Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: darkrin    15/08/2018    2 recensioni
Damon è arrivato a Mystic Falls solo da poche settimane quando muore in circostanze strane e Caroline, con la sua nuova pelle di mostro, è l'unica a sospettare che l'improvviso ritorno di Klaus abbia a che fare con la morte del maggiore dei Salvatore.
Nell'interno scuro e pieno di ombre della sua casa, Sheila Bennett canta una vecchia canzone di Ella Fitzgerald: Some folks can lose the blues in their heart / But when I think of you another shower starts / Into each life some rain must fall / But too much is fallin' in mine.
(Quattro Cavalieri dell'Apocalisse!AU dalla s1 di TVD | Klaroline)
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: 
- In questo capitolo compare, finalmente - per voi e purtroppo per me perché fare dialogare lui e Caroline è sempre la mia croce - molto più Klaus spero che le cose e l'ordine degli eventi comincino ad essere un po' più chiari XD;
- In ordine sparso: la Vergine di Norimberga era uno strumento di tortura; il bagakay è un'arma da lancio usata nelle filippine secondo questa fonte qui ;
- Avevo immaginato questa storia come una cosa prevalentemente incentrata su Klaus e Caroline, ma gli altri personaggi - Bonnie, Bekah e Kol - hanno deciso che volevano un arco narrativo tutto loro. Vedremo in quale sfacelo finirà il tutto. /o\
- Sempre NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi svista, errore, strafalcione. 


 
Capitolo 2
Kept my treasures with my bones



Sono passati mesi dall’ultima volta che Caroline è entrata in quella casa, ma nulla sembra essere cambiato. Il vecchio ed enorme divano di pelle su cui si è rannicchiata e addormentata centinaia di volte si trova ancora davanti al televisore piatto che occupa la parete sinistra della stanza. Sulla destra, un’isola di pietra separa il resto della sala dall’angolo cucina con i suoi pensili moderni e dai colori neutri.
Dalla porta socchiusa del bagno esce un leggero vapore che inumidisce le pareti.
Klaus è in piedi a poca distanza da lei con indosso solo un asciugamano legato in vita. Caroline ne sente la presenza come di una certezza, come di un nucleo ferroso al centro di un pianeta, ma non riesce a distogliere lo sguardo dai mobili, dalle pareti bianche, dalle porte socchiuse.
- Caroline – la richiama l’uomo.
La voce si arrotola come un serpente di nuvole grigie intorno alle sillabe del suo nome e Caroline lo sente risuonarle nelle ossa. Si volta a guardarlo prima di potersi fermare a pensare.
- Klaus. –
Gli occhi dell’uomo sono fissi sul suo viso. La bocca è piegata nell’ombra di un sogghigno e Caroline non riesce a trattenersi dal pensare che stia sorridendo di lei, del suo imbarazzo, di quell’aria pesante e acquosa che sembra essere calata sulla casa.
- Accogli tutti i tuoi ospiti così? – domanda, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia davanti al petto.
Il sogghigno sulle labbra dell’uomo si allarga.
- Solo i miei preferiti. –
Una delle cose che Caroline ha dovuto imparare a controllare, da quando si è svegliata nella pelle di un mostro, è un desiderio che le striscia nelle ossa e sembra risvegliarsi ad ogni minima carezza, ad ogni sguardo scuro, ad ogni parola suadente, ad ogni sorriso invitante. Di fronte al tono di Klaus e al modo in cui la guarda come se dopo tutti gli anni passati e tutte le parole che, come dardi, hanno riempito quelle mura, lei fosse ancora una delle sette meraviglie del mondo, Caroline sente quel desiderio serrarle le ossa e la gola e deve stringere i pugni - deve inspirare ed espirare - prima di poter rispondere con tono fermo e pieno di scherno.
- Era un invito ad andare a vestirti. -
Caroline è quasi sicura che Klaus ancheggi più del necessario per raggiungere la stanza e non riesce a trattenere uno sbuffo perché è sempre stato una tale prima donna.
