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Autore: NPC_Stories    20/08/2018    2 recensioni
Ricordate Felix? L'amico di Johel? Quello che gli chiede aiuto in "20th-level sidekick"?
Ecco, questa qui è sua moglie.
Una timida fanciulla dell'Amn... finché la guerra di Sothillis non ha ribaltato la sua vita e le sue prospettive. Finché non è stata costretta a sposare un cultista di Cyric e cedergli la sua città, per proteggere gli abitanti.
Adesso non è più una timida fanciulla. E' una donna risoluta che ha studiato le arti magiche, e con queste vuole riconquistare la sua amata Bormton. Ma la realtà provinciale di un paesino dell'Amn forse non è pronta per una donna di carattere.
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Warning: violenza e abusi domestici, citati in modo indiretto e non descrittivo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1373 DR: Assalto al castello


Ultimo giorno del mese di Mirtul, poco prima del tramonto

Lady Rebecca Dumpling in Finnegan contemplava il panorama dalla strada, con il viso rivolto verso l'alto. La cittadella fortificata di Bormton si trovava sopra la sua testa, abbarbicata su una collina. L'unica collina di quella regione dell’Amn; svettava al di sopra del paesaggio dolcemente ondulato. Le leggende locali sostenevano che la collina fosse la tomba di un antico gigante, ma non esistevano giganti così grandi, non erano mai esistiti. Lei lo sapeva. Era una maga, quindi era istruita.
“Una donna” e “istruita” non era un’accoppiata molto comune in quella regione, men che meno nei piccoli borghi come Bormton. Lei però non era una persona qualunque, era la figlia del lord.
Quale crudele scherzo del destino, che ora si trovasse dall'altra parte della barricata. La città era serrata, chiusa come un riccio, protetta da una serie di difese balistiche e magiche. Sulle mura erano state installate delle catapulte, e dalle gargolle di pietra i difensori potevano far colare olio bollente o qualsiasi altra sostanza atta a scoraggiare gli invasori.
Invasori, o per meglio dire liberatori.
Lady Rebecca odiava l'idea di aver messo sotto assedio la sua stessa città. Ma quella città al momento era nelle mani dei seguaci di Cyric, che la gestivano per conto dell’esercito del malvagio Ogre Magi, Sothillis.
Correvano voci che quel sodalizio fosse già in fase di logoramento, ma questo non cambiava le cose: Bormton era sotto il controllo di una setta di pazzi assassini, che stavano affamando il popolo e tenendo prigioniero lord Dumpling, il legittimo signore della città. Il padre di Rebecca.
“Signora, Bormton non cederà facilmente”. Le disse sir Jassel, uno dei comandanti dell'esercito di Athkatla. “Questo assedio potrebbe protrarsi troppo a lungo, e Bormton non è la nostra priorità. Dobbiamo dirigerci a sud e riunirci al corpo centrale dell'esercito, a Trademeet.”
Rebecca ascoltò quelle rimostranze con mezzo orecchio, perché se le aspettava. Lei stessa non voleva un lungo assedio: sarebbe stato il suo stesso popolo a patirne le conseguenze.
“Quando sono fuggita da Bormton, mesi fa, l'ho fatto grazie ad un bracciale magico che mi ha teletrasportata fuori dalle mura, e poi sulle ali di una creatura volante.” Mormorò fra sé e sé, come se potesse servirle a mettere in ordine le idee. “Ma all'epoca la guerra non era alle porte, i cultisti di Cyric non avevano motivo di essere sospettosi, e soprattutto uscire è sempre più facile che entrare.”
“Ora il cielo sarà controllato, mia signora”. Azzardò il cavaliere. Aveva il doppio degli anni di Rebecca, ma si rivolgeva a lei con il rispetto dovuto al suo rango e alla sua abilità con le arti magiche. “Quanto ai teletrasporti, abbiamo già tentato e fallito. La città deve avere un mago davvero potente a sua difesa.”
“Non la città.” Scattò lei, in tono reso quasi acido dalla frustrazione. “I malvagi invasori che detengono la città con la forza. Il verme nella mela.”
Sir Jassel chinò il capo in segno di accettazione. Comprendeva il sentimento patriottico di Rebecca, era normale che provasse attaccamento per il suo borgo natìo, ma agli occhi dell'esperto soldato questa distinzione non esisteva. Chiunque detenesse il potere sulla cittadella stava usando tutte le sue risorse per difendere quella posizione arroccata.
Non si prese la briga di discutere, perché sapeva quanto potessero diventare umorali le donne. La maga sarebbe dovuta scendere a patti con la realtà, come tutti. Bormton non era prendibile in tempi brevi.
“Due giorni, lady Rebecca.” Le comunicó infine. “Questi sono gli ordini. Fra due giorni all'alba toglieremo il campo e l'assedio, con o senza aver riconquistato la città.”

