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Autore: _Takkun_    20/08/2018    1 recensioni
Dal prologo:
Fece scorrere la playlist e, come di consuetudine, il suo dito andò a fermarsi su una canzone in particolare: Rise Again.
Quando la fece partire, Ranmaru indirizzò lo sguardo verso il cielo terso di quel pomeriggio.
Il giorno seguente sarebbe stato il primo di aprile, lo stesso giorno in cui, una decina di anni prima, il destino gli aveva riservato un inaspettato scherzo, facendogli incontrare un ragazzo che con la sua inesauribile vitalità e il sorriso sempre ben piantato sulle labbra, gli aveva cambiato la vita.
Rise Again era la loro canzone.
Sua e di quel ragazzo che un tempo rispondeva al nome di Reiji Kotobuki.
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“Even if I lose everything, I’ll still love only you”
So in love… I don’t want to be apart from you
Even if my dreams are ripped to shreds
“Even in stormy winds… Even if lightning strikes… I will not fall again”
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ranmaru Kurosaki, Reiji Kotobuki
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rise Again  


05. Un debito da sanare



 
 
[Baia di Odaiba, 11 Aprile 2015]
 
 


Il vento che entrava dal finestrino del suo maggiolino gli scompigliava piacevolmente i capelli.
Reiji si passò una mano fra questi ultimi, godendosi il momento con un’espressione rilassata mentre finiva di attraversare il Rainbow Bridge per entrare nella baia di Odaiba.
Il cielo era terso, limpido, e il sole, già forte e luminoso a quell’ora, l’aveva portato ad abbassare la visiera per proteggere gli occhi e rendergli sicura la guida.
Era domenica, ciò significava niente università e niente tirocinio, e almeno per quel giorno decise di prendersi una pausa dallo studio – nell’ultima settimana aveva lavorato parecchio sodo -, anche se questo non voleva proprio dire essere assente dall’ospedale.
Il calendario appeso in cucina aveva parlato chiaro, oggi: 11 aprile, compleanno del piccolo Otoyan.
Reiji guardò con la coda dell’occhio il sedile del passeggero, sorridendo compiaciuto al pensiero della faccia del suo piccolo amico davanti a quella sorpresa, era certo che non se l’aspettava affatto.
Se non fosse stato per la signora dell’orfanotrofio e per suo fratello minore, il piccolo Cecil, non sarebbe mai venuto a conoscenza del compleanno.
Stranamente Otoya non ne aveva fatto parola con lui nell’ultima settimana.
«Mh?»
Il moro iniziò pian piano a rallentare quando, nell’avvicinarsi alla clinica veterinaria, individuò un volto a lui ben noto sul marciapiede, intento a parlare con Sakagami-sensei.
«Satou-san!» lo chiamò l’alunno dopo aver accostato, interrompendo la conversazione dei due. «Come mai qua? Salve, Sakagami-sensei!»
Il veterinario lo salutò con un cenno della mano, sorridendo. «Da quanto tempo, non ti ho più visto da queste parti.»
«Uh? Vi conoscete?» chiese Satou, impegnato a tenere stretto contro il petto un bentou, dettaglio che non sfuggì agli occhi Reiji: era strano, Satou-san non era solito portarsi qualcosa da mangiare, lo si trovava sempre al bar dell’ospedale per qualche spuntino.
«Abbiamo avuto modo di conoscerci qualche mese fa. Mi pare fosse stato quando mi hanno chiesto di partecipare a quel seminario in università.» rifletté l’uomo, sistemandosi gli occhiali da vista sul ponte del naso. «Non te ne avevo parlato? Deve essermi sfuggito di mente.»
«Ehi, ehi, ehi.» assottigliò lo sguardo, Satou, premurandosi di inarcare un sopracciglio. «Come può esserti sfuggito se ti parlo sempre di lui? Stai seriamente diventando un vecchio bacucco, sai?»
Reiji inclinò il capo di lato, incuriosito dal rapporto d’amicizia che sembrava esserci tra i due. «Lei ha parlato di me?» chiese, avvertendo una piacevole soddisfazione al pensiero.
«Sei il suo pupillo, non sta zitto un attimo quando mi racconta qualcosa che ti riguarda.» confessò Sakagami, ricevendo una spinta da parte dell’altro che lo fece indietreggiare di qualche passo, oltre che ghignare compiaciuto.
«Sta’ zitto, Kousuke! È ancora uno studente, non deve sapere che ho favoritismi nei suoi confronti…» gli inveì contro con un tono di voce basso, come se quello potesse servire a non far sentire nulla a Reiji, distante da loro appena un metro.
Reiji ridacchiò fra sé e sé, sentendosi piuttosto lusingato dalla cosa, ma allo stesso tempo decidendo di non prolungare oltre quel discorso per il bene di Satou-san.
«Stava andando in ospedale? Posso offrirle un passaggio, se vuole.» propose, ricevendo un’occhiataccia da parte del suo superiore.
«Tu non stavi andando in ospedale, vero? Guarda che sono pronto a spedirti a casa a calci, se serve.» minacciò l’uomo sotto lo sguardo divertito del veterinario.
Reiji alzò le mani in segno di resa, indicando poi il sedile del passeggero. «È il compleanno di Otoyan, oggi, volevo fargli una sorpresa insieme ai bambini dell’orfanotrofio, ricorda? Non avrei avuto nulla di particolarmente importante da fare in ogni caso, non mi guardi così!»
Satou rimase a fissarlo male per un altro paio di secondi prima di lasciarsi andare a un sospiro sconsolato, indicando Reiji a Sakagami. «Vedi? Che ti avevo detto? Non so più che dirgli!»
«Effettivamente mi sembra strano che a Masa non piaccia.» commentò, lasciando per un attimo perplesso il moro: chi era “Masa”?
Reiji fece per dare voce a quella domanda, ma si interruppe e al contempo si irrigidì completamente quando, con la coda dell’occhio, vide una certa capigliatura albina passare davanti al suo maggiolino dopo aver attraversato la strada.
Strinse una mano sul volante, e quando Ranmaru lo guardò non ebbe nemmeno la prontezza – o il coraggio – di dirgli quantomeno un semplicissimo ciao.
Il minore, nascondendo dietro a una fredda indifferenza la sorpresa di rivederlo dopo più di una settimana, si limitò a salutare il veterinario e poi entrare nella clinica come suo solito, accompagnato dal fedele basso sulle spalle.
«Uhm, dicevamo? Se vuole salire, io la accompagno ben volentieri, Satou-san.»
Sakagami infilò una mano nella tasca del camice, tirando fuori un pacchetto di sigarette e un accendino. «Non dirmi che da quella volta in clinica non avete più risolto...?»
«Uh? Un litigio? Ah, per questo ho sentito un po’ di tensione all’arrivo di quel ragazzo?»
Reiji abbozzò un sorriso. «Diciamo di sì, in un certo senso…»
Il veterinario guardò il ragazzo e dopo aver inalato del fumo soffiò una nuvola grigia che si disperse nell’aria. «Senti, io e lui abbiamo ancora un paio di cose di cui discutere.» disse, indicando se stesso e Satou. «Se non sei troppo di fretta e hai ancora intenzione di dargli un passaggio, perché nel frattempo non vai a fare quattro chiacchiere con Kurosaki-kun? Che tu ci creda o meno, un giorno mi ha chiesto di te.»
Reiji si prese qualche secondo prima di metabolizzare quello che gli era stato detto. «Prego? Le ha chiesto di me?!»
Sakagami sorrise e annuì. «Si chiedeva se fosse successo qualcosa di grave quel giorno di pioggia, immagino che te lo ricordi. Prima che potessi dirgli che non ne sapevo nulla, ha preferito non ascoltare la mia risposta e da lì non è più tornato sull’argomento. Non penso l’abbia fatto perché alla fine non gliene importasse davvero, ma per quanto ho imparato a conoscerlo, credo non volesse sembrare uno che ficca il naso nelle faccende altrui.»
Ancora una volta, Reiji lo ascoltò come se tutto quello che gli stesse dicendo non fosse vero, non ci poteva credere.
Da come se n’era andato quella sera, tutto aveva capito fuorché potesse in qualche modo essere preoccupato di lui e di come stesse.
Pensandoci, però, da quando l’albino si era improvvisamente offerto di cantare una canzone insieme a lui, al tentennamento che gli aveva procurato dopo avergli chiesto se avesse qualcosa da dire riguardo il polverone tirato su dall’amico, Reiji poteva notare come effettivamente Ranmaru avesse provato a fare qualcosa per lui, a modo suo.
Sakagami vide come gli occhi del moro tornarono pian piano a illuminarsi, abbandonando quella nota triste nello sguardo.
«Se entri ora avrai il piacere di trovarlo in tenera compagnia, il più delle volte è di buonumore quando viene qui. Attraversa il corridoio, prima stanza a destra.» aggiunse il veterinario, indicandogli con un cenno del capo la clinica.
Reiji non aspettò un secondo di più, curioso anche di sapere a che cosa si stesse riferendo l’uomo con le sue parole.
Dopo aver preso dal sedile del passeggero il suo cappello, scese dall’auto e salutò momentaneamente i due, seguendo le indicazioni dategli precedentemente.
Quando arrivò davanti alla porta, però, non entrò subito, ma avvicinò l’orecchio, ascoltando lo strimpellio di uno strumento che fu subito in grado di riconoscere come il basso del ragazzo.
Abbassò piano la maniglia e finalmente si fece strada all’interno della stanza, trovando Ranmaru girato di spalle, seduto a terra, intento – per l’appunto – a suonare qualcosa per un pubblico che scoprì solo con l’avvicinarsi un altro po’ a lui.