- E chiudi la porta! – grida alle sue spalle, prima di alzare le mani al cielo e voltarsi.
È strano e sconcertante essere di nuovo lì, in quella casa che non sembra cambiata di una virgola, con un uomo che non invecchierà mai e con quelle nuova ossa di mostro che si nascondono dietro la sua pelle di diciassettenne e Caroline pensa: se nulla è cambiato tanto vale vedere se ci sono ancora i miei biscotti preferiti.
 
Non si sorprende di trovarne due pacchi nuovi e chiusi. Quando Klaus riemerge dalla stanza, con indosso la sua personale divisa composta da pantaloni scuri, maglietta grigia e innumerevoli collane intorno al collo, la trova seduta su uno degli alti sgabelli della cucina intenta a masticare un biscotto mentre osserva distrattamente il suo telefono.
- Notizie interessanti? – domanda.
Caroline non sobbalza: i suoi nuovi sensi l’avevano avvisata dell’arrivo dell’uomo.
- Noto con piacere che non ti sei risparmiato in Sud Sudan – osserva.
Klaus solleva le spalle con finta modestia.
- Tu dici? – domanda. – Io non credo sia stata una delle mie azioni migliori. Ho avuto un imprevisto e ho dovuto lasciare il campo prima del tempo – risponde e la guarda come se fosse chiaro quale sia stato l’imprevisto e lo è solo che Caroline non capisce.
Prima di arrivare, mentre guidava con le dita strette intorno al volante al punto da temere di finire col romperlo, Caroline aveva pensato a cosa dire una volta davanti a Klaus. Aveva preparato un discorso preciso e ne aveva studiato le pause necessarie a far capitolare il sospettato, come le avevano insegnato sua madre e gli innumerevoli telefilm polizieschi che Caroline aveva guardato nelle serate in cui Liz Forbes non era in casa.
Aveva preparato ogni cosa, ma le parole le sfuggono dalle labbra come un fiume in piena.
- Perché hai ucciso Damon? –
Klaus per un attimo sembra fermarsi: tutta l’energia violenta che gli scorre sotto la pelle pare, per un istante, arrestarsi. Il tempo di un respiro e riprende a scorrere come la Terra intorno al sole.
- Lo sai perché – risponde, asciutto.
È un istante e Caroline frantuma un biscotto tra le dita.
- Avevi promesso – ringhia tra i denti.
Sente il mostro agitarsi sotto la pelle, le vene del volto che bruciano per diventare nere e i denti che vorrebbero allungarsi diventare zanne in grado di squarciare la pelle dell’uomo che le sta di fronte e la guarda come se nulla fosse, ma Caroline stringe i pugni intorno al biscotto e all’aria.
Klaus annuisce con comprensione, mentre si siede sullo sgabello vuoto. Allunga una mano sul piano di pietra fino a sfiorarle le dita.
- Avevo promesso – conferma e Caroline lo vede nello sguardo che le rivolge, nella piega delle sue labbra che l’uomo non ha finito e che quello che dirà non le piacerà. – Avevo promesso a una ragazza di sedici anni di andarmene e lasciarle vivere la sua vita a modo suo perché ne era assolutamente in grado e non aveva bisogno della mia ingerenza. E qui cito letteralmente. –
- E allora perc… -
- Ma tu non sei più viva – conclude Klaus.
C’è qualcosa che gli brucia nella voce e negli occhi. Qualcosa di nero e freddo come l’Inferno e Caroline sente un brivido scorrerle lungo la schiena perché Klaus è pericoloso. Lo è sempre stato e Caroline a volte si dimentica che quello che ha di fronte è il volto che dall’inizio dei tempi e della storia terrorizza gli uomini forse anche più della morte. Klaus è distruzione, devastazione, è l’incubo che scende la notte con i raid aerei, con le bombe che fanno esplodere i sommergibili, l’ombra che spaventa i soldati nelle trincee. È la guerra stessa che gli si agita sotto la pelle, nelle lunghe dita da pianista, nella voce che trema di malcelato furore.
Caroline sbuffa.
