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Autore: blackjessamine    20/08/2018    8 recensioni
Giugno 1998, La Tana.
La comunità magica è scossa da un gioioso fermento, mentre festeggia la fine di una guerra e cerca di ritrovare la sua quotidianità.
La pace, però, ha comportato sacrifici incommensurabili, e non per tutti è facile abbandonarsi alla gioia dei festeggiamenti.
Tre donne, tre madri che hanno sempre condotto vite diverse e che sembrerebbero non avere niente in comune si ritrovano a condividere la parte peggiore della loro vita. Perché il dolore rende tutti uguali, anche a distanza di anni.
Augusta Paciock, Andromeda Tonks e Molly Weasley hanno perso tanto, e ora si ritrovano a combattere la battaglia più difficile: quella con le assenze.
[Storia partecipante al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed Inedite), indetto da GaiaBessie sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Tonks, Augusta Paciock, Molly Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nera schiena del tempo



 

Molly Weasley si lasciò cadere stancamente sulla vecchia sedia di legno che, durante tutte le estati della sua vita da donna sposata, aveva stazionato a fianco della porta che dava sul retro della sua casa. Aveva sempre amato, dopo aver sbrigato le faccende domestiche, lasciarsi scivolare su quel cuscino morbido e sentire il vento fresco scompigliarle i capelli, mentre le sue dita agili dirigevano in punta di bacchetta il movimento di ago e filo, oppure mentre puliva gli ortaggi per la cena, o si attardava a leggere i fotoromanzi del Settimanale delle Streghe.
Quando Bill e Charlie erano diventati abbastanza grandi per poter giocare  qualche ora da soli, la seggiola sul retro si era rivelata particolarmente utile alla giovane madre: i bambini potevano giocare in giardino, indisturbati, e lei poteva finire di lavorare tenendo sotto controllo i suoi figli per accertarsi che non si facessero del male. O intervenire abbastanza in fretta in caso di incidenti magici, almeno. E quella era diventata la sua abitudine, il suo piccolo vizio a cui mai avrebbe rinunciato: non appena il clima diventava abbastanza clemente da permettere di passare qualche ora all'aperto, lei sistemava la sua sedia fuori dalla porta di casa, protetta dal piccolo pergolato che ogni anno Arthur prometteva di aggiustare, e lavorava serena ascoltando il canto degli uccelli e guardando i suoi figli crescere.

Allungando le gambe davanti a sé e trattenendo a stento un gemito, Molly si ritrovò a pensare che raramente avevano avuto un'estate tanto mite e calda quanto quella del 1998. Un brutto scherzo del destino: cieli così limpidi che quasi ferivano gli occhi, giornate così calde e luminose da far credere che l'Inghilterra si fosse improvvisamente trasformata in un’isola mediterranea, e tutto questo proprio quando Molly non poteva permettersi di perdere tempo a oziare su una sedia osservando le api ronzare pigre. Quelle lunghe giornate estive andavano riempite con lavori ben più complessi e totalizzanti che pelare patate o sferruzzare maglioni, se voleva trovare il coraggio di mettere in fila un respiro dopo l'altro.

Molly socchiuse gli occhi, cercando di non pensare al fatto che anche quell'anno la sua sedia era stata sistemata lì fuori da Arthur, che non aveva voluto sentire ragioni: Molly aveva protestato, aveva detto che non avrebbe avuto tempo né cuore per sedersi lì a godere del sole tiepido e delle piccole gioie quotidiane, ma Arthur era stato irremovibile. Aveva detto che Tu-Sai-Chi poteva anche essere il Mago Oscuro più potente dell'ultimo secolo, ma non sarebbe mai stato abbastanza potente da spazzare via l'immagine a cui lui ricorreva ogni volta che doveva evocare il suo Patronus: il giardino della loro casa pieno delle risate dei loro figli, e Molly a vegliare su di loro, pronta ad accoglierlo ogni sera con il suo sorriso dolce. Non c'era stato bisogno di aggiungere che quell'immagine era già stata lacerata, strappata, fatta a pezzi, e non solo dal tempo: Molly lo sapeva, Arthur lo sapeva, e non avevano bisogno di ricordarsi che tutta la loro gioia stava per essere spenta come una candela in una notte di vento.