«Ma quelli sono dei cuccioli!» se ne uscì all’improvviso con un tono carico di dolcezza e tenerezza, che non fu comunque ben accolto dai due maschi alfa nella stanza.
Se da una parte Ranmaru aveva sperato di aver percepito male quella voce, contando di trovare alle sue spalle Sakagami-sensei, Mike dall’altra si mise immediatamente all’erta, le zampe tese, pronte all’attacco, e la coda incurvata con il pelo rizzato.
«Va tutto bene, loro non sono in pericolo.» lo rassicurò l’albino, lasciandogli diverse carezze che dal capo andarono a lisciare il pelo del dorso, portandolo poco per volta a mettersi di nuovo tranquillo all’interno della custodia dello strumento, ormai uno dei suoi luoghi preferiti in cui trascorrere il tempo quando Ranmaru si presentava in clinica.
«Io invece sì.» grugnì.
Ranmaru sollevò lo sguardo su Reiji, il quale in quel momento gli stava dedicando un sorriso tirato che mal celava la preoccupazione di essere attaccato dal micio, e senza dire nulla tornò semplicemente a guardare i cuccioli, lasciando momentaneamente da parte lo strumento per accarezzare con il dorso dell’indice il muso di Tama, la quale non si era mossa di un solo millimetro, probabilmente sapendo di poter stare più che tranquilla in presenza di Mike e soprattutto sua.
Quando la gatta rispose al suo tocco leccandogli il dito, impegnata nel frattempo ad allattare i suoi piccoli, per Ranmaru fu inevitabile concedersi un sorriso.
Sorriso che non fu visibile a Reiji, poiché una volta che prese posto al suo fianco, piegato sulle gambe con le ginocchia contro il petto, l’albino fu rapido a tornare serio, ritirando la mano dal muso di Tama.
«Quel gatto…» iniziò Reiji, indicando Mike dall’altra parte, in qualche modo rassicurato dal fatto che Ranmaru si trovasse in mezzo a loro, a dividerli. «È quello dell’altra volta?» chiese, e sorprendentemente, per sua gioia, la risposta non si fece attendere troppo.
«Mh.»
“Beh, tecnicamente può considerarsi una risposta, non mi ha ignorato”, pensò mentalmente, gongolando fra sé e sé.
«E questi sono i loro cuccioli?» continuò a chiedere imperterrito, chiedendosi fino a che punto poteva spingersi prima di spazientirlo del tutto. I suoi occhi, nel frattempo, andarono a posarsi adoranti su quei piccoli batuffoli: di così piccoli ne aveva visti solo in televisione o magari in qualche video sui social, dal vivo erano tutt’altra cosa. «Come si chiamano?» nascondere il suo entusiasmo per quelle creaturine gli fu impossibile, ma a Ranmaru quello non parve dispiacere, sebbene gli sembrasse strano parlarci in quel modo, quasi fosse la cosa più naturale del mondo dopo quello che era successo tra loro.
Non ce l’aveva con lui per come aveva reagito alla serata del karaoke?  
«Niko e Ikko, sono nati cinque giorni fa.» disse senza distogliere lo sguardo da loro.
Reiji gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, sorridendo fra sé e sé mentre cercava di resistere alla tentazione di allungare una mano almeno verso la madre, così da concederle una carezza affettuosa – forse, però, non sarebbe stata un’azione saggia in presenza dell’altro gatto, era quasi certo che fosse pronto ad intervenire in qualsiasi momento.
«Sei diventato nonno, allora!»
Ranmaru assottigliò lo sguardo e cercò di capire se quello che aveva detto l’altro era veramente arrivato alle sue orecchie, o se aveva capito male - cosa su cui sperava, ma neanche troppo.
«Hah?» si voltò a guardarlo male, inclinando il capo di lato. «Che diavolo stai dicendo?»
Reiji rise di gusto. «Quello che voglio dire è che per te loro sono molto importanti, no? Un po’ come se fossero parte della tua famiglia, i tuoi figli!» spiegò, lanciando un’occhiata discreta a Mike. «Per arrivare a metterti in mezzo alla strada pur di salvarlo, significa che devi tenerci molto.» da Mike i suoi occhi tornarono a posarsi su Niko e Ikko, ora con lo stomaco pieno e sui cui musetti poteva leggere tanta soddisfazione.
«Ti hanno dato dei bei nipotini, mh? Quasi quasi potrei dire di vedere una somiglianza tra te e loro…» azzardò una battuta che, come c’era d’aspettarsi, non ricevette la reazione da lui voluta.
«Puoi anche smetterla, non sei divertente.»
«Ehhh~» nonostante le sue parole continuò a sorridere, felice di come la conversazione sembrasse filare con naturalezza. Se avesse voluto mandarlo via, era certo che Ranmaru glielo avrebbe detto subito, senza molti giri di parole.
«Mi intratterrei qui ancora un po’, ma-»
«Non farlo.»
«Cosa? Vuoi che riman-»
«No, non intrattenerti qua.»
«Gah-gahn! E io che ci avevo quasi sperato! Devi lasciarmi finire o rischio di capire male e illudermi!»
Ranmaru alzò gli occhi al cielo, scocciato.
«Dicevo che sebbene voglia rimanere qui ancora un po’, tra poco dovrei andare perché ho un impegno. Prima, però, ci tenevo ad approfittare di questo incontro per ringraziarti. Quando quella sera mi hai chiesto di cantare, era perché ti eri accorto che c’era qualcosa che non andava col mio umore?» domandò, sorridendo con tenerezza, proprio come aveva fatto alla vista di quei micetti, quando Ranmaru lo guardò con estrema sorpresa, sgranando gli occhi: se c’era una cosa in cui Ran-Ran pareva fare cilecca, quella era la dissimulazione.
«Non so di cosa tu stia parlando, non ricordo niente di quel giorno.» mentì, portando una mano ad arruffarsi i capelli dietro la nuca. Se da una parte gli era stato pressoché impossibile dimenticare quel brano – di cui aveva addirittura cercato la versione originale per metterla a confronto con la loro esibizione, confermando quanto banale suonasse alle sue orecchie se non cantata da lui e Reiji -, dall’altra Ranmaru non aveva smesso un solo giorno di pensare al modo in cui se n’era andato quella sera, senza dire una sola parola in difesa dei due attaccati da Kurou – e indirettamente anche Hisoka ci era finito di mezzo, un suo compagno di gruppo, altro dettaglio che lo irritava oltre ogni dire.
Conosceva bene i suoi principi, erano i pilastri che l’avevano reso quello che poteva vantare con orgoglio di essere diventato, e ancora non era riuscito a mandare giù il fatto di essere rimasto zitto come un deficiente e aver lasciato la situazione in mano a Hiroto e all’amico di Reiji.
Quel comportamento non rientrava di certo nel suo stile, e anche se la situazione col gruppo si era – grazie a chissà quale miracolo – momentaneamente sistemata, il rimpianto di non aver reagito come avrebbe voluto non mancava di tenere occupata una buona parte dei suoi pensieri.
Ora, nell’avere Reiji di nuovo lì al suo fianco, Ranmaru non sapeva se prendere la cosa come un’opportunità da parte del destino per rimediare al suo sbaglio e mettersi la coscienza a posto, così da potersi lasciare definitivamente la situazione alle spalle.
Reiji si alzò in piedi e infilò le mani in tasca, mostrando un’espressione quanto più amichevole possibile a Mike, il quale si era quasi rimesso sull’attenti, preoccupato per l’incolumità della sua famiglia.
«Studio infermieristica, e da qualche mese ho iniziato a fare tirocinio in ospedale, quindi il mio tempo libero è davvero ridotto. Ammetto di poterne avere un po’ di più, ma sono il tipo di persona che come penso tu abbia capito ama rendere le cose complicate.» sghignazzò, notando una mano alzata da parte di Ranmaru. «Cosa c’è? Hai una domanda?»
«No, sta’ zitto e non andare avanti. Non voglio sentire giustificazioni, sono fatti tuoi.»
«E invece voglio raccontarti un po’, quindi a meno che tu non abbia dei tappi per le orecchie a portata di mano, ti toccherà ascoltarmi~» fece lui, ignorando il ringhio che gli fu indirizzato. «Col tirocinio passiamo in rassegna diversi reparti, però grazie al mio responsabile, quel signore che poco fa stava parlando con Sakagami-sensei, io e altri studenti passiamo del tempo in più nel reparto di oncologia pediatrica, è questo il campo in cui sogno di potermi specializzare.» spiegò, e anche se Ranmaru sembrava mostrarsi occupato ad accordare lo strumento, sapeva benissimo che lo stava ascoltando con attenzione, quindi si prese la libertà di proseguire: «Il giorno dell’uscita ho avuto una discussione con il primario di questo reparto. Diciamo che non è proprio d’accordo con delle cose che mi capita di proporre per i nostri piccoli pazienti. E sempre quello stesso giorno ho avuto qualche problema con uno dei bambini, ma niente di grave, sta solo cercando di abituarsi all’ambiente ospedaliero e nel mio piccolo ho tentato vanamente di rallegrarlo un po’. Ecco, queste due cose assieme avevano contribuito ad abbassare il mio umore, e mi dispiace tanto che sia stato tu a doverti preoccupare di farmi sentire meglio visto che doveva essere l’opposto, ma allo stesso tempo voglio ringraziarti ancora, è stato davvero un bel pensiero da parte tua, Ran-Ran.» disse con un tono carico di sincera gratitudine, piegandosi leggermente in avanti in un piccolo inchino, ricevendo semplicemente in risposta il rumore della lingua schioccata contro il palato da parte dell’albino.
