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Autore: _Agata_    16/08/2018    2 recensioni
Sul forum EFP, MissChiara lancia "la challenge capricciosa". Questa storia è il contenitore per raccogliere i vari racconti che parteciperanno a questa challenge, e che saranno per l'appunto variazioni sul tema dell'ambientazione "Il Signore degli Anelli", e variazioni sui temi proposti da MissChiara.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avevano fatto davvero un sacco di strada per arrivare a quell’incontro. Avevano macinato miglia su miglia, a tappe forzate, fermandosi a riposare solo il minimo per essere in grado per proseguire il cammino, mangiando lungo la via. D’altra parte, appartenevano alla gloriosa stirpe dei Nani: nulla li avrebbe fermati, nulla li avrebbe rallentati. Il loro Re li aveva inviati a chiedere consiglio, e dare il contributo che sarebbe stato necessario.
Dopo innumerevoli, estenuanti giornate di marcia, finalmente il giorno precedente si erano inoltrati fra i picchi scoscesi che circondavano Gran Burrone, e quella mattina erano giunti in vista della dimora di Elrond il Mezzelfo.
Gimli scosse la testa, tirandosi la barba con scetticismo. A lui, gli Elfi non piacevano. Non piacevano a nessuno, a dire il vero, a nessuno di loro almeno. Orecchie a punta, lineamenti affilati come volpi, mani sottili, corpi esili. In una parola, spigolosi. Come si potesse apprezzare un aspetto del genere -e un atteggiamento analogo-, a lui sfuggiva.
La stessa idea di incontrarsi a casa loro lo disturbava alquanto. E d’altra parte, occorreva senz’altro mettere da parte gli antichi dissapori per arrivare da qualche parte. Sventure ben più gravi incombevano su tutti indistintamente.
Avrebbe volentieri affrettato il passo, per raggiungere quanto prima, nell’ordine, una bella sfilza di boccali di birra, un succulento cinghiale arrostito e un comodo letto su cui dormire per una decina abbondante di ore -anche se nutriva qualche dubbio sull’ospitalità elfica -. Ma non era lui alla guida della spedizione, e non stava a lui prendere simili iniziative. Mentre proseguivano allo stesso, regolare ritmo tenuto fin lì, udì una risata cristallina. Non certo quella di un Nano.
Fra la vegetazione rigogliosa che avvolgeva il sentiero, gli parve di intravvedere delle ombre, appena meno verdi degli alberi attorno. La risata veniva da lì. Tre figure si mossero nella loro direzione, uscendo dall’ombra del fogliame: Elfi dai capelli color grano, che riflettevano i bagliori del timido sole autunnale. A giudicare dalla tenuta, dovevano essere pellegrini a loro volta. Avrebbe dovuto aspettarsi che anche da Bosco Atro sarebbero giunti emissari. Quel che invece non si sarebbe aspettato, era che della loro esigua delegazione avrebbe fatto parte una donna. Chi avesse avuto l’idea fenomenale di coinvolgerla, non se lo spiegava. Poteva solo immaginare -sperare- che al contrario avesse degli affetti a Gran Burrone ed avesse approfittato dell’occasione per affrontare il lungo viaggio e ricongiungersi a loro. In ogni modo, che non avesse nulla a che fare con il fardello per cui si riunivano.
Soffermò il suo sguardo su di lei solo un istante in più, mentre ancora rideva assieme ai compagni senza prestare attenzione al loro gruppetto, quasi altrettanto sparuto, e si trovò costretto ad ammettere che in effetti poteva avere un suo peculiare fascino: le linee affilate del viso riuscivano ad essere non taglienti, ma raffinate ed eleganti; la pelle pareva levigata come il più puro alabastro, gli occhi splendenti del riso che le saliva dalle labbra. Le mani, piuttosto che secche, erano affusolate; il corpo esile non aveva nulla di rachitico, ma era flessuoso come un giunco. Anche le orecchie a punta, che facevano capolino fra i capelli lucenti, in quell’insieme non stonavano poi tanto. Non era il suo tipo di donna, mancava di seni generosi, fianchi ampi, braccia tornite; ma doveva darle atto di un’avvenenza che andava al di là del gusto personale.
Quando gli Elfi, giungendo sul sentiero subito davanti a loro, incrociarono i loro passi, li degnarono soltanto del minimo saluto imposto dalla buona creanza. I Nani si arresero alla necessità di intrattenere, almeno in quell’occasione, rapporti quasi urbani, ricambiarono per lo stretto indispensabile, e proseguirono la loro marcia. Il reciproco disinteresse era palpabile.
