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Autore: AdhoMu    15/08/2018    6 recensioni
[Morag McDougall/Carbry Bell(OC)]
Nonostante gli enormi passi avanti dati dalla Comunità Magica nel campo della Magimedicina si direbbe che ancor oggi, per certi malanni, l'unica cura efficace sia una e una sola: quella di cui parla sempre Albus Silente.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morag MacDougal, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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1. Il balsamo dei ricordi.
 
La mensola del camino di pietra grigia è sovraffollata di cornici di ogni tipo, forma, materiale, gusto, peso e trasparenza. All'interno di esse, in un moto perpetuo che i più moderni definirebbero "in loop", si agitano i visi di coloro che compongono il Pantheon Sentimentale di Amy McLaggen, al secolo Amy Macdonald, una delle più rinomate allevatrici di pecore Vello Magico di tutta la Scozia del Nord.
Tutti i lunedì mattina, nonostante gli impegni imposti dall'amministrazione della tenuta e dell'attigua filanda, la signora Amy si ritaglia un'oretta di tempo per spolverare amorevolmente le sue preziose cornici. Bacchetta alla mano fa svolazzare il piumino, carezza affettuosamente le superfici di vetro con un minuscolo scampolo di lana pregiata e guarda le fotografie, una ad una, soffermandosi spesso a conversare con loro.
Fra le sue preferite ce n'è una che, ogni santo lunedì, le riempie il cuore di tenerezza e nostalgia. 
È la Foto dei Bambini. 
In essa, quattro piccoli visi (a quei tempi, i gemellini McDougall non erano ancora nati) dalle fattezze variabili le ricordano di quando suo figlio e i suoi amici erano ancora piccoli e giocavano insieme, divertendosi a rincorrere gli agnellini svezzati da poco.
Quasi al centro della foto, col ciuffo nero che gli copre la fronte, c'è Carbry Bell, di cui Amy è madrina orgogliosa: ben presto tornerà da Chicago, finalmente, stringendo fra le mani il diploma di Medimago che lo scoppio della Seconda Guerra Magica ha ritardato di qualche anno. Alto e magro, gli occhi grigi velati da un sorriso vagamente malinconico, annega in un camice bianco da Veterimago troppo grande per lui.
Alla sua destra Katie sorride, facendo ondeggiare la frangetta corvina che le ricade sugli occhi. Bassina, esplosiva, sempre sorridente: un piccolo vulcano in costante eruzione. Da sotto l'orlo del suo kilt di lana leggera spuntano le ginocchia perennemente sbucciate; ai suoi piedi giace abbandonata una malconcia (ma vincente) scopa-giocattolo. 
Il braccio di Katie cinge a fatica le spalle di Cormac, in piedi accanto a lei e alto quasi il doppio. Amy osserva il figlio, già piuttosto massiccio e ben piantato, i riccioli color del miele smossi dal vento e l'espressione un po'contrariata di chi, suo malgrado, si è beccato una sequenza ingloriosa di goal dalla piccola scheggia-Bell. 
Alla sinistra di Carbry c'è un'altra figuretta bionda, quasi immobile e sbiadita dal tempo. 
È Morag: la più piccola di tutti. 
Amy sorride, osservandola con affetto. Per anni non se n'è accorta, ma un'analisi più approfondita della foto le ha rivelato un dettaglio che, ogni volta che le salta all'occhio, la intenerisce moltissimo. La piccola Morag tiene le braccia nascoste dietro la schiena, ma un lieve movimento involontario rivela che, fra le sue mani, c'è un pupazzo. Un peluche che la piccola ha meticolosamente bendato, probabilmente mentre stava giocando con Carbry, poco prima che qualcuno richiamasse i bambini per scattare loro la foto. In quel bendaggio, in quei nodi, Amy scorge un legame profondo e sentito, un affetto tenace e indissolubile. Chissà se quei due sciocchi, pensa amorevolmente la strega, se ne sono mai accorti.
 
Il San Mungo è la materializzazione perfetta e incontestabile del caos.
Morag si avventura nell'atrio guardandosi intorno, un po' disorientata. L'affollamento non le è mai piaciuto: ha sempre preferito la calma e la solitudine, gli spazi aperti, l'aria fresca, il profumo dell'erica e dei pini, la tiepida sicurezza degli affetti familiari e la cerchia rassicurante dei suoi amici. 
