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Autore: _Lightning_    18/08/2018    5 recensioni
Dalla soglia, Steve poggia le nocche sullo stipite. Esita, nonostante quella sia la sala comune e Shuri gli abbia assicurato che è a completa disposizione di tutti loro – di chi è rimasto. Esita pensando che durante le esequie non l'ha visto [...]. Esita perché sono passati due anni e non ha mai ricevuto una sua chiamata.
Bussa sul legno con tre colpi leggeri.

[post-Infinity War // PoV Steve // Civil War fix-it]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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Serie: Schegge
 

 

 

Speaking Terms

 

 

 

 

"What have I become
My sweetest friend?
Everyone I know
Goes away in the end"


[Hurt – Johnny Cash]

 

"Weep not for roads untraveled
Weep not for sights unseen
May your love never end
And if you need a friend
There's a seat here alongside me"

[Roads Untraveled – Linkin Park]

 


A prima vista potrebbe sembrare il salotto di un qualunque appartamento newyorkese, non fosse per la mandria di zebre sparpagliata nella savana giallognola che si stende a perdita d'occhio oltre l'ampia finestra. Non si abituerà mai a quella vista così inusuale, considera Steve.

Si ferma sulla soglia della sala comune senza decidersi a varcarla, con le spalle incurvate. 
Lo vede seduto al tavolo. Anche lui ha ancora un sobrio completo nero addosso, con la cravatta slacciata; gli occhiali da sole posati accanto a lui si riflettono sulla lucida superficie di vetro. Gli dà il fianco, ma la testa è rivolta verso la vetrata, forse incuriosito dal panorama esotico, forse semplicemente assorto nei suoi pensieri. Tiene le braccia distese sul tavolo con le dita intrecciate davanti a sé, in una posa che sembra quasi d'attesa.

Dalla soglia, Steve poggia le nocche sullo stipite. Esita, nonostante quella sia la sala comune e Shuri gli abbia assicurato che è a completa disposizione di tutti loro – di chi è rimasto. Esita pensando che durante le esequie per T'Challa e i caduti non l'ha visto, se non di sfuggita nelle retrovie, dalle quali si è defilato alla prima occasione utile. Esita perché sono passati due anni e non ha mai ricevuto una sua chiamata.

Bussa sul legno con tre colpi leggeri. Tony volta rapido la testa. Tradisce un lieve moto di sorpresa nel vederlo, non tanto accentuato da poter dire che non si aspettasse di vederlo lì.

È dimagrito, constata Steve a colpo d'occhio. È invecchiato, conclude quando lo guarda in volto, segnato da più rughe di quante ne ricordasse e con qualche filo grigio a screziargli il pizzetto. Sotto la camicia fa capolino la sagoma azzurrina di quello che sembra un nuovo reattore arc. Sa che anche Tony sta prendendo nota dei suoi cambiamenti, dai capelli troppo lunghi alla barba quasi incolta, alle evidenti contusioni sul suo volto.

Steve rimane in silenzio, pur sapendo che dovrebbe essere lui a romperlo per primo. Come si saluta la persona che ti ha attaccato e ha tentato di uccidere il tuo migliore amico due anni prima? Percepisce la stessa difficoltà da parte di Tony: come si saluta la persona che ti ha mentito e fracassato il petto due anni prima?

«Capitano,» proferisce infine a mo' di saluto, riecheggiando la prima volta che si sono incontrati a Stuttgart, quando ancora si illudevano di poter sconfiggere gli dèi.

La sua ironia gli risulta come sempre indecifrabile. Non lo corregge sul titolo, non se ne risente, lascia correre.

«Tony,» replica con un cenno impercettibile del capo, senza ulteriori formalità.

Lui si gira del tutto e nel farlo si tiene il fianco ferito, senza tentare di nascondere il gesto come ci si aspetterebbe da lui. Lo scruta impassibile, provato da uno scontro di cui Steve ha ricevuto solo resoconti confusi e contraddittori.

«Hai intenzione di rimanere lì impalato per il puro gusto di irritarmi?» lo riscuote infine, col suo solito tono disincantato.