«Piantala di ringraziarmi per qualcosa che non ho fatto. Quella sera mi stavo solo annoiando, e tu e i tuoi sospiri mi stavate infastidendo più del dovuto, dovevo farti smettere prima che perdessi la pazienza.» rispose, evitando di commentare il resto di cui gli aveva parlato, non nascondendo però a se stesso quanto la cosa l’avesse colpito: oncologia pediatrica, se aveva ben presente di cosa si trattava, era roba tosta.
«In ogni caso, per come è arrivato a me, è un gesto che ho apprezzato molto. E per sdebitarmi momentaneamente, lascia che ti dia un piccolo regalo.» disse, alimentando un pizzico della curiosità del bassista, il quale gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio, osservandolo tutto intento ad armeggiare con il cappello che poco prima aveva in testa.
Reiji poi si piegò in ginocchio di fianco a lui, mostrandogli il cappello vuoto. «Non c’è niente, giusto?» sorrise, divertito dall’espressione perplessa che Ranmaru aveva al momento.
«Macchochu, macchu, macchokyun~!» esclamò dopo aver fatto roteare abilmente la tesa del cappello sull’indice, quasi fosse un pallone da basket, estraendo poi un lecca-lecca al limone dal copricapo, porgendolo in mano al ragazzo. «Et voilà! Spero che ti- Ran-Ran, non fare quella faccia! Rovini la magia del momento!»
«Cambia spacciatore. Non so cosa ti sia fumato, ma ha peggiorato il tuo stato. Ai miei occhi continui ad avere seri problemi…»
«Ehh?! Non ti ha sorpreso neanche un po’?!»
«Non dovevi andartene?»
«Gah!»
Ranmaru alzò di nuovo gli occhi al soffitto. Possibile che ogni volta dovesse fare tutte quelle scene?
«Me ne vado, me ne vado.» singhiozzò fintamente, rialzandosi da terra.
«Il limone nemmeno mi piace.»
«Non hai pietà, tu!»
Ranmaru, però, non poteva negare che rifilargli quel genere di risposte, in fondo – davvero molto in fondo –, non lo divertisse.
«Prima di lasciarti, posso chiederti una conferma?»
«Mi stai facendo perdere tempo, che cavolo c’è adesso?»
Reiji si sentì quasi stupido nel porgergli quella domanda, ma sentiva che con uno come Ranmaru era necessaria per capire in che modo lo vedesse l’altro. «Possiamo considerarci amici?»
L’albino si accigliò. Se si aspettava di prendersi immediata confidenza dopo una semplice chiacchierata e quello stupidissimo trucco di magia, si sbagliava di grosso.
Ancora non sapevano niente l’uno dell’altro, con lui le relazioni non funzionavano in quel modo così superficiale: se era così disperato da volere qualche amico in più nella sua cerchia, che andasse a disturbare altra gente.
«Conoscenti. Amici è una parola grossa.» rispose, trovandosi davanti tutt’altro tipo di espressione da quella che credeva avrebbe assunto: perché stava sorridendo così tanto? Aveva capito ancora una volta quello che voleva lui?
«Conoscenti per il momento va benissimo! Conoscenti significa che ci possiamo rivolgere la parola se ci vediamo, giusto? È fantastico!» esultò, stringendo una mano a pugno, sinceramente entusiasta della cosa. «Ran-Ran, i micetti staranno qua ancora per un po’?»
Ranmaru, ancora preso alla sprovvista dalla sua reazione, rispose senza rendersene conto: «Per il momento sì.»
Reiji nascose un ghigno, impedendo all’altro di intuire i suoi piani. «Bene, ora penso di dover scappare, Satou-san mi starà aspettando! Allora speriamo di rivederci! A presto, Ran-Ran!» fece per correre fuori dalla porta ma la voce dell’albino, richiamandolo, lo fermò.
«Uh? Cosa c’è?»
Ranmaru si massaggiò una spalla con la mano, rimanendo girato di schiena. «Per quella volta, mi… mi dispiace. Kurou è immaturo e-»
«Va bene così.» lo interruppe il moro, trovando oltremodo adorabile quel suo tentativo di scusarsi a nome dell’amico, volendo probabilmente dare voce alle parole che avrebbe voluto dire quella sera. «Grazie ancora, Ran-Ran.» disse con un tono dolce, salutandolo di nuovo prima di sparire dalla stanza, lasciandolo in compagnia degli animali.
Ranmaru sospirò pesantemente, premendosi il ponte del naso tra pollice e indice mentre con l’altra mano si rigirava la stecca di plastica tra le dita, facendo roteare il lecca-lecca.
«Perché ho come l’impressione che si trasformerà in una grandissima scocciatura?»
«Nyan.» gli fece a mo’ di risposta, Mike, colpendolo più volte sul braccio con la coda.
«Lo credi anche tu, eh?» grugnì, osservando la caramella. «Come diavolo ha fatto? Macchoqualcosa e poi è apparso nel cappello. Vi giuro che lì dentro non c’era niente…»
Sebbene prima avesse abilmente nascosto la sua meraviglia davanti al trucco di magia, ancora si domandava quale trucco avesse usato per riuscirci.
«Magari lo fa per i bambini.»
«Nyan
«Dammi ancora del moccioso e giuro che ti butto in strada, Mike.» lo guardò con fare minaccioso, facendogli rizzare il pelo, ma prima che i due potessero iniziare un qualsiasi litigio, Tama miagolò per richiamarli all’ordine, mettendosi poi a leccare il pelo dei suoi cuccioli, come a voler ricordare ai due di evitare qualsiasi discussione che potesse disturbare il riposo dei suoi piccoli.
«Non stiamo litigando.» ci tenne a chiarire Ranmaru, seguito dal miagolio di Mike che sembrò concordare con le sue parole. Poi quest’ultimo si avvicinò alla compagna e ai cuccioli, leccando a sua volta il pelo di uno dei due sotto lo sguardo dell’albino, il quale scosse la testa, sorridendo appena.
«Bastardo, cerchi di salvarti facendo così?»
«Non vorrei interrompere la vostra conversazione.» bussò il veterinario quando entrò nella stanza, facendo notare la sua presenza. «Ma volevo sapere com’è andata.» fece, piegandosi sulle ginocchia al fianco del bassista, accogliendo Mike in mezzo alle sue gambe quando questo gli si avvicinò docilmente in cerca di attenzioni.
«Credo che lei sia l’unica persona al mondo capace di renderlo così.» commentò Ranmaru, decidendo di rimettere il basso nella custodia. «Com’è andata cosa?»
Sakagami accarezzò il pelo tigrato del micio, sorridendo alle sue parole. «Beh, diciamo che sono riuscito ad acquistare punti in più dal parto di Tama.» disse, osservando il ragazzo mettere da parte lo strumento, già pronto a levare le tende.
Probabilmente aveva intuito dove volesse andare a parare con quella domanda.
Percepiva sempre del disagio da parte di Ranmaru quando tentava di parlare di qualcosa che non avesse a che fare con la salute dei suoi gatti, per quello solitamente non cercava mai di spingersi oltre. La situazione era però cambiata appena qualche settimana fa, quando aveva rischiato di assistere alla quasi morte di un suo paziente e del suo padrone.
Ricordava che quando l’aveva portato in clinica, al riparo dalla pioggia, per potergli medicare le ferite che Mike gli aveva lasciato – forse per paura, o forse per invitarlo ad allontanarsi dal pericolo -, Ranmaru non aveva voluto rispondere ad una sola delle sue domande, liquidando il tutto con un semplice “siamo entrambi vivi, è questo che conta”.
E quel genere di risposta, per uno come lui, che nella vita era già tanto se era riuscito ad arrivare a capire quantomeno gli animali, non poteva che rendere le cose più complicate.
Probabilmente non era una situazione che lo riguardava, ma non poteva nemmeno rimanerne impassibile.
Forse perché sotto certi aspetti Ranmaru gli ricordava anche un po’ suo figlio con i suoi modi di fare.
«Col ragazzo, avete risolto? A giudicare dall’espressione con cui è uscito dalla clinica, immagino di sì.»
Ranmaru si alzò in piedi, mettendosi il basso in spalla. «Se lo sa già, perché me lo sta domandando?»
L’uomo scrollò le spalle. «Per parlare un po’, ma vedo che stai già andando via.»
Sakagami prese Mike tra le braccia, massaggiandogli una zampa per impedirgli di tirare fuori gli artigli e graffiarlo: era vero che ora riusciva ad andarci più d’accordo, ma a volte, senza sapere bene cosa passasse per la testa del micio, capitava che si mettesse ad attaccarlo.
«Già, ho delle cose da sbrigare. Si occupi lei di loro.»
«Naturalmente, ormai sai di poterti fidare.»
Ranmaru annuì, guardando Mike: di certo se quel disgraziato era il primo a fidarsi così tanto, lui non poteva che fare altrimenti, significava che venivano trattati bene e con le dovute attenzioni.
«Ah, Kurosaki-kun!» lo chiamò l’uomo, fermandolo sulla soglia della porta. «Non adesso, ovviamente, ma dobbiamo discutere della loro sistemazione. Conosci qualcuno che sarebbe disposto a tenerli? Mi avevi detto che tu non avresti potuto, giusto?»
Quando vide Ranmaru crucciarsi alle sue parole, si premurò di aggiungere: «Senza fretta, ho ancora la possibilità di tenerli per un altro po’.»
«No, ha ragione.» concordò Ranmaru. «Cercherò di trovare qualcuno nel minor tempo possibile, per il momento le devo chiedere di pazientare ancora…» fece per aggiungere altro, ma si bloccò, limitandosi a rivolgere all’uomo un breve inchino prima di uscire.
Sakagami sospirò pesantemente, lasciando che Mike scendesse dalle sue braccia per tornare vicino alla sua famiglia.
Il veterinario si tolse poi gli occhiali da vista e si massaggiò le palpebre con le dita della mano libera, sbuffando. «Avrei dovuto dirlo in un altro modo? Spero di non avergli dato un peso, adesso.»
«Nyan.» si rivolsero a lui i due mici, in coro.
Sakagami li guardò e sorrise, scuotendo la testa. «Qualcuno mi dia il dono di leggere nel pensiero delle persone. Mi tornerebbe davvero utile…»
 