- Non è una tua responsabilità – sbotta.
Klaus prende un biscotto dal sacchetto e se lo rigira distrattamente nella mano.
- Lo so – annuisce. – È una responsabilità tua. E di Damon Salvatore e qualcuno doveva pagare. –
Il biscotto scoppia come una granata fra di loro e Caroline sobbalza.
- Non era una tua responsabilità fargliela pagare – ripete.
L’uomo torna a posare lo sguardo su di lei ed è di nuovo lì: tutta l’ira del mondo racchiusa nei suoi occhi dello stesso colore dell’oro che ha causato migliaia di guerre.
- Avevi promesso che te la saresti cavata da sola e io ho promesso di stare alla larga da te e da questa insulsa cittadina di provincia, di occuparmi dei miei affari altrove e smettere di spaventare i tuoi patetici pretendenti o cercare di mettere becco nei tuoi sciocchi comitati, ma sei morta, tesoro, e il nostro patto ha smesso di avere qualsiasi valore. –
Caroline alza le mani al cielo in un gesto di stizza.
- Non era questo l’accordo. –
- L’accordo, dolcezza - l’uomo scatta improvvisamente in piedi e avvicina il volto a quello della donna – presupponeva che tu saresti rimasta in vita. Sei stata tu a non rispettarlo. -
 
Quando era tornata a casa, dopo essere stata trasformata in vampiro e con ancora il sapore del sangue di Bonnie sulla lingua, Caroline si era chiusa in bagno e, seduta sulle piastrelle fredde, aveva pianto.
Liz Forbes era tornata solo ore dopo: lo scatto della serratura difettosa l’aveva svegliata e Caroline si era trovata avvolta su sé stessa su una distesa di ceramica bianca. Quando si era guardata allo specchio – e quanto era stato difficile aggrapparsi con le dita al lavandino e tirarsi in piedi – Caroline non aveva trovato, ad accoglierla nel suo riflesso, occhi rossi e gonfi, ma solo la pelle perfetta di una diciassettenne. Aveva sfiorato le palpebre rosa con le dita e aveva sentito una nuova marea di singhiozzi risalirle la gola.
- Tutto bene? – aveva domandato sua madre oltre la porta chiusa.
Caroline si era schiarita la voce prima di rispondere:
- Sì, mamma. Ora esco. –
Ed era uscita e aveva sorriso, mentre sua madre scaldava dei vecchi avanzi e le raccontava dell’ultimo caso che stava seguendo – un furto nella casa dei Fell. Il piatto nel microonde girava e girava e girava e Caroline aveva sorriso per non piangere per sé stessa e per la rabbia, per quello che le aveva fatto Damon e per quello a cui si era condannata da sola, per lo sguardo che le avrebbe rivolto Klaus una volta scoperto che non era stata in grado di salvarsi.
 
Dopo la sua morte, Caroline aveva immaginato innumerevoli volte il momento in cui Klaus, per la prima volta, avrebbe posato gli occhi su di lei e su quel nuovo mostro che le si agita sotto la pelle e aveva temuto il giudizio dell’uomo, il modo in cui avrebbe visto solo il suo fallimento e non più quello che un tempo l’aveva legata a lui.
Ora che Klaus è seduto di fronte a lei, ogni timore è scacciato dal bruciante desiderio di essere più vecchia. Vecchia come i fratelli con cui Klaus è cresciuto e a messo a ferro e fuoco il mondo, per potergli strappare dalle labbra il sogghigno con cui la guarda, con cui è tornato a Mystic Falls come se lei fosse una sua proprietà da vendicare.
- Se avessi voluto uccidere Damon l’avrei fatto da sola – ringhia.
Klaus scuote la testa.
- Sei troppo giovane, tesoro. –
Le accarezza la mano con le dita e Caroline non si ritrae da quella carezza fumosa, ma ne osserva il movimento con malcelato sospetto.
