Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Segui la storia  |       
Autore: Xion92    16/08/2018    3 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ehm... toc toc. Buonasera a tutti! Stavolta sono stata assente per parecchio tempo, ma in compenso ho scritto molto di più del solito. E' stato un periodo un po' poco ispirato per la scrittura (al contrario dei disegni, se vi siete persi gli ultimi li trovate sulla pagina fb), e ogni volta che tornavo a leggere questo capitolo non mi soddisfava e, o cambiavo delle parti o lo allungavo e paricolareggiavo. Al contrario di come succedeva tempo fa, dove scrivevo "tutta in una tirata" e pubblicavo immediatamente. Preferisco metterci un po' di più ma darvi da leggere qualcosa che abbia qualità piuttosto che "tirare via" e pubblicare una roba mediocre.
Per questo spero che il capitolo vi piaccia. Buona lettura, e scusate l'attesa!

 

Capitolo 87 – Progettazioni e persuasioni


Da quel momento i dubbi e le incertezze si dissiparono. Era la fine di gennaio quando, dopo un periodo pieno di incognite, la data in cui Flan avrebbe attaccato si era rivelata nelle prospettive dei guerrieri.
“Avete sentito?”, chiese Minto contrariata appena saputa la notizia. “Così tardi attaccherà? Perché deve metterci così tanto?”
“Già”, assentì Bu-ling. “È come una verifica che il maestro ti mette fra un mese. Quasi sarebbe meglio farla subito, per togliersi il pensiero e aver poi tempo per giocare.”
“Dimenticate il vantaggio, però”, le fece ragionare Zakuro. “Almeno sappiamo con precisione quando dovremo combattere, e prepararci di conseguenza. Con Profondo Blu non era successo così e, non dimenticatelo, non sapendo una data precisa non avremmo nemmeno potuto allontanarci dalla città. Avrebbe avuto effetti devastanti sulla mia carriera. Invece così saremo liberi praticamente fino al giorno prima.”
“Esattamente”, annuì Ryou, “e adesso parleremo proprio di questo.” Si rivolse a Masaya. “Vieni con me.”
Ed uscì dalla sala per recarsi nei sotterranei, seguito dall’altro ragazzo.
“Io non vengo, boss?”, gli gridò dietro Angel.
“No, tu sta’ fuori. Sono discorsi tra uomini, questi”, le ordinò Ryou.
Una volta al piano di sotto, Ryou e Masaya entrarono nello studio e il più grande si sedette al computer, mentre il più giovane si sistemò su una sedia lì vicino.
“Dunque ridimmi il tuo piano, Aoyama”, lo invitò Ryou.
L’altro annuì. “È molto semplice: il Jinseikou è una risorsa che non va sottovalutata, ma Angel non è capace di controllarla. Ecco perché ho bisogno di poter passare un po’ di tempo solo con lei, per addestrarla a dovere.”
“E fin qui ci siamo. Dove vorresti portarla?”
“In un posto in cui non ci siano altre persone, e dove quindi non potrebbe far danni. Fuori da Tokyo.”
“Avevi accennato le Alpi Giapponesi, vero?”
“Sì.”
Ryou rimase a pensare per alcuni secondi, poi accese il computer e si mise a fare una ricerca con la webcam.
“Quanto tempo pensi che ti ci vorrà?”, gli chiese senza staccare gli occhi dallo schermo.
“Questo non lo so. Dipende da Angel. Da come reagirà lei. Se sarà svelta, saranno sufficienti pochi giorni. Se non reagirà bene, potrebbero volerci settimane.”
Ryou rimase zitto e continuò a cercare senza aggiungere altro.
“Ecco qui”, disse a un certo punto. “Questa zona delle montagne non è abitata, pensi che potrebbe andarvi bene?”
“In quella zona…” ragionò Masaya, incrociando le braccia. “Potrebbe. Ma c’era una cosa a cui non avevo pensato: ancora fa troppo freddo per poter allenarsi lì.”
“Vero”, annuì Ryou. “Ma non siete obbligati ad andarci adesso. Potrete andare più avanti quando le temperature si saranno un po’ alzate. A proposito…” si girò guardando Masaya negli occhi. “Angel ha il benestare mio e di Keiichiro, ma tu? Avrai la possibilità di andare?”
Masaya abbassò gli occhi. “Giusto… i miei genitori. Non c’è niente da fare, dovrò parlare con loro. Non posso andare da nessuna parte senza il loro consenso.”
I due ragazzi rimasero in silenzio per un po’. “Però forse… penso che non ci saranno troppi problemi se andremo durante le vacanze scolastiche.”
Ryou lo guardò, poi tornò a scrutare lo schermo. “Quando ci saranno le vacanze quest’anno?”
“Dall’8 al 17 marzo”, rispose il più giovane dopo averci pensato un attimo.
Il suo capo si girò e lo guardò strano.
“Sono pochi giorni, lo so”, si giustificò imbarazzato Masaya. “E sono anche pochi giorni prima della battaglia. Ma dovremo farceli andar bene.”
“Per forza”, annuì Ryou, tornando a cercare sulla tastiera. “Guarda cos’ho trovato.”
Masaya si avvicinò e osservò lo schermo. Ryou gli spiegò: “ci sono delle piccole baite di legno private che nei periodi estivi vengono affittate agli escursionisti esperti, che vogliono mettersi alla prova isolandosi dalla civiltà. Sono l’unica traccia di presenza umana in quelle zone, ma d’inverno non ci va mai nessuno. Posso contattare il proprietario e chiedergli di affittarvene una per quel periodo di tempo.”
Masaya lo guardò sbalordito e Ryou ricambiò con un’espressione soddisfatta. “Chi ha i soldi può permettersi questo e altro. Non penso sia una buona idea mandarvi in quella zona con la tenda. A fine inverno in montagna fa ancora molto freddo.”
Il più giovane lo fissò ad occhi spalancati ancora per alcuni istanti, poi chinò la testa con rispetto.
“Ti ringrazio, Shirogane-san, a nome mio e di mia figlia.”
“È presto per ringraziarmi”, rispose però Ryou. “Intanto chiedi il permesso ai tuoi. Se te lo daranno, dimmelo e procederò con l’affitto e decideremo i dettagli logistici.”
Tornati al piano di sopra, si ritrovarono gli occhi di tutti puntati addosso. “Allora?”, gli chiesero –quasi – tutti gli altri in una sola voce.
“Fatevi un po’ i fatti vostri”, rispose seccamente Ryou. “Appena sarà tutto certo ve lo dirò.”
Retasu, che era stata l’unica a non parlare, sollevò educatamente un’obiezione: “un momento, ragazzi… c’è un particolare su cui non ci siamo soffermati.”
Gli altri la scrutarono con attenzione e col fiato sospeso. Sembrava che andasse tutto bene, ma sapevano che Retasu, con la sua intelligenza, avrebbe potuto tirar fuori quella clausola che avrebbe fatto crollare tutti i loro programmi come niente.
“E cioè: quanto è lungo un mese…?”, chiese la ragazza, sospendendo la voce alla fine della frase.
Subito Bu-ling si mise a saltellare eccitata, tenendo il braccio sollevato. “Oh, oh, oh! Bu-ling lo sa!”
Minto si girò a guardarla. “Ma non mi dire!”, esclamò con tono incredulo.
“Trenta o trentun giorni! Febbraio ne ha ventotto!”, dichiarò la più piccola, con un sorrisone trionfante. “Lo date a Bu-ling qualche spicciolo per la sua cultura?”
Minto alzò gli occhi al cielo. “E brava Bu-ling, per questo, paga raddoppiata! Grazie per averci illuminato.”
Zakuro le rivolse un sorriso indulgente. “Non credo che Retasu intendesse esattamente questo.”
“È una buona obiezione, infatti”, annuì preoccupato Masaya, con gli occhi dei suoi amici puntati contro. “Chi ci dice che Flan abbia il nostro concetto di mese? Chissà sul loro pianeta quanto dura un mese. Waffle avrà detto a Angel che il loro periodo di lutto è di due mesi, ma magari un mese loro equivale a due settimane nostre, chi lo sa.”
Ichigo ed Angel si guardarono nervose, poi volsero lo sguardo verso Ryou, in attesa che il loro capo, facendo uso della sua grande intelligenza e senso critico, desse loro una soluzione.
Al che il ragazzo più grande socchiuse gli occhi, incrociò le braccia e si appoggiò con la schiena al muro, nella tipica posizione che prendeva quando compiva grandi sforzi mentali.
“Sto pensando…” mormorò fra i denti, per intimare agli altri di non disturbarlo.
Passarono altri minuti, con il solo rumore del ticchettio dell’orologio al muro e di Keiichiro che dalla cucina lavava i piatti. Gli altri ragazzi erano inchiodati ai loro posti, senza muoversi e senza smettere di guardarlo.
Finalmente Ryou riaprì gli occhi. “È un dubbio che avrebbe senso se questa storia dei due mesi fosse venuta fuori dalla bocca di Flan mentre era da solo. In questo caso, sarebbe probabile che avrebbe usato un’unità di tempo che rispecchiasse quella del suo pianeta d’origine. Ma lui questo periodo di tempo l’ha trasmesso a suo figlio…”
Guardò Angel. “Che, se ho capito bene, non era mai stato su quel pianeta. Lui è nato e cresciuto sulla Terra, me lo confermi?”
Lei annuì.
“Bene. Ecco perché Flan, parlando con Waffle e dovendo farsi capire da lui, ha di sicuro convertito i periodi di tempo che usava sul suo pianeta in modi di misurazione che possono essere compresi da un ragazzo nato qui sulla Terra. Quando Flan gli ha detto mese, intendeva i nostri mesi, visto che il lutto per sua madre Waffle ha dovuto scontarlo qui, non certo sul pianeta da cui suo padre proveniva. Ed anche perché Waffle, avendo sempre vissuto qui, non aveva idea di come passasse il tempo sul pianeta paterno, ma aveva la concezione dei nostri giorni, mesi e anni. E quelli aveva in mente, quando ha parlato con Angel. Sarà stato un alieno, ma aveva una mente terrestre.”
Fece scorrere gli occhi sul gruppetto davanti a sé che lo guardava fisso e ammirato.
“Ecco perché sono sicuro che non ci sia ragione di preoccuparsi. Saranno due mesi. I nostri mesi”, sentenziò gravemente.

