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Autore: Lost In Donbass    16/08/2018    0 recensioni
Tom è un alcolizzato, cinico, apatico, coltiva marijuana e se ne frega del resto.
Bill è uno scrittore, ha subito un crollo psicologico non da poco, cucina torte di mele a raffica e mostra cicatrici che nemmeno lui sa di avere.
Ma se questi due squilibrati si trovassero a dover condividere la casa? In una campagna opprimente e inquietante, tra segreti sepolti in cantina, torte di mele, musica punk, fantasmi non del tutto morti, esperimenti umani, occhiate languide e case-reliquiario, riuscirà Tom a salvare sé stesso e Bill? Oppure sprofonderanno nel baratro dove nessuno li tirerà mai fuori?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO SEI: PROBLEMI, ANCORA

Tom era stupefatto. Anzi, era letteralmente attonito. Non si era minimamente aspettato una cosa del genere, e si sentiva strano come mai in vita sua. Bill lo aveva baciato, e questo non aveva senso. Era … sbagliato. Nessuno poteva nemmeno avvicinarsi al ragazzo alcolizzato, e ora, di punto in bianco, quello strano scrittore si prendere addirittura la libertà di baciarlo, così, come se nulla fosse. Tom non sapeva nemmeno se sentirsi disturbato, felice, o semplicemente sconvolto. Guardò Bill negli occhi, incapace di fare alcunché. Come avrebbe dovuto comportarsi? Spingerlo via? Ricambiare, seppur impacciato, il bacio? Si chiese se gli era piaciuto, prima di tutto, e anche a quello non sapeva dare una risposta. Lui odiava il contatto fisico con le persone, lo aborriva in ogni modo eppure sentire le morbide labbra di Bill sulle sue non gli aveva fatto un brutto effetto. Forse perché è un angelo, pensò.  Ma tutto continuava a non tornargli, lo aveva messo di fronte a una cosa così triviale che non sapeva proprio da che parte girarsi. C’era Bill, da un lato, con la sua stucchevole stranezza e i suoi scheletri nell’armadio, mentre dall’altro c’era lui stesso, con i suoi demoni in testa e il suo odio per il mondo. Come avrebbero potuto conciliarsi due esistenze del genere? Non avrebbero potuto, semplicissima risposta. Anche se il perché non lo sapeva nemmeno lui; forse era semplicemente troppo spaventato per poter ragionare lucidamente, il suo complicato cervello isolato era stato brutalmente espugnato e adesso non era più capace di correre ai ripari. Anzi, forse non lo era mai stato e in particolare in frangenti simili, dove ci sarebbe stato bisogno di un po’ di umanità, stessa umanità che il giovane non aveva mai dimostrato di possedere.  Si riscosse subito da quegli stupidi pensieri quando Bill si staccò da lui come se si fosse scottato. Era balzato in piedi, premendosi le lunghe mani sulla bocca e sembrava ancora più sconvolto di quanto non lo fosse lo stesso Tom.
-Oh mio dio. Oh mio dio. Oh mio dio, non intendevo!- strillò, rompendo il silenzio tombale che era calato nel giardino.
Tom si rialzò lentamente, passandosi una mano tra i capelli, tentando per un sorriso rassicurante e la voce più calma che gli riusciva
-Tranquillo, Bill, non è successo niente.
-Come no!- Bill spalancò comicamente i grandi occhi, ridicolmente spaventato – Ti ho … ti ho baciato! Non volevo, non volevo, scusami! È solo che … stavo pensando ad Hansi … e io …
-Bill, per favore, calmati.- Tom lo prese per le spalle gracili, con tutta la gentilezza che possedeva – Capisco tutto, e non c’è problema. Succede. Sei stanco, magari.
-No! No! Lasciami stare! Scusami!