- Non saresti mai stata in grado di tenergli testa. –
La voce di Klaus le sfiora le orecchie, le ciocche di capelli biondi che le incorniciano il viso, il collo, con la stessa delicatezza con cui le sue dita le sfiorano la mano, ma c’è una tacita affermazione di proprietà tra le pieghe di quella parole da cui Caroline non può fare a meno di ribellarsi.
- E soprattutto non potevi accettare che qualcuno osasse toccare qualcosa che consideravi tuo – sputa.
Klaus ha il volto chino sulle loro mani giunte, ma non basta a nascondere agli occhi di Caroline, gli angoli delle labbra che si sollevano in un sorriso e le fossette che gli incidono le guance.
- L’hai detto tu – si limita a risponderle, leggero e soave.
Caroline scatta in piedi e strappa via la mano, cerca, riprendendosi le sue dita, di recuperare anche il controllo della sua vita, di quella conversazione, dei suoi pensieri che si arrotolano come gomitoli impazziti. Una mattina di anni prima, Caroline aveva pensato, mentre guardava la luce giocare con i capelli di Klaus, che sarebbe stato facile mettere la sua vita nelle mani di quell’uomo e lasciare che ci fosse finalmente qualcuno a preoccuparsi di lei. Era stato un attimo, prima che qualcosa, dentro di lei, si ribellasse anche solo all’idea: era Caroline Forbes e poteva cavarsela da sola, grazie tante.
- È per questo che ti avevo detto di andartene – ringhia ed ha gli occhi rossi e vene nere che le macchiano la pelle. – Perché non riuscivi a capire che la mia vita non è. Cosa. Tua. –
La schiena di Klaus sembra essere diventata di pietra come quella di certe statue che immortalano antichi eroi nel momento che precede il lancio di un giavellotto, di una lancia, di un bagakay. Di fronte allo sguardo scuro che l’uomo le rivolge e alla tensione che gli percorre le braccia dalla spalla fino alle mani strette a pugno, Caroline viene percorsa da un tremito lungo un attimo.
Si riscuote con uno scossone e rialza il capo, raddrizza la schiena e posa le mani sui fianchi.
- E io, tesoro – sputa l’uomo. – Me ne sono andato. –
Caroline alza le mani al cielo.
- Non del tutto, chiaramente! Quanti uomini hai costretto a spiare la mia vita? –
Klaus schiocca la lingua, infastidito.
- Sapere cosa accade nel mondo è parte di quello che sono – sibila.
- Sapere quello che accade nei paesi in guerra – sbotta Caroline, sbattendo un piede per terra. – Mystic Falls non è in guerra. –
Klaus scuote le spalle in un gesto di finta noncuranza.
- Due vampiri arrivano in una città controllata da un Consiglio che sa tutto degli esseri soprannaturali e li teme come i bambini temono il buio. A volte basta questo per scatenare una guerra. –
Un sorriso tagliente gli piega le labbra rosse e umide e Caroline non ne può più.
- Sei impossibile – esclama. – Almeno abbi la decenza di ammettere di aver infranto una promessa. –
È un lampo come quello di un temporale estivo che squarcia il cielo e, per un attimo, illumina ogni cosa – le case a schiera, l’interno degli appartamenti spogli, le fronde verdi degli alberi che appaiono quasi nere di notte, l’asfalto scuro e umido – il modo in cui Klaus si muove e le si para davanti. Ha gli occhi scuri e la mascella serrata come una vergine di Norimberga intorno a uno sventurato condannato a una morte atroce. L’uomo solleva una mano – ed è lento come una foglia morta che cade all’arrivo dell’autunno – a sfiorarle una gota, lo zigomo, ad intrecciarsi ai suoi capelli biondi e Caroline non si rende conto di aver trattenuto il fiato fino a quando Klaus non si umetta le labbra.
Quando, solo poche settimane prima, Damon le si era parato di fronte e l’aveva premuta contro il muro scuro di un palazzo, Caroline aveva sentito le ossa riempirsi di bile e i muscoli paralizzarsi per il terrore. Di fronte a Klaus, Caroline non riesce ad avere paura – vorrebbe, a volte, perché pensa: sarebbe giusto, sarebbe saggio, sarebbe sano, ma non sa come farlo, come avere paura di lui, dopo tutti quegli anni.