A fine turno serale, lungo la strada per tornare a casa, Masaya era pensieroso. Ora veniva il difficile. A dire il vero, la sua vita era sempre stata difficile, almeno fino agli ultimi tempi, ma questo… non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto dire esattamente, perché non si ricordava nemmeno una volta in cui avesse chiesto qualcosa ai suoi genitori. Non gli aveva mai chiesto di comprargli un giocattolo, di portarlo da qualche parte, un favore, niente. Un po’ perché da piccolo tendeva ad evitare ogni rapporto con loro – come con qualunque altra persona, del resto – che non fossero quelli imposti dalla formalità e dal costume sociale, un po’ perché, essendo quelli che l’avevano tirato fuori dall'orfanotrofio, suscitavano in lui un senso di debito perenne che lo metteva a disagio e non lo faceva sentire autorizzato a chiedergli alcunché, ed un po’ perché sapeva che non c’era davvero niente che avrebbero potuto fornirgli. Tutto quello che lui aveva, a livello umano e affettivo, solo i suoi amici avevano saputo darglielo; e fra loro spiccavano, ovviamente, la sua compagna Ichigo e sua figlia Angel.
Ma stavolta non poteva sottrarsi. Doveva farsi avanti e chiedere loro di concedergli quei giorni lontano da casa. Tutto quello che doveva fare era ripetersi che non lo stava facendo per un suo egoismo personale, ma per la sua amata figlia. Solo per lei avrebbe fatto una cosa del genere.
“A cosa pensi, Masaya?”, gli chiese Ichigo preoccupata, che camminava di fianco a lui. “A quel viaggio che farete, vero?”
Il ragazzo la guardò: Ichigo era l’unica persona in grado di leggergli dentro, nonostante cercasse sempre di mantenersi imperturbabile.
“Sì. Ma ancora non è detto che sarà fatto.”
Lei si fermò. “Ma se andrà in porto, io come farò senza di… senza di…?”, chiese con la voce incerta.
Anche lui smise di procedere, le si mise davanti appoggiandole le mani sulle spalle.
“Non sarà per tanto tempo, solo una settimana. Tra la fine delle medie e l’inizio delle superiori. Dovrai passare queste brevi vacanze senza di noi, ma voleranno, vedrai”, le disse incoraggiante.
Ichigo lo guardò per un po’, poi distolse lo sguardo abbassando gli occhi a terra.
“È difficile anche per me separarmi da te, Ichigo. Ti capisco benissimo. Ricordati però che non lo sto facendo per me, ma per Angel, e per estensione per tutti. Se lei imparerà bene avremo più possibilità di vincere.”
La ragazza rimase pensierosa per un po’, poi ribatté, convinta: “allora vengo anch’io.”
Lui le tolse le mani dalle spalle, sorpreso. “Come?”
“Vengo con voi”, ripeté Ichigo. “Staremo insieme noi tre.”
Il giovane elaborò per alcuni istanti quella possibilità nella mente, ma poi scosse la testa con decisione. “No, Ichigo, questa non sarà, in nessun modo, una settimana di svago. Non andiamo là per divertirci, ma perché devo insegnare ad Angel una tecnica pericolosa. E sarà un allenamento molto concentrato, perché abbiamo pochissimo tempo. Lei, per quei pochi giorni, non dovrà avere in testa nient’altro che questo. Tu non puoi contribuire in nessun modo al suo addestramento, anzi, potresti finire col distrarla. Devo essere io solo con lei.”
Ichigo lo guardò in viso, angosciata. “Ma lei, lontana da me per tutti quei giorni… se solo ci penso… come faccio ad assicurarmi che Angel starà bene, se non venendo con voi?”
Masaya allora capì: aveva creduto che le obiezioni di Ichigo si riferissero a lui e a sua figlia in modo uguale, e specificamente che avesse paura di soffrire di nostalgia. Ma non era così: lei non aveva paura tanto di sentire la loro mancanza, quanto di vedersi portare via Angel, anche se solo per pochi giorni. Rifletté sulle parole giuste da dire. Sospirò e si morsicò il labbro inferiore, poi parlò alla ragazza in modo molto serio. “Ichigo, io… noi… avevamo già fatto un discorso simile un po’ di tempo fa. Lo so che vuoi proteggerla, capisco come ti senti, perché anch’io sento le stesse cose per lei. Ma devi capire che su alcune cose bisogna tirarsi indietro, e certi sentimenti bisogna tenerseli per sé. Questo l’hai capito, hai fatto dei grossi passi avanti. Prima volevi addirittura costringerla a smettere di combattere. Ora l’hai ripresa nella squadra, e non hai più niente da dire su questo. Ma so che per te è molto difficile. Non sei preparata, di pancia, a vederla star male, soprattutto fisicamente. Tu non mi hai visto quando l’ho addestrata la scorsa estate, ma devi credermi: quando alleno un allievo, sono un maestro molto duro. Chiedilo ai miei ragazzi del kendo. Chiedilo a chi ti pare. Alcuni di loro, i piccoli del primo anno e meno forti di carattere, a volte si mettono a piangere dopo che li ho sgridati. Chiedilo anche ad Angel. L’ho fatta finire a terra diverse volte quando l’ho allenata, l’ho fatta arrivare al limite delle sue forze, usciva da quella palestra esausta, e aveva dolori dappertutto. Lo sai che la amo, ma quando arriva il momento di allenarla non mi faccio intenerire in nessun modo. Non sopporteresti di vedermi addestrarla. Prima o poi ti intrometteresti, cercheresti di farmi diventare più indulgente. E se farai così, rovinerai tutto. Per favore, Ichigo, resta a casa. Non insistere per venire con noi. Lascia che lei si stacchi da te. Anch’io ho cercato di separarmi da lei da tempo, adesso le starò vicino un’ultima volta perché ha di nuovo bisogno che le insegni, ma poi lei prenderà la sua strada lontano da me. Sai che fra poco se ne andrà. Se vogliamo dimostrarle che le vogliamo bene, dobbiamo lasciarla andare. Tu devi lasciarla andare.”
Ichigo lo guardò sbalordita, ed abbassò la testa, con lo sguardo un po’ offeso. Masaya rimase zitto, agitato, temendo di essersi spinto troppo in là. Ma alla fine, dopo un lungo sospiro, Ichigo rialzò il capo e disse con tono più sereno, ma non senza difficoltà: “hai ragione tu. Vai pure solo con lei. Conterò i giorni che mancheranno al vostro ritorno.”
Il ragazzo rise fra sé e sé: come aveva potuto pensare che la sua ragazza non avrebbe potuto capire le sue ragioni? La strinse forte premendosela contro il petto, ma, mentre sentiva Ichigo ricambiare l’abbraccio, la udì avvertirlo, anche se si sentiva che stava scherzando:
“sta’ attento, che quando tornate la controllo. Se non me la riporti tutta intera, guai a te!”
Stavolta il ragazzo si mise a ridere per davvero, e non solo dentro di sé, e le stampò un bacio sulla bocca.