Gimli invece non riusciva a smettere di tormentarsi sulla ragione per cui quella donna si trovasse lì. Non smetteva di tendere l’orecchio alle conversazioni degli Elfi, ma non comprendendo la loro lingua, qualsiasi frammento che ne cogliesse gli risultava completamente oscuro e non poteva in alcun modo indirizzarlo. Tentava allora di trarre conclusioni partendo dai più infimi particolari delle sue interazioni con i compagni di viaggio, senza miglior esito. Quando, un paio d’ore più tardi, raggiunsero i primi edifici, aveva ottenuto soltanto un lieve cerchio alla testa per lo sterile sforzo di interpretazione. Era possibile tutto e il contrario di tutto.
Ad Imladris stavano giungendo rappresentanti di molti popoli, coinvolti in quella storia in modi che non conosceva. Si riunivano per prendere una decisione che non sarebbe stata affatto facile. E lui temeva la possibilità, per quanto remota, che l’Elfa prendesse parte all’iniziativa che avrebbero senz’altro dovuto intraprendere: sebbene indefinita e nebulosa, sarebbe stata senz’altro troppo ardua, e soprattutto troppo pericolosa, per una donna.
La fanciulla si distaccò dal resto del gruppo, per andare a porgere un rapido omaggio a qualcuno che la richiamava da una finestra -forse, forse dopo tutto era lì per ragioni prettamente personali, e non per immischiarsi di affari più grandi di lei-. Gimli non si accorse di aver rallentato il passo per attardarsi a studiarla, desideroso di carpire segnali che sostenessero i suoi auspici. Fatto sta che poco dopo si trovarono faccia a faccia, soli nel mezzo del sentiero.
“Ciao” la apostrofò ruvidamente dopo un attimo di silenzio imbarazzato.
“Mi pare che ciao sia un saluto piuttosto informale fra estranei, non trovi?” ribatté lei con voce tagliente, incrociando le braccia al petto e sollevando appena la testa con un piccolo scatto.
“Sempre meglio che non salutare affatto” fece lui sulla difensiva, voltandole le spalle e riprendendo il cammino.
“Permaloso quanto ci si aspetta da un Nano” replicò, acida, sorpassandolo.
“Pungente quanto ci si aspetta da un Elfo” borbottò lui.
Proseguirono senza parlare per un breve tratto, distanziati fra loro di alcuni passi. Poi fu di nuovo Gimli a prendere la parola, comunque impaziente di placare il dubbio che lo rodeva da qualche ora:
“Cosa ti porta qui?” le chiese mentre si affrettava per raggiungerla.
“Le mie gambe” tagliò corto con un’alzata di sopracciglia, senza dargli soddisfazione. Seguirono svariati secondo di silenzio stizzito da entrambe le parti.
“Molto divertente” sbottò Gimli poco dopo, non trovando alcun arguto motto di spirito con cui replicare.
“È risaputo che i Nani non hanno senso dell’umorismo” concluse lei con un soave tono presuntuoso.
“È risaputo che l’umorismo degli Elfi fa ridere solo gli alberi” fece eco bruscamente il nano, alzando la voce forse un po’ più del necessario.
L’Elfa lo ignorò ostentatamente mentre si inoltravano fra i padiglioni di Gran Burrone; poi sospirò senza cercare di dissimularlo, e gli si rivolse con espressione di vago dispetto:
 “Immagino che siate qui su mandato di Dain, per partecipare al Consiglio”.
Re Dain” corresse Gimli, accigliandosi.
“Re Dain” convenne lei alzando le spalle e gli occhi al cielo.
“Nessun’altra ragione ci porterebbe così lontani dalle nostre montagne, alla dimora del Mezzelfo”.
La donna sospirò di nuovo, più rumorosamente:
“Quindi ci troveremo a confrontarci ancora. Forse più spesso di quanto vorremmo. Sarebbe quindi più saggio lasciarci alle spalle l’asprezza del primo impatto e ripartire da basi più concilianti”.