Klaus la guarda e Caroline pensa che vorrebbe arrendersi, vorrebbe solo smettere di combattere – e non è ironico? Non è così che finiscono tutte le guerre? Con qualcuno che si piega a lui -, ma non può farlo. Non sarebbe più Caroline Forbes se lo facesse e Caroline non può perdersi. Non sa come farlo.
Non sa avere paura e non può arrendersi: è un’impasse terribile in cui inizia e si conclude tutta la sua vita.
Le dita di Klaus sono scivolate a carezzarle la nuca senza che lei se ne accorgesse. Quando l’uomo riprende a parlare, lo fa con un tono basso e roco, con la voce suadente che ha convinto centinaia di comandanti a schierare le loro truppe, decine di capi di stato a infrangere un patto sancito con inchiostro nero.
- Mi hai chiesto di andarmene perché volevi vivere la tua vita – le ricorda – e l’ho fatto. Ti ho concesso una grazia che non avevo mai accordato a nessuno e non ho chiesto nulla in cambio, se non la tacita promessa che saresti rimasta in vita. –
Le dita sulla sua nuca sono allo stesso tempo una carezza e un artiglio.
- Ma sei stata uccisa e non potevo lasciare che la cosa restasse impunita. Ne va della mia reputazione – mormora.
Carolina sbuffa, incredula.
- Come se qualcuno avrebbe mai osato mettere in dubbio la tua reputazione come più grande assassino della storia dell’umanità! –
L’uomo abbozza un sorriso.
- Non ci crederai, tesoro, ma mia sorella sta facendo del suo meglio per raggiungere il mio primato. -
Caroline alza gli occhi al cielo.
- Non è questo il punto e lo sai.
Klaus annuisce.
- Non sei una mia proprietà - Klaus immagina gli occhi rossi di Rebekah e la risata tintinnante di sua sorella, arida come l’infrangersi di due rocce, mentre ride di lui. – Ma sei in vita perché io l’ho voluto e ho già graziato tuo padre. – Le labbra di Klaus sono così vicine al suo volto che quasi la sfiorano. – Non potevi chiedermi di lasciare in vita anche Damon Salvatore. Lo sai – le fa il verso e Caroline pensa che uno schiaffo avrebbe fatto meno male di quel tradimento che è parlare di Bill Forbes.
Si allontana dall’uomo come se l’avesse bruciata come quella polvere da sparo che sembra sempre circondarlo. Per un istante la mano di Klaus rimane sollevata fra di loro come un ponte spezzato, come la nota di una canzone interrotta, come il ricordo di qualcosa.
- Hai esagerato. –
Il mormorio che le lascia le labbra è quasi un singhiozzo, che aleggia nell’aria anche dopo che Caroline si è sbattuta la porta alle spalle.
Rebekah, con il suo sorriso bianco di ossa, ha sempre amato le messe in scena e gli ingressi teatrali come un improvviso arrivo di cavallette in grado di sterminare interi raccolti in poche ore, proprio quando il popolo pensa: quest’anno ce l’abbiamo fatta, quest’anno sopravivremo, o un’inattesa alta marea in grado di annegare ettari ed ettari di risaie. Mentre si versa un bicchiere di bourbon, Klaus non riesce a fare a meno di pensare quanto sua sorella avrebbe battuto le mani e riso divertita di fronte alla scena che si è appena svolta in casa sua.
 
***
 
- Come possiamo stare ferme senza fare nulla? –
Bonnie è animata da un’impazienza che Sheila Bennett riconosce e comprende: è stata anche sua, decine di anni prima, quando le case di Mystic Falls erano meno numerose e i boschi sembravano espandersi, con sottili prolungamenti, fin quasi al centro della cittadina.
L’anziana donna poggia sul tavolo la tazza da cui stava bevendo prima che sua nipote varcasse, come un tornado di magia ed agitazione, la porta della cucina. Non è stupita che Bonnie sia in grado di sentire il ritorno di Klaus nell’aria: ciascuno dei quattro fratelli, dicono gli antichi manoscritti, porta con sé qualcosa che rende l’aria più difficile da respirare per chi è in grado di percepire le sottili variazioni della Natura. 