Risolta la questione con la fidanzata, arrivato sulla porta di casa, Masaya esitò per un momento prima di aprirla. Ma alla fine si decise e si fece avanti. Come aveva pensato: non c’era nessuno, poteva capitare che i suoi genitori a quell’ora cenassero con i loro dipendenti, e rientrassero quando lui stava già dormendo. Solo Rau lo accolse scodinzolando, come faceva sempre.
Il ragazzo si accucciò per accarezzargli la testa, poi si ritirò in camera sua, incerto sul da farsi. Non sapeva se aspettare che tornassero e chiederglielo quella sera stessa, oppure alzarsi un po’ prima la mattina dopo. Scelse la seconda opzione: era assai frequente che in una cena aziendale girasse fra i tavoli un po’ di saké di troppo, e forse, se li avesse aspettati quella sera, non sarebbero stati nemmeno in grado di prestargli l’attenzione che gli era dovuta. Puntò la sveglia alle sei, mezz’ora prima del solito, e si mise a letto, facendo ciondolare un braccio accarezzando lentamente la schiena di Rau acciambellato lì accanto, finché non si fu addormentato; non fu una cosa immediata. Come tutte le volte in cui era in ansia e in apprensione, pensò a lungo a che tono era meglio usare e le parole precise da dire. Anche se era certo che, quando si fosse trovato nella situazione, si sarebbe scordato tutto e avrebbe dovuto improvvisare.
Quando la sveglia suonò era ancora notte fonda. Masaya si alzò con fatica, perché aveva dormito poco e male. Ma non avrebbe rimandato: aveva deciso che avrebbe parlato coi suoi genitori quella mattina stessa e l’avrebbe fatto. Perciò uscì cauto dalla sua stanza ed entrò, piano ma senza mai arrestarsi, nella loro camera. Nel buio, si avvicinò al letto matrimoniale, e chiamò bisbigliando:
“mamma… mamma?”, scuotendo appena la donna per la spalla.
I genitori di Masaya non si sarebbero svegliati molto più tardi del suo orario abituale, per cui sua madre non stava dormendo di un sonno profondo.
“Mmmh… Masaya-kun? Che succede…?” chiese con voce strascicata.
Il ragazzo si abbassò in modo che lo potesse sentire meglio. “Devo parlare con te e col babbo… è importante.”
Nel buio, la donna lo guardò per un attimo con l’aria attonita, poi si alzò a sedere e si voltò verso suo marito addormentato, scuotendolo per un braccio.
“Svegliati, svegliati, caro”, lo esortò con una certa urgenza nella voce.
Dopo poco, anche l’uomo si svegliò. “Che succede? È presto…”, chiese con tono seccato.
La donna accennò con la testa al figlio. “È Masaya-kun. Dice che deve parlarci.”
“Davvero?” chiese il padre, senza più traccia di sonno nella voce. Si tolse le coperte di dosso e si tirò su a sedere.
“Che succede, ragazzo?”, chiese con tono apprensivo ma condito di quell’austerità patriarcale così tipica negli influenti padri giapponesi.
“Ecco…” fece Masaya, confuso. Si era scordato tutto. Proprio come si aspettava sarebbe successo. Non gli restava che andare sul diretto. “Vorrei chiedervi una cosa. Il permesso per fare una cosa.”
I due coniugi sbarrarono gli occhi, e la madre accese l’abat-jour sul comodino. “Vuoi chiederci qualcosa, Masaya-kun?”
“Sì, il permesso… per star via un po’ di giorni. Una settimana, diciamo.”
I suoi genitori si guardarono perplessi. “E dove vorresti andare?”, chiese la madre, incuriosita.
“Sulle Alpi. Non sono molto distanti da qui.”
“Da solo?”, chiese dubbioso il padre.
“No, babbo, certo che non andrei da solo”, rispose subito Masaya.
Il signor Aoyama allora allargò la sua espressione in un sorriso soddisfatto. “Aaah, ti ho capito, mio caro ragazzo. Hai intenzione di andare in vacanza con la tua fidanzata quest’estate. La scorsa estate siete andati col vostro gruppo di amici, ma quest’anno ti senti pronto per andare solo con lei. Hai la mia piena approvazione. Vedrete come starete bene col caldo di quest’estate.”
“No, veramente, babbo…” cercò di interromperlo Masaya. Ma ormai suo padre era lanciato e non sembrava intenzionato a fermarsi.
“Così dovete fare, qualunque cosa che possa unirvi di più va incoraggiata. Del resto, mi aspetto che fra sei anni convoliate a giuste nozze, dovrete pure abituarvi a vivere insieme da soli, anche se solo per pochi giorni.”
“Ma caro”, lo fermò sua moglie. “Perché non aspetti? Il ragazzo sta cercando di aggiungere qualcosa.”
“Grazie, mamma. Non è questa estate. È durante le vacanze di fine anno scolastico.”
“Cosa?!”, chiesero i due genitori esterrefatti. “Vorreste andare in montagna a marzo? Con questo freddo?”
“E…” aggiunse Masaya. D’accordo, quello che stava per dire non era strettamente necessario. Avrebbe potuto benissimo mentirgli e fargli credere che davvero andasse con Ichigo. Ma non se la sentiva di farlo. Per tutta la sua vita li aveva ingannati. Era ora di finirla e comportarsi in modo onesto e pulito coi suoi genitori adottivi. “Non è con Ichigo che voglio andare. È con una… amica.”
Il signor Aoyama alzò un sopracciglio. “Amica? E chi sarebbe? Perché invece non vai con la tua ragazza?”
“È solo un’amica, babbo, te lo assicuro, non c’è niente fra noi”, insisté Masaya. “Io amo moltissimo Ichigo e continuerò a stare con lei, e la sposerò appena mi sarà possibile. Come speri anche tu. Ma questa volta ho bisogno di queste giornate con questa mia amica. Ichigo lo sa ed è d’accordo.”
Il padre incrociò le braccia e non disse nulla, pensieroso.
“Babbo, mamma, vi prego” chiese ancora il giovane con enfasi. “È una cosa importante. Vi prego, lasciatemi andare.”
Il padre non sembrava convinto. “Masaya-kun, sai bene che io e tua madre per te vogliamo solo il meglio. Non è tanto il fatto che tu vada con una tua amica che mi disturba. Se la tua fidanzata ti ha detto che per lei va bene, io non ho nulla da dire. Né che tu vada in montagna a marzo, perché se ci si organizza bene, anche una vacanza in un luogo freddo può essere piacevole. Ma è il periodo che non mi piace.”
Masaya lo guardò interrogativo.
“Figlio, tu vorresti andare in montagna durante l’intervallo di vacanza. E questa non sarà una vacanza qualunque. Sarà il periodo di passaggio dalle medie alle superiori. Sai quanto sono difficili le superiori? Quanto è impegnativo il programma? Sai che bisogna iniziare a portarsi avanti prima dell’inizio dell’anno scolastico, per riuscire bene? Cosa potrebbero dire i miei dipendenti e i miei clienti, se si venisse a sapere che il figlio del loro capo nell’attesa di iniziare le superiori, va in giro a bighellonare invece di studiare?”
Il giovane rimase interdetto e non riuscì a rispondere.
“Ricordati, Masaya-kun, che tu non sei un ragazzo qualunque. Te l’ho sempre detto, e te lo ripeterò ancora: sei il figlio del proprietario di una delle aziende più importanti di Tokyo. L’ho amministrata per molti anni, e vedo in lontananza il momento in cui mi ritirerò. Tu dovrai prendere il mio posto, quando sarà il momento. Non puoi comportarti senza pensare che la gente ci parlerebbe dietro se facessimo qualcosa di sconveniente. Lo sai che accadrebbe se i miei clienti pensassero che sono un uomo poco serio? Se pensassero che l’erede del proprietario pensa a svagarsi invece di impegnarsi nei suoi doveri? Se dovesse venirgli in mente che il fatto che pensi a svagarsi trascurando la scuola si tradurrà poi nel trascurare il lavoro? Si rivolgerebbero altrove. E i miei dipendenti potrebbero iniziare a mormorare e a peggiorare nel rendimento. Ma Masaya-kun, non puoi macchiare in questo modo il nome della nostra famiglia.”
Masaya cercò di ribattere a questa argomentazione, ma lì per lì non gli venne niente. Questo era qualcosa a cui non aveva proprio pensato. Non credeva che il suo comportamento avrebbe potuto macchiare il nome della loro azienda.
“Passi l’ospitare per la notte la tua fidanzata qui. Non oso immaginare cosa potrebbero pensare i miei dipendenti se vi vedessero uscire di casa insieme la mattina. Se pensassero che il figlio del loro capo dorme con una ragazza senza che siano sposati. Una cosa è farsi una vacanza fuori, dove non vi conosce nessuno, una cosa è palesarsi agli occhi delle persone che lavorano per me. Ma questo te lo lascio fare, perché so che siete fidanzati e mi hai già assicurato che sarà la tua sposa. Non sarebbe un grosso danno se si sapesse in giro. Ma passare l’intervallo tra le medie e le superiori andando in montagna invece di portarti avanti col programma… no, figlio, questo no! Dovrai aspettare le vacanze estive.”
A questo punto sua moglie, che per tutto il discorso non aveva smesso di scrutare il ragazzo in viso, si girò verso il marito e gli chiese, accorata:
“ma dico, caro, ti sei sentito?... Nostro figlio sarà anche il tuo erede, ma è pur sempre un ragazzo che ha bisogno dei suoi spazi e della sua vita privata.”
Prese tra le sue le mani di Masaya, e si rivolse di nuovo al signor Aoyama.
“Ma non ti ricordi che lui, in tutta la sua vita, non ci ha mai fatto scomodare per nulla, non ha fatto che studiare, impegnarsi, vincere premi a kendo? Non vedi che anche adesso non fa altro che studiare e lavorare? E in tutta la sua vita non ci ha mai chiesto nemmeno un po’ di soldi o un regalo? Non ti ricordi quanto ero addolorata i giorni prima di Natale o del suo compleanno, che ogni volta dovevo inventarmi qualcosa da regalargli, perché lui non mi aveva mai espresso nemmeno un desiderio? E mi chiedevo ma perché?, perché mio figlio non si comporta come tutti gli altri bambini? Perché non fa mai i capricci e non mi chiede mai di comprargli un giocattolo? Non ti rendi conto di cosa significhi per una madre questo? Come puoi negargli qualche giorno di svago, se è di questo che ha bisogno? Anche noi gli dobbiamo qualcosa, non è solo lui ad avere dei doveri verso di noi. Ed è la prima volta che gli sento chiedere una cosa simile, e con un tale ardore e desiderio, poi…”
Il signor Aoyama abbassò lo sguardo a quelle parole, e non rispose. La signora tornò a rivolgersi al ragazzo, con la voce tremante di commozione.
“Vai, Masaya-kun, vai pure in montagna. Lascia perdere per un po’ i libri, lo studio, lo sport. Va’ con la tua amica, e pensa solo a divertirti. Consideralo il nostro regalo di promozione. Perché sei stato così bravo per tutti questi anni, ti sei impegnato, e non ci hai mai deluso. Però mi raccomando, chiamami tutte le sere e fammi sapere come stai.”
Masaya era rimasto a guardarla sbigottito. Non si aspettava minimamente che sua madre potesse tirare fuori tutto quel sentimento. Non immaginava che potesse nascondere dentro un tale senso di dolore perché lui, per forza di cose, non si era mai comportato come un bambino normale, come quel bambino che lei avrebbe tanto voluto e non aveva potuto avere da sola.
“Sei il miglior figlio che potessimo desiderare. Sono contenta che mi hai espresso questo desiderio, sono contenta”, aggiunse la donna con la voce che andava a singhiozzi.
“Oh, mamma…” mormorò Masaya, sentendosi gli occhi bruciare. Le strinse le mani e se le strofinò sulla guancia, sentendo delle lacrime silenziose che gli scendevano per il viso.
Decise che avrebbe chiamato sua figlia appena sarebbe arrivata la mattina. Era talmente eccitato ed impaziente che non sarebbe riuscito ad arrivare all’ora in cui avrebbe dovuto incontrarla di persona.