E poi era arrivato maggio: il mese della rinascita e della speranza, il mese che aveva ridato la gioia e la libertà a tutta la comunità magica, ma lo aveva fatto ad un prezzo che Molly non era certa di essere in grado di pagare. La Tana aveva smesso di essere solo la casa di due vecchi preoccupati e stanchi, ma era tornata ad essere rifugio e protezione, il caldo nido in cui ritirarsi a leccare le ferite, pregando di avere la forza di guarire.
Da che la Tana era andata via via svuotandosi con la fuga dei suoi figli, dopo quel terribile giorno di maggio tutto era sembrato rifiorire, e a volte a Molly pareva quasi di essere davvero tornata ai vecchi tempi, quando i suoi figli e i loro ospiti erano così tanti che rischiava di dimenticare quanti piatti dovesse mettere in tavola la sera. Quasi, perché la consapevolezza delle assenze era sempre così soverchiante che Molly temeva non avrebbe mai più passato un'ora della sua vita senza pensare a chi le era stato strappato.

Charlie aveva detto di voler seguire un progetto di reinserimento del Gallese Verde Comune nel suo habitat naturale, e anche se Molly era certa che si trattasse solo di una scusa per stare vicino alla famiglia, era felice di poter ospitare a cena il suo secondogenito almeno tre volte alla settimana. Percy, che dedicava gran parte delle sue giornate al suo nuovo lavoro presso il Comitato per la Riabilitazione della Verità Storica, in qualche modo riusciva a passare dalla Tana almeno una volta al giorno: spesso arrivava talmente tardi la sera, ed era talmente stanco che si addormentava di sasso sul divano, e Molly si limitava a coprirlo con attenzione con una coperta. Bill passava ore chiuso nel capanno degli attrezzi di Arthur, fingendosi improvvisamente interessato agli aggeggi babbani che suo marito ci conservava, mentre Fleur, che aveva un particolare talento per l'Erbologia, trascorreva molte domeniche nel giardino della Tana, coltivando con sguardo critico piante esotiche e rarissime:  niente ortaggi, niente piante da frutto. Fleur coltivava soltanto fiori dai nomi esotici e dall'aspetto elegante, trasformando il giardino della Tana in un vivaio sofisticato.
Ron era tornato a casa dal suo folle peregrinare a cui Molly non aveva il coraggio di ripensare, e con lui, naturalmente, aveva portato Harry: i due, come quando erano poco più che bambini preoccupati solo del Quidditch e dei compiti, dividevano ancora la stanza di Ron. Anche Ginny aveva finalmente abbandonato la sua stanzetta a casa della prozia Muriel, ed era tornata a vivere nella sua cameretta di bambina che spesso divideva con Hermione, che dal canto suo sembrava non avere il coraggio di passare troppo tempo nella casa ancora vuota e che era stata dei suoi genitori. O almeno, questo era quello che dicevano ufficialmente i ragazzi, e Molly non aveva la forza di protestare, quando la notte udiva dei passi felpati far scricchiolare le assi del pavimento.
E poi, naturalmente, c'era George.
George che non parlava quasi mai, ma che la settimana precedente le aveva chiesto di insegnargli a preparare una torta, e quando l'aveva bruciata era scoppiato a piangere come un bambino che perde il suo primo dente da latte. George che continuava a lavorare nel suo negozio di scherzi, ma che aveva dichiarato che non avrebbe mai più progettato alcun nuovo prodotto. George, che quando era tornato da Hogwarts si era rifiutato di mettere piede nell'appartamento a Diagon Alley in cui aveva vissuto nell'ultimo anno, e che dopo la prima notte insonne alla Tana aveva chiesto a Bill e Charlie se poteva trasferirsi per un po' in quella che era stata la loro vecchia stanza. George, il figlio a cui più di tutti ora Molly avrebbe voluto stare vicino, ma anche quello che a volte faticava a guardare in viso, perché ogni volta non riusciva a trattenersi dal vedere nei suoi occhi anche quelli di Fred, e allora era certa che il dolore sarebbe stato semplicemente troppo grande.