L’arrivo di Kol, è scritto con inchiostro nero di peste, è preceduto dall’odore della cancrena che si appiccica alla lingua; quello di Rebekah, la principessa che ha fame di ogni cosa e nulla può stringere senza prosciugarlo della vita, dal sapore di fiori marci sulla pelle e da un senso di vuoto che si apre sotto l’ombelico. I passi Elijah sul mondo, più delicati fra tutti, sono accompagnati dal profumo di crisantemi e terra bagnata.
Trovarsi in presenza di Klaus è come ritrovarsi sotto gli zoccoli di un cavallo imbizzarrito, davanti ad una bomba che sta per esplodere. È il sapore acre della sabbia in gola e negli occhi; sono le orecchie che fischiano per uno sparo e il sangue che zampilla da una ferita.
- Non potevamo accettare tre vampiri a Mystic Falls e dovremmo accettare lui? – insiste Bonnie.
Sheila pensa che è quasi triste osservare la passione che anima sua nipote e sapere che non servirà a nulla, che non basta la magia a fermare certi mostri. Che i Quattro Fratelli sono lì da sempre e continueranno a segnare la terra anche dopo che la stirpe dei Bennett sarà estinta da secoli.
Esala un sospiro che si infrange contro il fumo che, lieve, si leva dalla sua tazza.
- Non possiamo nulla contro di lui – afferma e ricorda quando questa consapevolezza l’aveva fatta sentire sconfitta.
Era stato anni prima, quando Klaus era giunto per la prima volta a Mystic Falls e si era presentato alla sua porta con il sorriso di chi stringe il destino del mondo tra le mani e non ha bisogno di chiedere nulla.
- Ho deciso di trasferirmi qui per qualche anno – le aveva comunicato ritto come un’alabarda sull’ultimo gradino del suo portico. – E non voglio problemi. –
L’essere che indossava il volto di un uomo sulla trentina aveva fatto scorrere lo sguardo sulle eleganti casette a schiera del vicinato, sulle risate scoppiettanti dei bambini che giocavano sull’erba verde e rigogliosa dei giardini privati.
- Sarebbe davvero un peccato dover macchiare questa città di rosso – aveva mormorato, quasi contrito.
Sheila aveva stretto le dita intorno alla maniglia.
- Perché – aveva esalato. – Perché qui? Non abbiamo nulla di… -
Nulla del Medio Oriente che tanto prediligi in questo periodo, non aveva aggiunto.
Lo sguardo di Klaus si era fatto per un istante diverso, prima che l’uomo tornasse a sorriderle con il volto di chi non può fare altro che vincere ogni guerra.
- Perché ho fatto un investimento – aveva detto, umettandosi le labbra rosse come il succo di certi frutti o il sangue di certi animali. – E voglio vedere cosa mi porterà. –
Quando se n’era andato, sparito con la stessa violenta rapidità con cui si era presentato alla sua porta, Sheila aveva sentito la sconfitta riempire ogni anfratto della sua casa, ogni poro della sua pelle, ogni interstizio tra i suoi organi, ma quello era stato prima.
Prima di capire che, come le streghe e la loro battaglia per sradicare il morbo dei vampiri dalla terra, il mostro che si era presentato alla sua porta non era nient’altro che uno strumento della Natura per mantenere il suo equilibrio che regola ogni cosa. Prima di vedere che tutti loro non erano altro che pedine della stessa, disumana mano.
Ora Sheila rivede negli occhi scuri e giovani di sua nipote quella stessa impotenza che l’aveva animata un tempo e spera che un giorno anche Bonnie riuscirà a capire.
- Non possiamo nulla contro la Guerra stessa – afferma. – Possiamo solo farci da parte e sperare che quando se ne andrà, resterà ancora qualcosa di Mystic Falls. –
Bonnie stringe i pugni e, per la prima volta, la guarda come se non la riconoscesse. Sheila sospira e pensa che questa è la battaglia che Klaus ha preparato per lei: impedire che sua nipote faccia qualche follia.