Il giorno dopo, all’ora di colazione, il telefono di Ryou squillò.
“Pronto, Aoyama? Allora?”, chiese subito il più grande, che era in cucina seduto al tavolo.
“Shirogane-san. Mi passi Angel, per favore?” La sua voce era trepidante ed emozionata, e Ryou capì al volo quali erano le notizie.
Coprì con la mano il microfono, si diresse ai piedi delle scale e gridò verso l’alto: “Angel, c’è tuo padre al telefono, vieni giù!”
La ragazza si precipitò al piano di sotto abbottonandosi la gonna della divisa e gli strappò la cornetta dalle mani.
“Masaya, sì?”, chiese col fiato sospeso.
Ryou, che era lì vicino, riuscì a sentire cosa stava dicendo. “Angel, ti devo dire… andiamo in montagna, alla fine. Ad allenarci. Sei contenta?” Aveva il tono molto emozionato.
Ad Angel si fermò il respiro. “Ma quindi andiamo… andiamo veramente in montagna? Io e te, ci andiamo ad allenare?”
Ryou alzò lo sguardo al soffitto. “Ma se te l’ha appena detto…”
“Ssshh”, lo zittì Angel, prima di tornare a rivolgersi al padre. “E… perché mi hai telefonato? Non andiamo a scuola insieme, dopo?”
“Sì, ma… volevo dirtelo prima possibile. Non potevo aspettare di venirti a prendere”, fu la risposta trepidante di Masaya. “Oggi pomeriggio insieme a Shirogane-san decideremo tutto per bene.”
Appena ebbe chiuso la comunicazione, Angel saltò al collo di Ryou in piena euforia.
“Evviva, evviva, andiamo in montagna, io e mio padre andiamo in montagna! Andiamo ad allenarci, lui mi insegnerà tutto! E poi nella natura, nel silenzio, tra gli alberi, nella neve! Senza palazzi, senza comodità, nella frugalità!”
Ryou allora le afferrò i polsi e la staccò da lui. “E se vorrai farmi un favore”, le disse con ironia, “rimanici pure, in montagna.”
“Se in questo modo non dovessi più vederti, volentieri!”, rispose Angel facendogli la lingua. Non smise di parlare in preda all’eccitazione di tutte le cose che avrebbe fatto in montagna col suo amato padre, finché Masaya e Ichigo non la vennero a prendere come tutte le mattine.
“Per fortuna…” sospirò Ryou quando sentì il campanello. “Un altro po’ e la prendevo a sprangate.”
“Leader!”, gridò Angel precipitandosi fuori dalla porta. “Sapessi, leader! Io e Masaya andiamo…”
“Non c’è bisogno che me lo dici, so già tutto”, la interruppe Ichigo con un risolino. “Ho fatto la strada con lui e mi ha detto.”
“E sei contenta che andiamo?” le chiese Angel con voce emozionata.
Ichigo ci mise alcuni secondi per rispondere e, quando lo fece, non sembrava molto genuina. “Certo.”
Anche Ryou era uscito insieme ad Angel. “Allora oggi pomeriggio decidiamo tutti i dettagli. Aoyama, vieni un po’ prima delle altre, così prima del lavoro e senza clienti ci potremo organizzare con calma.”