A Molly pareva di vivere in un sogno che spesso assumeva le tinte di un incubo: la comunità magica era in fermento, tutte le normali attività erano sospese in un clima di festa, cordoglio e ricostruzione, e Molly si sentiva sospesa a sua volta. Le sembrava che la normalità non sarebbe mai più tornata, e che la sua vita sarebbe stata un misto di tutte quelle prudenti attenzioni che la circondavano, dell'affetto dei suoi figli che cercavano di crescere e far proprie le tremende esperienze attraverso cui erano dovuti passare negli ultimi anni, e insieme un dolore eterno e insopprimibile, quello che provava ogni volta che si guardava allo specchio o sentiva il sole scaldarle la pelle o le sembrava di essere sul punto di scoppiare a ridere, perché si ricordava di essere viva, mentre Fred non lo era più, e niente lo avrebbe riportato indietro.
Sapeva che tutto questo sarebbe finito, prima o poi: l'estate, il calore, l'euforia del mondo magico improvvisamente liberato, tutto sarebbe finito, spazzato via dall'autunno e dal ritorno alla normalità.
Ginny sarebbe tornata a Hogwarts per diplomarsi, mentre Harry avrebbe iniziato a frequentare l'Accademia Auror, e si sarebbe trasferito in qualche appartamento a Londra. Forse lui e Ron avrebbero diviso una casa per un po', oppure Ron si sarebbe trovato un lavoro e sarebbe andato a vivere per conto suo, ma Molly sapeva bene che nemmeno lui sarebbe rimasto alla Tana ancora a lungo. Percy, lentamente, avrebbe iniziato a guarire dai suoi sensi di colpa, e sempre più spesso si sarebbe ritrovato a rincasare a notte fonda nel suo appartamento a Londra. Il progetto che ora Charlie stava seguendo aveva una durata di circa nove mesi, dopodiché Molly era certa che il richiamo della sua riserva in Romania sarebbe stato troppo forte perché suo figlio potesse resistere, e del resto lei non lo avrebbe mai voluto trattenere. Arthur prima o poi avrebbe ritrovato la stabilità, e i suoi aggeggi babbani sarebbero tornati ad essere solo un passatempo che avrebbe potuto affrontare anche da solo, e non un'ancora di salvezza in cui gettarsi a capofitto. Fleur si sarebbe ricordata di avere un giardino tutto per sé, a Villa Conchiglia, e i fiori e le piante che avrebbero assorbito la sua concentrazione sarebbero stati quelli della sua casa, com'era giusto che fosse.
E anche George, sì, anche George sarebbe guarito. Avrebbe avuto bisogno di tempo, ma Molly sapeva che prima o poi suo figlio avrebbe riso di nuovo e avrebbe sentito la necessità di far ridere qualcun altro, e allora avrebbe imparato a camminare sulle sue gambe.


 
***

Il vagito acuto del piccolo Teddy riportò Molly al presente, strappandola dalle sue riflessioni e dal suo dolore, obbligandola ad aprire gli occhi in tempo per posare una mano sul braccio magro di Andromeda: la donna, seduta accanto a lei, stava già per scattare in direzione della macchia d'ombra creata dagli ontani, dove Teddy strillava fra le braccia di un Harry Potter decisamente terrorizzato. Il ragazzo si guardava attorno in evidente difficoltà, e accolse con gratitudine l'intervento di Bill, che prese il bimbo fra le braccia con fare esperto. L'uomo cullò delicatamente il piccolo, che presto tornò calmo e silenzioso, tutto preso com'era a far cambiare sfumatura ai suoi capelli al ritmo del suo stesso respiro, una cosa che, Andromeda aveva spiegato, faceva solo quando era del tutto a suo agio.
Andromeda tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia con un sorriso tirato sul volto. Senza mai staccare gli occhi dal piccolo arcobaleno colorato che era la testolina di suo nipote, la donna sussurrò:
"Non c'è che dire, Bill ci sa davvero fare con i bambini."
Molly osservò il suo primogenito cercare invano di convincere Harry a riprendere in braccio Teddy, strappando una mezza risata a Ginny, e sorrise a sua volta.