 
§§§§
 
[Ospedale della baia – Ore 10:34]
 
 
«Shh, cercate di non fare troppo rumore.» bisbigliò Van, facendo ben attenzione a non far cadere il fratello minore di Otoya, comodamente seduto sulle sue spalle, quasi fosse un principino sul suo trono. «Sicuro che Inoue-san non ci renderà carne trita, Reiji?»
«Se è un problema, ripeto che possiamo sempre optare per qualcosa di più semplice.» si intromise la responsabile dell’orfanotrofio, tenendo a bada il resto del gruppo, dieci bambini in tutto. «Non vorrei che in qualche modo Ittoki-kun si stanchi e finisca per stare male, dopo.» si guardò poi attorno, sospirando. «E forse siamo un fastidio anche per gli altri.»
Reiji scosse la testa, abbassando la maniglia della stanza, ormai pronto ad entrare, tenendo in una mano un sacco con all’interno alcuni dei giochi dei bambini, ben felici di poterli dare in dono a un loro caro fratello. «Non si preoccupi, ho parlato con le infermiere e mi hanno dato l’okay. E Van-Van, puoi stare tranquillo, Satou-san ci ha già parlato e ha detto che finché non creiamo troppa confusione non sarà un problema.»
Van assottigliò lo sguardo, trovando la faccenda sospetta. «Era ubriaco?»
«Era ubiraco?» lo scimmiottò Cecil, scoppiando a ridere con le manine premute sulla bocca, così che Otoya non lo sentisse, quando Van iniziò a fargli il solletico sulla pancia.
Van voltò di poco il capo all’indietro, alzando gli occhi su di lui per quanto possibile. «Che fai, mi imiti?» sorrise, lasciando che l’altro tornasse ad aggrapparsi ai suoi capelli, appoggiando il mento sul capo.
«Andiamo da Oto-nii?» suggerì allora il minore, impaziente di fare quella sorpresa al fratello e di vederlo sorridere.
Reiji fece l’occhiolino a Cecil, annuendo, e dopo essersi sistemato addosso il fedele naso rosso, pronto a fare per primo gli auguri di buon compleanno a Otoya, il moro si bloccò quando lo vide con la stessa espressione intristita che in quegli ultimi giorni non sembrava volerlo abbandonare. Fermo sulla porta, senza che gli altri dietro di lui capissero cosa ci fosse che non andava, Reiji fu riscosso da una pacca sulla schiena da parte di Van.
«Oto-nii! Oto-nii!»
«Tanti auguri! Ti abbiamo portato tante cose!»
«Il mio dinoshauro ti farà coppania
Uno dopo l’altro i bambini dell’orfanotrofio entrarono, circondarono il letto di Otoya, desiderosi di poter salire e coinvolgerlo in più di un abbraccio.  
«Waah, siete tutti qui! Grazie mille…» sorrise, stringendo tra le mani il lenzuolo. Non avrebbe mai pensato di poter ricevere una festa di compleanno in quella stanza, con la sua famiglia!
Otoya lanciò uno sguardo a Reiji, ancora sulla soglia della porta -  con il suo fedele naso rosso e un buffo cappello verde a cilindro sulla testa, pieno zeppo di fiori attorno alla tesa, e foglie rampicanti su per la tuba -, e quando questo gli ammiccò, non gli fu difficile capire chi lo aveva reso possibile.
«Un attimo! Un attimo!» batté piano le mani, Van, richiamando i piccoli all’ordine. «Ognuno di voi avrà un biglietto di andata e ritorno per il letto del nostro festeggiato, quindi non abbiate fretta! Volerete tra le braccia della Van Airlines e- uh? Perché mi guardate così? Ho qualcosa sulla faccia?» Van si premette un paio di volte il naso rosso, facendolo cadere a terra di proposito, poi si chinò a terra per riprenderlo, dando la schiena ai bambini, e all’interno della tasca del camice schiacciò un piccolo cuscinetto per creare una finta flatulenza.
Van sobbalzò al suono, e tirò fuori dall’altra tasca dei grandi occhiali arancioni, mettendoseli addosso prima di voltarsi verso il suo pubblico, sistemandoseli con un’espressione imbarazzata. «Avete sentito qualcosa, per caso?»
Quegli occhiali erano davvero molto grandi, più della sua faccia, tant’è che non faceva in tempo a tirarli su sul ponte del naso, che questi finivano subito per scivolare, rendendo il tutto sempre più comico.
I bambini, dopo pochi attimi di silenzio, scoppiarono tutti insieme a ridere, Otoya compreso, rincuorando solo in parte Reiji.
C’era visibilmente qualcosa che non andava in lui.
«Van-nii-chan ha fatto la popò!» lo indicò Cecil, premendosi di nuovo il palmo della mano sulla bocca, tentando vanamente di soffocare le risate.
Van saltò quasi sul posto. «Aah?! Non è per nulla vero!»
«Sì, invece!»
«Abbiamo sentito tutti!»
«Puzzi! Puzzi! Puzzi!»
Van si portò una mano sul petto, ferito da quelle accuse. «Allora potete sognarvi i biglietti per il volo diretto sul letto di Oto-chan! È questo che volete?!»
I bimbi si affrettarono immediatamente a circondare Van, questa volta, tirandogli il camice e pregandolo di non privarli del volo. L’aspirante infermiere ghignò, tirandosi di nuovo su gli occhialoni. «Ecco, mi sembrava! Datemi un attimo e ve li… distribuisco…» Van iniziò a cercare nelle sue tasche, poi controllò in quelle dei pantaloni, senza trovare nulla. Perplesso, e leggermente nel panico di aver scordato a casa i biglietti che aveva preparato, lanciò un’occhiata a Reiji in cerca d’aiuto, ma quando vide quel sorrisino sulle sue labbra, intuì subito che cosa avesse fatto. Qualcuno vuole rubarmi la scena, eh?, pensò, non trattenendo una breve risata.
«Van-nii-chan, ti sbirighi?» gli tirò ancora il camice, Cecil, gonfiando le guanciotte.
«Uh? Oh, sì! È solo che mi sono dimenticato che questi biglietti vengono da un posto speciale, e io non ho ancora i poteri per poterveli dare!»
«Un posto speciale…?» chiese un bambino, curioso.
«E come li possiamo avere?» fece una bambina, osservando, come tutti, Van, in attesa di una soluzione.
«Rei-nii ci riesce, secondo me!» esclamò d’un tratto Otoya, attirando di nuovo l’attenzione su di sé. «Rei-nii sa fare tutto!»  
Van schioccò le dita e indicò con pollice e indice di entrambe le mani, a mo’ di pistole, Reiji. «Bingo, Oto-chan! Il nostro Rei-chan è proprio l’unico che può farlo! Perché non ti fai avanti, grande mago?»
Reiji si inchinò davanti ai presenti, lasciando momentaneamente fuori dalla porta il regalo che aveva portato per Otoya, decidendo di aspettare ancora un po’ prima di darglielo.
«Mmh, vediamo un po’, i biglietti per la Van Airlines, hai detto?»
Il moro fece mettere i bambini in fila indiana, piegandosi sulle gambe davanti a loro.
Si strofinò le mani, e per ognuno di loro inventò sul momento una formula magica personalizzata, facendo poi spuntare i vari pezzi di carta da ogni dove: dalle loro orecchie, soffiando sui capelli, fingendo di spargere una polvere magica, e scompigliandoglieli per far apparire il biglietto, o nel caso di Cecil persino all’interno della scarpa, sorprendendo non solo i più piccoli, ma anche Van stesso.
Quei trucchi di magia glieli aveva visti fare un milione di volte da quando si conoscevano, ma ogni volta non riusciva mai a capire come facesse a nascondere il trucco così abilmente.
Reiji aveva l’abilità di far tornare chiunque bambino. Credere nella magia non sembrava più così impossibile con lui, persino Ryosuke si ritrovava a mettere la logica e la razionalità da parte per godersi quei piccoli momenti speciali tra una pausa e l’altra dallo studio. a
Quando Reiji finì di dare a ognuno dei bambini il proprio biglietto, si rialzò in piedi, avvicinandosi a Van. Lo prese per un braccio e gli sussurrò all’orecchio di prendere un po’ di tempo, tenendo i piccoli occupati mentre lui avrebbe parlato brevemente con Otoya.
Van inizialmente non capì il perché di quella richiesta, ma gli bastò che fosse stato Reiji a chiederglielo.
Annuì e, con l’aiuto della responsabile dell’orfanotrofio, raccolse i bambini da un lato della stanza, munendosi dei suoi due compagni di avventure, i pupazzi Peperonzolo e Mr. Babe.
Una delle cose che preferiva era quando gli chiedevano perché avesse scelto quei nomi. Quello della prima, la sua signora, gli era praticamente venuto in sogno, e Van al mattino giurò che la colpa fosse stata della “Pepperoni pizza” che aveva prenotato la sera prima, optando per una cena americana, e soprattutto per il film che aveva beccato una volta accesa la TV: Rapunzel. Era così stanco che si fece andare bene qualsiasi cosa, quindi non cambiò canale e si godette la visione di suddetto film tra un trancio di pizza e l’altro.
Il secondo, invece, doveva il suo nome al famoso Babe Ruth, uno dei giocatori di baseball più forti e conosciuti nella storia del suddetto sport, e ogni volta che lo nominava non poteva che partire in quarta con le sue numerose conoscenze in quel campo, sua specialità praticamente fin dall’infanzia. Anche se capitava spesso che Ryosuke lo mandasse a quel paese o comunque cercasse di ignorarlo quando iniziava a parlarne.
Reiji poteva fare il figo quanto voleva con la magia, ma con il ventriloquismo era riuscito anche lui a ottenere la sua parte di popolarità tra i bambini!
Otoya guardò tutti raccogliersi in quel gruppo, chiedendosi se avrebbe potuto unirsi anche lui, ma cambiò momentaneamente idea quando Reiji gli si sedette vicino, ritrovandosi, peraltro, con addosso il suo naso rosso.
Otoya rise, tastandolo un po’ con le dita. «Me lo regali?»
Reiji avvolse un braccio attorno alle sue spalle, tirandoselo più vicino e facendogli appoggiare la testa sul suo petto. «Posso aggiungerlo al regalo che ti ho già fatto, se vuoi.»
Il minore sgranò gli occhi, sollevando il viso verso di lui. «Mi hai fatto un regalo, Rei-nii?! Dov’è? Posso vederlo?!»
«Oh, sì! Lo vedrai, eccome! Altrimenti non te lo avrei fatto!» ammiccò, strofinando con fare affettuoso la mano sul suo braccio. «Prima però ti va se parliamo?»
«Ho fatto qualcosa?»
Reiji scosse la testa, togliendogli il naso rosso per lasciarglielo tra le mani. «Non hai fatto nulla, sono solo preoccupato per te. È una mia impressione o ultimamente sei un po’ giù di morale?»
L’espressione prima sorpresa e poi intristita che gli riservò Otoya, gli fecero intuire di aver colpito nel segno.
«Mentre Van è occupato con i tuoi fratelli, vuoi approfittarne e dirmi cosa succede? O preferisci prima festeggiare e parlarne stasera?»
Otoya rimase con il capo chino, impegnato a giocherellare con il naso di gomma.
«Io… Io sono davvero felice della sorpresa che mi avete fatto, Rei-nii. Davvero molto…» mormorò le ultime due parole, sporgendo leggermente il labbro inferiore. «P-Però non voglio… festeggiare…»
Reiji si accigliò. «Perché non vuoi, Otoyan?» chiese piano, con dolcezza, premendolo un altro po’ a lui.
«Se te lo dico, mi prometti che non ti arrabbi?» domandò di rimando Otoya, porgendogli il mignolo.
