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Autore: Najara    20/08/2018    5 recensioni
Kara torna a casa ogni giorno prendendo una delle cabine di ascensione che legano la Terra all'Osservatorio, alla Cittadella e alla Nave degli Alchimisti, quel giorno però, non è un giorno qualunque, Kara si è dimenticata che c'è un eclissi di Sole in arrivo e il destino ha deciso che non farà quel particolare viaggio da sola.
Una piccola storia Supercorp dai toni steampunk partecipante all'iniziativa “SummerRaimbow” indetta dal gruppo LongLiveToTheFemslash.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L’eclissi

 

“Aspettate!”

Kara si mosse rapida, bloccando le porte della cabina di ascensione, permettendo alla donna di salire. Aveva un sorriso sulle labbra, sorriso che si bloccò quando si rese conto chi fosse la ragazza che le aveva chiesto di fermare la cabina di trasporto.

“Oh.” Disse soltanto. Facendo un rapido passo indietro, come a volersi fondere con la parete.

“Grazie.” Il tono della giovane aveva perso tutto il calore.

Kara fu improvvisamente molto conscia dei suoi capelli in disordine, del fatto che avesse dimenticato il cilindro e la giacca nella stanza alchemica, del vestito strappato e bruciato dopo l’addestramento e della macchia di fuliggine sulla sua guancia che vedeva ben riflessa nell’ottone della parete dell’ascensore.

Le porte si chiusero con un movimento lento. Kara pregò che qualcun altro si aggiungesse, ma sembrava che la sorte avesse deciso diversamente.

Iniziò a sfregarsi la guancia, cercando di non farsi notare. Lanciò uno sguardo alla donna poco distante da lei e non poté fare a meno di sospirare. Lena Luthor, ovviamente, era perfetta. I capelli racconti in un’elegante chignon, un piccolo cappello puntato alla perfezione, l’abito sobrio eppure elegante, nero, con i risvolti verdi bottiglia.

Tra le mani una valigetta che teneva ben stretta, gli occhi fissi sull’indicatore di posizione della cabina.

“Ehm…” Provò ad iniziare la conversazione Kara, perché quel silenzio tra loro due era assordante.

La donna si voltò appena, appuntando lo sguardo su di lei, un sopracciglio alzato come se la sfidasse a parlare.

Kara trangugiò a vuoto, sapeva che quella freddezza se la meritava, sapeva che era tutta colpa sua.

“Lena… ehm… vai all’Osservatorio?” Chiese. Pronunciare il suo nome le aveva causato una fitta al cuore.

La donna ruotò la testa, fissando di nuovo il pannello di posizione. Sembrava che le sue spalle si fossero irrigidite ancora un po’, cosa che un istante prima sembrava impossibile.

Forse citare l’Osservatorio non era stata una buona idea. Kara si maledì per non essere stata più accorta nel parlare, o nel non essere stata, semplicemente, zitta.

“Alla Cittadella.” Disse, dopo un tempo che le parve infinito, la donna.

“Oh… un nuovo progetto da sottoporre al consiglio?” Lena ruotò lo sguardo e sul suo viso brillò qualcosa di diverso dalla rabbia o dalla freddezza. Era fiera di se stessa.

“Ho risolto il problema del portale, se il progetto verrà approvato, allora…” Si interruppe, come se solo in quel momento ricordasse quello che era successo tra di loro.

Kara percepì subito il ritorno alla freddezza di prima, ancora una volta si sentì male per quello che aveva fatto. Aveva perso così tanto per colpa di quel maledetto segreto.

“Sapevo che ce l’avresti fatta.” Disse, ma il suo tono era basso e i suoi occhi non cercavano più quelli della donna. Sapeva di non meritare neanche la più piccola attenzione.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, l’indicatore di posizione si muoveva lentamente, mentre risaliva il lungo cavo che portava alla Cittadella, all’Osservatorio e alla nave degli Alchimisti.

Kara giocherellò con le bretelle blu che indossava, poi fece ruotare gli occhialoni da volo che aveva appeso attorno al collo, se solo avesse avuto il cilindro e la giacca avrebbe quanto meno…

Un brusco rumore bloccò di nettò il movimento. Kara ondeggiò per un secondo nell’aria, attivando i suoi poteri alchemici senza neanche rifletterci, ma Lena perse l’equilibrio e fu sul punto di cadere a terra. Kara non lo permise, la afferrò a metà movimento e la rimise in piedi.