"Immagino sia inevitabile, quando hai sei fratelli più piccoli."
Eccolo, quel pugno allo stomaco, tanto doloroso quanto inaspettato. Non si sarebbe mai abituata ad utilizzare il passato, parlando dei suoi figli.
Andromeda dovette comprendere a che cosa era dovuto lo spasmo che aveva teso le labbra di Molly, perché si limitò a posare a sua volta una mano sul braccio della padrona di casa, con aria partecipe.
Molly si ritrovò di ad osservare di sottecchi il pallore sul viso di Andromeda Tonks, le ombre scure che segnavano i suoi begli occhi, il sorriso esausto e tirato che le induriva il viso, e si ritrovò a chiedersi quanto si somigliassero.
Lei e Andromeda non si conoscevano molto bene, fino a una manciata di settimane prima: si erano parlate ogni tanto ad Hogwarts, e spesso avevano scambiato chiacchiere di circostanza quando si incontravano per le vie di Diagon Alley o in qualche negozio, ma non erano mai arrivate a condividere qualcosa sul piano personale. Era stato solo durante i funerali delle vittime della battaglia di Hogwarts, che erano stati celebrati in pompa magna e con un rituale collettivo, che le due si erano ritrovate a scambiarsi un abbraccio pieno di affetto e sincera partecipazione. Erano due donne, due madri distrutte da un dolore che nessuna persona al mondo dovrebbe affrontare, e poco contava che non si fossero mai scambiate più di una manciata di parole sul tempo o sull'efficacia della nuova formulazione del Solvente di Nonna Acetonella Per Ogni Tipo di Sporcizia.
Quando, al termine dell'estenuante cerimonia, Molly si era ritrovata davanti la figura pallida e tremante di Andromeda intenta a cullare disperatamente il piccolo Teddy, che era scosso da un pianto incontrollabile, a Molly era sembrato normale avvicinarsi a lei. Tutte le persone presenti a quel funerale componevano gruppi più o meno compatti, come se l'unirsi e farsi scudo a vicenda potesse alleviare in qualche modo il dolore. Andromeda, invece, era sola. Aveva perso la sua famiglia quando aveva deciso di sposare il Nato Babbano Ted Tonks, e quella guerra le aveva portato via tutto: il genero, il marito, e la sua amata figlia. Non c'era da stupirsi che stringesse a sé il nipote come se ne andasse della sua stessa vita. Quando Molly aveva circondato in un abbraccio Andromeda e il piccolo Teddy, la donna era scoppiata in un pianto disperato, ammettendo di non avere più forze, di non sapere come fare a prendersi cura di quel bambino che ora aveva solo lei, e dicendosi certa che in ogni caso sarebbe stato tutto inutile, perché tanto il piccolo non sarebbe sopravvissuto, dato che si rifiutava cocciutamente in ingerire anche solo una goccia di latte artificiale. Probabilmente in quel momento Andromeda non si rendeva nemmeno conto di chi avesse davanti, e aveva pronunciato quelle parole in preda alla disperazione. Molly, come se fosse il gesto più naturale per lei, aveva semplicemente cinto le spalle di quella donna che sembrava più fragile del bimbo che stringeva fra le braccia, e l'aveva guidata in mezzo al folto gruppo di chiome rosse che l'aspettava. Andromeda si era lasciata guidare fino al camino più vicino, ed aveva mosso pochi passi barcollanti nella cucina della Tana, prima di rendersi conto di dove si trovasse.
Per Molly era stato naturale: aveva bisogno di agire, di fare qualsiasi cosa le permettesse di distrarsi da quel dolore infinito e costante che le apriva voragini nel petto ad ogni respiro, e così aveva fatto quello che le riusciva meglio: si era presa cura di chi aveva bisogno di aiuto e protezione. Aveva accolto Andromeda e Teddy in casa sua con la stessa naturalezza con cui si era accinta a preparare la colazione ad un esile Harry Potter, cinque anni prima; si era preoccupata che la donna mangiasse e prendesse del Distillato della Pace, affinché riposasse almeno qualche ora (aveva l'aria di non aver chiuso occhio nemmeno un secondo, dal giorno della battaglia di Hogwarts, ed era quasi certa che i vagiti di Teddy non avessero alcuna colpa). Aveva poi riversato tutte le sue attenzioni su Teddy, che effettivamente sembrava opporre una strenua resistenza a qualsiasi tipo di latte artificiale. Alla fine, aveva deciso di seguire il suo istinto, e aveva ripercorso gli stessi passi di quando Percy aveva poche settimane di vita e lei si era presa un brutto principio di Spruzzolosi, perdendo così il latte: aveva preso ad insaporire i biberon del piccolo con poche gocce di estratto di petali d'asfodelo, e il bimbo aveva ritrovato l'appetito.