 
***
 
10 agosto 2000
 
Caroline ha ai piedi un paio di alti stivali di gomma rossi, con cui salta le pozzanghere che costellano il marciapiede trasformandolo in un percorso ad ostacoli. Potrebbe, volendo, saltare nelle pozzanghere, ma indossa un vestito che, Steven ha detto, suo padre ha comprato espressamente per lei e non vuole rischiare di sporcarlo di fango.
Si ferma davanti alla casa bianca che a volte sembra nera che è diventata, in quella lunga e calda estate sulla costa, il suo posto preferito. Più del mare, più della piscina in cui Steven l’ha portata insieme alle sue figlie, più del chiosco che faceva un gelato che le si scioglieva subito sulle mani, Caroline pensa con una malinconia strana per una bambina di otto anni che saranno i momenti vissuti in quella casa quelli che metterà in valigia e si porterà dietro. Quelli che le mancheranno. Il pensiero della valigia la riporta al motivo per cui, in quel momento, si trova davanti a quella casa e le fa rabbuiare il volto: i saluti non le sono mai piaciuti sin da quando suo padre una mattina ha preso le sue cose e se n’è andato per sempre dalla sua casa.
La porta di legno si apre da sola dall’interno e, davanti alla stanza scura che le si apre davanti, Caroline fatica a trattenere un risolino al sentirsi come Alice che scende nel Paese delle Meraviglie.
 
- Cos’è? Avevi paura? – le domanda Klaus, quando la bambina lo raggiunge nell’ampio salone che occupa gran parte del pianterreno della casa. Caroline a volte si sorprende della velocità con cui l’uomo sembra in grado di muoversi.
L’ampia stanza affaccia, con due larghe porte-finestre, sul rigoglioso giardino posto sul retro della villetta. La prima volta che Klaus l’aveva portata a visitarlo aveva aggiunto con un sogghigno segreto:
- Per fortuna mia sorella non è mai venuta a farmi visita o le piante non sarebbero così verdi. –
Caroline aveva annuito con gli occhi sgranati senza capire davvero. Aveva solo immaginato che la misteriosa sorella di Klaus fosse sbadata come sua madre e si dimenticasse spesso di annaffiare le piante.
Caroline gonfia le guance e scuote il capo:
- Ero sovrappensiero – afferma piccata.
Sbatte un piedino di gomma sul pavimento e Klaus scoppia in una risata che sembra scuoterlo tutto dall’interno e che le fa imporporare le guance. Caroline si stringe le mani al petto, torturandosi le dita e l’uomo la invita, con un cenno della mano, a sedersi accanto a lui sullo sgabello posto davanti all’ampio pianoforte a coda. La bambina indugia solo un istante prima di cedere con uno sbuffo e avanzare strascicando leggermente i piedi per terra.
- Stavi suonando qualcosa? – domanda.
Klaus emette un verso di assenso.
- È strano. Dalla strada non si sentiva – afferma, corrugando la fronte.
Lo sgabello è troppo alto per lei e dondola le gambe senza mai toccare il pavimento. Una parte di lei sa che sta perdendo tempo e che era andata lì per un motivo preciso, ma non riesce a dirlo perché se lo dici poi diventa vero e Caroline non vuole che sia vero, non –
- Vuoi provare a suonare? – le domanda l’uomo.
Caroline si volta di scatto a guardarlo perché Klaus non le ha mai permesso di toccare il pianoforte perché è troppo vecchio, uno degli ultimi del suo genere, le ha detto una volta, non un gioco per bambini. Klaus ha passato innumerevoli pomeriggi ad accompagnare i racconti di Caroline, le sue letture o i suoi scarabocchi infantili con la musica, ma non le ha mai chiesto se volesse suonare. La bambina annuisce con convinzione ed esala un: sì, per favore che lo fa di nuovo scoppiare a ridere.