Stringerla tra le braccia le fece bruscamente accelerare il cuore, avere il suo viso a pochi centimetri, sentire il suo profumo, fu ancora peggio.

Sembrava, però che Lena non fosse della sua stessa idea. Con uno strattone deciso si rimise in piedi, allontanandosi dalle sue mani.

“Cosa succede?” Chiese lei, cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni.

La donna non le rispose, invece raggiunse il pannello di controllo e premette il comunicatore, sollevando la cornetta che vi era agganciata.

Con una smorfia riagganciò pochi istanti dopo.

“Le comunicazioni sono interrotte.” Spiegò. “Deve trattarsi di uno sbalzo di energia, dovuto all’eclissi solare.” Aggiunse.

“Un’eclissi solare?” Chiese Kara, era quel genere di cosa che avrebbe dovuto sapere e, a ben pensarci, ricordava che Alex le aveva fatto promettere di rientrare alla nave prima che… “Oh.” Ricordò.

“Ti sei dimenticata dell’unico evento astronomico che blocca l’alchimia solare nel tuo corpo?”

Non riuscì ad evitare di chiedere Lena, un sopracciglio alzato con disappunto.

“Io… ho avuto molto da fare e da pensare in queste settimane, non… me ne sono dimenticata, sì.” Ammise, rendendosi conto che il suo discorso stava rivelando troppo a Lena.

“Non importa, questa spiacevole situazione si risolverà in poco tempo.” Chiuse lei.

“Già…” Adesso che lo sapeva le sembrava quasi di sentire la Luna scorrere lungo il Sole, coprendolo, togliendole i suoi poteri alchemici. Si sedette a terra, improvvisamente tutto il peso delle ultime settimane sembrò accumularsi sulle sue spalle. Aveva lavorato tre volte più sodo per impedire alla sua mente di riflette sul suo terribile segreto, per impedirsi di sentire la mancanza della sua migliore amica.

Ora però il suo corpo era solo umano e non vi era nulla ad arginare la fatica.

“Tieni.” Alzò la testa e si ritrovò ad osservare una barretta di cioccolato. Per un istante sentì un nodo chiuderle la gola, i suoi occhi si inumidirono, ma Lena aveva già distolto lo sguardo e lei ora fissava solo più la barretta.

“Grazie.” Disse, ricacciando le lacrime.

Lena mosse appena la testa, il volto fisso verso il pannello.

Kara morse la barretta, chiudendo gli occhi quando il sapore dolce si diffuse nella sua bocca, scacciando la tristezza e portando via parte della fatica. Sorrise, mordendo un altro pezzo, quando un piccolo rumore risuonò nell’aria.

Lena alzò la testa verso il soffitto della cabina e, per la prima volta, Kara la vide preoccupata.

“Cosa succede?” Chiese, senza poter evitare di dare alla barretta un altro morso. Era squisita!

“Il condizionatore.” Disse, Lena, come se ciò spiegasse tutto.

“Ehm… Alchemica Naturale non Ingegnere.” Le ricordò. Lena fece ruotare gli occhi, un sorriso divertito sulle labbra.

“Non serve essere nella Gilda degli Ingegneri per sapere cos’è un condizionatore.”

“Vero…” Ammise lei, troppo felice di averla fatta sorridere per preoccuparsi di passare per stupida.

“Il condizionatore raffredda la cabina, se si blocca, a causa dei due compensatori di gravità, in poco tempo qua dentro arriveremo a temperature davvero alte.” La donna ora fissava il pannello superiore della cabina mordendosi il labbro, pensierosa.

“Hai detto che la cabina ripartirà tra poco tempo.”

“Quando dico alte, intendo mortali.” Specificò Lena, mentre già si toglieva i tacchi e si sfilava il cappello.

“Mortali?” Domandò Kara, le sembrava già che facesse più caldo rispetto ad un secondo prima. Guardò la cioccolata che si stava sciogliendo nella sua mano e sgranò gli occhi, ficcandosela tutta in bocca, tanto valeva non sprecare qualcosa di così buono.

“Non ti preoccupare, la riparerò.” Assicurò Lena togliendosi anche la giacchetta e rimanendo in camicia. “Aiutami a salire.” Aggiunse poi, indicando il pannello sopra le loro teste.

“Non ho i miei poteri…” Le ricordò Kara.

“Ma hai due braccia! Forza Kara, aiutami!” Sentirle dire il suo nome le diede un brivido caldo, l’ultima volta che lo aveva detto…

Nel vedere la faccia di Lena seguire i suoi pensieri, abbassò gli occhi e intrecciò le dita abbassandosi di modo da poter offrire alla giovane quella specie di scalino.