Dopo circa una settimana, Andromeda aveva ritrovato la forza per tornare a casa sua, e Molly aveva preso a farle visita regolarmente. E così Andromeda aveva iniziato a ricambiare le visite, trovando molto più piacevole la campagna attorno alla Tana che la casa dove aveva vissuto per una vita intera, che da ogni angolo sembrava volerle urlare il nome delle persone che aveva perso.

Quella domenica di metà giungo non faceva eccezione: Andromeda era arrivata presto, portando con sé un Teddy pacificamente addormentato, e aveva aiutato Molly a preparare un pranzo che sarebbe stato più adatto a sfamare gli invitati di un piccolo ricevimento di nozze che una famiglia.
Andromeda ora sedeva accanto a Molly, osservando suo nipote venir viziato e coccolato dal suo padrino e da tutti i Weasley. Sembrava che Remus avesse fatto una scelta saggia, nominando Harry Potter come padrino del piccolo Teddy: il bimbo sembrava aver trovato una famiglia molto più numerosa di quanto Andromeda avrebbe mai potuto offrirgli.

Improvvisamente, si sentì risuonare un suono limpido e cristallino alla porta dell'ingresso principale della Tana, e Molly sospirò: non aspettavano ospiti, ma era anche vero che gli ospiti non aspettavano un invito per presentarsi alla Tana. Poteva trattarsi della giovane Lovegood, che aveva preso l'abitudine di recarsi alla Tana molto più spesso di quanto avesse mai fatto prima, o di qualche collega di Arthur, oppure anche di Lee Jordan, che sembrava determinato a impedire a George di passare troppo tempo nella stessa stanza.
Molly stava per alzarsi e andare ad aprire, quando le arrivò il grido soffocato di Ron dal piano di sopra, che le intimava di restare dov'era, perché ci avrebbe pensato lui.
Molly rimase seduta a seguire lo sguardo di Andromeda, in silenzio. Le due donne passavano molto tempo insieme, pur parlando pochissimo: non ne avevano bisogno, si sentivano unite da un destino beffardo e crudele, e ogni parola sarebbe stata inutile.
Presto, però, il loro silenzio venne interrotto da un vociare allegro: Ron e Hermione erano finalmente comparsi in giardino, accompagnando gli ospiti. Uno era un ragazzo alto e tranquillo, che Molly aveva ormai imparato a conoscere e a cui voleva bene. Neville Paciock salutò educatamente le due donne, prima di voltarsi e sussurrare qualcosa ad un'anziana signora che camminava dietro di lui con la schiena dritta e rigida. La donna indossava un lungo abito scuro che appariva soffocante nella calura estiva, e stringeva al petto una voluminosa borsa di un bel rosso acceso. Se anche Molly non l'avesse riconosciuta, il cappello su cui svettava il grande avvoltoio impagliato era inconfondibile: Augusta Paciock si affrettò a stringere ossequiosamente la mano di Molly, per poi spostare il suo sguardo acuto e serio su Andromeda.
Molly aveva già incontrato qualche volta Augusta Paciock quando Neville si era recato alla Tana per salutare Harry, Ron e Hermione. La donna era sempre stata gentile e un po' cerimoniosa, per quanto forse leggermente brusca.
"Lei dev'essere Andromeda Tonks, non è così?"
Andromeda annuì lentamente, osservando la donna con fare sospettoso. Molly aveva notato che, per quanto Andormeda si fosse aggrappata ai Weasley come se fosse stata membro di quella famiglia, si trovava sempre un po' a disagio quando doveva parlare con degli sconosciuti.