Rebecca passò la notte ad arrovellarsi su quel problema, ma non vedeva soluzione.
Verso le tre del mattino si risolse ad usare l'ultima carta: aveva una specie di alleato in città, forse. Un doppelganger, un mutaforma mercenario che era stato il punto di svolta nell'organizzazione della sua fuga da Bormton. Non sapeva se fosse ancora in città. Non sapeva nemmeno se fosse davvero un alleato. Forse era già andato via, alle prime minacce di guerra. Forse era passato dalla parte del nemico. C'era un solo modo per saperlo, ed era contattarlo.
La magia impediva il teletrasporto, non la comunicazione magica.

La tenda del comando era stata eretta in mezzo all'accampamento. Era una costruzione opulenta, nello stile dell’Amn: una mostruosità di velluto blu, con il simbolo sacro di Selune ricamato in filo d'argento sopra l'ingresso del padiglione.
Poco più che uno specchietto per allodole. I veri consigli di guerra si tenevano in un'anonima tenda marrone, contrassegnata con il simbolo che l'esercito usava per le infermerie da campo.
Fu lì che Rebecca fece il suo ingresso trionfale, la mattina dopo.
“Ho un piano.” Annunció, con un sorriso furbo. I militari di alto rango che erano lì per consigliarla rimasero in silenzio, condividendo uno sguardo di perplessità.
Rebecca lanciò un incantesimo che avrebbe impedito ai nemici di ascoltare la loro conversazione, poi si lanciò in una serie di spiegazioni dettagliate e pregne di speranza. Era così infervorata che dimenticò perfino di fare colazione.
I comandanti si guardarono l’un l’altro. Era un piano molto rischioso, e che comportava dei costi molto alti, in termini economici.
Tuttavia, accettarono all'unanimità e senza esitazioni. Lady Rebecca aveva promesso di farsi carico personalmente del pagamento del mercenario infiltrato in città, quindi l'esercito di Athkatla non ci avrebbe rimesso nemmeno una moneta di rame. Inoltre, il suo piano prevedeva che l'esercito smontasse l'assedio il giorno stesso e proseguisse verso Trademeet, cosa che loro non vedevano l'ora di fare. Il loro dovere era a sud, e anche la gloria.
Solo un piccolo contingente scelto sarebbe rimasto a Bormton. Agli ordini di lady Rebecca.