Una spinta e il pannello fu messo di lato, una seconda e Lena scomparve nella botola.

“Lena?” Domandò Kara, cercando di sbirciare nel buio sopra di lei.

“Passami la valigia.” Ordinò la donna e Kara obbedì. Pochi istanti e vi era un piccolo globo meccanico che brillava accanto alla donna.

Kara ammirò la linea del viso della giovane, era bella, anche ora che un ricciolo ribelle le era ricaduto sulla fronte.

“Ci vorrà un po’.” Lena ruotò lo sguardo su di lei sorprendendola mentre la guardava. Kara abbassò lo sguardo arrossendo. “Tu non ti agitare e tutto andrà bene.”

Non ti agitare, certo, come se fosse facile, pochi minuti e a Kara le sembrava di essere in una sauna.

Si sedette a terra agitando una mano davanti al viso, cercando di fare un po’ d’aria.

“Lo sai che l’energia che generi nel muovere la mano produce più calore di quanto ne dissipi l’aria che smuovi, vero?” Le chiese Lena, dalla sua posizione sopraelevata.

“Fa caldo!” Si lamentò lei, ma smise di agitare la mano.

Lentamente si ritrovò sul pavimento, gli occhi puntati verso l’alto, verso la botola, da lì poteva vedere parte del corpo di Lena, ma non il volto, nascosto nell’ombra ora che il globo luminoso era diretto verso le sue mani e le parte meccaniche sulle quali stava lavorando. Le mancava osservarla lavorare ai suoi progetti, stare semplicemente lì, accanto a lei, mentre la donna creava meraviglie. Gli occhi che brillavano di soddisfazione alle riuscite e cercavano lei, nel successo o nello sconforto.

“Non hai caldo?” Le chiese dopo un po’.

“No.” Rispose lei e Kara ci mise un intero secondo a cogliere il suo tono sarcastico.

“Uffa.” Si lamentò, sentendosi presa in giro. “Fa caldo.” Ci tenne a puntualizzare. Presa dall’ispirazione si sfilò dal collo gli occhiali da aviatore e li posò a terra, poi abbassò le bretelle, sfilando la camicia dai pantaloni e iniziando a sbottonarla.

“Non avrai intenzione di toglierla?” Il tono di Lena ora non era affatto sarcastico e neppure ironico, anzi era stranamente… acuto.

“Sì, certo.”

“Non ci pensare neppure.” Rispose, secca, la donna.

“Andiamo, siamo solo tu ed io e sotto ho…”

“Kara, non toglierai la camicia. E questo è quanto.”

Lei sbuffò lasciando ricadere le mani lungo i fianchi.

“Se avessi i miei poteri alchemici potrei soffiare aria fredda!” Piagnucolò.

“Se avessi i miei attrezzi avrei riparato questo condizionatore in due minuti, ma devo usare una forcina e una penna, quindi ci vorranno quindici minuti.”

“Ma ne sono passati almeno venti!” Si lamentò Kara.

“Ne sono passati sette.” Precisò Lena.

Rimasero di nuovo in silenzio, Kara poteva sentire Lena che lavorava con i delicati ingranaggi e poteva sentire il caldo aumentare inesorabile.

Un bottone, solo un bottone, Lena non avrebbe neppure visto. Lo fece scattare e poi rilassò le mani e assunse un’aria innocente. Lena non si lamentò, così Kara ne sbottonò un altro.

“Credi che se mi mettessi a testa in giù avrei meno caldo?” Domandò, dopo aver sbottonato un altro bottone.

“Perché mai?” Chiese Lena, la voce soffocata.

“Non lo so… perché il sangue affluisce al cervello e il corpo si raffredda?” Il ticchettio si interruppe e dalla botola apparve il viso di Lena.

“Sei seria?”

“Sì? No… era per dire…” Lena le lanciò una lunga occhiata, non sembrava molto concentrata sulla sua risposta, ma non fece commenti sulla sua camicia quasi del tutto sbottonata.

“Non lo fare.” Le disse soltanto e poi sparì di nuovo, Kara non era sicura se si riferisse alla camicia o alla verticale, ma non chiese, la fronte di Lena imperlata di sudore era qualcosa che non aveva ancora mai visto…

Kara si leccò le labbra disidratate.

“Per caso hai dell’acqua in quella tua valigetta?” Domandò, colpita dall’idea e pentendosi di aver mangiato l’intera barretta di cioccolata.