Bill si divincolò dalla sua stretta, e in un turbinio di vestaglia rosa corse in casa, sbattendosi la porta alle spalle, lasciando Tom immobile in giardino, in compagnia di qualche malinconica farfalla azzurra e del canto di una ghiandaia. A essere franchi, lo aveva lasciato più sconvolto quell’abnorme reazione del bacio in sé – insomma, in fondo non era successo granché … certo, non che non fosse rimasto stupito da una dimostrazione di affetto del genere, però non l’aveva sicuramente vissuta male. Era una cosa così aliena e strana per lui che valeva quasi la pena di perderci del tempo a filosofeggiarci sopra, magari in compagnia di un po’ d’erba e di sano punk. Ma Bill sembrava averla presa così male che quasi gli dispiaceva. Guardò il cielo azzurro e si strinse nelle spalle, pensando che forse avrebbe fatto meglio a raggiungere il suo buffo coinquilino e cercare di convincerlo a non disperarsi. Non voleva che un angelo come Bill soffrisse per una cosa così stupida, nemmeno che lui si fosse arrabbiato. Entrò in casa, in punta di piedi, quasi per non voler disturbare l’imbarazzo del ragazzo che sembrava quasi essersi sparso per tutto il salotto. Per una volta era lui quello che avrebbe dovuto fare l’uomo, e questa cosa lo destabilizzava. Non sapendo come funzionavano le normali sensazioni, aveva qualche difficoltà nel prendere in mano la situazione, ma decise che, almeno quella volta, ce n’era un effettivo bisogno. Si era preso a cuore la salute di Bill quasi più che la sua, e non intendeva lasciare le cose così. Se voleva davvero proteggerlo dai vecchi mostri del passato, doveva diventare automaticamente il suo scudo, la persona fidata, l’ancora a cui aggrapparsi quanto tutto intorno crolla. Tom sapeva di non essere una buona ancora, sapeva di essere matto, apatico e cinico ma per la prima volta sentiva che era sulla strada giusta per una redenzione che esisteva solo nella sua testa. Aveva deciso che se oramai lui aveva perso ogni speranza, Bill aveva diritto ad averne ancora, a riconquistarsi la sua vita e lui ne sarebbe stato il mezzo. Scapestrato e alcolizzato, ma pur sempre un cavaliere.
-Bill … - chiamò, con voce tentennante – Bill, tutto okay?
Nessuna risposta che non fosse il lento frusciare delle tende nere nella brezza estiva che soffiava gentile dalle finestre spalancate.
-Bill, davvero, non è niente. Si può chiudere tutto nel dimenticatoio, non mi preoccupo mica di una cosa simile … - continuò, aggirandosi lentamente in quella che ancora non riusciva a chiamare “casa”.
Ancora silenzio. E una strana preoccupazione che cominciava a insinuarsi come un serpente sotto pelle. Si passò una mano tra i capelli, salendo silenziosamente al piano superiore, l’orecchio teso a sentire un qualunque possibile singhiozzo. Li sentì, soffocati e improvvisamente assunse un’espressione triste, mentre si affacciava timidamente alla porta della camera da letto e lo guardava, raggomitolato sul letto, in lacrime. Vedere piangere una persona simile sembrava quasi un delitto. Non riusciva a vedere nulla di umano in quei grandi occhi scuri, ma più ci pensava più gli ricordavano quelli di un angelo. Venati da una malinconia che non era per tutti, lasciavano trasparire la nostalgia di qualcosa di impalpabile e divino come il Paradiso, come piccole perle le lacrime rotolavano sulle guance smunte, trascinando con loro lingue che non è dato sentire a orecchio umano. A Tom sembrò di intravedere le grandi ali spezzate piegarsi lentamente sul loro padrone, come a volerlo proteggere, eppure perdevano piume e sangue, che andava a mischiarsi col pianto. Smuovevano l’aria satura di fiori e parevano seguire il ritmo di un lamento sconosciuto, qualcosa di così mistico eppure dolce da essere un piacere per la vista. Quanto gli sembrava inavvicinabile in quel momento, avvolto dal suo mondo naturale, spezzato come solo gli angeli caduti lo possono essere, sofferente per un cielo che gli era stato vietato, reietto dal paradiso e cacciato dall’inferno, costretto a rifugiarsi in Terra e versare lacrime sulle ferite salate inflitte da qualcosa di più grande. Impacciato, entrò nella camera e non seppe nemmeno perché. Forse voleva consolarlo. Curargli le ali. Permettergli di volare di nuovo. Liberarlo dalla sua pena. Non lo sapeva, ma non gli importava, non quando si sedette sul bordo del letto e allungò timidamente una mano verso le spalle ossute
-Bill … ehi, non piangere. - lo disse piano, con dolcezza, come si parlerebbe a un bambino. – Non sono arrabbiato con te, va tutto bene.