Primo giorno del mese di Kythorn, qualche minuto dopo mezzodì

La stanza faceva parte del complesso dei sotterranei di Castello Bormton. Rebecca non aveva mai amato quel nome, ma era sempre meglio che ribattezzarlo Castello Dumpling. Al momento però la sua mente era lontana mille miglia da pensieri simili; era a casa. Sì, forse nella parte più buia e umida di casa, ma pur sempre a casa.
Il doppelganger era riuscito a fare quanto aveva promesso: abbassare le difese magiche della città, solo per pochi minuti. Abbastanza perché Rebecca e i suoi guerrieri potessero scivolare dentro la cittadella con un incantesimo di teletrasporto.
Il mercenario aveva fatto il suo dovere, e ora li guardava in silenzio in quella piccola stanza vuota.
“Non conosco bene questa parte del castello”. Confessó Rebecca, decidendo per un approccio diretto. “Come so che avete rispettato i piani?”
La creatura scrollò le spalle, ma il suo volto grigio e privo di lineamenti non rivelò alcuna emozione.
“Siete voi che dovete rispettare i patti, lady Rebecca Dumpling. La seconda metà del mio pagamento per la vostra fuga, come pattuito con il guitto al servizio del signor Finnegan. In aggiunta, il compenso per avervi fatti entrare. Non è stato semplice sopprimere la magia dell'artefatto che bloccava i viaggi interplanari.” La sua voce era un fastidioso fischio, che usciva da quella bocca senza labbra, simile a un becco. Il mutaforma nel suo aspetto originale era rivoltante, ma Rebecca sapeva di dovergli la vita. Anzi, di più: la libertà.
Sapere che era un artefatto a bloccare i teletrasporti, e non un potentissimo mago, fu un immenso sollievo per lei e per tutti. Forse. Non sapeva se i guerrieri ne capissero abbastanza per apprezzare la notizia.
“Sono pronta a rispettare l'accordo che avevate con il signor Finnegan e il nuovo accordo che ora avete stipulato con me.” Rebecca portò la mano alla scarsella che aveva agganciata alla cintura, con gesti lenti e deliberati. Non voleva che il suo reticente alleato pensasse che lei stesse preparando un incantesimo. Estrasse dalla borsa una pergamena che era stata ripiegata più volte su sé stessa, anziché essere arrotolata come le normali pergamene. “Il guitto mi ha consegnato questo, la seconda parte del vostro pagamento per la mia libertà.”
“Avete dunque l'autorità per agire per conto del signor Finnegan?” Inquisí lui, senza accennare a prendere l'oggetto che gli veniva porto.
“Sono la signora Finnegan, adesso.” Rispose lei, con semplicità.
I soldati alle sue spalle si guardarono intorno, cercando di dissimulare il disagio e l'imbarazzo. Le nobildonne dell’Amn non avrebbero dovuto scegliere il proprio marito. Tantomeno se erano già sposate con un altro uomo.
“Capisco.” Il doppelganger non dubitó della sua spiegazione. Aveva i suoi metodi per capire se gli veniva detta la verità. “È comprensibile, per una giovane vedova.”
Rebecca s’irrigidí, colta dal panico all'idea che fosse successo qualcosa al suo amato Felix. Ma… pochi giorni prima Felix stava bene, e qualunque cosa fosse accaduta da allora, come poteva saperlo questo doppelganger?
“Vedova…?”
“Milady, quando siete fuggita ho dovuto prendere il vostro posto.” Le ricordó la creatura. “Ma non avrete pensato che io accettassi di subire le angherie di quel crudele bastardo che era vostro marito? La prima volta che ha cercato di alzare un dito su di me, gli ho strappato… la testa. Be', alla fine. Ma ci sono discorsi che non sono adatti alle orecchie di una lady.”
Rebecca sentì un forte calore che le saliva alla testa. Non aveva un nome per quella sensazione. Era… sollevata e arrabbiata insieme. Sollevata, perché quel verme violento era morto. In collera, perché avrebbe voluto ucciderlo lei. Era stata defraudata della sua vendetta. Ma il pensiero che l'ex marito fosse morto provando dolore e paura, aiutò a mitigare la sua delusione. Cercò di immaginarsi la scena. Richiamó alla mente il volto affilato del suo carceriere, l'espressione crudele e deliziata che aveva quando stava per farle del male. Poteva vedere quell'espressione mutarsi in terrore, mentre si accorgeva che la sua timida sposa era stata rimpiazzata da un mutaforma capace di sollevare un tavolo con una mano.
Sì. Qualsiasi cosa il doppelganger gli avesse strappato, aveva la sua piena approvazione.

“Non siamo qui per parlare di frivolezze, anche se approvo le tue scelte.” Dichiarò Rebecca, costringendosi a tornare al presente. “Dalla sua morte, immagino che tu abbia preso il suo posto?”
“Era la cosa più logica.” Confermó lui.
“E cosa è successo a me? Ufficialmente?”
“Siete stata relegata in camera vostra, anzi, nostra. Il vostro caro marito è diventato ancora più geloso e possessivo, e non permette a nessuno di vedervi. Il popolo vocifera che siate morta. La cosa non piace a nessuno. Si sarebbero già ribellati, se non avessero tanta paura di… me”.
“Benissimo. Vi siete meritato il vostro pagamento. Quanto alle vostre manovre per farci entrare…”
“Cinquantamila monete d'oro, o il loro equivalente in gemme od oggetti magici.” Le ricordó il doppelganger.
“Le casse di Bormton non coprono una simile cifra, ma questo lo sapete.” Ammise Rebecca. “Io però dispongo di maggiori risorse personali.”
“È quello che mi auguro, mia signora Finnegan. Perché siete in una stanza senza altre uscite oltre a quella alle mie spalle, e sarebbe fin troppo facile per me chiamare tutti i cultisti di Cyric della città per schiacciarvi.”
Rebecca annuì, senza perdere la calma. Non si aspettava lealtà da un mercenario, ma sapeva di poterlo pagare. Non aveva lasciato la cittadella solo per unirsi all’esercito; aveva viaggiato per il mondo e affrontato altri pericoli per ritrovare il suo amato Felix. Per un periodo si era infiltrata fra i folli cultisti che veneravano i draghi. Quando il loro covo era stato distrutto, era riuscita a portarsi via un certo bottino. Alcuni di quegli oggetti magici non li avrebbe mai usati, perché erano di natura clericale oppure semplicemente perché la loro magia era troppo empia per le sue mani. Non le piaceva l'idea di restituire al mondo oggetti creati per mani malvagie, ma si trattava di una goccia nel mare, e al momento salvare Bormton era la sua priorità.
Mostró il suo campionario al doppelganger. Per la prima volta, le sembró di vedere uno sfoggio di emozioni sul suo volto. La creatura aveva un becco al posto delle labbra, ma quel becco riuscì a piegarsi in un sorriso di cupidigia.
“È un piacere fare affari con la famiglia Finnegan.”

   
 
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