“No.” Rispose la giovane Luthor. Kara sbottonò l’ultimo bottone della camicia e poi ruotò sulla pancia, sperando di ottenere un po’ di sollievo dal contatto con il metallo del pavimento. Aprì le gambe e le braccia, schiacciando la guancia sul pavimento.

I suoi occhi notarono la carta della cioccolata che doveva essere sfuggita dai suoi pantaloni quando aveva sfilato la camicia, e le venne un’altra idea.

“Lena, credi che potremmo creare una specie di isolante con la carta della cioccolata? Ne hai altra nella tua valigia? Potremmo mangiarla tutta, creare una specie di coperta con tutte le carte e isolare i due compensatori di gravità.”

Ruotò la testa quanto bastava per vedere il luccichio divertito negli occhi di Lena.

“Se vuoi altro cioccolato, basta chiedere.”

Kara fece una smorfia.

“Non era per il cioccolato!” Protestò.

“Bene, perché non ne ho altro, quella era l’unica barretta che portavo con me.”

“Oh…” Disse delusa, malgrado la sete non le sarebbe dispiaciuto mangiare ancora un po’ di quella delizia.

“Ho quasi finito.” Assicurò Lena.

Pochi istanti e con un piccolo rumore il condizionatore tornò in funzione.

“Aiutami a scendere.” Le chiese la donna e Kara si tirò in piedi.

Lena si calò dalla botola e lei la sorresse.

Si era dimenticata della camicia. Si era dimenticata dell’effetto che le faceva stringere Lena tra le braccia e ora lo stava facendo senza camicia, con solo un piccolo reggiseno a coprire…

Arrossì, mentre il suo cuore faceva un balzo e prendeva a battere furioso.

E Lena, questa volta, non si staccò da lei, ma rimase lì, forse scioccata nello scoprire quanto Kara si fosse spogliata in quei pochi minuti, forse semplicemente sorpresa. I loro visi erano vicini, i loro corpi caldi erano schiacciati uno all’altro. La mano di Lena si aggrappò al suo braccio come se necessitasse di ulteriore sostegno e Kara la strinse a sé con ancora più forza, spingendo il proprio volto ad avvicinarsi ancora di più a quello di lei.

Lena cercava qualcosa nel suo sguardo, alzò la mano esitò, poi il suo viso si irrigidì e lei fece un passo indietro, deciso, ruotando su se stessa, come a volersi sottrarre a lei o, magari, a volersi nascondere.

Kara la vide abbassarsi per recuperare la giacca e il cappello, poi infilare le scarpe con i tacchi.

“Lena…” Mormorò, non voleva, non poteva…

“No.” Secco e deciso quel no raffreddò l’aria più di quanto lo stesse facendo il condizionatore.

“Mi dispiace, non…” Tentò lo stesso.

“Lo hai già detto.” Replicò Lena. “Tutto è stato detto. Ti prego di non farne più parola con me.”

Questo la zittì. Non voleva ferirla più di quanto non avesse già fatto.

Passarono i minuti, il condizionatore fece il suo lavoro e l’aria fu di nuovo fresca, Kara cercò di apparire di nuovo presentabile, sistemò la camicia e le bretelle, si impegnò anche nel farsi la treccia, non che Lena la guardasse, fissava solo il pannello, come se non fosse solo un pannello immobile, ma un irrisolvibile e intrigante problema.

Finalmente il comunicatore della cabina trillò e Lena lo afferrò con rapidità.

“Sì.” Disse, ascoltando. “Sì.” Concluse e poi riagganciò. “Hanno risolto il problema, la cabina sta per rimettersi in moto.” Mentre lo diceva un sobbalzo le fece ondeggiare, ma questa volta Lena era pronta e Kara non poté fare altro che osservare la sua schiena rigida.

Pochi minuti e le porte si sarebbero aperte, pochi minuti e quel momento che avevano avuto, quel momento che le aveva riportate indietro nel tempo sarebbe finito. Tutto sarebbe tornato come nelle ultime settimane e di Lena sarebbe rimasto solo il terribile senso di perdita.

“Ti ho mentito.” Sbottò. “Quella sera, all’Osservatorio, ti ho mentito.”

Lena ruotò la testa verso di lei, Kara sentì il cuore accelerare, ma la lontananza era stata troppo pesante, lo doveva a se stessa e a lei.

“Di cosa stai parlando?” Le chiese, vi era un tremito nella sua voce, che lo volesse o no.