Bill tirò su col naso, e alzò appena gli occhi su di lui.
-Non va tutto bene. Non avrei dovuto baciarti.
-E a me non importa. Può succedere, non hai ucciso nessuno, ok?- gli accarezzò la spalla e sorrise – Amici come prima?
Bill lo guardò sotto le lunghe ciglia e represse un altro singhiozzo, soffocandolo nella vestaglia
-Lasciami solo, per favore. Tom, io … no, non puoi capire!
-Cosa, Bill? Se non posso capire, prova a spiegarmelo.- Tom fece un sorriso gentile e gli si avvicinò un pochino, accarezzandogli la schiena ossuta.
-Cosa mi diresti se ti dicessi che l’ho fatto apposta? Che ero perfettamente cosciente di baciarti? Che … basta, lasciami solo!
Tom evitò per un attimo un’unghiata e ritenne preferibile battere in ritirata chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Bill a piangere da solo, piuttosto che rimanere lì a infastidirlo ancora di più. Sapeva per esperienza quanto una persona potesse ogni tanto avere bisogno di momenti di assoluta solitudine. L’aveva sperimentato sulla pelle, quei giorni in cui non voleva vedere altro che una bottiglia di whisky, quei giorni in cui sperava di farla finita e lasciarsi alle spalle quell’inferno che era diventata per lui la vita. Lo sapeva e per questo lasciò il biondo a piangere in solitudine, non volendo turbare quella necessità di esternare la propria paura con niente altro che sé stessi. Eppure, rimase seduto per terra con la schiena appoggiata alla porta, ancora più allibito di prima, gli occhi fissi sulla fotografia appesa davanti al suo naso e la bocca aperta in un’espressione poco intelligente. Tutto quello lo stava scombussolando nel profondo: troppe emozioni umane nel giro di niente per uno come lui, troppe relazioni e sentimenti da mettere in gioco. Sbuffò, massaggiandosi le tempie pulsanti. Non poteva credere alle proprie orecchie: lo aveva baciato … volontariamente? Ma come poteva anche solo aver avuto un minimo di interesse in lui, rifiuto umano della peggior specie? No, non poteva essere vero. Un angelo non doveva venir impestato da un lurido alcolizzato di periferia, non … ma non cosa, Tom, si disse da solo. Faceva fatica a mettere ordine tra i suoi sentimenti, era stranito, lusingato e spaventato allo stesso tempo. Stranito, perché gli era tutto così estraneo. Lusingato, perché considerava Bill qualcosa di irraggiungibile. Spaventato, perché non aveva la più pallida idea di come comportarsi. Tornare dentro e rassicurarlo? Ma rassicurarlo di cosa? Lo amava anche lui? La sua era pura attrazione per l’ignoto? Provava un affetto vero per lui?
Troppe domande danzavano nella sua mente, facendogli venire una tragica emicrania che lo costrinse ad alzarsi dalla sua postazione e trascinarsi stancamente lungo il corridoio. A volte si sentiva così tanto un bambino, sempre bisognoso di qualcuno che lo aiutasse a vivere e a destreggiarsi nella mondanità. No, Tom non sarebbe mai cresciuto, non avrebbe mai imparato ad essere un adulto. Era ancora un bambino senza infanzia, un adolescente troppo cresciuto, cercava la sua seconda stella a destra e cercava di ritrovare sogni ai quali aveva dato fuoco tantissimi anni prima. Stava rinascendo pian piano dalle ceneri, aveva bisogno del suo tempo per ricostruirsi le sue di ali, prima di dedicarsi a quelle di Bill, ma prima o poi l’avrebbe fatto. Chissà che entrambi non avrebbero cominciato a involarsi nei cieli tedeschi, sempre più in alto, sino a sparire alla vista. Chissà cosa si provava ad essere un angelo. E chissà perché, in quel momento aveva decisamente bisogno di schiarirsi le idee e aggiustare quell’incresciosa situazione. Avrebbe chiamato Georg. Forse lui sarebbe stato in grado di risolvere quel casino.