Steve non risponde, ma varca la soglia e avanza, rimanendo a un paio di misurati passi dal tavolo. Incrocia le braccia e gli sovviene Lipsia a parti invertite, con un tavolo simile tra loro, un ramoscello d'ulivo rifiutato e parole aspre a dividerli.

«Vorrei dire che non mi aspettavo di vederti qui,» esordisce Tony.

Fa una pausa studiata e lo squadra reclinandosi con fare indolente sullo schienale, sfregandosi con fastidio un graffio sulla tempia.

«Sono sempre stato piuttosto prevedibile,» ammette Steve, ponendosi in modo conciliante.

«Non direi,» lo rimbecca asciutto lui, prima di comprimere le labbra in una piega dura.

Il vento gelido della Siberia si insinua tra loro, filtrando da crepe insanate.

«Chi abbiamo perso, oltre a Occhi di Gatto e Jarvis 2.0?» divaga Tony, affrontando di petto i problemi più urgenti e rimandando una discussione che entrambi sanno essere inevitabile.

Steve capisce che non è rimasto abbastanza a lungo alla cerimonia da ascoltare per intero l'interminabile lista dei caduti in Wakanda. Non sa se rimproverarlo o chiedergli dove sia andato invece di presenziare ai funerali. Sceglie la terza strada, quella più neutrale ma più dolorosa:

«Wanda e Sam,» comincia, monocorde. «Anche Fury e Maria Hill. Non abbiamo ancora notizie di Clint e Scott,» continua, sentendo aggravarsi il peso di cenere sulle sue spalle ad ogni nome. «Thor ha detto che anche Loki è morto,» aggiunge, scrutando la sua reazione.

Tony sussulta, aggrotta la fronte e si astiene dal commentare, ma è intuibile che stia pensando a New York. Persevera a fissarlo pungente, come aspettandosi un continuo della lista. Steve tace, con in testa l'immagine di Bucky che lo chiama e si sgretola esterrefatto davanti ai suoi occhi. Tace e non sa spiegarsi se è per salvaguardare se stesso o Tony o Bucky, esattamente come non ha saputo spiegarselo due anni fa.

«Ho sentito che non eri solo su Titano. Chi abbiamo perso là?» lo incita dopo un po', accodandosi al suo esempio pragmatico.

«Potenziali alleati, suppongo,» alza le spalle lui, troppo rigidamente per farlo passare come un gesto disinvolto. «Star... Killer?» corruga le sopracciglia dubbioso. «Un Maori con problemi di comprendonio, una donna-insetto telepatica, un Apprendista Stregone saccente...» sembra improvvisamente a corto di nomignoli. «... e Parker.» conclude secco, distogliendo lo sguardo.

Steve si chiede se quel nome debba risultargli familiare quanto sembra esserlo per Tony.

«Chi?»

«Il bimbo-ragno che ti ha dato filo da torcere a Lipsia,» chiarisce non senza una punta di soddisfazione, storpiata dalla piega amara delle sue labbra.

Il ricordo di una tuta rossa e blu veleggia nella memoria di Steve, rivista poi più volte in tv.

«Il ragazzo del Queens,» conclude, accigliandosi nel realizzare quanto gli fosse sembrato giovane quell'avversario.

«Sì,» conferma l'altro, lapidario.

«Non pensavo fosse ufficialmente dei nostri.»

L'osservazione gli sfugge con neutrale curiosità, ma su Tony sembra avere l'effetto di una pugnalata. Contrae la mandibola e tasta la ferita all'addome, con l'altra mano si stringe una spalla in un gesto assente. Per un momento sembra sul punto di dissolversi come tutti gli altri.

«Lo è diventato quel giorno,» articola appena udibile, sostenendo il suo sguardo.

Steve si accorge di quanta concentrazione stia riversando nel controllare la propria voce. Non lo vede da due anni, ma nei suoi occhi riconosce la stessa ombra addolorata che è emersa in Siberia, dopo averlo abbattuto sul cemento ghiacciato; contorna le sue pupille dilatate, offuscando le iridi un tempo brillanti e spesso scherzose. Le sue successive parole sono apatiche, forzate, quasi una ritorsione per aver toccato una piaga ancora fresca:

«Dov'è Barnes?»