«Aah, ma certo che non mi arrabbio, Otoyan!» gli afferrò subito il mignolo con il proprio, promettendo di non infrangere la parola. «Mi sono mai arrabbiato con te? O con qualcun altro? Nemmeno una volta!»
Otoya esitò un attimo. «U-Un giorno sono uscito dalla mia stanza per andare da Tokiya…» confessò, sbirciando con la coda dell’occhio la reazione di Reiji, che non assunse alcuna espressione in particolare, limitandosi semplicemente ad annuire, così che l’altro potesse andare avanti senza farsi problemi. «P-Però non sono entrato! Sono scappato di nuovo nella mia stanza, quindi non l’ho visto.» ci tenne a chiarire, tornando a guardare Reiji negli occhi.
Reiji gli sistemò la bandana rossa sul capo, annuendo di nuovo. «E cosa è successo? Cos’è che ti ha intristito? Il fatto di non averlo visto?»
Otoya scosse la testa. «Ho sentito delle persone litigare.»
«Delle persone? Nella stanza di Tokki?»
«Sì. E poi due infermiere sono venute a farmi una visita, e hanno parlato di queste persone. Hanno detto che erano i genitori di Tokiya, loro non si vogliono bene…» disse, mordicchiandosi le labbra. «Secondo me Tokiya è tanto triste. Io non ho dei genitori, però ho tanti fratelli che mi vogliono bene.»
 Otoya guardò con un leggero sorriso i suddetti, impegnati a ridere a crepapelle per via delle scene comiche inventate da Van. «E adesso ho anche Rei-nii che mi vuole bene.» disse, portando una manina sopra a quella di Reiji, ancora appoggiata sul suo braccio.
«Tokiya invece non ha nessuno. I suoi genitori non sono bravi se lo fanno stare male! A me non piacerebbe veder litigare la mia mamma e il mio papà… Io voglio diventare amico di Tokiya! Lo voglio tanto! Così ci penserò io a farlo sorridere! E voglio anche fargli conoscere tutti i miei fratellini! Lo facciamo, Rei-nii?»
Reiji stette ad ascoltarlo in silenzio, riflettendo sulla situazione: come potevano aver litigato davanti a un bambino ospedalizzato, peraltro loro figlio? Non si rendevano conto dei danni che questi finivano per causare in Tokiya?
Poteva forse capire in parte lo stress causato dalla preoccupazione per la salute del proprio figlio, ma questo non permetteva loro di sfogarsi in sua presenza.
Al posto di Tokiya avrebbe probabilmente pensato di rappresentare un peso per i due genitori, e se il piccolo era abituato ad assistere a quel genere di scena, non si stupiva più del suo carattere così introverso e distaccato.
«Rei-nii?»
«Uh?»
«Sei arrabbiato, vero?»
Reiji per tutta risposta gli tirò piano una guancia, lasciandoci subito dopo un bacio sopra. «Non lo sono, lo giuro! Stavo solo pensando, tutto qui! Ma perché pensavi che mi sarei arrabbiato se me lo avessi detto?»
Otoya si portò la mano sul punto in cui Reiji gli aveva schioccato il bacio, ridacchiando fra sé e sé al gesto affettuoso. «Perché l’altra volta avevi detto che non mi avresti portato come tuo assistente se non facevo il bravo. E visto che sono uscito di nascosto…»
«Ehi, dopo tutte le cose belle che hai detto di voler fare per Tokki, credi davvero che potrei arrabbiarmi per così poco? Anche se la prossima volta è meglio che mi aspetti per fare queste cose, okay?» gli disse, ricevendo un cenno di assenso da parte dell’altro. «Perfetto. Sai cosa ti prometto adesso?» iniziò, prendendo di nuovo il mignolo di Otoya per intrecciarlo con il proprio. «Che renderemo Tokki un bambino felicissimo, hai la mia parola! Però ad una sola condizione!»
Otoya lo guardò entusiasta, aspettando curioso la condizione. «Quale? Quale?»
«Oggi voglio che tu ti diverta. Capisco che pensando a Tokki la voglia di festeggiare ti sia passata, ma loro…» disse, indicando il resto dei bambini. «Sono venuti qua per te, vogliono che tu ti goda a pieno la giornata del tuo compleanno! E anche io lo voglio, Otoyan. Ci impegneremo ancora di più per Tokki, cercherò dei nuovi incantesimi nel mio librone di magia solamente per lui, ma adesso regalami uno dei tuoi sorrisi più grandi, ne?» ghignò, iniziando a fargli il solletico ai fianchi, scaturendo nel più piccolo delle risate che attirarono inevitabilmente l’attenzione degli altri.
«Va bene! Va bene! Lo prometto! R-Rei-nii, basta!»
«Davvero davvero?» 
«Davvero!»
Soddisfatto, Reiji sghignazzò e fermò la sua tortura, permettendogli di riprendere fiato.
«Bene così! E adesso~» si rimise in piedi, facendo segno ai bambini di avvicinarsi. «Prima che possiate usare il vostro biglietto, perché non andate a recuperare i regali che ognuno di voi ha portato per Otoyan? Così insieme agli auguri lo possiamo circondare di quelli!»
Reiji dedicò una linguaccia a Otoya, seguendo l’esempio dei bambini che erano corsi tutti verso il sacco pieno di doni. «Torno subito anche io.»
Van mise a sedere i due pupazzi sul davanzale della finestra, posando poi le mani sui fianchi. «O non tornare proprio, guastafeste! Hai interrotto il momento in cui Mr. Babe stava per confessare i suoi sentimenti a Peperonzolo!»
Cecil gli sfrecciò davanti per poter essere il primo a salire sul letto di Otoya. «Tanto la storia era butta!» ridacchiò, godendosi l’espressione drammaticamente ferita di Van alle sue parole.
«Cecil, non essere cattivo.» lo riprese Otoya, dispiaciuto per Van.
«Schezzo, Oto-nii!» si giustificò col fratello, stringendosi al petto il suo prezioso gatto nero di peluche prima di rivolgersi anche a Van: «Cusami.»
Van sorrise a trentadue denti davanti a quella scena, scuotendo poi la testa: Cecil era un vero e proprio birbante, molto spesso gliene diceva di ogni nonostante non riuscisse ancora a pronunciare le parole nel modo giusto per via dell’età, ma era pressoché impossibile non trovarlo adorabile e volergli bene.
Il moro gli corse incontro, sorprendendolo per il gesto improvviso, e lo prese tra le sue braccia, facendolo per un attimo saltare in aria prima di riprenderlo al volo, divertito da come il piccolo finì per aggrapparsi a lui.
«Credo di poterti perdonare! Ora perché non mi dà il suo biglietto, signore? Veloce, veloce! Ho altri passeggeri a cui pensare, sa?»
Cecil infilò la manina nella sua tasca per poterlo prendere, ma non trovandolo nella prima passò alla seconda, sgranando gli occhi quando appurò che non si trovava nemmeno lì.
«Cecil-kun.»
Prima che Cecil potesse finire per mettersi a piangere, la responsabile dell’orfanotrofio di avvicinò ai due, porgendogli il foglietto di carta. «L’avevi lasciato a me prima, ricordi? Eccolo qua.»
Gli occhi di Cecil tornarono a illuminarsi. «Gazzie!» annuì, tirando su col naso.
Van ammiccò alla signora, a mo’ di ringraziamento, poi aprì la bocca e chiuse gli occhi.
«Prego, inserisca qua il biglietto.»
Cecil lo guardò dapprima perplesso, poi appallottolò il biglietto e glielo ficcò in bocca senza alcun tipo di delicatezza, rischiando di soffocarlo.
Van soffocò un gemito carico di sofferenza al gesto, sgranando gli occhi.
Okay, forse avrebbe dovuto essere più chiaro...
Dopo averlo fatto volare un po’ per aria, volteggiando un paio di volte su se stesso tra le risate divertite di Cecil, lo fece finalmente “atterrare” vicino al fratello, togliendosi poi quella palla di carta dalla bocca, e premurandosi di spiegare meglio agli altri su come dovessero mettere il loro biglietto, così da non rischiare un’altra volta il soffocamento.
«Tatti aguri, Oto-nii!» fece Cecil, stringendo forte in un abbraccio il maggiore. Otoya lo ricambiò con la stessa intensità, accarezzandogli un po’ la schiena, proprio come faceva Rei-nii per farlo stare tranquillo: voleva trasmettere la stessa sensazione a Cecil.
Poi, interrompendo quel momento, Cecil gli mostrò il suo peluche, lasciandoglielo tra le mani. «Ho pottato Kuppuru!»
Otoya lo guardò sorpreso. «Me lo vuoi lasciare? Dormi sempre con lui, Cecil!»
Il minore annuì deciso. «Obaa-chan ha detto che dovevamo pottare quaccosa per fatti sentire sempere, sempere con noi! E Kuppuru a me tiene sempere coppania, lo farà anche con Oto-nii quando Cecil non è qua!» spiegò con un gran sorriso, prendendo poi una delle zampe del peluche e usandola per accarezzare la guancia di Otoya.
«Ne sei davvero sicuro, Cecil? Riuscirai a stare senza Kuppuru?»
«Per Oto-nii sì!»
Otoya guardò Cecil stupefatto, posando poi lo sguardo sul peluche. Sapeva bene quanto Kuppuru fosse importante per lui, e pensare che era disposto a lasciarglielo, per dargli in qualche modo un pezzo di lui che potesse tenergli compagnia in ospedale, lo rendeva incredibilmente felice.
«Grazie infinite, fratellino.» disse, coinvolgendolo di nuovo in un secondo abbraccio. «Ti voglio tanto bene.»
Cecil annuì, premendo il viso sulla sua spalla e stringendo tra le dita il camice bianco di Otoya. «Io pure, Oto-nii… Stai bene peresto
Otoya annuì a sua volta. «Te lo prometto.»
Van rimase ad osservare la scena con in braccio il prossimo bambino, non sentendosela di interrompere quel momento tra loro – e non sapeva nemmeno come diamine avrebbe fatto anche con gli altri.
Lanciò un’occhiata alla porta, chiedendosi dove fosse sparito Reiji.
Ricordava che il regalo per Otoya se lo fosse portato dietro!
Sospirò, allungando una mano per arruffare i capelli a Cecil. «Ehi, facciamo fare gli auguri anche agli altri?» gli sorrise dolcemente, sperando nella sua comprensione. «Dopo troveremo il modo per farvi stare seduti tutti quanti sopra questo letto, va bene?»
Cecil, al contrario delle aspettative di tutti, non fece alcun capriccio, anzi, si portò subito seduto sul bordo del letto dopo aver stretto per un’ultima volta la mano di Otoya, aspettando che qualcuno lo aiutasse a scendere.
Van ampliò il suo sorriso, porgendogli il suo avambraccio. «Vieni qua, ometto.»
Cecil si aggrappò a lui e venne trasportato fino a toccare di nuovo per terra, prendendo poi posto di fianco alla responsabile dell’orfanotrofio, che gli fece una carezza sul capo.
«Sono davvero contenta di come ti sei comportato, Cecil-kun.»
Cecil le prese la mano, attendendo pazientemente di poter tornare vicino a Otoya insieme a tutti gli altri.
«Gazzie.» disse, tenendo le guance gonfie e stringendo la mano in un pugnetto disteso lungo il fianco.
Prima di venire in ospedale, aveva promesso di non versare nessuna lacrima durante il compleanno di Otoya, perché non voleva rendere triste quel giorno e anche perché stava diventando grande pure lui! Però…
«Uuuh…» tirò sul col naso, e, quando le prime lacrime iniziarono a sfuggirgli, si affrettò subito a premere il viso contro una delle gambe della donna, stringendo con entrambe le mani il tessuto del suo vestito.
Quest’ultima mantenne il sorriso, continuando a lasciare continue carezze tra i suoi capelli.
«Sei stato davvero bravo, Cecil-kun
 