“Ti ho mentito…” Riuscì a ripetere. Alle spalle di Lena il pannello di posizione si mosse, indicando che presto, molto presto, sarebbero giunte a destinazione. “Ho detto che… che…”

“Che non mi amavi.” Disse Lena e la sua voce ora non tremava, era tagliente, come una lama.

Kara tremò sotto quelle parole.

“Io…” Trangugiò, gli occhi di Lena erano meravigliosi posti in cui perdersi, ma ora sembravano pronti a uccidere. “La mia famiglia ha un segreto…” Provò a spiegare.

“Siete Alchimisti Naturali, me lo hai detto anni fa. E io sono una Luthor, anche questo lo so da anni, altre ovvietà?” Era arrabbiata.

Kara le aveva spezzato il cuore quella sera all’Osservatorio e ora stava riaprendo la ferita, dal punto di vista di Lena era una crudeltà inutile.

“Non quel segreto… un altro.” Lena incrociò le braccia, il mento alto, la mascella rigida, in attesa di qualcosa di plausibile. “Gli El hanno stretto un’alleanza con i Gand.”

“Cosa?” La notizia sembrò spezzare il muro di freddezza in cui si era avvolta la donna. “I Gand e gli El si odiano da generazioni e generazioni.”

“Sì… ma mia madre è riuscita a creare una specie di tregua e, grazie alla mia nascita, gli El hanno avuto la possibilità di offrire qualcosa di molto importante, qualcosa che porterà la pace tra le nostre due famiglie e quindi tra tutti noi.”

“Perché mantenere un simile segreto?”

“Per non mettere in pericolo me.” Il viso di Lena si corrugò, poi i suoi occhi brillarono di comprensione.

“La mia famiglia ha sfruttato per generazioni questa vostra rivalità, non avrebbe permesso un’alleanza.”

“Io…”

“Quindi tu me l’hai tenuto nascosto.”

“No! Non è quello il punto! So che tu sei diversa, che vuoi la pace tanto quanto la voglio io e che mai, mai, mi avresti messa in pericolo.” Kara era concitata e prese, senza neanche rendersene conto, le mani di Lena, stringendole. “Io lo so! E te lo avrei detto, poco importava che non fosse solo un mio segreto, ma quello della mia famiglia.”

“E allora perché?” Chiese Lena.

“Perché…” Di nuovo Kara non riuscì a trovare le parole.

“Non devi trovare scuse, ci ho messo un po’ di tempo, ma ho capito di aver interpretato male la nostra amicizia. Ho voltato pagina, quindi non ti devi preoccupare per me.”

“No!” Protestò lei, ma Lena aveva strappato le mani dalle sue e aveva recuperato la sua valigetta. Si voltò nel preciso istante in cui le porte si aprirono.

“Miss Luthor! Sta bene? Ci dispiace enormemente per l’inconveniente…”

“Non importa.”

Lena si allontanò seguita da un gruppo di uomini afflitti, mentre Kara, pochi minuti dopo, fu trascinata fuori dalla cabina da un’Alex molto preoccupata.

“Ti avevo detto di rientrare prima dell’eclissi! Perché non mi ascolti mai?”

“L’ho persa.” Si rese conto e il suo cuore si spezzò, per la seconda volta.

“Cosa?” Chiese Alex, arrivata troppo tardi per vedere scendere Lena.

“Lena… non sono riuscita a dirle quello che dovevo e l’ho persa.”

Alex sospirò, poi le passò la mano attorno alle spalle e la condusse a casa, sulla grande nave degli Alchimisti.

 

Aveva sempre amato quel posto. Le era sempre parso come un ponte tra i due mondi da una parte le stelle, una miriadi di mondi tra i quali quelli che avevano portato tra loro gli Alchimisti e dall’altra la Terra con le sue città, le sue foreste, i suoi mari e le sue montagne. A collegarli quel posto: l’Osservatorio.

La Cittadella era sì il centro politico di quella unione, ma era l’Osservatorio che, secondo lei, ne era il cuore. Quello era il luogo che era stato costruito per primo, per far sì che le stelle unissero gli abitanti della Terra e i nuovi venuti. Lì, erano state strette le prime mani, erano nati i primi accordi.

Lì aveva detto a Kara Zor-El che si era innamorata di lei.

