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Autore: Giada_wx    15/08/2018    0 recensioni
Niente rabbia, niente tristezza. Non me ne importava nulla che i miei diciotto anni di vita fossero ridotti a dieci inutili scatole. Mi chiedevo se fosse normale, o quando era stato il momento esatto in cui avevo smesso di lottare e avevo iniziato a sopportare. Poi l'immagine di quella stanza buia e umida tornava, il dolore lancinante che avevo provato al ventre si fece così vivido da dover trattenere un urlo. E mi servirono da risposta.
«Dov'eri finita, Ashlie? »
«Dove sapevo che non mi avresti trovata. »
☀ ☀
"Quello che abbiamo sofferto in passato ha molto a che fare con ciò che siamo oggi."
Qualunque analogia con fatti, luoghi o persone reali, esistenti o esistite, è del tutto casuale. Il carattere dei personaggi famosi descritto in questa storia non coincide con la realtà.
Questa fan fiction è un'opera di fantasia.
Tutti i diritti riservati.
Copyright © 2018 di Giada_wx
[La medesima storia è in corso anche su Wattpad, postata sempre dalla sottoscritta sotto il nome di Giada_Me.]
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luglio 2014 ; Berkeley, California.

Si dice che tutto ciò che desideri sia dall'altra parte della paura, che basti superarla ma che bisogna volerlo davvero. Ma se non bastasse? 
Se la paura fosse qualcosa di invisibile che ti attanaglia le viscere, se fosse un paio di manette ai polsi, se fosse una catena stretta alle caviglie che ti impedisce qualsiasi spostamento, se la paura fosse il buio oppure un volto, come sei potrebbe superare?

Gridare ancora era inutile, sentiva la gola bruciare, gli occhi gonfi e il labbro non faceva altro che sanguinare. Il mal di testa che le martellava le tempie le impediva anche di pensare, ma forse questo era un bene. Perché a questo punto, era stanca anche di pensare. Farlo era diventata una forma di autolesionismo, perché nella sua mente vagavano solo pensieri negativi. Trascorreva giorno e notte, ignara di quando fosse uno e quando l'altra, pensando che quel buio l'avesse inghiottita per sempre, che non avrebbe più rivisto la luce, che sarebbe morta lì forse di fame o forse quell'ombra sarebbe tornata da un momento all'altro e le avrebbe dato il colpo finale. 
La speranza di uscire sana e salva da lì era svanita dopo i primi giorni e adesso che non sapeva quanti ne fossero passati, forse settimane o forse mesi, ogni speranza era svanita, anche la più piccola. 
Sentì dei strani rumori provenire da sopra di lei e per un attimo smise persino di respirare nel tentativo di distinguere quel rumore. Erano dei passi, ne era certa, non era sicura però del fatto che appartenessero ad una sola persona. 
Si impose di restare calma, forse era solo la sua mente a giocarle brutti scherzi. Intanto quei passi si facevano sempre più vicini e improvvisamente successe tutto in un attimo.
Inizialmente un solo fascio di luce proruppe nell'angusto spazio, seguita rapidamente da molti altri che ormai erano diretti sul suo viso e poi nello spazio circostante, permettendo anche a lei di vederlo per la prima volta.
Ricoperta di stracci malconci e con il cuore che le batteva forte nel petto, rimase immobile e incredula. Non riusciva a realizzare cosa stesse accadendo in quel preciso momento intorno a lei. Voleva solo piangere, strillare e accasciarsi a terra, ma non lo fece, era come se in quella stanza ci fosse solamente un corpo vuoto.
Erano lì per aiutarla o per farle del male? 
Due figure non ben distinte si fecero avanti e lei indietreggiò istintivamente, sobbalzando quando le spalle toccarono il muro.
«Non vogliamo farti del male », se sulla vista non poteva fare affidamento, fu l'udito a rivelarle che quella voce appartenesse ad un uomo.
L'altra figura si inginocchiò davanti a lei, sistemando la torcia in modo che illuminasse il viso di entrambe. Constatò che fosse una donna, ma ciò non la tranquillizzò. Non sapeva più di chi potesse fidarsi.
La donna la esaminò attentamente e con uno sguardo insistente, e lei desiderò che la smettesse al più presto.
«Come ti chiami? » le chiese.
«A-ashlie»
«Io sono l'agente Maddson. Sai dove ti trovi? » Ashlie scosse la testa insegno di negazione.
«Come ci sei arrivata? » Scosse ancora la testa.
«Steven. È più grave di quanto pensassimo. Fai venire un'ambulanza sul posto, presto! » Sentì la donna dettare degli ordini anche ad altre persone, ma era tutto così confuso e le voci arrivavano ovattate alle orecchie. L'agente allungò una mano per liberarla dalle manette ma la stanza cominciò a girare sempre più veloce, la vista le si offuscò di nuovo e d'improvviso le luci si spensero.

   
 
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