Quando Masaya arrivò al Caffè, Keiichiro, Ryou ed Angel avevano appena finito di mangiare. A parte loro, non c’era ancora nessuno.
“Andiamo a controllare al computer”, disse Ryou.
Quando furono nello studio, Masaya ed Angel si misero a sedere ai due lati del loro capo, fissando lo schermo.
“La zona che ho trovato, e Aoyama già lo sa, si trova sui monti Hida, nella prefettura di Nagano. È una parte di montagna più inaccessibile delle altre, e quando c’è la neve non c’è turismo in quella zona. I centri abitati sono lontani, e l’unica cosa che possa ricordare l’esistenza umana sono delle baite che vengono affittate agli escursionisti d’estate. Se come posto vi va bene, telefonerò oggi stesso al proprietario per prenotarne una.”
“Per noi va benissimo. Vero?”, rispose subito Angel girandosi verso Masaya, che annuì.
“Quando andrete?”, volle sapere il capo.
“Una settimana, non di più”, rispose Masaya. “Questo sono riuscito ad ottenere. Dall’8 al 14.”
“Quindi sei notti. Fin qui ci siamo…” Controllò le informazioni relative ai trasporti. “Da Tokyo alla città di Nagano ci arrivate tranquillamente col treno, sono solo due ore e mezzo. Ma per arrivare fino alla baita non ci sarà nulla. Vedrò di pagarvi un taxi per farvi portare al più vicino villaggio, ma poi dovrete fare il resto della strada a piedi.”
“Nessun problema!”, esclamò Angel battendosi il petto con una mano. “Camminare non è mai stato un peso per me.”
“Neanche per me”, aggiunse il ragazzo più giovane. “Con gli allenamenti che faccio, ho una buona resistenza.”
Ryou controllò gli orari dei treni. “Se volete sfruttare al massimo le ore di luce per allenarvi, dovrete partire da qui molto presto. Anche durante la notte. Fra tutto, almeno cinque ore vi ci vorranno.”
“Giusto, boss”, assentì Angel. “Sarà un po’ faticoso, ma dovremo fare così.”
“Bene, per quanto riguarda il periodo e i trasporti, non c’è altro”, concluse Ryou. “Resta tutta la parte della logistica, cosa portare per avere un minimo di comodità, il mangiare, e soprattutto le quantità. Ricordate che avrete gli zaini, porterete tutto il peso sulle spalle, dovete portare solo quello che vi serve. Anche il cibo dovete portarvelo dietro, ci vogliono due ore di cammino per arrivare dalla baita al villaggio, e non potete sprecare tempo prezioso per arrivare fin là. Ci servirà un po’ di tempo per calcolare bene tutto… sarà meglio rivederci i prossimi giorni, che adesso è ora di tornare di là.”
Ad Angel stavano brillando gli occhi. “Lo faccio io!”
I due ragazzi la guardarono sorpresi e dubbiosi. “Calcolo tutto io, ci penso io alla logistica. Fidati, sono abituata da quando ero piccola. Anche per il campeggio di quest’estate ho pensato a molte cose, ed è andato tutto bene.”
Il suo capo la guardò con indulgenza, poi si rivolse all’altro ragazzo. “Non pensi, Aoyama, che dovresti occupartene tu? O almeno noi due insieme?”
Masaya fissò per un istante l’espressione trepidante di Angel prima di rispondere. “Lasciamolo fare a lei, se è questo che vuole. Può darsi che effettivamente sappia come si fa meglio di noi due.”
Ryou ci rifletté un attimo, ma alla fine acconsentì. “D’accordo. Ragazza, non far sì che Aoyama vada a soffrire per le tue mancanze.”
Angel si mise una mano sul cuore. “Giuro. Mi si possa strappare l’onore dal petto se mi dimentico qualcosa.”
Tornando al piano di sopra, visto che Angel era andata più veloce di loro ed era fuori dalla loro portata, Ryou mormorò a Masaya:
“prega che tua figlia non abbia preso da sua madre. Se fa qualche errore nella logistica, poveri voi.”
Al più giovane venne da ridere. “Sta’ tranquillo, mi sembrava sicura del fatto suo. Comunque i prossimi giorni controllo quello che farà, se ci sarà qualcosa che non mi torna potrò intervenire.”
Al piano di sopra trovarono le altre ragazze, che nel frattempo erano arrivate.
“Shirogane-niichan!”, strillò Bu-ling. “Ichigo ha detto a Bu-ling tutto tutto! Anche Bu-ling vuole andare in montagna! Sarà buona e non darà fastidio!”
Ryou le mise una mano sulla fronte e la spinse indietro. “Guarda che non vanno mica in vacanza. Anzi, probabilmente Angel tornerà più morta che viva.”
“È vero, Bu-ling”, sorrise Retasu. “Vanno ad allenarsi perché Angel possa imparare a usare meglio quella strana luce blu.”
“Evidentemente le cose per Flan stanno iniziando a mettersi male”, commentò Minto con un ghignetto.
“Non dire sciocchezze”, le disse Ichigo, contrariata. “Non è mica un attacco come i nostri. Sarebbe meglio che non lo usassero mai, nemmeno se dovesse servire.”
“E a proposito di combattimenti…” aggiunse Retasu. “Per quella settimana in cui non ci sarete, dovremo combattere da sole, se servirà.”
“Già”, assentì Zakuro. “Faremo a meno di due elementi per un po’.”
Ryou si incrociò le mani dietro la testa. “Sarà una cosa nostalgica per voi tornare alle origini.”
Gli altri lo guardarono interrogativi.
“È vero”, spiegò Keiichiro. “Tornerete per un po’ a come quando eravate solo in cinque. Dopotutto, è da un anno scarso che Aoyama-san fa parte della nostra squadra, e Angel-san da ancora meno, da dieci mesi, se non erro.”
“E sì”, intervenne Minto con tono scocciato. “Torneremo ai tempi in cui Aoyama-san non c’era, e quindi ero io a dover tirare Ichigo fuori dai guai.”
“Che cosa hai avuto il coraggio di dire?!”, le inveì subito contro Ichigo, pronta a lanciarsi con lei nell’ennesima discussione.
Angel rise di cuore nell’assistere a quella scaramuccia. Mancava poco più di un mese alla partenza di lei e di suo padre. Era evidente che, in quel periodo di intervallo prima dell’allenamento, sarebbe trascorsa un’epoca tranquilla.

