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Autore: Magica Emy    20/08/2018    3 recensioni
!« Per quale diavolo di motivo mi hai costretto a innamorarmi di te se poi nella nostra relazione sei quella che non si impegna mai abbastanza?»
Si chiuse la bocca con una mano, arrossendo violentemente, ma ormai era troppo tardi. Lo aveva detto. E lei, a giudicare dalla faccia paonazza che stava esibendo, aveva di certo sentito perfettamente.
«Che…che cosa…hai appena detto?» sussurrò speranzosa, scuotendo allo stesso tempo più volte la testa come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie. Otani sospirò con forza, cercando con scarsi risultati di placare i battiti impazziti del suo cuore.
«Lascia perdere.» disse voltandole le spalle ma lei strinse forte il suo braccio, facendolo sussultare.
«No, non posso farlo. Non ora. Insomma, tu hai detto…hai detto che…»
«Ho detto che ti amo.» completò la frase per lei, e un dolce calore inaspettato imporporò ben presto le guance di Risa, facendola sorridere.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Otani, Risa Koizumi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Si può sapere che cavolo ti prende, Otani?» esclamò, ancora ansante per la corsa. Lo aveva praticamente inseguito per mezza città finchè non lo aveva visto fermarsi al parco, così lo aveva raggiunto, grata che quell’assurda corsa a ostacoli fosse finalmente giunta al termine. Dopo giorni e giorni di inutili paranoie aveva deciso che quella sarebbe stata la volta buona. Non aveva scampo ormai, non sarebbe più riuscito a sfuggirle. O almeno lo sperava. Lo avrebbe affrontato, questo era certo, e lo avrebbe fatto a muso duro, senza girarci troppo intorno come invece si stava divertendo a fare lui. Da un po’ di tempo era sempre scontroso e di cattivo umore, specie nei suoi confronti, così Risa aveva deciso che se c’era qualcosa che lo turbava dovesse essere lei la prima a saperlo. Sì, così era giusto che fosse. Lo vide trasalire prima di voltarsi verso di lei, l’aria smarrita ma furibonda.

«E hai anche il coraggio di chiederlo? E che cavolo, ma ti senti quando parli? Tanto per cominciare sono Atsushi. Atsushi. È così difficile per te chiamarmi col mio nome?»

Tutto qui il problema? Era così arrabbiato perché non lo chiamava per nome? Accidenti, che bambino! Come faceva a non capire che per lei non era così facile come sembrava? In fondo stavano insieme da così poco. Chiamare per nome una persona era un gesto intimo che richiedeva del tempo, e loro di tempo non ne avevano avuto poi molto. Inoltre, la sola idea di pronunciare per intero il suo nome di battesimo la faceva avvampare dall’imbarazzo.

«Sul serio sei arrabbiato per questa stupidaggine, nano?» lo punzecchiò, sperando di alleggerire l’insopportabile tensione venutasi a creare, anche se i suoi occhi fiammeggianti le suggerivano tutto il contrario.

«Piantala e stammi a sentire, una volta tanto. Non sto scherzando. Per quanto tempo hai intenzione di trattarmi così?» urlò lui, esasperato, senza neppure preoccuparsi che qualcuno avrebbe potuto sentirlo. Per fortuna a quell’ora il parco era ormai praticamente deserto e l’aria fresca della sera cominciava a pizzicare le sue braccia scoperte, facendolo rabbrividire, anche se questo era certamente l’ultimo dei suoi pensieri.

«Così come?»

La sentì rispondergli, gli occhi sgranati per lo choc. Possibile che quella stupida non capisse mai un accidente?

«Come se non fossi neppure il tuo ragazzo» spiegò ormai al limite della sopportazione, «come se noi due fossimo solo dei semplici amici. Non hai fatto che trascurarmi in questo periodo e quando sono passato a casa tua non mi hai nemmeno presentato ai tuoi come si deve. Io non sono un semplice compagno di classe, hai capito? Sono il tuo fidanzato e come tale merito un po’ di considerazione in più! Per quale diavolo di motivo mi hai costretto a innamorarmi di te se poi nella nostra relazione sei quella che non si impegna mai abbastanza?»

Si chiuse la bocca con una mano, arrossendo violentemente, ma ormai era troppo tardi. Lo aveva detto. E lei, a giudicare dalla faccia paonazza che stava esibendo, aveva di certo sentito perfettamente.