A Steve quasi verrebbe da ridere, se non si sentisse dilaniare dall'interno. Tony aveva intuito fin dal principio la sua omissione. Si è dimenticato di quanto possa essere irritantemente perspicace. Fa per rispondere e ha un'esitazione appena percettibile che vorrebbe sopprimere del tutto.

«Andato,» gracchia involontariamente, e china il mento sul petto senza riuscire ad aggiungere altro.

Tony acquisisce in silenzio quell'informazione. Fa un debole cenno del capo, probabilmente la cosa più simile a un gesto di cordoglio che può aspettarsi da lui, ma le sue sopracciglia sono corrugate. Non c'è soddisfazione nel modo in cui lo guarda, né sembra sentirsi sollevato nel sapere che l'assassino materiale dei suoi genitori è morto.

«Stai bene?» gli chiede infine, in modo freddo.

Di nuovo s'intromette l'eco di una conversazione passata, che muore però sul nascere: la risposta a quella domanda non può essere la stessa di allora. La sua casa non esiste più.

Steve non risponde e sigilla la bocca. Tony non insiste e si limita ad abbassare lo sguardo.


Steve realizza di avere a sua volta ancora una domanda da porre, prima di lasciare il presente per addentrarsi nel passato. Apre la bocca, ma si frena. Ha paura a chiederlo. Forse può già indovinare la risposta nelle occhiaie scure sul volto di Tony e nella vacuità del suo sguardo, o dal fatto che siano passate più di quarantott'ore e lui è ancora in Wakanda, da solo. Ha paura a chiederlo, ma lo fa lo stesso:

«E Pepper?»

Vede i suoi occhi spegnersi e farsi opachi; si irrigidisce quasi avesse addosso la sua armatura.

«Non lo so.»

È un'ammissione inadatta a un genio con la risposta pronta e una soluzione sempre a portata di mano. Avrebbe tutti i mezzi per dissipare quel dubbio, ma sembra aggrapparvisi per evitare una certezza. Si trova a pensare che forse le ragioni per cui gli ha mentito due anni fa non sono poi così errate. E nonostante ciò, vorrebbe vivere anche lui nel dubbio. Ma il suo ultimo pezzo di mondo, quello già morto da settant'anni, si è dissolto davanti a lui con la nitidezza inconfutabile di una pellicola. Ora il suo mondo continua a esistere solo in un blocco da disegno.

«Mi dispiace, Tony. Davvero.»

Pronuncia le stesse parole di due anni prima, rivolte a un altro vuoto non definitivo come questo. Lui se ne rende forse conto, ma sembra troppo stanco per farci caso. Anche lui si sente stanco, in un modo così viscerale da non trovare allettante l'idea di dormire. Probabilmente anche Tony non chiude occhio da due giorni. C'è il grido di miliardi di persone a tenerli svegli.

«Conclusi i convenevoli...» si riscuote a quel punto Tony, cercando qualcosa nella tasca interna della giacca. «... immagino che questo non mi serva più.»

Estrae il cellulare a conchiglia con una mossa quasi teatrale, tenendolo per l'antennina. 
È malmesso, ammaccato, sporco di calce, e lo schermo esterno è infranto. Lo poggia sul tavolo, come due anni fa il set di penne stilografiche di Howard.

Steve, paradossalmente, sente la tensione delle sue membra sciogliersi un poco. Gli Accordi e la Siberia hanno un che di rassicurante in luce degli ultimi avvenimenti. Tony sembra pensarla allo stesso modo, a giudicare dal suo modo di fare ora quasi spigliato.

«Il mio "ramoscello d'ulivo",» commenta Steve, pacatamente.

«Un po' obsoleto, a dire il vero.» Tony ruota una mano a mezz'aria con un gesto di sufficienza. «Ma efficace.»

«Non mi sembra che tu l'abbia mai usato,» gli fa notare, avvicinandosi di un passo e portandosi direttamente di fronte a lui.