Gimli non riuscì ad evitare di lasciarsi sfuggire un’imprecazione a mezza voce. Anche lei avrebbe partecipato a quel conciliabolo. E peggio, la sua affermazione sembrava suggerire anche la possibilità che partecipasse a quel che ne sarebbe seguito. Non che fosse un’interpretazione inequivocabile, o che implicasse necessariamente qualcosa più di un’intenzione, alla quale poi nessun fatto avrebbe dato seguito; ma se lei era abbastanza convinta da esprimerla, lui non poteva escludere l’eventualità. Questo non poteva essere un bene, per nessuno. Chi era il disgraziato che aveva ritenuto una buona idea dare ad una donna l’occasione di prendere parte ad una tale spedizione? Mettendo lei e tutti coloro che l’avrebbero avuta appresso in quell’assurda situazione? Come se, con tutti i problemi che in cui sarebbero inevitabilmente incorsi, doversi preoccupare anche dell’incolumità di lei fosse un carico da nulla. Doveva dissuaderla prima che fosse tardi. Ma decise di tenere per sé queste riflessioni, al momento, e rispose soltanto:
“Hai ragione”.
Dopo alcuni secondi di silenzio, l’Elfa aprì le braccia in un gesto lento ed ampio, e si rivolse a Gimli con fare cerimonioso, chinando appena il capo:
“Quindi ti chiedo scusa per aver peccato di scortesia, ti porgo i miei omaggi, e ti dò il benvenuto a Gran Burrone, dimora di Elrond Mezzelfo e della sua gente”.
“Mi onori con il tuo benvenuto, e…” non conosceva quali fossero le formule di rito appropriate ad una simile situazione (e nemmeno se ve ne fossero, a dirla tutta), quindi improvvisò, arrancando “e a nome mio e nel nome del mio popolo, ricambio con un sincero saluto…” sembrando al suo stesso orecchio che quella frase cerimoniosa fosse tronca e goffa, provò a concludere “che spero troverai… uh… degno”.
Lei sorrise, un sorriso appena accennato sulle labbra, ma che saliva tutto ad illuminarle lo sguardo quasi divertito:
“D’accordo, così va meglio. Ora che abbiamo superato le formalità, gradiresti essere condotto a bere qualcosa? Il viaggio deve averti provato”.
Gimli gonfiò il petto e riprese fiducia. Avrebbe potuto parlare del suo vigore per settimane, ma per l’occasione era meglio sfoggiare i pezzi forti del repertorio:
“Nessun viaggio stanca un Nano!” strombazzò orgoglioso, alzando un dito tozzo al cielo, “Ma nessun Nano rifiuta un buon boccale di birra” concluse, erompendo nella sua più mascola, sguaiata risata.
La donna si coprì la bocca con una delle sue delicate mani.
“Naturalmente” constatò, chinando appena il capo.
L’entusiasmo del nano si sgonfiò più rapido di un otre in un giorno afoso. Naturalmente? L’orgoglio della sua stirpe, il loro proverbiale, inossidabile vigore, e tutto ciò che la diafana creatura sapeva commentare era naturalmente?
Gimli alzò il mento, corrugò la fronte e fissò dritto davanti a sé per non mostrarsi in imbarazzo. La donna continuò a camminare con leggerezza felina al suo fianco senza aggiungere altro, mettendo alla prova la sua pazienza.
Forse doveva adattare l’approccio per riuscire intanto ad intavolare una conversazione, rifletté, carezzandosi la barba e fingendo di osservare l’architettura locale con fare esperto. Si produsse persino in qualche “mmh” di assenso e qualche “eeh” corrucciato.
“Tu che idea hai di tutta questa storia?” cambiò argomento mentre la seguiva, cercando di assumere un tono quasi casuale, e continuando a rivolgere lo sguardo in giro.
Si sarebbe interessato con tatto alle sue opinioni e alle sue ragioni, senza farla sentire incalzata l’avrebbe invogliata ad esporle, ad approfondirle, così da trovare nelle argomentazioni di lei qualcosa che deponesse invece a suo favore. E poi partendo da lì avrebbe guidato con abilità il discorso e l’avrebbe persuasa che no, non era davvero il caso che lei si mettesse in pericolo, senza che questo suonasse come un’imposizione, ma piuttosto come la naturale conclusione delle riflessioni che avrebbero condotto assieme. Lei tuttavia deflesse la domanda, agitando appena una mano:
“Avremo modo di parlarne approfonditamente, una volta che tutti saranno giunti e si saranno rinfrancati. Personalmente, ritengo che dovremo in ogni caso decidere in fretta e muoverci rapidamente. L’Ombra incalza”.