§§§§
 
«Ahhh! Ma come ho fatto a dimenticarmene?!»
Reiji uscì dagli spogliatoi con in mano un sacchetto, camminando a passo spedito lungo i corridoi, facendo tintinnare tra loro i sonagli dei piccoli cembali che aveva portato per ognuno dei bambini, intenzionato a coinvolgerli in un’altra sorpresa per il festeggiato.
Sperò nel frattempo che Van fosse ancora impegnato a far fare gli auguri agli altri, così da poter arrivare in tempo e porgergli il suo regalo.
«Ancora con questa storia?! Digli che deve piantarla, sto esaurendo la pazienza!»
«Perché non vai a dirglielo tu? Io sto solo facendo quello che mi ha chiesto, il resto riguarda soltanto voi due.»
Reiji si fermò di colpo, riconoscendo fin troppo bene le due voci. Non sarebbe dovuto rimanere lì ad ascoltare, aveva già un altro impegno in quel momento, ma la curiosità alla fine ebbe la meglio: di che cosa stavano parlando Satou-san e Inoue-sensei?
Il moro sporse con cautela il viso, osservandoli discutere uno di fronte all’altro davanti ad una delle porte d’emergenza, individuando, tra l’altro, il bentou che Satou-san aveva in mano quando l’aveva incontrato da Sakagami-sensei.
Inoue digrignò i denti davanti alla risposta dell’altro, accigliandosi forse più del normale.
«Crede davvero che dopo tutto questo tempo dello stupidissimo cibo servirà a rimettere in sesto le cose?! Non ha niente di meglio da fare in quella clinica?!»
Satou sospirò. «Mi ha detto che se non è di tuo gradimento, puoi sempre andare da lui a chiedergli che ti cambi il menù. Non sa se i tuoi gusti sono cambiati o meno, in questi anni.»
«Sii serio per una volta nella tua vita, Satou.»
L’infermiere allungò il braccio verso di lui, premendo il bentou contro il suo addome. «Lo prendi o glielo riporti? Se proprio non ne vuoi sapere più di questa storia, puoi sempre approfittarne per andare da lui e parlargli una volta per tutte, non serve a nulla che io vi faccia da tramite. In caso contrario sai bene che andrà avanti finché non otterrà quello che vuole, e non credo che tu sia entusiasta all’idea di avermi come fattorino personale per altro tempo.»
Il primario guardò il contenitore, allontanandolo da sé con la mano senza un briciolo di esitazione, facendo sospirare di nuovo Satou, affranto.
«Sono stanco di ripetermi.»
«Dagli un’altra possibilità! Almeno per spiegarsi!»
«È stato fin troppo chiaro con quello che ha fatto, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.» sibilò, avendone ormai fin sopra i capelli di quella situazione. «E che non si azzardi mai a mostrare la sua faccia in ospedale, sono certo che non risponderei delle mie azioni.»
Satou si portò una mano su un fianco, inarcando un sopracciglio. «A chi vuoi darla a bere? Non faresti male a una mosca, Inoue-sensei, figuriamoci a Kou-chan. Che caso, eh? Ti hanno trasferito proprio in questo ospedale, in questa baia in cui si trova anche la clinica di Kou-chan. Non credi che il destino ti stia dicendo qualcosa?»
Inoue lo fulminò con lo sguardo. «Invece di perderti a pensare a queste stupidaggini da film, concentrati sul tuo lavoro e basta. La prossima volta vienimi a cercare solo se si tratta di qualcosa che riguarda i nostri pazienti.» diede un’ultima occhiata al bentou, assumendo una smorfia. «Se mi trovo in questa situazione, è soprattutto per colpa tua.» disse, decidendo di levare definitivamente le tende.
Satou lo vide andare via, tirando fuori un verso frustrato quando si passò una mano sul viso. «Come se avessi potuto tenergli nascosto che ti trovavi qua.» mormorò, seguendo presto il suo esempio.
Che cosa avrebbe fatto con quel bentou, adesso? Oh, quello che faceva tutte le volte: lasciarglielo sulla scrivania del suo ufficio, nella speranza che forse, prima o poi, uno di questi riesca nell’intento di smuoverlo dal suo orgoglio.
«Com’è complicato… Devo chiedere a Kim-chan un panino speciale, oggi, ho bisogno di recuperare un bel po’ di energie.» borbottò con uno sbadiglio finale, picchiettando le dita di una mano sul contenitore quando prese a incamminarsi verso l’ufficio di Masahiru.
 
Reiji tirò un profondo sospiro di sollievo quando anche Satou-san se ne andò, e ringraziò il fatto che entrambi avessero voltato dalla parte opposta alla sua, senza accorgersi della sua presenza.
Quando aveva sentito Inoue-san avvicinarsi, era arrivato a trattenere il respiro per paura di poter compiere anche il più piccolo movimento, rischiando di essere colto in flagrante per via dei cembali nella sua busta.
«Forse non avrei dovuto ascoltare questa discussione…» fu l’unica cosa che disse, tornando ad affrettarsi per andare nella stanza di Otoya, certo che ormai tutti lo stessero aspettando.
Da quando aveva iniziato il tirocinio in ospedale, nulla gli aveva dato da intuire che Satou-san e Inoue-sensei potessero essere legati da una qualche amicizia, eppure quelle parole, il modo in cui si erano rivolti l’un l’altro, completamente diverso da com’era solito vederli quotidianamente, avevano fatto trasparire che tra i due, o meglio tre, contando Sakagami-sensei, si celava un rapporto che aveva delle basi di anni e anni di conoscenza.
«Forse è di questo che stavano parlando stamattina…» ragionò fra sé e sé, non nascondendo a se stesso una certa voglia di saperne di più.
“Non faresti male a una mosca, figuriamoci a Kou-chan.”
Che cosa era successo tra loro? E soprattutto, che cosa li legava?
 