Evitando per miracolo stampelle sgambettanti, gessi impastoianti, aghi contundenti e barelle in rapido avvicinamento, la ragazza riesce finalmente ad accostarsi al bancone della Reception.
- Desidera?
Morag sbatte le palpebre, un po'perplessa.
Che cosa ci fa quel bellimbusto di Marcus Flint dietro al bancone?
- Mi chiamo Morag. Morag McDougall. Sono qui per la Residenza... dovrei cominciare oggi.
L'attendente la scruta in silenzio per una manciata di secondi, soppesando con un sorrisetto irritante la sua bionda figura fasciata dal camice bianco (e lei, scoraggiata, pensa che è sempre stato un viscido; non c'è che dire, certe cose non cambiano mai). Poi, dopo aver dato un'occhiata ad un fascicoletto sgualcito, le dice:
- Davvero un gran bel Colpo della Strega.
- Eh?! 
- Reparto Traumatologia da Schiantesimo. È appena arrivato un paziente piegato in due. Scala B, quarto piano, terza porta a destra. Ci troverà... - grugnisce Flint, sfogliando svogliatamente un librone dalle pagine spiegazzate e macchiate d'inchiostro, fitte fitte di nomi, date ed annotazioni - ...il dottor Bell. 
La ragazza rimane immobile per una frazione di secondo.
- B-Bell?
- Sì: Bell, Bell. Il gringo. Altre informazioni? Non ho tutto il giorno. La sera, però, sono libero a partire dalle 19.26
Morag è così meravigliata che non le riesce neppure di mandarlo al diavolo o, quantomento, di scoccargli un'occhiata disgustata. Prende in mano la cartelletta che Flint ha posato sul bancone e, un po'confusa e meditabonda, si avvia verso la Scala B.
 
Ci sono cose che non si dimenticano, non è vero, Mog?
Come per esempio il fatto che tu, per lui, sei sempre stata solo e soltanto Mog, la piccola Mog. Non Morag, non Mackie, non Mac. Mog. Tre lettere affettuose pronunciate fra un sorriso e l'altro (prima), e fra uno sbuffo di fumo e una vivace boccata (poi).
E di ricordi ne conservi a bizzeffe; si accumulano l'uno sull'altro in un accavallamento costante, rischiando seriamente di confondersi tutti. Alcuni, però, più vividi degli altri, fanno capolino a gomitate ed impongono la loro presenza.
Ci sono i ricordi legati all’infanzia, quando tu gli portavi le tue bambole e i tuoi pupazzi, uno alla volta, tutti in fila e lui, paziente e meticoloso, li visitava:
- Humm, signora... mi sa che questo è un raro caso di Spruzzolosi Aggravata...
- Dice davvero, dottore?
- Sì. E... le vede, queste macchie?
- Queste qui sul pancino?
- Esattamente.
- Cosa sono? La prego dottore, me lo dica...
- Vaiolo di drago. Nella sua forma più purulenta.
- Oh no!!!
Insieme, allora, vi affannavate per trovare la cura (“Purvincolo in gel!” “No! Pasta secca di radigorda!” “”Mmmmh... Forse è meglio il pelo di nargillo macerato col ketchup!”); i pomeriggi passavano in un lampo e quando, verso sera, Katie e Cormac facevano ritorno dal campo da gioco tutti pieni di graffi, croste e abrasioni, voi cercavate di intervenire con i vostri impacchi disgustosi, che zia Amy si affrettava a rimuovere per evitare pericolose infezioni e conseguenti rischi di amputazione.
Il tuo mondo era quello e ti andava più che bene, piccola Mog; tu, come tutti i bambini, non pensavi che le cose potessero andare in modo diverso. Eri felice e sapevi di esserlo; se fosse dipeso da te, non avresti cambiato una virgola.
Un giorno però, inaspettata, improvvisa, è arrivata la lettera da Ilvermorny. E Carbry è volato via.
Tu, piccola Mog, non l’avresti mai ritenuto possibile; manco te ne ricordavi, tu, che babbo Bell era americano, e forse non sapevi neanche bene che cosa volesse dire “americano”, visto che tutto il tuo mondo si componeva di quel mosaico di isole battute dai venti (Innse Gall, Orkneyjar, Shealtainn), bordate da scogliere tagliate a picco e faraglioni simili a cattedrali babbane, ammantate di cardi, erica ed erba smeraldina, abitate da pecore soffici, pony pelosi, cani bicolore col naso appuntito e fieri isolani dagli abiti quadrettati.