«È il pensiero che conta, no?» osserva lui sibillino, lanciandogli poi un'occhiata tesa. «Senti, siediti: piazzato là tutto impettito sembra che tu voglia spaccarmi di nuovo qualcosa in faccia,» prorompe, di colpo inquieto mentre serra ritmicamente un pugno.

Steve sospira ma non obietta, prendendo posto di fronte a lui con l'angolo del tavolo a dividerli. Tony pare rilassarsi all'istante e solo allora Steve processa le sue parole e realizza quanto il loro assetto precedente richiamasse lo scontro in Siberia, pochi istanti prima che lo scudo si abbattesse sul reattore.

«Non ho mai voluto ferirti,» si trova a dire, quasi senza accorgersene.

«In senso fisico o metaforico?» schiocca la lingua lui, forse stupito da quella confessione, ma senza negare il fatto in sé.

«Entrambi.»

«Non sei molto bravo ad attuare i tuoi buoni propositi, allora,» rileva causticamente, scostando appena la sedia con un movimento brusco, come per avere più libertà di movimento.

Steve fa per ribattere, ma lui lo anticipa, accompagnando le proprie parole con un gesto fiacco:

«Il punto è che adesso non importa più.»

Steve si trova a fissarlo stolidamente, senza cogliere il senso di quella frase.

«Non t'importa?»

Lui scrolla la testa: sembra quasi divertito, o forse solo rassegnato.

«Mi hai nascosto la verità e me l'hai fatta scoprire con un filmato vecchio di vent'anni per poi lasciarmi a crepare in Siberia.» Gli scocca un'occhiata aspra. «Certo, che m'importa.»

«Tu hai distrutto i Vendicatori e hai tentato di uccidere a sangue freddo il mio migliore amico,» replica lui, d'impeto. «Direi che importa anche a me.»

«Anche adesso?» insinua lui, senza scomporsi.

"Steve..."

Si ritrova per l'ennesima volta davanti al corpo di Bucky che si sfalda un granello alla volta fino a dissolversi nel nulla, confuso nel terreno smosso. Lo stesso, schiacciante rimorso di due giorni prima lo attanaglia, nella consapevolezza di non essere neanche riuscito a rispondere alla sua ultima, flebile richiesta d'aiuto.

«Adesso sono poche le cose di cui mi importa,» capitola, mantenendo a malapena salda la propria voce. «I nostri trascorsi non sono tra queste.» comprende infine.

Tony annuisce appena, apparentemente rasserenato, ma i suoi occhi rimangono cupi.

«Non sei tu il mio nemico,» enuncia infine, vibrante di rabbia repressa.

È la stessa che Steve prova ogni volta che pensa alla cenere, a chi l'ha causata e alla propria debolezza quando non è riuscito a fermarlo.

«Ma non è perdono, Rogers,» puntualizza subito dopo, e contrae le labbra amareggiato, come a intendere che non può fare altrimenti.

«Il mio sì,» replica lui, incrociando i suoi occhi che si fanno smarriti.

Lo lascia interdetto per la prima volta in sei anni. Sfugge il suo sguardo e prende a giocherellare con gli occhiali da sole abbandonati sul tavolo, con innaturale rigidezza. Il suo volto si fa di nuovo affaticato, poi si distende, come se non avesse più le forze per mantenere la sua facciata impassibile.

«Ti ho riparato lo scudo,» mormora infine, quasi in un'ammissione di colpa.

Steve non può evitare di sgranare appena gli occhi, in un misto di meraviglia e incredulità. Tentenna, per poi rabbuiarsi un poco.

«Non ne ho più bisogno. È tuo, Tony.»

Glielo dice, anche se fa male rinunciare a quella parte di sé, al simbolo materiale di tutto ciò che ha portato a termine, a un pezzo del proprio mondo, ma le parole accusatorie che gli ha scagliato in quel bunker in Siberia gli rimbombano in testa da due anni. A volte ha l'impressione che sia Howard a pronunciarle.