Augusta gettò uno sguardo al gruppo di ragazzi raccolti attorno al turchese brillio che erano ora i capelli di Teddy, e aggiunse, con tono sorprendentemente dolce:
"E lui immagino sia il piccolo Lupin."
Andromeda annuì di nuovo, lanciando uno sguardo pieno d'affetto al bimbo, che ora se ne stava tra le braccia di Hermione.
"Durante la sua prima lezione, il professor Lupin ha convinto il mio Neville a far indossare al suo Molliccio, un professore che gli dava il tormento, questo cappello" Augusta si sfiorò l'eccentrico copricapo adorno di avvoltoio, sorridendo appena.
"Se già prima questo cappello mi piaceva, da quando Neville mi ha raccontato quello che era successo è diventato il mio preferito in assoluto. Lupin è stato un bravo professore, anche in un solo anno ha lasciato tanto ai suoi studenti."
Andromeda annuì di nuovo, lo sguardo appena un po' più fisso e irrigidito di prima. Molly sapeva che per lei non era stato facile accettare Remus come genero: aveva temuto che fosse troppo vecchio per sua figlia, troppo pericoloso, e che alla fine Ninfadora avrebbe solo sofferto immensamente per una scelta sbagliata. Ma quando si era trovata costretta a scegliere fra la sua famiglia e l'uomo che amava, Andromeda si era fatta una promessa: mai, per nessun motivo al mondo si sarebbe frapposta tra i suoi figli e chiunque avessero deciso di amare. E così si era fatta coraggio, aveva ingoiato delusioni, paure e diffidenze e aveva finito per affezionarsi a quell'uomo tormentato e gentile. Non era la prima volta che qualche ex studente di Remus le rivolgeva parole simili, quando scopriva chi lei fosse.
Augusta accettò con un cenno del capo la sedia che Ron le offrì, e sedette di fianco alle due donne, osservando con aria seria i ragazzi chiacchierare sotto le fresche ombre degli alberi. Alla fine, senza distogliere gli occhi da suo nipote, che stava chino a guardare Teddy con la stessa espressione ammirata e stupita di un bambino davanti ad un animale esotico allo zoo, l'anziana donna bisbigliò:
"Sono sinceramente dispiaciuta per tutte le sue perdite. Immagino che il clima di gioia e festa che si respira ovunque non faccia che farla sentire peggio."
Andromeda fissò a lungo quella buffa signora che non sembrava avere la minima difficoltà a pronunciare ad alta voce frasi che non tutti avrebbero detto ad uno sconosciuto.
"La ringrazio. Non è facile, no."
Augusta Paciock si limitò ad annuire, come se fosse soddisfatta della risposta che aveva ottenuto. Molly, dal canto suo, non disse niente: a volte, quando il dolore minacciava di sopraffarla, le tornava alla mente il modo stanco con cui Andromeda si chinava a prendere fra le braccia Teddy: c'erano nei suoi gesti una stanchezza e un dolore innegabili, ma anche una dignità e una tenacia che commuovevano. Quando Molly si sentiva distrutta, guardava Andromeda stringere a sé suo nipote, l'unico affetto che la vita avesse le risparmiato, e pensando ad Arthur e ai suoi figli Molly si rendeva conto di essere, nonostante tutto, fortunata.
Dopo un lungo silenzio, riempito solo dal vociare distante dei ragazzi in fondo al giardino, Augusta Paciock si limitò a bisbigliare:
"A volte uno ha l'impressione che da certe ferite non si guarisca mai. Domani saranno esattamente diciassette anni che mio figlio ha perso ogni capacità di riconoscere me o qualunque cosa gli stia attorno, e delle volte mi sembra che faccia male esattamente come il primo giorno."
Molly sospirò, incapace di dire qualsiasi cosa. Augusta Paciock aveva ragione: era impossibile pensare che ci fossero tante persone felici al mondo, tanti festeggiamenti, tanta gioia ad ubriacare la comunità magica, quando così tante famiglie erano costrette ad affrontare dolori tanto immensi da sembrare semplicemente disumani.