Hai perso il tuo compagno di giochi, piccola Mog; al primo taglietto ti sei resa conto, sgomenta e un po’smarrita, che non c’era più nessuno pronto a metterti il magi-cerotto-che-cura-tutto.
E i pomeriggi erano lenti e gli inverni non passavano mai; il Quidditch non ti appassionava, quasi quasi preferivi passare il tempo osservando i vicini babbani che riparavano i tagliaerba in attesa della primavera. E zia Amy ti portava a vedere gli agnellini appena nati, e tua madre ti chiedeva di badare ai gemelli; tu, sorridente, ti occupavi dei più piccoli e farlo ti piaceva ma, qualche volta, con una punta di nostalgia ti ricordavi di quando la piccola eri tu.
Ma poi l'estate arrivava e Carbry tornava a casa, allegro ed entusiasta come sempre, infilato nelle magliette gialle (troppo corte e troppo larghe; com'era possibile?!) del Wampus e in quelle rosse dei Chicago Bells - ma al kilt no, a quello non rinunciava, neanche quando si trovava oltreoceano e, ridendo, raccontava che le ragazze americane vanno matte per la lana a scacchi. Arrivava in un uragano di novità, coi suoi modi di dire insoliti sulla punta della lingua, l'accento da gringo ogni volta più forte e, dulcis in fundo, gli sbuffi di fumo di sigarette autoprodotte che, all'inizio, ti facevano lacrimare gli occhi, piccola Mog.
Piccola Mog, che nel frattempo crescevi a tua volta, cominciavi la scuola ("Corvonero? Cooool!") e, senza rendertene conto, aspettavi l'estate; e alle Sagre del Vello i ragazzi ti invitavano a ballare sotto la vigna, ma tu ti schernivi, non volevi, ti vergognavi, e accettavi di lasciare la seggiola solo quando Carbry ti tirava su di peso ("Eddài, timidona") con una risata fragorosa ed una tossitina al catrame. Sceglieva sempre le musiche più movimentate (qualche disco lo portava lui stesso dall'America), e finiva che vi divertivate come matti a saltare e ballare su quelle note indiavolate che vi facevano roteare i kilt.
E luglio e agosto passavano in fretta, fra le discussioni sulla supremazia del Quodpot rispetto al Quidditch (Carbry contro la formazione compatta Katie/Cormac) e le passeggiate in campagna, la stagione della tosatura e gli allineamenti del sole nei circoli megalitici durante il Solstizio. E voi eravate ormai un po' troppo grandi per giocare al dottore, per lo meno alla versione infantile del gioco, e quindi vi limitavate a godervi la reciproca compagnia durante quei pomeriggi che, nuovamente, pareva non sarebbero finiti mai ma che poi, puntualmente, si esaurivano con l'avvento dell'autunno, in unrefolo di malinconia.
E quando Carbry, una volta terminati i sette anni di scuola ad Ilvermorny, ha scelto Cambridge per studiare Magimedicina  tu hai gioito senza rendertene conto, piccola Mog. Niente postacci impronunciabili infilati in capo al mondo: no, non questa volta. I Natali e le Pasque son tornati ad essere vere e proprie Feste, e finalmente c'era di nuovo qualcuno che si occupava di te e si ingegnava per farti sorridere, piccola Mog, sempre intenta a prendersi cura degli altri.
E infine la Guerra è arrivata, e Carbry ha deciso di rimandare il diploma e di rimanere nel Vecchio Mondo per aiutare chi ne aveva bisogno; si è fatto prestare il vecchio sidecar di babbo McLaggen e ha messo su l'Ambulatorio Volante. Grande idea, se non che Carbry, nel suo allegro disordine, la moto non la sapeva guidare e così tu, invece di tornare ad Hogwarts, sei rimasta nelle Islands per fargli da autista e, già che c'eri, ad aiutarlo con aghi e suture.
Lavoravate in condizioni precarie e pericolose, sempre in bilico fra sicurezza e clandestinità, sfidando la neve, i venti settentrionali, i colpi di coda dei Neri delle Ebridi e la carenza cronica di magibenzina. A coloro che aiutavate (raggiungere Londra e il San Mungo per ricevere cure, ormai, era impossibile), in cambio, non chiedevate nulla; eppure ognuno vi ricompensava a suo modo, come poteva, chi con un salame, chi ospitandovi a dormire in un caldo fienile (avevate la tenda, ma era piena di spifferi), chi facendovi dono di un Incantesimo Rallegrante.