Ed effettivamente, a partire da quel momento, le cose cominciarono ad andare per il verso giusto. Ora che tutti i potenziamenti erano stati trovati, che Waffle era morto, e che si sapeva con precisione la data in cui Flan si sarebbe rifatto vivo senza possibilità di sbagliare, le uniche interruzioni al lento scorrere della vita erano dei chimeri deboli che ogni tanto spuntavano fuori. Ma apparivano sempre più raramente, ed era chiaro che di lì a poco non sarebbero rimasti nemmeno quelli.
Ora come mai prima le giornate procedevano uguali, ma stavolta c’era un animo diverso nella squadra: il sapere di preciso quando ci sarebbe stata la battaglia finale toglieva a tutti quel vago senso di inquietudine che prima, in modo inconscio, serpeggiava tra loro. Per le ragazze che erano già passate attraverso qualcosa di simile, ossia lo scontro col dio degli alieni, non era una gran impressione la prospettiva di una lotta contro Flan. Per quanto quest’ultimo potesse essersi potenziato, era ben fisso nella loro mente che si trattava pur sempre di un normale e ordinario individuo, al contrario di Profondo Blu. Erano sicuri di vincere contro Flan, per sopravvivere e andare avanti nelle loro vite. Così non era per Angel, che non aveva mai avuto l’onore di incontrare il dio alieno, e per la quale il nemico più potente contro cui avesse mai combattuto con successo era stato Waffle, ben più debole di suo padre. Per questo motivo, aspettava l’arrivo di quella data con trepidazione, ma anche con una certa tranquillità di fondo e con una consapevolezza di tipo diverso.
La giovane guerriera, infatti, aveva preso coscienza di un fattore importante: la sua disabilità, ben celata agli occhi dei suoi amici, non le avrebbe mai permesso di uscire viva da uno scontro con Flan. Inetta al combattimento com’era ora, era matematico che il suo nemico l’avrebbe ammazzata pochi minuti dopo l’inizio dello scontro, ed era sicura che contro di lui sarebbe morta. Ma non era la morte che lei temeva: quello di cui aveva avuto paura era il sentirsi inutile per la sua squadra. Finché questo requisito poteva venire soddisfatto, del resto non le importava. Anzi, per lei la morte in battaglia era il modo migliore e più onorevole di andarsene, in qualche modo persino esigeva quel tipo di fine. Fin da quando aveva cominciato a combattere, non aveva mai avuto dubbi che la fine della sua vita sarebbe avvenuta così, ed anzi, preferiva di gran lunga morire con onore combattendo per la sua patria piuttosto che di vecchiaia nel suo letto. L’unica cosa che le avrebbe fatto preferire il rimandare la sua morte era la prospettiva di ritornare nel suo mondo per continuare a proteggerlo da eventuali altri nemici. Ma, ora che era un’invalida, impossibilitata a proteggere il luogo da cui proveniva, che importanza aveva il ritornare nel suo tempo? La morte contro un nemico potente contro Flan sarebbe stata una degna conclusione per la sua esistenza travagliata. La data in cui l’alieno sarebbe apparso e avrebbe iniziato lo scontro contro di loro aveva segnato, per lei, l’inizio inesorabile di un conto alla rovescia per quanto riguardava la sua vita. Era sicura che non avrebbe mai visto il 19 marzo del 2004, e aveva preso tutto questo con filosofia: dato che, in ogni caso, era destinata a morire in battaglia, tanto valeva vivere al meglio tutti i giorni che le rimanevano, senza pensieri neri e godendo di ogni momento che poteva insieme ai suoi amici.  Con sempre in testa la consapevolezza che, con la decisione di utilizzare il Jinseikou, aveva ancora qualche prospettiva di utilità per i suoi compagni, e quindi la sua morte avrebbe avuto un senso e un perché. Angel si era aggrappata a questa speranza con tutte le sue forze, e questo le era bastato per mettere a posto i suoi conflitti interiori.