Decisamente laconica. Troppo perché si potesse intravvedere, anche solo in nuce, un possibile appiglio per la sua opera di dissuasione. Allora avrebbe fatto lui il primo passo, avrebbe provato ad essere appena un po’ più esplicito, ma senza dimenticare che così facendo si sarebbe inoltrato su un terreno irto di trappole e che doveva a tutti i costi evitare di offendere la sua interlocutrice. Così attaccò:
“Già… e credo che...” doveva essere molto cauto, non mancarle di rispetto, non farla sentire sminuita, “che…” si aggrappò a quella parola vuota per darsi il tempo di pianificare la prossima mossa, poi trovò  l’ispirazione, e fissò lo sguardo fiero dritto davanti a sé, “che qualsiasi obiettivo venga posto, per raggiungerlo occorreranno coraggio, tenacia, forza, determinazione, spirito di sacrificio”.
Troncò l’elenco prima di arrivare alla voce peli sul mento. Sarebbe stata nient’altro che la più schietta verità, ma era pressoché certo che il suo orgoglio femminile -per come l’aveva potuto intuire fin lì- non gliel’avrebbe perdonata, bruciando qualsiasi possibilità di persuaderla poi.
“Su questo non c’è dubbio” convenne la donna.
“Voglio dire, non possiamo permetterci alcuna debolezza” la incalzò Gimli, annuendo per sottolineare il concetto.
“Assolutamente”.
“Le prove a cui ci troveremo di fronte saranno ardue, forse quasi insormontabili persino per i migliori fra noi” continuò, evidenziando le idee principali con un gesto deciso del pugno chiuso.
“Probabile” acconsentì l’Elfa.
Qualcosa nel tono della donna non convinceva Gimli. Aveva come l’impressione che non stesse prendendo parte alla conversazione con la necessaria partecipazione. Persino, che lo stesse velatamente irridendo. Le guance del nano si imporporarono, ma erano tanto nascoste dalla barba che l’altra non se ne avvide, e lui riprese con rinnovato slancio:
“E non è detto che la volontà di agire per il bene comune sia sufficiente per rendere qualcuno adatto a caricarsi di un simile, gravoso compito”.
A quelle parole, la donna fermò i suoi passi. Il nano la fissò gongolante: stavolta aveva fatto centro. Stavolta doveva fornirgli un appiglio.
“La ferma volontà di agire per il bene è totalmente l’aspetto più importante della questione.” gli rispose, quasi indignata, tracciando con una mano una linea netta nell’aria davanti a sé, “Inderogabile.” La sua voce aveva mantenuto un volume basso e un tono soave, ma aveva preso una cadenza più marcata, e gli occhi erano diventati due fessure. Dopo un solo istante di pausa, continuò:
“Se manca, o se non è sufficientemente radicata, il rischio che tutto vada rovinosamente in malora in un crescendo di sfaceli, fino alla catastrofe, è tremendamente alto” e la mano, che fino a quel momento aveva come trattenuto l’estremità della linea, disegnò un punto fermo, “E non possiamo permettercelo. La storia insegna”.
Gimli allargò le braccia in un gesto conciliante e cercando di non suonare troppo condiscendente, specificò:
“Intendo dire: certo, è necessaria. Ma non sufficiente”.
La donna lo fissò per qualche istante, rimanendo immobile, dapprima trapassandolo con lo sguardo e quindi pensosa, poi sospirò e si rimise in cammino:
“In effetti non è l’unico aspetto da considerare…” ammise.
“Non sarà una spedizione per persone fragili o delicate” insistette il nano, affrettando il passo per tenerle dietro.
“Ovviamente no” rispose quella con una risatina.
Gimli non perse tempo a chiedersi di che cosa ridesse, anzi forse nemmeno se ne accorse: ormai aveva preso il la, si era accalorato, era partito con la sua arringa e non si sarebbe fermato dinanzi a nulla (salvo forse un boccale di birra delle loro migliori cantine). Con buona pace della naturale conclusione a cui sarebbe dovuta arrivare l’Elfa.
Si arrestò nei pressi di una lunga scala, appoggiò un piede su un gradino come per avere maggiore spinta, e con lo sguardo infervorato iniziò a pontificare:
“Sarà fondamentale che chi verrà scelto abbia nerbo…”
“Sicuro” si intromise lei appena il nano si interruppe per prendere un respiro.
“…tempra, forza d’animo…” continuò afferrandosi al corrimano.
“Ci mancherebbe altro”.
“…coraggio, audacia…” e così dicendo, lo slancio lo portò a salire un paio di gradini, posizionandosi poi saldamente a gambe divaricate, tenace a sufficienza per fronteggiare una carica di cavalleria.
“Ma non sconsideratezza” commentò l’Elfa quasi distrattamente.