«Che…che cosa…hai appena detto?» sussurrò speranzosa, scuotendo allo stesso tempo più volte la testa come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie. Otani sospirò con forza, cercando con scarsi risultati di placare i battiti impazziti del suo cuore.

«Lascia perdere.» disse voltandole le spalle ma lei strinse forte il suo braccio, facendolo sussultare.

«No, non posso farlo. Non ora. Insomma, tu hai detto…hai detto che…»

«Ho detto che ti amo.» completò la frase per lei, e un dolce calore inaspettato imporporò ben presto le guance di Risa, facendola sorridere.

«È così, ti amo Risa.» ripetè, stavolta guardandola negli occhi, e il suo sguardo teneramente imbarazzato le fece tremare le ginocchia. Lui, contrariamente a tutte le aspettative riusciva a pronunciare il suo nome con una naturalezza disarmante, togliendole ogni volta il respiro. Ma stavolta era anche peggio, perché non immaginava certo che parole come “ti amo” e “Risa” potessero stare insieme nella stessa frase senza fare a pugni. Non era un sogno, solo realtà. Realtà vera. La ragazza, commossa, intrecciò le dita alle sue.

«Ti amo anch’io Ot…ehm, Atsushi» si corresse con una risatina nervosa, ignorando le lacrime che adesso scivolavano silenziose lungo le sue guance «e mi dispiace se ti ho ferito col mio modo di fare ma, vedi, io non ero mai stata con un ragazzo prima d’ora, e non ho idea di come ci si comporti in questi casi…perciò ti prego di perdonarmi se ho fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei solo poter rimediare in qualche modo.»

Il giovane asciugò lentamente le sue lacrime permettendole di specchiarsi nei suoi occhi, ora limpidi e sinceri. Non vi era più traccia di ostilità sul suo bel volto, solo un largo sorriso che in un attimo riuscì a scaldarle il cuore.

«Sono io che devo scusarmi con te, ho esagerato. Ti ho fatta piangere e non volevo.»

Avrebbe voluto spiegargli che quelle che stava versando erano lacrime di pura felicità, ma lui non la stava certo ascoltando adesso. Lo vide sollevarsi sulle punte, sfiorando le sue labbra con un bacio lieve.

«Va meglio?» disse.

«No.» rispose lei, esibendosi in una smorfia imbronciata che lo fece scoppiare a ridere.

«Sei proprio un impiastro, scema.»

«Come ti permetti, nanerottolo dei miei stivali! Vuoi forse la guerra?»

«Vuoi stare un po’ zitta?» e la baciò di nuovo, più a lungo stavolta, assaporando piano quelle labbra invitanti che le lacrime avevano reso più morbide, fino a mozzarle il respiro.

«Dimmelo un’altra volta.» gli sussurrò quando si staccarono.

«Cosa dovrei dire?» fece lui, fissandola senza capire.

«Che mi ami, idiota che non sei altro. Dimmi di nuovo che mi ami.»

«Ma sei scema? Perché dovrei dirti una cosa del genere dopo il modo in cui mi hai appena apostrofato?»

«Perché lo hai appena fatto. Voglio che lo ripeti. Su, non farti pregare.»

«Non se ne parla proprio.»

Risa sbuffò, incrociando le braccia al petto con aria contrariata. Il giovane alzò le spalle con noncuranza, camminando un passo avanti a lei.

«Sei proprio un idiota, lo vedi?»

«E tu una stupida senza speranza. Ma ti amo lo stesso.»

Sorrise sotto i baffi e la sentì fermarsi di colpo, esclamando a gran voce: «Ma cavolo così non vale, non ero preparata! Devi dirmelo guardandomi negli occhi.»

«Che cosa? Non t’allargare ora, una volta è più che sufficiente per te.»

«Che vorresti dire con questo, pulce?»

«Esattamente quello che ho detto, gigantessa!»

La più alta sorrise, annuendo compiaciuta.

«E comunque sono due.»

«Come?»

«Lo hai detto per ben due volte, non puoi certo negarlo.»

«Non è vero!» disse, sentendosi arrossire fino alla radice dei capelli.

«Sì, invece.»

«Ti dico di no. Accidenti, sei insopportabile! E comunque sono tre. Tre volte. Non sai neppure contare.» imprecò poi sottovoce.

«Hai detto qualcosa, nanerottolo?»

«Proprio no, spilungona!»

   
 
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