§§§§
 
«Ooh! Finalmente sei tornato! Stavo per mandare una squadra di ricerca, temevo ti fosse successo qualcosa!» commentò Van quando vide Reiji rientrare dalla porta, tenendo in una mano il sacchetto, e nascondendo con l’altra il regalo per Otoya, dietro la sua schiena – sperando solo che non si vedesse troppo, date le dimensioni.
«Avevo dimenticato questi, non riuscivo più a trovarli!» spiegò, raccontando mezza bugia. «Van-Van, puoi distribuirli a tutti, per piacere?» chiese, sorridendo amorevolmente ai bambini, seduti tutti quanti sopra al letto di Otoya.
«Qualcosa mi puzza, comunque.» commentò Van, scrutandolo attentamente mentre allungava una mano per prendergli il sacchetto. «Da’ qua, per il momento. Parleremo dopo.»
E quello, alle orecchie di Reiji, suonò più come un ordine che una richiesta.
«Mou~ Non è da te essere così serio, Van-Van!» sghignazzò, tentando in qualche modo di cambiare argomento, poi spostò la sua attenzione sul suo piccolo festeggiato, il quale lo stava guardando estremamente incuriosito. «Mmh~? C’è qualcosa che vuoi chiedermi, Otoyan?»
Otoya distese il braccio e puntò l’indice verso di lui. «Che cos’hai lì dietro, Rei-nii?» chiese, impegnato nel frattempo a tenere la mano di Cecil, seduto lì a fianco a lui.
Reiji inclinò il capo di lato, fingendosi confuso. «Uh? Diet- Oh! Oh! Intendi questa chitarra con un fiocco regalo sopra?» fece, mostrando a tutti lo strumento, lasciando ognuno di loro a bocca aperta, e facendo ridere Van per quel breve teatrino con cui se n’era uscito.
«Una chitarra?! È-È per me?!»
Il moro non gli rispose direttamente, si chinò semplicemente su di lui e gli lasciò un bacio sulla fronte, posizionando poi la chitarra in piedi, sulle sue gambe, premurandosi di mantenerla dal manico. «Buon compleanno, Otoyan.»
Otoya fissò lui e subito dopo lo strumento, senza parole. Quella chitarra era assolutamente perfetta per lui, la misura era quella adatta per un bambino della sua età, e maneggiarla non sarebbe stato un problema. E il colore era peraltro di un bellissimo rosso fuoco, diverso da quello delle chitarre normali, proprio come lo erano sui occhi e soprattutto i capelli, almeno poco prima dell’inizio della chemioterapia.
«Rei-nii, è bellissima…» soffiò, completamente rapito da quell’ennesima sorpresa. «Perché me l’hai regalata?»
Reiji si piegò sulle ginocchia, lì vicino al letto, spostando la mano sul corpo della chitarra, così da continuare a mantenerla in equilibrio. «Mi chiedi perché? Non ti ricordi già più quello che mi avevi detto un paio di mesi fa, dopo aver assistito al mio piccolo spettacolo con le maracas?»
Otoya parve rifletterci un attimo, poi gli si accese la lampadina, annuendo con convinzione. «Oh, sì! Che anche a me sarebbe piaciuto suonare uno strumento!»
«Eeeh~ Pensavo te lo fossi dimenticato!» ridacchiò, allungando l’altra mano verso la sua fronte per colpirlo delicatamente con l’indice. «Esatto, piccolo. E di solito la chitarra è perfetta per i bambini della tua età, per questo l’ho scelta. Alle maracas devi passare quando sarai più adulto, nella loro semplicità sono più complicate di quanto non sembrino!» fece, quasi con una nota d’orgoglio nei confronti delle sue bambine, sapendo bene quanto potessero essere sottovalutate le maracas agli occhi degli altri. «Ma non è solo per quello che hai detto. Sai, ogni tanto mi capita di parlare con le infermiere, e in quest’ultimo periodo le ho trovate parecchio contente. Non fanno che dire quanto la tua salute stia migliorando, Otoyan…» confessò, forse un po’ apposta, approfittando della presenza dell’intero orfanotrofio, così da poter risollevare tutti da qualsiasi preoccupazione nei suoi confronti. «Quindi ho deciso di cogliere al volo questa bellissima notizia per farti avvicinare al mondo della musica, ovviamente tramite le mie personalissime lezioni!»
«Rei-chan, sai suonare la chitarra?» chiese a quel punto Van, sorpreso da come il moro sembrasse saper fare praticamente qualsiasi cosa.
Questo si portò una mano a grattarsi la nuca. «In realtà sono più pratico con gli strumenti a percussione, ma in passato ho avuto modo di ricevere delle lezioni anche per quanto riguarda quelli a corde, quindi per le basi dovrei riuscire a cavarmela. E ho anche una canzone che voglio farti imparare a suonare, Otoyan. Sai, l’ho scritta io.»
Un coro di “wow” riecheggiò per tutta la stanza, divertendo Reiji.
Van lo affiancò, colpendolo sul braccio con un pugno. «Per caso da qualche parte hai nascosto anche la donna della mia vita? Giusto per sapere, visto che stai tirando fuori una sorpresa dopo l’altra. È anche il mio turno!»
Reiji scosse la testa con un sorriso, togliendosi dalla testa il cappello cilindrico per spostarlo sul capo di Van. «Prova a chiedere al cappello, magari esaudisce un tuo desiderio.» ammiccò.
Van si passò la lingua sul labbro superiore, colpendolo di nuovo, a metà tra il divertito e forse l’esasperato davanti a quell’apparente perfezione. «Sarà meglio, Grande Mago
Il moro gli diede una leggera spinta, tornando a concentrarsi sui bambini. Prese la chitarra e la appoggiò contro il muro, permettendo così anche a Otoya di usare entrambe le mani per seguirlo con quella sua piccola trovata.
«Allora! Vedete gli strumenti che Van-Van vi ha dato?» domandò, scatenando nei più piccoli un brusio di commenti riguardo a cosa potessero servire.
«Si chiamano cembali, e i vostri hanno una forma particolare detta mezzaluna. Sapete cosa voglio che facciate adesso? È importante, o non riuscirò a cantare al meglio senza il vostro aiuto!» si raccomandò, sapendo bene quanto quelle parole avessero effetto sui bambini della loro età: adoravano potersi sentire utili per qualcosa, migliorava la loro autostima e aumentava il divertimento dell’esperienza se il tutto, alla fine, includeva dei complimenti sulla loro bravura.
«Batteteli contro il palmo dell’altra mano. Non serve che facciate forte, quegli adorabili sonagli suonano che una meraviglia anche con delicatezza! Ecco, proprio così… Seguite il mio ritmo, adesso.» spiegò con tono calmo, gentile, iniziando poi a battere le mani a tempo, aspettando che tutti si sincronizzassero tra loro.
Poi sorrise e, continuando a tenere il ritmo, si avvicinò anche a Van e alla responsabile dell’orfanotrofio, invitandoli a fare lo stesso.
«Bravissimi, tutti assieme. Questa è una canzone che ho scritto tempo fa, e…» soffiò piano dal naso, lasciando la frase a metà. «No, non è così importante. Voglio solo che la ascoltiate, e che magari vi mettiate a cantare con me il ritornello.» tornò vicino al letto di Otoya, guardando uno ad uno i bambini, e osservando teneramente come i più grandi stessero aiutando i più piccoli a mantenere il tempo giusto.
Senza indugiare oltre, poi, iniziò a cantare.
Arigatou no Harmony, questo era il titolo della canzone, e il motivo per cui aveva scelto di esibirla e regalarla non solo a Otoya, ma anche al resto dei bambini, era perché sperava che il messaggio contenuto in quei versi arrivasse a tutti loro.
«I have my family, my friends and everybody who always supports me.»
L’importanza di avere accanto le persone a noi più care, sia nei momenti belli che in quelli meno felici, era qualcosa che gli premeva di poter infondere, specie nel tener conto del loro tipo di situazione.
Nella sua vita, la sola assenza di una figura paterna aveva influito considerevolmente nella sua crescita, nel modo in cui negli anni era maturato, forse prima del tempo rispetto ai suoi coetanei, ed era proprio per questo che non mancava mai di ripetere ai più piccoli di aspettare, di non desiderare così tanto di diventare subito grandi.
Quella spensieratezza tipica dell’infanzia doveva essere assaporata da ogni bambino, anche per chi, come Otoya, era impossibilitato dal viverla pienamente.
«That is a treasure more irreplaceable than anything else.»
In quel momento, nel vederli sorridere entusiasti ad ogni scampanellio di cembali, Reiji poté confermare ancora una volta quanto poco bastasse per renderli felici, e anche che forse non avevano davvero bisogno di lui e di quella canzone per capire quanto importante e forte fosse ciò che li univa.
Erano degli orfani, e probabilmente nelle loro giovani vite avevano passato dei momenti peggiori dei suoi, ma a differenza sua sembravano essere più che consapevoli di possedere – e di dover custodire – quel tesoro che aveva appena nominato.
Ironico.
Che avesse inconsciamente deciso di riportare a galla questo testo per se stesso, più che per Otoya e i suoi fratelli?
Sperava forse che quei bambini lo aiutassero a ricordare i motivi per cui aveva scritto quelle strofe?
«Okay, ora ripetete dopo di me, creiamo quest’armonia insieme.»
Pensieri, su pensieri, su altri pensieri… non era quello il momento.
Iniziò a tenere il ritmo anche con il piede destro, oltre che con le mani, e con un gran sorriso intonò il ritornello, aspettando che gli altri lo ripetessero, e poi lo cantò ancora una volta, ora in coro con tutti gli altri.
«Di nuovo! Mettiamoci un po’ più di voce!»
Che gli prendeva? Cos’era quel tono stridulo?
E no, perché Van-Van lo stava guardando in quel modo? L’aveva percepito anche lui?
 
§§§§
 
 
«Tutto okay?»
Van chiuse il suo armadietto, sistemandosi poi il colletto della camicia bianca che aveva appena indossato.
Reiji soffiò piano dal naso, a mo’ di risata. «Perché me lo chiedi?»
«Non rispondermi con un’altra domanda, dimmi solo se va tutto bene o meno.»
Il moro guardò brevemente l’amico negli occhi, sfuggendo poi al suo sguardo.
«Certo che va tutto bene! È stata una bella giornata, no? I bambini si sono divertiti, la canzone ha avuto succes-»
Van picchiettò un paio di volte le nocche sul metallo dell’armadietto, interrompendolo, poi sospirò.
«Sei libero questa sera?»
Reiji non si fece troppo sorprendere da quell’interruzione e da quel repentino cambio d’argomento: dopotutto aveva ben intuito dove volesse andare a parare con quella proposta.
«In realtà non credo di essere molto in vena per uscire…»
«Perfetto! Allora ti aspetto al solito campo, è da un po’ che non ci dedichiamo al baseball! Facciamo per le nove, vedi di essere puntuale!»
Van non gli diede nemmeno il tempo per ribattere. Ammiccò e se ne uscì semplicemente dallo spogliatoio con una risata, chiudendosi la porta alle spalle.
Reiji, ormai solo, si lasciò andare ad un profondo sospiro, strofinandosi il viso con le mani.
Non passò molto, però, che la porta dello spogliatoio si aprì di nuovo.
Quando Reiji si voltò nella speranza di trovare di nuovo Van, e di potergli dire che per quella sera proprio non se la sentiva, preferendo riservarsi del completo relax per il resto della giornata – così da potersi anche ricaricare in vista di un nuovo inizio di settimana -, si ritrovò a rilasciare un “ah” alquanto deluso nell’appurare che quello appena entrato non era l’amico ma Satou-san.
«Che cos’è quell’espressione?! E quell’ah?! Guarda che potrei offendermi! Anzi no, mi sono offeso!»
Reiji sorrise, scuotendo la testa. «Scusi, Satou-san, è che speravo in Van-Van! Ho una cosa da dirgli, per quello, ma le assicuro che non sono per nulla scontento di vederla! Ha finito il turno di oggi?»
L’infermiere incrociò le braccia, riservandogli ancora un’occhiataccia che risultò comunque poco credibile.
Poi sospirò. «Te la faccio passare per questa volta, ma solo perché no, non ho ancora concluso il turno, e ti stavo cercando per dirti una cosa. Ah, sono anche andato a fare gli auguri a Otoya-kun, e mi ha detto che si è divertito molto, quindi ottimo lavoro!»
«Sì, fortunatamente sia lui che i bambini dell’orfanotrofio- uh?» si fermò quando l’altro portò una mano aperta a pochi centimetri dal suo viso, perplesso.
«Alt, alt! Mi racconterai un altro giorno, non ti stavo cercando per questo.»
Satou alzò l’altra mano, osservando l’ora sull’orologio da polso. «Spero tu non abbia nulla in programma per adesso, perché Kou-chan-» alzò gli occhi al cielo, mordendosi la lingua. «Sakagami, scusa, il veterinario della clinica di stamattina, mi ha chiamato poco fa chiedendomi se potevo farti fare un salto veloce da lui. Ha detto che dovrebbe trattarsi di una cosa di pochi minuti.»
Reiji si accigliò un attimo: di cosa doveva parlare con lui?
«Non le ha detto il motivo?»
Satou scrollò le spalle. «Che ne so, mi ha solo detto di chiedertelo! Anche se ti confesso che sono perplesso quanto te, non capisco perché voglia vederti. Oh beh, fammi sapere non appena ci vediamo! Ora purtroppo devo tornare alle mie cose.» fece, soffocando malamente uno sbadiglio quando si voltò verso la porta.
«Ah, Satou-san!»
«Uh? Dimmi.»
Il moro tentennò un attimo.
Dopo la conversazione che era finito per origliare quella mattina, aveva davvero il diritto di fargli qualche domanda sul rapporto che aveva con Inoue-san e Sakagami-sensei?
Inoltre la tensione che sembrava esserci tra il veterinario e il primario lo incuriosiva parecchio…
Alla fine scosse la testa, grattandosi con fare impacciato la nuca. «No, nulla di che. Mi era solo parso di capire che tra lei e Sakagami-sensei c’è una forte amicizia…»
Satou allargò gli angoli della bocca in un ampio sorriso, e il suo sguardo si fece molto più affettuoso.
«Io e Kou-chan ci conosciamo da più di dieci anni, quindi direi di sì, ci supportiamo e sopportiamo da un bel po’ di tempo…»
 