“Certamente no” tagliò corto infastidito, liquidando la questione con un gesto della mano, prima di riprendere, “Spirito di sacrificio…”.
“L’hai già detto prima” corresse lei, sistemandosi con noncuranza una ciocca di capelli dietro l’orecchio a punta.
Gimli aggrottò le sopracciglia scuotendo la testa seccato. Quella filippica gli stava riuscendo eccezionalmente bene, e l’interruzione aveva guastato l’atmosfera e gli aveva fatto perdere il filo, rovinandola. Così decise di saltare direttamente alle conclusioni:
“Insomma, ritengo che sia compito da uomini. Veri uomini” sancì, accompagnandosi con un pugno sul palmo dell’altra mano.
“Veri uomini, dici…” fece eco lei sollevando le sopracciglia.
“Certo. Non è una possibilità remota quella di trovarsi in situazioni quasi disperate. E allora occorrerà tirare fuori gli attributi, con licenza parlando” asserì il Nano, guardandola finalmente negli occhi senza dover alzare il capo.
“Gli attributi…” ripeté, scettica, riprendendo il cammino.
“E una donna…” continuò lui, quasi inciampando mentre scendeva i gradini con un balzo per affrettarsi dietro di lei, “Beh, una donna non è la persona adatta per un incarico del genere”.
“Vi sono state e vi sono tuttora, fra la nostra gente, grandi donne dotate di tutte le virtù che hai elencato”.
Trappola, trappola, trappola… Doveva correggere il tiro prima che fosse tardi:
“No, no, non fraintendermi” rettificò, alzando le mani e mostrando i palmi, “Non voglio togliere nulla al coraggio che una donna può avere, o alle sue capacità. Dico solo, è più saggio che non si metta in pericolo così. Dico solo, un uomo ha più mezzi per cavarsela. Dico solo, una donna non dovrebbe esporsi” concluse, cercando di suonare il più possibile conciliante.
“Quello che dici può avere un senso, in effetti” concesse lei, con un sospiro.
Ce l’aveva fatta. L’aveva persuasa, o dissuasa. Era arrivata esattamente alla conclusione che lui auspicava, adesso doveva solo chiudere, rafforzare la posizione, rendere esplicito il sottinteso.
“Quindi, credo che faresti meglio a non partecipare alla spedizione”.
“Come, scusa?” fece lei, spiazzata, voltandosi di scatto mentre si arrestava.
Per poco Gimli non le sbatté contro, ma si fermò in tempo, e colse così l’occasione per ergersi di fronte a lei per quanto possibile, sfoggiando la sua aria più prode e gloriosa che avrebbe senz’altro compensato la differenza di statura:
“Sì, per il tuo bene, per quello di coloro che parteciperanno, per quello del tuo popolo…”
“Io credo che…” provò ad interromperlo lei, ma il Nano era lanciato.
“Certo, ovviamente vuoi dare il tuo contributo, mettere a disposizione le tue capacità, ma non è il caso…” rincarò evidenziando ogni concetto con un ampio gesto delle braccia.
“Veramente io…”
“E non ho dubbi che tu sia persona di grande talento, di numerose virtù…” continuò annuendo convinto.
“Guarda che…” fece ancora, senza esito.
“…che ti preoccupi della sicurezza della tua gente e della tua terra come di tutti i popoli della Terra di Mezzo…”
“Se mi lasc…” ma non riuscì a terminare la parola prima che Gimli riprendesse il pistolotto ignorando le sue rimostranze.
“…che tu non abbia timore di mettere a rischio la tua incolumità…” e a quel punto le calò con energia le mani sulle spalle, incurante del fatto di doversi alzare in punta di piedi per riuscirci.
“Hai…”
“…ma non è giusto che tu ti esponga così tanto, quando ci sono altri che possono farlo per te, al posto tuo”.
L’Elfa sospirò, scuotendo la testa e sollevando gli occhi al cielo con un’alzata di spalle, rinunciando a far sentire le sue ragioni.
“Quindi, ti chiedo, con tutto il cuore: evita di partecipare alla spedizione. Evita di metterti in pericolo. Preserva la tua incolumità. Lascia che siano gli uomini di ogni razza a difendere i popoli e le terre dall’Ombra. Non esporti” concluse il nano, facendo un passo indietro e portandosi un pugno chiuso al petto, fissandola intensamente.