Nonostante gli incontri, però, eravate quasi sempre voi due soli, raramente a riposo, costantemente in viaggio. A farvi compagnia c’era sempre Miles, la vostra milza-giocattolo trasformata in radiolina e navigatore satellitare; eppure, spesso, decidevate di tenerla spenta, e la solitudine non la soffrivate mai, perché siete sempre stati entrambi amanti della quiete e della contemplazione: e quante albe meravigliose, rosa come sbuffi di zucchero filato, avete ammirato ad alta quota, il silenzio rotto soltanto dal brusio sommesso della vostra vetusta cavalcatura.
La moto era vecchia e rumorosa e la carrozzetta del sidecar minacciava sempre di staccarsi; farla decollare era un lavoraccio (quanto ti ha fatta imprecare!), ma a te piaceva la sensazione di accelerazione e adrenalina che provavi man mano che prendevate quota. Tu, piccola Mog, ti sei subito affezionata a quel vecchio catorcio che perdeva i pezzi e sul quale tu, più di una volta, hai dovuto operare trapianti d'emergenza di organi provenienti da vecchie lavatrici e tagliaerba babbani.
E vedendoti arruffata e tutta sporca di olio e di grasso Carbry rideva di gusto, ma si vedeva che la tua abilità con freni e motori lo lasciava ammirato. Tu lo ammonivi bonariamente di tenere lontano quella benedetta sigaretta dal serbatoio e lui alzava le mani tutto serio, fingendo di scusarsi.
Il venerdì sera - sabato mattina al massimo - tornavate alla base per trascorrere il weekend con amici e parenti. Portavate notizie e messaggi, facevate rifornimento, recuperavate le forze e immancabilmente il lunedì mattina alle prime luci dell'alba - vi fossero neve, pioggia, grandine, sole o aurora boreale - eravate di nuovo pronti a ripartire per il vostro giro di ricognizione, alla ricerca di maghi, streghe, ibridi, maghinò (e, spesso e volentieri, anche babbani) da curare.
Carbry prendeva posto nella carrozzetta, sistemava Miles sul cruscotto e, in modo solenne, ordinava:
- Metti in moto, Mog.
Tu ti tiravi giù gli occhialoni, sfrizionavi, sgasavi e ci davi dentro con l’acceleratore; e il ricordo di quei decolli rocamboleschi è vivo come non mai nelle morbide pieghe della tua testolina bionda.
 
Quante volte ve la siete vista brutta? 
Tante e incontabili, decisamente troppe.
E la peggiore di tutte è stata senz'altro quella volta del Posto di Blocco; una delle poche in cui hai visto Carbry seriamente preoccupato - il che, ovviamente, ti ha spaventata a morte. Dopo quella volta, avete tacitamente deciso di smettere di avventurarvi più a sud di Falkirk, perché la situazione era ormai troppo grigia (anzi, nera, nera come la pece più viscosa) per permettersi di correre rischi di quella portata.
Vi trovavate a Glasgow per fare acquisti (bende e sirighe erano finite e avevate esaurito il numero massimo di Moltiplicazioni ammesse dalla Legge di Gaump) quando, uscendo dalla farmacia del Signor Tyndrum, ve li siete trovati davanti all'improvviso.
Tutti vestiti di nero, con gli stivali lucidi di pelle di drago che schiacciavano la neve appena caduta. Vi hanno chiesto che cosa stavate facendo, e voi avete subito attaccato con la frottola trita e ritrita (e piuttosto implausibile, ripensandoci ora) dei due sposini americani in viaggio di nozze in Scozia.
A te si è accapponata la pelle, piccola Mog, perché due di loro erano stati tuoi compagni ad Hogwarts; frequentavano il settimo anno quando tu eri al primo, e già allora venivano annoverati fra coloro dai quali era meglio girare al largo. Non ti hanno riconosciuta; e tu ti sei affrettata a tirar fuori il falso certificato di matrimonio dell'Ufficio Sposalizi Magici di Baltimora, parlando il meno possibile per evitare che si accorgessero che tu, in realtà, eri nata poco più a nord e di americano non avevi un bel niente.