A parte la battuta di Minto di pochi giorni prima, nessuno più in squadra accennò al fatto che Angel si portasse in faccia una traccia permanente di una battaglia. Nessuno le propose più di tornare in ospedale per farsela togliere, e lei non accennò mai alla cosa, rimanendo fedele al concetto della cicatrice da portare sul corpo come un trofeo. Lei non doveva farsi bella per nessuno. Non si aspettava che nessuno, mai, l’avrebbe apprezzata esteticamente, e quindi di riflessioni sul piano esteriore non le importava. Si sarebbe presto abituata sia alla sensazione di avere un solco sulla fronte, sia agli sguardi impressionati e diffidenti delle persone che incrociava per la strada. Così come si sarebbe abituata, ogni volta che realizzava di avere in faccia quel ricordo che Waffle le aveva lasciato, a ripensare a quanto era cambiata in meglio nel suo modo di ragionare, alla sua mente che man mano si era aperta, ai suoi schemi mentali che erano cambiati, fino a mettere da parte i suoi pregiudizi e le sue errate convinzioni, e a giungere a considerare gli alieni una popolazione come un’altra, e non individui crudeli da uccidere indiscriminatamente. Inoltre, da un punto di vista puramente fisico, sentiva di essere grata al modo in cui era sistemata quella cicatrice, che sì era brutta, ma innocua e che non l’aveva portata – almeno quella – a menomazioni sul piano fisico. Sapeva che sarebbe bastato che Waffle l’avesse colpita anche solo due centimetri più in basso per renderla cieca da entrambi gli occhi, e questo sì che l’avrebbe esclusa per sempre dal combattimento. Non come la ferita alla pancia, che in qualche modo si poteva nascondere e sopportare.
E, a proposito di questo, nel breve periodo di tranquillità che li aspettava c’era solo una cosa da sistemare ancora…

“Tokyo Mew Mew, andate!”, gridò Ryou dopo che Masha ebbe rilevato un chimero ordinario.
Tutto il gruppo, in perfetta coordinazione, si lanciò per la via più spiccia verso il mostro. Per pura casualità questo era apparso nelle vicinanze, quindi Mew Ichigo non ritenne opportuno prendere la scorciatoia dei tetti. Arrivati sul posto – una piazza piuttosto grande – videro il chimero, alto quattro metri, che si era probabilmente sviluppato da una rana.
Tutta la squadra si mantenne stretta in un vicolo per valutare il nemico e decidere il da farsi, mentre il chimero si guardava attorno con pigrizia, non dando prova di molta sveltezza.
“Tranquilli, ragazzi, è facile”, disse subito Mew Ichigo. “Allora facciamo così…”
Prima che potesse proseguire, Mew Angel intervenne. “Leader, che ne dici se io lo distraggo un po’ e voi lo attaccate? Niente di elaborato”, chiese nel tono più distaccato possibile.
Mew Ichigo la guardò sorpresa. Di norma non capitava mai che Mew Angel desse suggerimenti o prendesse un’iniziativa nei piani prima che lei avesse finito di parlare. Certo, in passato era successo varie volte che sua figlia avesse preso in mano le redini dello scontro, e avesse svolto il suo compito di capo provvisorio più che bene, ma erano state tutte condizioni di necessità. Finora non l’aveva mai interrotta avanzando prima una sua tattica. In quelle parole, implicitamente, Mew Angel stava dicendo che una sua idea era migliore di quella della leader. Forse stava cercando di spodestarla?
“Mew Angel, aspetta che dica la mia strategia, prima di dare suggerimenti”, le disse allora, ferma, per farle capire chi era ad avere il comando del gruppo.
Sua figlia allora le rivolse uno sguardo supplichevole: “non ti deluderò come la volta scorsa, lo giuro”, al che Mew Ichigo tentennò. Capì che Mew Angel non voleva spingerla da parte, ma era un favore personale che le stava chiedendo. Ma sì, poteva anche concederglielo. Dal punto di vista della lotta, non sarebbe cambiato niente.
“Va bene”, annuì dopo averci pensato un po’. “Vai pure.”
L’altra abbassò un momento la testa in segno di riconoscenza e partì di corsa.
“Non finire come l’altro giorno, sennò stavolta ti lasciamo lì!”, le gridò dietro Mew Mint.
Mew Angel giunse veloce sul campo di battaglia, piazzandosi di fronte al mostro, con le orecchie tirate indietro e frustandosi le gambe con la coda. La rana la guardò infastidita e cercò di colpirla con una zampa palmata, al che la guerriera scartò di lato e, aggirando il chimero, si portò dietro di lui. La rana, allora, si girò per seguire la sua avversaria.
“Ci sta dando le spalle, Ichigo-neechan!”, esclamò Mew Pudding, eccitata e saltellando impaziente sul posto. “Perché non dai l’ordine? Andiamo, dai!”
“No, aspetta!”, la fermò la leader, mettendole la mano davanti.
I suoi compagni la guardarono stupiti. “Mew Ichigo… cosa ti succede?”, chiese preoccupata Mew Lettuce.
“Voglio vedere…”, mormorò Mew Ichigo, tenendo gli occhi fissi su Mew Angel.
Rimase a sorvegliarla per alcuni minuti, perché c’era qualcosa che ai suoi occhi non quadrava nel comportamento della compagna. Quella non era la prima volta che Mew Angel faceva la sua parte distraendo un avversario. Anzi, data la sua agilità, la sua prestanza fisica, la sua furbizia e la sua prontezza mentale, quello era proprio il punto di forza di sua figlia. Eppure… questa volta c’era qualcosa che non tornava. Mew Angel schivava sempre e faceva bene il suo lavoro di distrarre il mostro, però da quando aveva cominciato non aveva mai staccato i piedi da terra, non aveva dato sfoggio della sua immensa velocità e destrezza, sembrava mantenersi al minimo che lo scontro le richiedeva. Il mostro dava una zampata dall’alto in basso, e lei si spostava di lato. Il mostro dava un colpo da sinistra a destra, e lei si buttava in avanti sotto di lui. Si portava dietro la creatura, a una velocità tutto sommato abbastanza normale, il chimero si girava, e il tutto ricominciava. Se avesse dovuto definire quel modo di combattere, Mew Ichigo lo avrebbe chiamato legnoso. Era il metterci il minimo indispensabile per compiere il proprio dovere. No, c’era decisamente qualcosa che non andava. Poteva essere un comportamento accettabile da una qualunque delle altre Mew Mew, ma non da lei. Dalla prima volta in cui l’aveva vista combattere, Angel non si era mai comportata così: sua figlia non aveva mai visto nel combattimento un dovere fine a se stesso. Per lei prima di tutto era una gioia, un divertimento, un esprimere la propria personalità, un modo per sfogare la sua energia e la sua ferocia innata di bestia selvatica. Dov’era, ora, il divertimento in quello che stava facendo? Dov’erano la fantasia nelle sue mosse, la sua arguzia nell’escogitare sempre nuovi modi per confondere l’avversario, dov’era la gioia nel combattimento che in lei non era mai mancata?
‘Ma perché non gli salta sulla schiena?... Perché per non usa mai la forza per allontanare da sé il nemico?’, si chiese Mew Ichigo fra sé e sé, sempre più confusa. Se ripensava al selvaggio, terribile ma affascinante gioco di attacco e schivata che aveva usato con Waffle la notte di Natale, e lo comparava con quello che stava vedendo adesso, non poteva evitare di farsi venire un gran senso di avvilimento. E tuttavia non sapeva nemmeno trovare qualcosa da ridire in tutto questo, perché non poteva dire che sua figlia non stesse facendo quello che doveva fare. Il suo compito era distrarre il chimero, e lo stava facendo con successo – anche se, ai suoi occhi, nel modo più deprimente possibile.
“Che fai, Mew Ichigo, dormi?”, le bisbigliò Mew Mint da dietro.
Lei si riscosse. Non poteva prolungare la sua analisi all’infinito, quella rana rischiava di danneggiare i palazzi intorno. “Va bene, basta così! Attacchiamo!”, ordinò.
“Era ora!”, commentò seccata l’altra.
L’attacco combinato dei guerrieri arrivò sul fianco del mostro mentre quest’ultimo era impegnato a cercare di colpire Mew Angel con la sua lunga lingua appiccicosa, e la ragazza stava schivando con uno scatto veloce all’indietro.
Il chimero si dissolse subito, confermando il suo essere un avversario facile, come Mew Ichigo aveva predetto.
Mentre tutti erano felici del successo, e si facevano l’un l’altro i complimenti come facevano di solito dopo una missione portata a termine nel migliore dei modi, Ichigo si avvicinò ad Angel, che si era presa, festosa, Bu-ling sulla schiena.
“Mi spieghi che ti sta succedendo?”, le chiese nervosa.
Subito Angel si lasciò scivolare dal dorso la sua amica e si mise sull’attenti davanti a Ichigo.
“Ho svolto male il mio dovere, leader?”
Ichigo scosse appena la testa. “Perché non hai combattuto come al solito? C’erano un sacco di mosse e trucchi che avresti potuto usare contro quel chimero, che usi sempre quando distrai i nemici. Stavolta non li hai usati, perché?”
A quelle domande, anche il resto della squadra si era fatta silenziosa e si era messa in circolo attorno a loro, in apprensione.
“No, non li ho usati”, ammise Angel. “Ho combattuto in un modo diverso. Ma è andato tutto ugualmente bene, o no?”
Ichigo non riusciva a capire perché sua figlia rispondesse alle sue domande con altre domande.
“C’è qualcosa che mi stai tenendo nascosto, Angel?”, le chiese in modo molto serio.
“Pensi che ti stia nascondendo qualcosa?”, rispose Angel in un’altra domanda, anche se nel modo più rispettoso possibile.
Ichigo non sapeva cosa replicare. Perché Angel non le rispondeva semplicemente dicendo o no? La fissò con insistenza negli occhi come a sperare di trovare la risposta nel suo sguardo. Ma alla fine non trovò nulla da dire: il combattimento era andato bene, nessuno di loro si era fatto male, e d’accordo, Angel aveva combattuto in un modo per i suoi costumi molto strano, ma non poteva accusarla di questo. E non poteva nemmeno pretendere che lei le rendesse conto dei motivi, dal momento che non era mancata al suo dovere.
“No, niente”, concluse in un mormorio. Guardò i suoi amici. “Forza, rientriamo.”