Strinse le mani a pugno, cercando di impedire al solito dolore di sommergerla. Non era una donnetta fragile e sensibile, la vita non era stata rose e fiori per lei, anzi, aveva dovuto lottare fin dall’età di quattro anni, quando era entrata a far parte della famiglia dei Luthor. Eppure quella ferita sembrava volerle fare ancora male, non voleva saperne di guarire. Incontrare Kara nella cabina di ascensione poi, non aveva aiutato, sentirla di nuovo così vicina, sentirsi stringere dalle sue braccia, vederla rotolare a terra priva di pensieri, come quando erano solo ragazzine… e poi sentirla cercare giustificazioni… era stato davvero troppo, le aveva già spezzato il cuore, voleva anche umiliarla?

Smise di camminare e si fermò, non aveva scelto lei la propria direzione, ma i suoi passi l’avevano condotta esattamente lì, nel loro posto preferito, sotto una delle cupole più piccole. Il luogo però non era deserto, malgrado l’ora tarda.

Immobile sull’erba terrestre, osservando Rao, lontano nel cielo, Kara sembrava ignara della sua presenza.

Lena esitò, se si fosse mosse l’avrebbe sentita? L’aveva già sentita? I suoi poteri alchemici dovevano già averle portato all’orecchio il suono dei suoi passi, il battito del suo cuore, il suo respiro.

“Speravo che venissi qui.” Le parole la raggiunsero togliendole ogni dubbio. Kara ruotò su se stessa distogliendo gli occhi dal cielo e fissandoli su di lei. Erano azzurri come non mai, esaltati dall’abito blu, ricamato con il simbolo degli El.

“Non so perché sono qui.” Ammise. Era stanca, era stata una lunga giornata e le mancava la sua migliore amica.

“Devo sposare Mon l’erede dei Gand,.”

La frase era stata detta a fior di labbra, ma l’Osservatorio era silenzioso e deserto a quell’ora della notte e il suono raggiunse le orecchie di Lena con violenza.

“Cosa…?” Chiese, incredula.

“Non posso amare te… non posso perché devo sposare un altro.” Ora Lena capì perché gli occhi di Kara erano sorprendentemente azzurri: lacrime non più trattenute scesero sulle guance della giovane.

Lena non si mosse. Era una donna brillante, ma quella verità faceva fatica a penetrare la sua mente.

“Non puoi…?” Chiese, la sua voce si era fatta di nuovo acuta.

“Non posso.” Ripeté Kara, si era alzata veloce come solo l’alchimia poteva permetterle ed era davanti a lei. Sulla mantella rossa che si era lanciata sulle spalle le ricadevano morbidi i capelli biondi.

“Ma…” Lena sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma non era dolore, era sollievo… malgrado tutto, malgrado quella terribile verità, lei provava un tremendo senso di sollievo.

“Ti ho mentito quella sera.” Kara ripeté le parole che aveva già detto quel giorno, riprendendo il discorso  che non era riuscita a terminare. “Mi sono ripromessa che, se tu fossi venuta qua questa sera, avrei trovato la forza di dirti la verità, tutta la verità.”

Lena inclinò la testa, cercando negli occhi della giovane della titubanza, dell’incertezza, ma trovò solo determinazione, anche se ricolma di emozione.

“Io…” La voce di Kara tremò e Lena sorrise, sorrise perché aveva appoggiato la propria mano sul petto di Kara e sentiva il suo cuore battere veloce. “Io ti amo.” Lena chiuse gli occhi e spinse le proprie labbra ad incontrare quelle di lei.

 

Il futuro non aveva più importanza, solo quel meraviglioso istante contava e, mentre le loro lacrime si mescolavano nel bacio, le due donne promisero a se stesse, alla compagna e al mondo che avrebbero lottato contro tutto e tutti per quell’amore.

 

 

 

 

Note: Ci tengo a precisare che il finale non vuole essere amaro, ma, al contrario, promette un sicuro, seppur difficile, percorso verso il lieto fine!

Questa storia è stata scritta con questo prompt: "I need Fresh Air: L’aria condizionata è rotta e mentre B tenta di ripararla, A cerca refrigerio in ogni modo possibile e immaginabile" e partecipa all’iniziativa “Summer Raimbow2018” del gruppo LongLiveToTheFemslash. Come avete potuto leggere ho deciso di forzare un po’ l’idea con una storia steampunk, rendendo quel condizionatore un po’ più vitale di quello che, immagino, fosse nell’idea del creatore del prompt. ;-)

Spero che questa piccola storia vi sia piaciuta! Io adoro il mondo in cui l’ho immaginata.

Ciao ciao

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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