Ma ti sei accorta che Carbry era nervoso, molto nervoso, mentre quel tizio elegante con gli occhi di ghiaccio leggeva il documento con fare vagamente divertito, per poi chiedere:
- E Baltimora, com'è?
Carbry ha balbettato qualcosa di assurdamente banale sul clima, e la sigaretta gli tremava fra le dita; e quello ha riso (una risata afona, raggelante) e ha detto, a voce bassissima:
- Congratulazioni per il matrimonio, signori... Knightley. Spero avrete modo di godervi il soggiorno nelle nostre belle terre. Potete andare, ora.
E quella sera Carbry era strano, e tu ti sei seduta accanto a lui sul divano e gli hai chiesto che cosa avesse.
- Ci ha lasciati andare - ti ha risposto lui, sbuffando fuori il fumo.
Hai annuito senza capire.
- Lui lo sapeva, Mog - ha detto Carbry, lentamente. - Lo sapeva che non eravamo quel che dicevamo di essere...
- Perché dici così, Carbry?
- Perché io, con quel tizio, ci ho diviso la stanza allo studentato di Cambridge. Per due anni, Mog.
E mentre tu lo guardavi a bocca aperta e con gli occhi sgranati, Carbry ti ha abbracciata d'impulso e ti ha stretta forte (potevi quasi contargli le costole, da tanto era magro) e in quel momento non sei riuscita a non pensare che, nonostante vi trovaste da soli in una tenda nel bel mezzo del nulla, Carbry profumava di tabacco e disinfettante e che quell'aroma, per te, era la materializzazione olfattiva dell'affetto e della sicurezza.
Non sai bene che cosa ti abbia preso in quel momento, piccola Mog che piccola non eri; forse perché, per la prima volta, l'hai sentito incerto e insicuro e tu, una volta tanto, ti sei sentita in dovere di consolarlo. Sta di fatto che hai alzato il capo e lo hai guardato negli occhi, quei begli occhi grigi sempre velati da un'allegrezza un po' malinconica; e Carbry ha accostato la fronte alla tua e poi, senza sapere bene come, le vostre labbra si sono prima sfiorate e poi premute le une sulle altre.
E non è stato uno di quei baci simulati che già vi eravate scambiati qualche volta, a cuor leggero, per corroborare la vostra improbabile storiella; è stato un bacio vero, intenso e sentito... e troppo, troppo breve.
- Scusa, Mog, scusa - ha sussurrato Carbry, staccandosi da te e fissandoti con fare colpevole. - Ho solo avuto paura che... che...
Ti ha abbracciata di nuovo, e non ha mai finito la frase; tu, però, col mento posato sulla sua spalla, hai pensato che non c'era proprio nulla di cui scusarsi o che, forse, avresti dovuto chiedergli di scusarsi per il fatto di essersi scusato.
 
Note:
1) Ebbene sì, lo so che ho ben due storie in corso e che forse non sarebbe il caso di iniziarne una terza. Giustissimo. Mi giustificherò con la scusa dello spin-off dell’Armadio Svanitore, nel quale in breve succederà un fatto legato al qui presente capitolo.
2) Come avrete capito, se già non lo sapevate, Carbry Bell è un OC fratello maggiore di Katie. È appassionato di Magimedicina e, dopo aver studiato ad Ilvermorny (babbo Bell, nel mio canon personale, è originario di Chicago), ha deciso di proseguire gli studi alla Cambridge Magical University. È un po’incasinato, (quasi) sempre allegro e gran fumatore, tifoso sfegatato dei Chicago Bells.
3) Morag McDougall esiste nella saga di HP ma di lei si sa soltanto il nome. Recentemente questo personaggio è stato riportato alla luce da Ems (blackwhite_swan) che ne sta parlando nella sua “Angus, Thongs and Perfect Snogging”; la biondina delle Shetland compare anche nell’interattiva “Di necessità Virtù” di Brigett88. Insomma, una #moragmania, ma dato che mamma Ems mi ha detto "prosegui", io eseguo a cuor leggero. Qui ne propongo una lettura un po' slegata dal resto, tenendo però conto di alcune caratteristiche gentilmente riferitemi dalle di cui sopra.
4) La gloriosa Casa di Tassorosso si riserva di trasferire una cinquantina di topazi a coloro che sapranno dirmi chi sono i due tizi riconosciuti da Mog al posto di blocco.

 
   
 
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