Al rientro al Caffè, Angel si precipitò in bagno, si chiuse la porta alle spalle, ci si appoggiò con la schiena e tirò un gran sospiro di sollievo. Ce l’aveva fatta. Era riuscita a fare la sua parte nel combattimento di quella giornata, riuscendo a conciliare la sua grave disabilità fisica col lavoro di gruppo. E per di più non aveva avvertito neanche un dolore alla pancia! Si era sentita un po’ sfacciata quando aveva interrotto la leader mentre stava parlando, ma non aveva potuto fare a meno di farlo: non osava immaginare cosa sarebbe successo se lei le avesse ordinato di attaccare direttamente con la sua arma il chimero, o di compiere su di lui un attacco dall’alto dei grattacieli. Certamente il suo corpo l’avrebbe tradita e tutti si sarebbero resi conto che in battaglia sarebbe stata solo un peso morto. Si era sentita i brividi lungo la schiena quando Ichigo l’aveva interrogata, ma in qualche modo, mantenendo l’autocontrollo, era riuscita a cavarsela. Si sentiva abbastanza orgogliosa di se stessa: aveva convinto la leader senza il bisogno di mentirle dicendole che stava benissimo. E questo rendeva il suo onore ancora intonso: non avrebbe sopportato di partecipare ai combattimenti in futuro senza che Ichigo fosse più preoccupata perché lei le aveva mentito.
‘Va tutto bene’, si disse, convinta. 'Ora devo mantenere questo modo di combattere. È un modo di lottare insignificante, se conto quello che riuscivo a fare prima. Ma ancora posso combinare qualcosa. Se vado avanti così, potrò ancora essere utile ai miei amici.’
Restava ancora un problema: l’allenamento con suo padre. Angel, anche adesso che ancora non avevano fatto programmi, sapeva che non sarebbe stato per niente semplice. Anzi, era più probabile che lui l’avrebbe messa sotto e l’avrebbe fatta sfiancare dalla fatica. L’avrebbe sottoposta a sforzi immani e le avrebbe fatto dar fondo a ogni sua briciola di energia. Era assai probabile che in questo modo i suoi dolori le sarebbero tornati, e se voleva dare un senso a quell’allenamento non poteva evitare gli esercizi che suo padre le avrebbe assegnato. Come avrebbe fatto ad aggirare il male che sarebbe ricomparso, ancora non riusciva ad immaginarlo. Ma per il momento decise di non pensarci. Quando si fosse trovata nella situazione, avrebbe escogitato un modo per cavarsela.
Ora solo una cosa era importante: vivere al meglio l’ultimo periodo dell’inverno, quelle poche settimane di pace che rimanevano, con la serenità e la felicità nel petto, insieme ai suoi amici, nell’attesa dell’allenamento con suo padre prima, e del combattimento contro Flan poi.

 

--

Pensate che questa qui doveva essere solo la prima parte di un capitolo molto più lungo. Volevo concentrare la parte tranquilla e slice of life tutta in un capitolo solo, ma alla fine mi sono resa conto che veniva fuori una roba spropositata e dovuto spezzarlo in due.

A presto e al prossimo aggiornamento!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Xion92