Improvvisamente, Molly avvertì un singulto accanto a lei, e si voltò in tempo per vedere Andromeda trattenere a stento un singhiozzo e asciugarsi le lacrime nel bavaglino giallo limone di Teddy, che teneva sempre in tasca per ogni evenienza. Le posò delicatamente una mano sul braccio, cercando di combattere il pizzicore che minacciava di inondare di lacrime anche il suo viso, quando Augusta la precedette, aggiungendo:
"Non si trattenga. Non faccia il mio errore. Trattenere le lacrime non serve a niente, se non ad aggiungere un fardello ancora più pesante sulla sua schiena. Ha la fortuna di avere un nipote ancora così piccolo che non ricorderà le sue lacrime, ma solo l'affetto."
Andromeda si soffiò il naso, e parve sul punto di aver ritrovato un certo equilibrio, quando fu Molly a rendersi conto di essere quella che stava piangendo. Le due donne si voltarono a guardarla con pietoso affetto, e Molly, fra le lacrime, si ritrovò a ridacchiare:
"Oh, per Godric, prima o poi mi trasformerò in una fontana. È solo che a volte è così difficile... mi sembra di avere tutto sotto controllo, mi sembra di poter essere felice sentendo i miei figli ridere, e invece fa sempre così male..."
fu Augusta Paciock a posarle una mano carica di grossi anelli dai colori sgargianti sul braccio, con fare protettivo.
"Farà sempre male, ma prima o poi ti accorgerai che puoi essere felice anche con questo dolore nel petto."
"Come si fa?" domandò Andromeda, continuando ad asciugarsi furtivamente gli occhi con il bavaglino di Teddy. Augusta si strinse nelle spalle, tornando a guardare il bimbo e i ragazzi che lo circondavano.
"Non lo so. Noi siamo fortunate. Io avevo Neville a cui badare, e non potevo permettermi di andare in pezzi. Lei ha quel bimbo, e tu, Molly, be', tu hai mezza Inghilterra di cui prenderti cura."
Le tre donne si ritrovarono scosse da una risata incerta, gli occhi ancora umidi.
"Per un po', si va avanti perché si deve, perché c'è qualcuno che ha bisogno della nostra lucidità più di quanto ne abbiamo bisogno noi stessi. E poi si impara che non è solo per i nostri figli o nipoti che dobbiamo andare avanti, ma anche per tutte le persone che abbiamo perso, che non vorrebbero mai vederci votate a una vita di sofferenza e di dolore."
Molly ripensò alla risata di Fred e si rese conto, in mezzo all'immane sofferenza, che se c'era un modo per onorare il ricordo di suo figlio, quello era proprio asciugarsi le lacrime e concedersi il diritto di ridere.
"E poi", aggiunse ancora Augusta, fissando finalmente le due donne accanto a lei "per quanto sembri incredibile, un giorno si scopre che è per noi stessi che dobbiamo andare avanti. Perché ce lo dobbiamo, perché abbiamo il sacrosanto diritto di essere felici. Il dolore non passerà mai del tutto, e ci saranno giorni, anche a distanza di decenni, in cui sembrerà che non sia passata nemmeno un'ora. Ma nel frattempo la felicità è ancora possibile."

Molly si ritrovò a pensare a tutto quello che avevano affrontato nel corso degli ultimi anni, ai pericoli che aveva corso la sua famiglia e alla nuova epoca di gioia e spensieratezza che si apriva davanti a loro. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul calore del sole che le riscaldava la pelle, sul ronzare pigro delle api che cullava il suo udito, e sul vociare lieve dei suoi ragazzi, tutti i suoi ragazzi, quelli che aveva partorito e quelli che il destino aveva depositato sotto il suo sguardo attento.
Quando riaprì gli occhi, Augusta Paciock era in piedi, le labbra tese in una linea dritta e i piccoli occhi chiari stretti in due fessure gelide.
"Non ho mai trovato le parole giuste per dirtelo, Molly, ma volevo ringraziarti per aver ucciso la donna che mi ha portato via mio figlio. Se non lo avessi fatto tu, probabilmente avrei cercato di farlo io stessa, e temo sarebbe stata la gloriosa fine di Augusta Paciock".