 
Due ore dopo, era seduto in pub con l’amico di una vita, sempre il suo bravo bicchiere d’acqua davanti e la sua migliore espressione abbattuta.
-Così, ti ha baciato e ti ha fatto intendere che gli piaci.
-Esatto. Ma non è così bassa come l’hai messa tu - ribatté Tom, facendo una buffa smorfia da bambino – Bill … è diverso. Non ha niente a che vedere con gentaglia come noi. È un angelo.
-E tu gli hai lasciato intendere che gli piaci, - concluse Georg, ammiccando.
-No! Cosa dici?! A me non piace Bill!- Tom rischiò di strozzarsi con l’acqua. – Non mi piacciono le persone.
-Tom, guarda che non ci sarebbe nulla di male.
Il giovane avvocato gli sorrise, poggiandogli una mano sul braccio e il ragazzo avrebbe voluto sprofondare venti metri sottoterra. Dio, che razza di casino dove si era andato a impelagare.
-Sì che ci sarebbe qualcosa di male! È … è assurdo. E fastidioso. E strano. E … oh, Georg, lasciatemi in pace.
Il ragazzo affondò la testa tra le mani, con una buffa smorfia infantile. Non era pronto a piacere a qualcuno, non era nemmeno pronto a sopportare qualcosa di triviale come l’amore, tantomeno se doveva coinvolgere il suo coinquilino. Lui voleva bene a Bill, su quello era certo, ma amarlo addirittura … era troppo. Tom era una persona solitaria e confusionaria, non riusciva a incanalarsi in nessun binario delle persone comuni e di questo ci soffriva. Era difficile vivere fuori dagli schemi, difficile perché non capiva le cose normali, non riusciva a entrare davvero in sintonia con nessuno e rimaneva sempre un passo indietro a tutti. Ma era fatto così, e non c’era molto da discutere. Aveva imparato a convivere con la sua stranezza e ad adattarsi a lei. Anche se adesso sembrava che Bill avesse sconvolto anche quei confini che era riuscito a creare per incanalarsi anche lui in qualcosa, e avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo. Rivedere le sue credenze. Risistemare i propri bordi. Ricostruire le sue barriere. Tutto per colpa di quello stupido bacio. C’era un motivo se Tom era allergico all’amore: creava solo problemi, e lui, di problemi, ne aveva già abbastanza per conto suo.
-G., però ho scoperto delle cose, - rialzò la testa, e gli occhi gli luccicavano di nuovo sinistramente. – Bacio a parte.
-Thomas Kaulitz, ti avevo detto chiaramente di starne fuori.- ruggì Georg, lanciandogli un’occhiata ustionante. Quando faceva quella determinata espressione, tutti tendevano a cedere le armi. Ma non Tom, ovviamente.
-E io ti avevo detto chiaramente che non lo farò, - ribatté deciso – Ieri notte sono entrato nella cantina, di nascosto, quella che Bill mi aveva vietato.
Georg fece per dire qualcosa, ma poi tacque, soffocando un’imprecazione. Sapeva per esperienza che il suo amico era ingestibile quando partiva alla ricerca di qualcosa, e sapeva che avrebbe dovuto assecondarlo. Poteva essere un alcolizzato e l’ultimo degli ultimi, ma era cocciuto come un mulo. E squilibrato come uno schizofrenico.
-E’ una stanza enorme e umida, sembra che copra metà delle fondamenta della casa. Buia, polverosa, inquietante: immaginato la scena? Bene, è tappezzata da scaffali che contengono faldoni appartenuti ad Hansi. Ne ho aperti alcuni, e ho notato una particolarità. Sono delle sorte di appunti medici su una sequela di pazienti, annotazioni di congressi internazionali, e roba sul genere, ma a un certo punto ognuno dei faldoni riporta consistenti parti scritte in polacco dove si parla di un non ben specificato Paziente X e di una serie di medicinali con nomi astrusi. Ora, ne ho letti davvero molti e il tono usato è così assurdo: il Paziente X è il protagonista silenzioso di una quantità di prove di farmaci, c’erano descritte reazioni, dosi, schemi di somministrazioni, appunti su chiamare alcune persone, ma ritornava sempre alla stesso punto: ovvero, usare X come cavia per qualcosa. Sottolineava sempre il punto “X non si è ancora accorto di nulla”.
