sua perché, egoista com’era, in quel momento Felix aveva bisogno di Changbin.
Bussò quattro volte, aspettò due secondi esatti e bussò un’altra volta, questo per far capire a Changbin che era lui; e infatti, circa un minuto dopo, il più grande aprì la porta sorridendo.
Sorriso che svanì immediatamente non appena vide le condizioni in cui era ridotto Felix, che si limitò a singhiozzare e rifugiarsi contro al petto di Changbin, che lo accolse immediatamente nonostante tutta l’acqua e gli lasciò un bacio sui capelli bagnati.
 
Dire che Felix aveva raggiunto il limite era dire poco, ma adesso, ripensandoci, forse avrebbe dovuto rimandare di almeno un’altra oretta, un’oretta e mezza al massimo; almeno aspettare di essere in un posto sicuro, al caldo, e non in mezzo ad una bufera di neve.
Ma stiamo parlando di Lee Felix, non ci si può aspettare troppo.
«Sono innamorato di te» disse, così, senza nessun preavviso, senza aver attirato prima l’attenzione di Changbin.
«Tu cosa» quest’ultimo –forse a causa dello shock- perse il controllo del volante, e la macchina andò a schiantarsi contro uno degli alberi al lato della strada.
Fortunatamente non stava andando veloce –quelle stradine erano un vero inferno- ed entrambi avevano indossato la cintura di sicurezza; non si fecero assolutamente nulla.
A parte l’auto ammaccata e una probabile perdita di olio del motore.
Entrambi scesero dalla macchina senza dire nulla -ancora troppo sotto shock per rendersi realmente conto dell’accaduto-, Changbin da un lato e Felix dall’altro si avvicinarono al cofano della macchina, da cui stava uscendo anche del fumo.
Fantastico.
Sempre in silenzio, andarono a prendersi ciascuno il proprio borsone e il bagaglio che si era portato dietro e iniziarono a camminare nella neve; avevano già capito che se avessero voluto sopravvivere il resto del pomeriggio e la notte, avrebbero dovuto cercare un posto al caldo in cui rifugiarsi.
C’era talmente freddo, si sentivano i loro denti tremare leggermente; Changbin era quasi sicuro di star per perdere entrambe le mani a causa del gelo.
«Non ci posso credere, tra meno di un’ora e mezza saremmo arrivati a Gumi e ora invece siamo qui, nella neve, a cercare un dannato posto in cui passare la notte» si lamentò Felix, con voce tremolante.
Il suo corpo era continuamente scosso da brividi, sentiva già la febbre fare capolino e rovinargli la giornata, che era andata alla grande –se non prendiamo in considerazione gli ultimi venti minuti-.
«Ma sei fuori di testa?» rispose Changbin, scuotendo la testa leggermente –c’era così tanto freddo, a malapena riusciva a muoversi più dello stretto necessario. «Stavo guidando tranquillamente e poi hai detto quella… quella cosa».
«Ah, quindi ora sarebbe colpa mia se hai perso il controllo dell’auto?».
«Sì, cazzo» esclamò il più grande, esasperato.
«Beh, se avessi dormito un po’ questo pomeriggio magari non ti saresti distratto così!».
«Stavo guidando e, così alla cazzo, mi hai detto di essere innamorato di me. Pensi che un’ora di sonno avrebbe attutito lo shock?».
Changbin stava ancora un po’ urlando dentro.
Felix anche.
Però erano due tipi diversi di urla; Changbin era più il tipo felice, da “Oh Dio oh Dio oh Dio ha detto di essere innamorato di me”, mentre Felix era più da “Non l’ho fatto davvero. È stata una cazzata enorme”.
Ma nessuno dei due disse niente, anzi decisero di andare avanti con il loro battibecco.
E urlarono, forse un po’ perché la loro amicizia –si poteva ancora definire così?- era sempre stata basata su urla e occasionali insulti non veramente pensati, un po’ perché entrambi erano terrorizzati al pensiero di quello che sarebbe successo dopo.
«Ma come diavolo può essere colpa mia?!» Changbin si passò una mano tra i capelli bagnati dalla neve; era davvero, davvero stanco, voleva solo trovare un posto al caldo, parlare in modo civile con Felix e dormire. E invece stava camminando da circa venticinque minuti, cercava di scaldarsi le mani sfregandole l’una contro l’altra, ma senza successo.