«È di mio padre,» la sua voce incespica, gli si blocca in gola per una frazione di secondo. «E lui l'ha dato a te. Capisco che tu non voglia accettare nulla da me, ma vorrei evitare di essere perseguitato dal suo fantasma e in questo momento abbiamo bisogno di tutto il supporto possibile... anche di una padella in vibranio fuori misura,» spiega con mesta ironia.

Steve tenta di rimanere composto, ma una scintilla di contentezza si accende in lui per la prima volta dalla cenere, illuminandogli gli occhi chiari.

«Grazie,» dice soltanto, comprendendo l'entità di quel gesto e, forse, il perdono implicito in esso racchiuso.

«Non l'ho fatto per te,» precisa burbero, messo evidentemente a disagio da quell'esternazione.

«Lo terrò a mente,» gli rivolge un tenue sorriso, il primo ad aver fatto breccia sul suo volto da quando hanno cominciato a parlare.

«Sarà meglio,» lui alza un sopracciglio, in una debole eco della sua espressione beffarda.

Non aggiungono altro.

Si trovano entrambi a guardare in silenzio la distesa stepposa, il cui orizzonte inizia a tingersi di colori caldi, ricordando loro che il terzo giorno dallo schiocco sta volgendo al termine. Steve si acciglia appena, abbagliato dall'intenso sole africano. Scorge Tony che si alza lentamente, facendo leva sul tavolo per non forzare la ferita; lo osserva avanzare zoppicando verso la vetrata. Si porta di nuovo una mano alla spalla, stringendosela in un gesto distratto, per poi adocchiare lui inclinando appena il capo.

«Tutto ciò è molto bello, toccante e sdolcinato...» si gira e addita col pollice il tramonto alle sue spalle. «Ma credo ci siano metodi più efficaci per riportare indietro mezzo universo,» osserva, cacciando poi le mani nelle tasche con fare impaziente, in quella sua solita posa un po' spavalda.

Steve si riscuote dal torpore. Lo scruta e legge sul suo volto che il genio è tornato, sebbene sofferente. Si alza a sua volta e riprende la sua postura da soldato raddrizzando le spalle, come a scrollarne via la cenere; si sente più vuoto, ma anche più leggero.

Lo affianca, fissandolo interrogativo. Lui ricambia con uno sguardo d'intesa.
Non sono mai stati bravi a tirarsi indietro.

«Hai un piano?»

Un fievole, incrinato sorrisetto gli curva labbra.

«Come sempre.»

 



Note: 
- Il titolo è una ripresa di ciò che Tony dice a Bruce riguardo al suo rapporto con Steve ("we're not on speaking terms"). 
Hurt è PoV Tony, Roads Untraveled è PoV Steve. Se vi venisse la fantasia di ascoltarle, consiglio la versione acustica di quest'ultima.

Note Dell'Autrice:

Era solo questione di tempo, prima che cadessi anch'io nel tranello delle What If? post-Infinity War. In realtà tendo ad evitarle come genere, ma in questo caso mi sono sentita ispirata e la storia s'è scritta da sola.

Ho scelto di usare il PoV di Steve per la prima volta in assoluto a mio rischio e pericolo, principalmente perché temevo di risultare troppo di parte assumendo quello di Tony. Non sono assolutamente abituata a gestire il suo personaggio e voleva più che altro essere un'escamotage per presentare Tony da una prospettiva esterna, anche se mi sono trovata ad empatizzare con Cap più del solito. 
Ogni commento/correzione/opinione al riguardo è gradito :)

Grazie a chiunque leggerà la storia e doppiamente grazie a chi deciderà di lasciare un commento <3

-Light-

N.B. (Momento spam): questa one-shot fa parte della serie Schegge e si ricollega in particolare alla raccolta Siberia. Alcune reazioni di Tony sono più comprensibili avendola letta, ma essa rimane d'importanza assolutamente marginale.
Edit
:
Nel caso vi steste chiedendo perché Tony non abbia presenziato ai funerali: la one-shot Interferenze è una missing moments immediatamente precedente ai fatti qui narrati.
Edit 2: E nel caso abbiate creduto che la riappacificazione fosse conclusa, vi faccio ricredere con la long Comunicazioni interrotte ;)

   
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

©Marvel
 
   
 
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