-Cosa?- Georg lo interruppe, gli occhi fuori dalla testa – Tu mi stai dicendo che potrebbero trattarsi di esperimenti umani?!
-Non lo so, non potrei giurarci. Ma è roba strana, Georg. Diceva cose del tipo “il Paziente X reagisce bene al PFH, ma non vorrei tirare troppo la corda”, oppure “Le dosi di vattelappesca sono state somministrate con rischi gravi”, eccetera.
-Ti stai rendendo conto di cosa mi stai dicendo, vero?- l’avvocato era quasi cianotico – Tom, è … è una cosa fuori dal mondo.
-Lo so, ed è qui che entri in scena tu.- Tom puntò il dito sull’amico – Perché lo conoscevi, hai lavorato al suo fianco, hai seguito un caso dov’era implicata la sua clinica. Sei l’unico che può aiutarmi a capirci qualcosa di più.
-Mi stai dicendo di riaprire il caso? Non posso farlo, T.!
-Non ti sto chiedendo di riaprirlo pubblicamente, ma di continuare le indagini al mio fianco. Avrai ben in mano i documenti, le denunce, e il resto.
Georg tacque un attimo, bevendo un sorso di whisky per prendere tempo, guardando il viso esaltato dell’amico.
-Tom, perché lo stai facendo? Cosa ti importa, Hansi è morto ormai. Caso chiuso, qualunque cosa facesse oramai è finita in quella tomba.
Era stanco, Georg, mentre parlava con tutta la calma possibile. Ma Tom era più reattivo che mai.
-Lo sto facendo per Bill. Cristo, Georg, lo ama ancora, ha diritto di sapere che razza di uomo ha sposato!
-E non credi che forse non saperlo lo farebbe vivere in pace e quanto potrebbe essere devastante per lui scoprire che Hansi non era quello che lui credeva essere?
Tom rimase un attimo zitto, e si morse il labbro. Certo, il discorso di Georg era ineccepibile. Forse Bill avrebbe voluto semplicemente continuare a ricordare Hansi come il ragazzo perfetto che lo aveva amato. O forse, avrebbe voluto sapere davvero cosa era successo nel seminterrato della casa perfetta.
-Ho comunque intenzione di andare a fondo della vicenda. Voglio sapere, capire. Ti prego, non ti sto chiedendo così tanto: aiutami solamente a indagare, rendimi partecipe di quello che è successo anni fa e forse riuscirò a creare un collegamento con quello che ho trovato in cantina.
-Tu dici che il Paziente X potrebbe essere la donna morta in clinica? Quella del caso?- Georg si morse il labbro, tentennando – Allora potrebbe darsi che la famiglia avesse ragione … e io … no …
-Non fasciamoci la testa.- intervenne subito Tom – Potrebbe non essere lei, potrebbe anche non c’entrare niente ed essere una pista morta ancora prima di cominciare. Ma se la famiglia della donna insisteva che fosse stata vittima di esperimenti umani e i dati nei faldoni sembravano proprio riferirsi a una cosa simile … troppe coincidenze per un solo uomo. E troppe coincidenze per Bill.
Georg scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
-Cristo Tom … hai tirato su un vespaio incredibile. Cosa ti devo dire: proviamo a scoprire qualcosa di più. Ma non appena ci rendiamo conto che c’è qualcosa di troppo grosso in ballo, si molla tutto ed eventualmente si va dalla Polizia.
Tom sorrise e annuì, strani lampi esaltati a brillargli nel profondo degli occhi scuri. Avrebbero cominciato ad indagare seriamente. Avrebbe aiutato Bill. Adesso, bisognava solamente avere il coraggio di tornare in quella cantina.
 
  
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