§§§§
 
«Okay, deve essere uno scherzo.»
Quando arrivò in prossimità della clinica veterinaria, Reiji abbassò il finestrino del lato del passeggero e si sporse verso questo, rallentando poco per volta, fino a quando l’auto non si fermò del tutto e mise il freno a mano.
«Ran-Ran, che cosa ci fai qua? Sei venuto ancora per i tuoi nipotini?»
L’albino sospirò e rilasciò un leggero ringhio, visibilmente scocciato, poi si avvicinò all’auto e approfittò del finestrino abbassato per lanciare sul sedile quello che Reiji riconobbe come il lecca-lecca che gli aveva dato quella mattina.
Il moro lo guardò alzando entrambe le sopracciglia, con in viso un’espressione quasi rassegnata. «Terrò a mente che il limone non ti piace, va bene.»
«Te lo sto ridando per un altro motivo, scendi da quell’auto, adesso. Doc, è arrivato!»
Reiji aprì la portiera e uscì, come dettogli, ma ancora non riuscì a capire per quale motivo Ranmaru si trovasse lì – e soprattutto come mai sembrava essere lui quello interessato alla sua presenza.
Sakagami raggiunse presto i due, uscendo dalla clinica con gli occhiali da vista in mano, impegnato a pulire le lenti con uno dei lembi del camice bianco.
«Oh, ragazzo, ben arrivato.» disse, rivolgendogli un leggero sorriso. Poi si rivolse a Ranmaru. «Preferisci parlarne dentro?»
«No, va bene qua.» rispose, incrociando le braccia nel rivolgere il corpo verso Reiji. «Io e te abbiamo ancora un conto in sospeso.»
Reiji spostò più volte lo sguardo sui due, iniziando ad avvertire un po’ di inquietudine per la sua incolumità. «U-Uhm, Sakagami-sensei, lei non farà da arbitro per un incontro di boxe o qualcosa del genere, vero? C-Credevo che avessimo già risolto! Conoscenti, ricordi?!»
Il veterinario si rimise gli occhiali addosso, potendolo guardare più chiaramente con fare confuso. «Perdonami, non credo di aver capito il perché di questa domanda.»
«Che diavolo vai blaterando, pezzo d’idiota?» fece Ranmaru, schiaffandosi una mano sul viso.
Ancora dubitava davvero del fatto che quella fosse la scelta giusta, anzi, era più che convinto di starsi per infilare in una delle seccature più grandi della sua vita, ma al momento quel demente lì davanti rappresentava la sua unica alternativa.
«Abbiamo un conto in sospeso riguardo al giorno in cui mi hai quasi fatto fuori. E dato che la tua idea per metterti la coscienza a posto è andata a farsi benedire, ti dirò direttamente io che cosa devi fare per sanare il debito.»
«Kurosaki-kun, questa non dovrebbe suonare come una minaccia.»
Reiji, però, si ritrovò a ridere di gusto, avvertendo anche il cuore molto più leggero rispetto a prima: aveva già iniziato a temere il peggio.
«Assolutamente, non c’è problema! Cosa vuoi che faccia? Chiedimi pure qualsiasi cosa, sarò ben felice di accontentarti una volta per tutte, Ran-Ran!» assicurò, battendosi un pugno sul petto e ammiccando, fiducioso.
Ranmaru lo guardò impassibile. «Terrai in casa tua i gatti che hai visto oggi per un periodo di tempo indeterminato, quindi mi auguro che tu viva in un posto quantomeno decente.» spiegò, osservando il sorriso dell’altro spegnersi poco per volta per lasciare spazio a un’espressione che non sembrava più trasmettere tutta quella sicurezza delle parole di poco prima. Prevedibile.
«Detto questo, Doc, le carte sono già pronte?»
«N-No, un attimo! Un attimo! Questo non penso di poterlo fare!»
Ranmaru si accigliò, minaccioso, e Reiji si ritrovò di riflesso a fare un passo indietro.
«Hah? Sbaglio o fino a un minuto fa te ne sei uscito con “sarò ben felice di accontentarti una volta per tutte”? Prenditi la responsabilità delle tue parole e taci.»
«Ma non credevo mi avresti chiesto questo!»
«Allora va’ a buttarti da quel ponte, così risolviamo!»
«Puoi chiedermi anche cose più normali, come un massaggio ai piedi!»
«Disgustoso.»
«Perché non hai mai avuto un massaggio dal sottoscritto!»
«Ragazzi, vi prego.» si intromise ancora una volta tra i due il veterinario, sperando di non dover trasformare quel genere di situazione in una quotidianità, quantomeno per se stesso. «Reiji-kun, posso chiederti di entrare un attimo per discuterne meglio? Poi se dopo averne parlato la tua risposta sarà ancora no, allora non importa, non è qualcosa per cui devi sentirti obbligato.»
«E invece dovrebbe.»
«Kurosaki-kun.»
Ranmaru scambiò una breve occhiata col veterinario, e per quanto avesse voluto ribattere, sapeva bene di essere nel torto in quel momento. Era vero, non poteva di certo obbligarlo a prendere in casa non uno, ma ben quattro gatti, di cui due cuccioli, ma se non lui, a chi altro avrebbe dovuto chiedere? Con Hiroto e Hisoka non voleva avere alcun debito che potessero poi rinfacciargli se anche le cose con questo gruppo non fossero andate per il verso giusto; Yume e Satoshi avevano già fin troppi pensieri con il locale, e Satoshi, oltretutto, non era mai stato un grande amante degli animali, mentre Kurou… beh, su di lui il pensiero non era nemmeno andato.
Usare come pretesto la storia del “quasi incidente” per convincere almeno Reiji era l’unica cosa a cui aveva pensato, ma dopo il comportamento che aveva avuto la sera del karaoke, in realtà, potevano definirsi pari. Nemmeno quello valeva più.
«Allora fa’ come ti pare, non starò qua a pregarti.» sibilò acido, senza guardarlo più in faccia.
Reiji guardò Ranmaru con fare dispiaciuto, adesso, ritrovandosi con le spalle al muro, senza sapere più che fare.
In tutta la sua vita non aveva mai avuto degli animali domestici, e anche se non aveva mai nascosto il desiderio di poterne possedere uno, quattro gatti in una volta forse erano troppi…
«Reiji-kun?» lo chiamò Sakagami, ridestandolo dalle sue riflessioni.
«Beh…» iniziò, spostando di nuovo lo sguardo su Ranmaru, il quale ormai sembrava non avere più intenzione di considerarlo. «Accetto di parlarne, e poi vedrò di decidere cosa fare.» disse, suonando già non troppo convinto.
Il veterinario annuì, posando una mano sulla spalla di Ranmaru.
«Allora entriamo, forse riusciamo a risolvere la situazione.»
 
 
 
           
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Giuro che sono viva, o almeno credo.
In ogni caso, sono riuscita a ritagliarmi del tempo per poter pubblicare anche questo capitolo (che penso sia il più lungo che abbia mai scritto tra tutte le ff che ho pubblicato su Efp, non scherzo 30 pagine). Diciamo che fino al prossimo vi ho “saziato” anche fin troppo con il quinto, spero che non abbiate un’indigestione e che tutto alla fine abbia un senso visto che alcune scene ho dovuto “tagliarle” per non creare un libro solo su questa giornata (ne avevo ancora di roba da scrivere, e sì, lo so che state tremando al pensiero in questo momento). Come minimo ad aprire la pagina del nuovo aggiornamento scapperanno tutti, quindi tanto di cappello a chi riuscirà ad arrivare alla fine, aspetto sempre con ansia qualche commentino per sapere se questa roba sta piacendo a qualcuno o meno :”)
Per il resto, vi avverto che per il prossimo aggiornamento probabilmente arriverò a pubblicare sempre verso la fine del mese, dato che tra cose legate all’università/lavoro non riesco a gestire il tempo come vorrei, e per rivedere/pubblicare vi assicuro che quasi un’ora la devo perdere *sigh*
Quindi vi chiedo di avere pazienza, e ah, se potete, vi consiglio caldamente di ascoltarvi “Arigatou no Harmony” di Osari Hikaru, la canzone cantata da Reiji in questo capitolo, sono certa che riuscirete a immaginarvi meglio la scena <3
Evito di aggiungere altro perché penso che non ne possiate più di leggermi, quindi alla prossima!
 
 
 
 
 
 
  
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