«Non lo so, okay?» urlò Felix di rimando, tirando un calcio alla neve in un tentativo di scaricare un po’ della sua agitazione; fu una mossa sbagliata, però, perché la neve gli entrò nelle scarpe ancora di più, bagnandogli anche i calzini.
Oltre a tutta la situazione che si era venuta a creare, si trovò con i piedi congelati, e pure bagnati. «Cazzo, voglio morire».
«A chi lo dici».
«Dici che moriremo qui?».
Il più grande sospirò. «Troveranno i nostri corpi congelati e coperti dalla neve, non avremo scam-» e si fermò di scatto, assottigliando gli occhi come per riuscire a guardare da lontano con la fitta neve che cadeva e cadeva, senza smettere.
Felix si fermò accanto a lui, aggrottando le sopracciglia. «Bin?».
«Sono luci, quelle?».
Il più giovane si girò così in fretta che la testa rischiò quasi di staccarglisi dal collo. « È una casa!».
«Abbiamo trovato una casa!» urlò Changbin, saltellando sul posto. Entrambi lasciarono cadere i borsoni, gridando dalla gioia. «Non moriremo!».
E nella foga del momento –o forse era il gelo che aveva completamente congelato il suo cervello-, mentre saltellavano Changbin si sporse in avanti fulmineo, appoggiò entrambe le mani sulle guance paffute di Felix e lo baciò.
Non durò molto, il bacio, perché entrambi si allontanarono immediatamente; si guardarono per qualche secondo, nessuno disse niente al riguardo. Si limitarono solamente a schiarirsi la gola, a riprendere ciascuno il proprio borsone e a camminare verso la casa davanti a loro, questa volta con una velocità ben diversa da quella che avevano utilizzato fino ad allora.
Stavano praticamente correndo, i borsoni venivano scossi da una parte all’altra violentemente contro alle loro schiene, i loro piedi affondavano nella neve rendendo i loro movimenti più maldestri; alla fine arrivarono davanti alla porta di quella casa che già da fuori sembrava tanto accogliente.
«Vai, bussa» sospirò Changbin, ormai sentendo anche le guance e gli zigomi congelarsi progressivamente.
Felix si girò verso di lui. «Perché devo bussare io? Sei tu il più grande».
«Beh» Changbin roteò gli occhi. «È colpa tua se ci siamo trovati in questa situazione. Bussi tu».
«Oh, mi stai prendendo per il culo» il più piccolo sbuffò una risatina di scherno. «Non ci penso nemmeno».
Ma la loro discussione aveva fatto un discreto rumore, e i due anziani che abitavano la casa sentirono proprio tutto; per questo, mentre i due ancora bisticciavano come loro solito, la porta si aprì ed entrambi si trovarono davanti una signora anziana. Stava indossando una vestaglia, sicuramente troppo leggera per affrontare il freddo fuori anche solo dalla sua postazione contro lo stipite della porta. Sorrise loro in modo caloroso, intuendo immediatamente quello di cui avevano bisogno i due ragazzi. «Abbiamo una stanza al piano di sopra, accendete la stufa e scaldatevi un po’, dovete essere congelati» e si spostò per fare loro spazio.
I due ragazzi s’inchinarono e timidamente entrarono nell’abitazione.
Un signore –suo marito, probabilmente- era seduto sulla poltrona a guardare il telegiornale – “Vedi, Felix? Va ancora di moda”.
“Oh, sta’ zitto” -, rivolse loro un sorriso e un cenno con la mano che i due ricambiarono.
Salirono le scale, attenti a non riempire l’intera casa di neve –impresa piuttosto ardua, ma almeno ci avevano provato-, e guardandosi intorno Changbin trovò la famosa stanza sulla cui porta c’era una targhetta che recitava: “ospiti”.
Erano stati davvero fortunati, per la prima volta durante quella giornata. Okay, la sua seconda se contiamo la confessione di Felix.
Pian piano entrarono nella suddetta stanza, lasciando i borsoni per terra all’angolo contro al muro. Si tolsero le scarpe –Felix gioì quando i suoi piedi entrarono in contatto con il parquet quasi caldo- che sistemarono vicino alla porta, e iniziarono a togliersi giacche e giacconi per adattarsi alla temperatura che girava in casa.