Molly ebbe la sensazione che il sangue le si gelasse nelle vene, a quelle parole. Quella parte della battaglia per lei era come un grande sogno confuso: dopo la morte di Fred, la sua mente aveva semplicemente smesso di funzionare in maniera regolare. Forse era stata una fortuna, perché se solo fosse stata ancora in grado di pensare lucidamente, il dolore l'avrebbe sicuramente paralizzata, e allora sarebbe stata la fine. Il corpo immobile di Harry fra le braccia di Hagrid, la battaglia, niente aveva più avuto importanza. Era come se niente potesse toccarla, in quel momento, perché aveva già perso tutto quello che poteva perdere. Un essere umano, semplicemente, non può sopportare più di un certo grado di dolore, e lei lo aveva sentito tutto quando aveva trovato George avvinghiato al corpo esanime di Fred. Impedire a quella donna di fare del male a Ginny le era sembrata l'unica cosa sensata in quel mare di follia.
La voce di Augusta Paciock, dura come uno schiaffo in pieno viso, riportò Molly al presente.
“Mi dispiace. So che sto parlando di sua sorella...”
“Io non ho sorelle”, intervenne improvvisamente Andromeda. Le lacrime erano scomparse dai suoi occhi, e il suo viso era composto in una fredda maschera di compunto dolore.
“Ho smesso di essere parte di quella famiglia trent'anni fa, e non ho più niente in comune con quella... quella donna.”
Augusta Paciock annuì lentamente, senza mai perdere la sua espressione seria. Molly gettò uno sguardo angosciato verso Andromeda, preoccupata che quella conversazione potesse essere troppo per lei. Tuttavia, il viso della donna era più calmo di come Molly l'avesse visto nelle ultime settimane, seppur il dolore fosse evidente in ogni piega della sua pelle.
“Lo so che è stata lei. Me l'hanno detto, Minerva McGrannitt ha visto la scena. La mia Dora... è stata lei.”
La voce di Andromeda tremò appena, ma la donna non sembrava disposta a piegarsi davanti al dolore, non questa volta. “Bellatrix era una Black e una Lestrange, ma io sono una Tonks. Solo Tonks.”
Sulle tre donne scese un silenzio carico di significati, che nessuna osò interrompere per un lungo attimo.
Sopra di loro, il sole splendeva, caldo come raramente riusciva ad essere in quella piovosa regione.
Sotto l'ombra degli ontani, Teddy Lupin si osservava estasiato una manina, circondato dal sorriso di un gruppo di giovani che si aggrappavano alla vita con tenacia, illuminati da una speranza che fino a poche settimane prima sarebbe parsa un miraggio.
Improvvisamente, Molly Weasley si ritrovò a respirare a pieni polmoni l'aria tiepida e profumata dai fiori che sua nuora aveva coltivato con tanta attenzione, e in un attimo di improvvisa, insperata lucidità, ebbe la certezza, in fondo al suo cuore, che nonostante il dolore non sarebbe mai scomparso, ci sarebbe davvero stato spazio per la serenità.








 
Note:
Di nuovo, questa storia era già stata pubblicata nella mia raccolta “Un cuore così bianco”, con il titolo “Sopravvivere”. La raccolta è stata cancellata per uno stupido errore (mi sto ancora mangiando le mani), e lentamente sto procedendo a ripubblicare i tre capitoli che la componevano.
Ho scelto di abbandonare l'idea della raccolta perché mi sono resa conto che si trattava di tre racconti molto disomogenei tra di loro, nonostante fossero tutti e tre ambientati nel dopoguerra.
Il nuovo titolo che ho scelto ovviamente non è farina del mio sacco, ma è il titolo di un romanzo del meraviglioso Javier Marìas, uno degli scrittori più brillanti della nostra epoca, a mio parere.
Nella raccolta ricordo di aver aggiunto un paio di note significative a questo racconto, ma non riesco a ricordare che cosa riguardassero, chiedo scusa.
Mi scuso di nuovo per il pasticcio, ma spero comunque che in questo modo questa storia possa capitare sotto gli occhi di qualcuno che ancora non la conosceva.
 
   
 
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