Ormai, Gimli ne era certo, la donna non avrebbe potuto che ammirarlo per le sue capacità oratorie, concordare con lui, e decidere di non partecipare alla missione. L’aveva convinta, ne era certo; doveva solo ammetterlo; era questione di istanti.
Ma in quel momento comparve fra di loro, quasi dal nulla, un altro Elfo, giunto da una diramazione del sentiero, che li salutò gioviale:
 “Bentrovati, carissimi ospiti! Non vedendovi giungere assieme agli altri, avevo pensato di raggiungervi per fare le presentazioni del caso, ma a giudicare dalla conversazione animata che state portando avanti, deduco di essere arrivato tardi…” constatò con un cenno del capo.
Gimli barcollò appena ed aprì le braccia, preso in contropiede:
“In verità… Ci siamo lasciati trascinare dalla discussione ed abbiamo trascurato perfino i nostri nomi…”
“Allora permettete che sia io a rimediare” rispose il nuovo arrivato con un sorriso, e poi indicando il Nano:
“Gimli figlio di Gloin, dalla Montagna Solitaria,” quindi accennò all’Elfa:
“Legolas figlio di re Thranduil di Bosco Atro”
Il Nano sgranò gli occhi, barcollando più vistosamente, saltando con lo sguardo nervoso e turbato dall’uno all’altro dei due Elfi:
“Figlio?”
Legolas rise, la stessa risata cristallina di qualche ora prima:
“Già. Ho passato gli ultimi minuti a cercare di farmi ascoltare per chiarire l’equivoco… Sono un uomo, Gimli figlio di Gloin. Un maschio. Hai presente?” evidenziò, mentre gli appoggiava la mano su una spalla.
Il Nano rimase di sale, impietrito sul posto. Come aveva potuto prendere una cantonata di quelle proporzioni? I lineamenti fini ed eleganti, la pelle di alabastro, le mani affusolate, il corpo flessuoso come un giunco, i capelli morbidi e lucenti… l’avvenenza che andava al di là del gusto personale… Poteva davvero essere un maschio? Ebbene così era.
Per diversi, lunghissimi istanti, calò un silenzio glaciale, in cui a Gimli parve di udire -e pregò che fosse un’illusione, che nessun altro lo udisse- rumore di ingranaggi nel suo cervello, mentre cercava di elaborare una risposta che sembrasse quanto meno coerente, di raggranellare quel po’ di dignità che gli rimaneva dopo la figuraccia emerita che aveva appena fatto dinanzi al principe degli Elfi, di districarsi in qualche modo da quella situazione. Di colpo, dal nulla sbottò in una chiassosa risata, portandosi le mani al ventre:
“Ah, ah, ah… E poi dite che i Nani non hanno senso dell’umorismo… Stavo scherzando, ovviamente… Come avrei mai potuto scambiarti davvero per una donna, senza un’ombra di seno o di fianchi? Ah, ah, ah… Eh, Elfi maschi più leggiadri delle fanciulle umane, che sciocchezza… Ah, ah, ah…”
Si allontanò rapidamente quanto le sue gambe gli consentivano senza mettersi a correre, prima ancora di aver terminato la frase, lasciandosi alle spalle i due Elfi senza nemmeno voler conoscere la loro reazione. Birra, ci voleva una bella birra. Un bel boccale. O magari due. Meglio una botte intera.


Prompt fornito da MISSCHIARA per LA CHALLENGE CAPRICCIOSA:
1) * Elrond ha indotto il consiglio che designerà chi dovrà portare l’Unico Anello fino al Monte Fato per distruggerlo. Delegati provenienti da tutta la Terra di Mezzo si recano quindi a Gran Burrone. 
Per puro caso, la delegazione degli Elfi (di cui fa parte Legolas) e quella dei Nani (di cui fa parte Ghimli) si incrocia poco prima di varcare la soglia delle mura. Le due razze, si sa, non vanno molto d’accordo, e Ghimli in particolare detesta gli Elfi. Tuttavia, rimane positivamente impressionato da Legolas, per il semplice fatto che… l’ha scambiato per un’elfa! 
In qualche modo, i due iniziano una conversazione in cui Ghimli cerca galantemente di far desistere Legolas dall’impresa, conversazione basata soprattutto sui doppi sensi (qualcosa tipo “Una persona dall’aspetto delicato come te non è tagliata per queste cose”, “Questa è una faccenda per veri uomini”, ecc), che può prendere la piega più disparata. 
Alla fine Ghimli si rende conto della gaffe, e cerca di uscirne con eleganza (o con il minor danno possibile ^^). 

  
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