Nonostante tutto, però, i due ancora stavano morendo di freddo; Changbin accese la stufa –che grazie al cielo non era a legna, ma una di quelle comode che andavano a pellet- e sospirò.
«Scendo giù e ringrazio, è il minimo».
Felix annuì, stendendosi sul letto.
 
Il più grande uscì appunto dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé, poi scese le scale fino ad arrivare al pian terreno, dove la coppia stava guardando la tv seduta sul divano.
«Buonasera» attirò la loro attenzione, notevolmente imbarazzato. I due si girarono, sorridendogli calorosamente; la signora si alzò e gli camminò incontro lentamente.
«Buonasera a te».
«Uhm… io sono Seo Changbin, e il ragazzo che è con me è Lee Felix. Volevamo solo ringraziarvi per l’ospitalità, immagino non sia semplice accogliere in casa una coppia di sconosciuti» e si grattò la nuca in segno di imbarazzo. La signora ridacchiò, iniziando a tossire subito dopo.
«Oh, non è la prima volta che ci succede» gli diede una pacca sulla spalla, sorrise girandosi verso al marito, la cui attenzione non era più rivolta verso la tv. «Ci fa piacere aiutare chi ha bisogno».
«Non perdere più tempo qui» intervenne l’uomo, tossendo proprio come aveva fatto la moglie poco prima. «Vai su, sicuramente il tuo ragazzo ti sta aspettando».
Se Changbin aveva rischiato di ammazzare entrambi alla confessione di Felix, nel sentire quelle parole la saliva gli andò di traverso; qui rischiò di morire solo lui.
«Oh, no» disse, tra un colpo di tosse e l’altro. «Non è il mio ragazzo».
Un’altra pacca sulla spalla da parte della donna. «Certo che non lo è, caro».
«No, davvero, noi-» cercò di spiegare, ma si fermò quasi immediatamente non sapendo cosa dire; avrebbero dovuto sistemare la situazione al più presto. La coppia, intanto, lo stava guardando come se sapesse che stava succedendo; entrambi sorridevano, gli occhi dolci e comprensivi.
«Meglio se torno su. Grazie ancora, e buonanotte» s’inchinò una seconda volta e salì le scale, dirigendosi verso la stanza in cui Felix lo stava aspettando.
Aprì la porta e si trovò davanti Felix, intento a parlare al telefono –probabilmente con suo padre, forse per avvertirlo del loro ritardo.
«Hyuck, giuro che quando torno prendo quella testa bacata che ti ritrovi e la ficco nel cesso. Non sto nemmeno scherzando».
Come non detto.
Si sorrisero e il più grande si sedette sul letto –ce n’era solo uno. Mh-, aspettando pazientemente che Felix finisse di discutere animatamente con Donghyuck.
«No, Lee Donghyuck. No. No, smettila. Ciao Hyuck, ci sentiamo» e sospirò, facendo cadere il braccio pesantemente.
«Pensavo stessi parlando con tuo padre» disse Changbin, guardandolo mentre andava ad appoggiare il telefono su uno dei comodini.
«L’ho già chiamato prima. È stato Donghyuck a chiamarmi, per assicurarsi che fossimo arrivati sani e salvi, o una cazzata del genere» ridacchiò. «L’ha presa fin troppo bene quando gli ho raccontato della situazione in cui ci troviamo ora».
«Beh, è stato gentile da parte sua».
«Sì, per la maggior parte» rispose Felix con un filo di voce, sedendosi di fianco a Changbin.
Nessuno dei due sapeva bene cosa fare, entrambi guardavano in basso. Felix non riusciva a stare fermo, proprio com’era successo prima in macchina per il nervosismo.
Era arrivato il momento di parlarne, a quanto pare.
«Senti-» iniziarono entrambi, parlando in contemporanea e altrettanto in sincrono si zittirono, aspettando che fosse l’altro a parlare.
Nessuno prese l’iniziativa per i primi venti secondi, perciò Felix si fece coraggio, prese un respiro profondo e alzò lo sguardo dalle proprie mani per fissarlo su quello di Changbin.
«Senti» disse di nuovo, un po’ per perdere tempo e decidere cosa dire; inutile, la sua mente era completamente vuota , se facciamo eccezione per la figura di Changbin davanti a lui.