- Devi poggiare le mani a questo modo – afferma, mostrandole come, prima di prenderle le dita minuscole di Caroline tra le sue e guidarle nella giusta posizione.
 
La luce del sole si è fatta più bassa e più rossa, oltre le fronde verde degli alberi, quando Caroline finalmente afferma, accompagnata dal movimento delle sue mani sulla tastiera, e delle prime note di Jingle Bells:
- Domani partiamo. Torno a casa. Ero venuta a salutare e avrei dovuto dirlo prima e tornare subito a casa perché dovevo fare la valigia, ma non volevo e forse avrei dovuto portarti un regalo d’addio perché è così che si fa, ma non avevo soldi e…-
Klaus la guarda ed è ha gli occhi scuri come gli angoli della stanza in cui si trovano e un’espressione divertita sulle labbra e le due cose non dovrebbero andare insieme eppure lo fanno sul suo volto.
Le posa una mano sul capo, tra i capelli biondi che Caroline ha legato in una coda alta e lo sa che le dà fastidio quando le rovina le pettinature, ma lo fa lo stesso e sorride dell’espressione indispettita della bambina.
- Chi ha detto che sarà un addio? – domanda.
Caroline si sente per un attimo come un pesce: con le labbra sbarrate e nessuna parola nella gola.
- Perché sto per partire – inizia incerta. – E tu non sei di Mystic Falls. –
Klaus è tornato a posare le dita sulla tastiera bianca e nera del pianoforte e a guardare il giardino che si apre davanti a loro. Annuisce un assenso distratto.
- Non vuol dire che non potrei passare da quelle parti, un giorno. –
Caroline pensa che non è abbastanza, che avrebbe preferito un saluto più affettuoso e meno incerto, ma annuisce come se avesse capito, come se andasse bene.
Quando se ne va, Klaus la saluta sulla porta della sua casa con un buffetto leggero e un: Alla prossima, che le lascia l’amaro in bocca.
 
 
22 agosto 2000
 
Caroline è seduta sul sedile posteriore della macchina della mamma di Elena Gilbert, intenta ad osservare con aria distratta il paesaggio di autovetture parcheggiate e carrelli della spesa che vengono metodicamente svuotati nel portabagagli da persone indaffarate.
Miranda Gilbert è andata a prenderle a scuola al posto di Liz, trattenuta al lavoro da un improvviso cambio di turno, e dopo essersi assicurata che le bambine si allacciassero la cintura come si deve ha annunciato che dovevano passare un attimo al supermercato a comprare delle cose per Jeremy. Elena aveva roteato gli occhi e sussurrato a Caroline con un sorriso:
- È incredibile di quante cose abbia bisogno un bambino così piccolo. -
Caroline aveva stirato un sorriso forzato. Era invidiosa della famiglia di Elena: dei suoi genitori sempre presenti e attenti, dei sorrisi aperti di Miranda, delle camicie stirate di Grayson, delle discussioni che Elena aveva con suo fratello. Si sentiva una bambina cattiva ogni volta che sentiva quella punta di rabbia nello stomaco e forse era per questo che aveva ricevuto una famiglia a pezzi e degli incubi dai denti bianchi: perché era cattiva.
Un leggero bussare contro il vetro del finestrino a cui è appoggiata attira la sua attenzione. Quando rialza lo sguardo, Caroline trova ad attenderla: fossette e occhi scuri e un sorriso divertito. Riesce a stento a trattenere uno gridolino eccitato che attirerebbe l’attenzione di Elena, seduta sul sedile del passeggero, e, Caroline decide, non vuole che Elena sappia, che Elena veda. Vuole che quello sia solo un suo segreto.
Solleva la mano in un leggero saluto, che fa allargare il sogghigno sulle labbra di Klaus e a cui l’uomo risponde poggiando, per un istante, la mano sul vetro scaldato dal sole che li separa.
Quando, una volta a casa, Caroline scende dalla macchina, ha ancora sulle labbra un sorriso che le fa quasi male per quanto è largo e aperto e inaspettato.
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: darkrin