«Non avrei voluto dirtelo così. Ti avrei portato, o forse è meglio dire che tu mi avresti portato –ridacchiò- a Gumi a vedere di nuovo mio padre dopo anni». Iniziò a tirare l’orlo delle maniche della felpa bianca che stava indossando. Deglutì, fece un respiro profondo –anche se debole-, ma la sua voce non dava ad intendere il suo stato d’animo.
Changbin lo ascoltò.
«Il fatto è che sono innamorato di te da una vita, hyung. Da quando mi sono trasferito qui in Corea».
Changbin sentì l’aria abbandonare i polmoni, come se qualcuno gli avesse appena tirato un pugno nello stomaco.
Faceva fatica a respirare, ma non interruppe il discorso di Felix.
«E lo so che non è ricambiato, perché ci sono queste volte in cui guardi Jisung e sembra che per te esista solo lui, e giuro che non voglio mettermi in mezzo» Felix sentiva gli occhi bruciare, ma andò avanti.
«…Ma volevo solamente che tu lo sapessi, perché se avessi tenuto dentro questa cosa ancora per qualche ora, probabilmente sarei esploso» concluse, evitando lo sguardo di Changbin, tutta la sicurezza e il coraggio di prima svaniti nel nulla.
Changbin fece fatica a comprendere, il suo cervello fermo dopo aver sentito il nome di Jisung.
Non sapeva se ridere, o ridere piangendo.
Erano due idioti entrambi.
Senza riuscire a trattenersi, Changbin scoppiò in una risata fragorosa, con tanto di pacche sulle proprie ginocchia, il tutto davanti allo sguardo sconvolto di Felix.
«Ma sei coglione» chiese quest’ultimo, anche se sembrava più un’affermazione che una domanda. «Ti ho pure baciato, non ci posso credere» questo lo fece ridere ancora di più, si lasciò andare e si appoggiò con la schiena contro al materasso. Portò le mani verso agli occhi che teneva chiusi, e continuò a ridere finché tutta la situazione smise di essere divertente.
Si mise seduto.
«Proprio Jisung dovevi affibbiarmi?» chiese, ancora una traccia del suo divertimento nella voce; non che ci fosse qualcosa di sbagliato in Jisung, ma era… Jisung. Era inspiegabile. Era rumoroso, iperattivo, parlava sempre nei momenti sbagliati e rideva nei momenti più inopportuni, proprio come Felix; ma non era Felix.
Quest’ultimo si lasciò sfuggire un sorriso. «Dico solo quello che vedo».
«Dovresti prenotare un appuntamento dall’oculista, allora» sussurrò Changbin, annullando la distanza tra di loro; non appena le loro labbra si toccarono –seriamente, questa volta, e non dopo uno scoppio di felicità dovuto all’avvistamento della casa-, Changbin sentì le gambe cedere e per fortuna era seduto, perché se fossero stati in piedi probabilmente non sarebbe finita tanto bene.
Sarebbe stato un altro disastro da aggiungere alla lista infinita della giornata.
Felix sospirò, senza allontanarsi dal più grande. Anzi, pian piano andò a diminuire la loro distanza sul letto, già molto piccola in partenza.
La mente di Felix era completamente buia, fatta eccezione per la pelle di Changbin sotto ai suoi polpastrelli, le labbra contro alle sue, i respiri mescolati.
Changbin si allontanò. «Mh» disse, con fare pensieroso.
Felix aprì gli occhi lentamente, le labbra carnose ancora più gonfie e rosse. «Che c’è?».
«Jisung bacerebbe meglio».
Felix gli tirò un pugno sul braccio, e la camera si riempì con la risata di Changbin.

 
Marina, posting twice the same day?
It's more likely than you think, fellas.
Boh non lo so, i changlix mi hanno un po' rubato il cuore.
Tengo tanto a questa os, ci ho provato davvero tanto a non farla sembrare troppo veloce, mi sono presa il tempo per scriverla con calma e sinceramente è uno dei pochi lavori che mi piace. 
Ma non è quello che piace a me che conta, se piace anche a solo una delle persone che -hopefully- la leggeranno, sarà un traguardo. 
Stan stray kids and support My Pace, kweenies.
Spero questa os sia stata di vostro gradimento, se vi va fatemi sapere che ne pensate -anche le critiche sono ben accette, as always.
Scusate per eventuali errori!
Alla prossima -sarà domani? Sarà tra altri sei/sette mesi? Who knows- uwu.
mar,,
 

 
   
 
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