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Autore: metalmarsh97    21/08/2018    1 recensioni
I coniugi Rhonda e Jim Myers decidono di organizzare una grande festa per celebrare l'anniversario dei cinquant'anni di una ricorrenza molto particolare, invitando a casa tutti i loro più cari amici. Dopo infiniti e minuziosi preparativi, il giorno tanto atteso finalmente giunge... ma nulla in realtà e come sembra.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ANNIVERSARIO
 
Non appena ebbe finito di cucinare, Rhonda Myers decise di farsi una doccia, lunga e bollente come non se ne concedeva una da molto tempo. Erano appena le cinque di un caldo e soleggiato pomeriggio di estate, ma il tempo a sua disposizione era poco e le cose da fare prima dell’inizio del ricevimento erano ancora molte. Calcolò di aver forse due ore prima che suo marito rientrasse da lavoro e tre all’arrivo degli invitati. Quella sera nulla sarebbe dovuto andare storto, erano mesi che lei e Jim preparavano l’evento. Intoppi o imprevisti non erano contemplati.
Stette quaranta minuti sotto l’acqua, cantando come una diva della musica lirica, mentre il vapore invadeva il bagno e appannava specchi e vetri. Dopo essersi stretta un telo intorno alla folta chioma rossiccia, si asciugò e si vestì, indossando un lungo ed elegante abito da ricevimento blu notte regalatole dal marito per i loro venti anni di matrimonio. Sistematasi anche i capelli, completò la sua preparazione truccandosi quel tanto che le bastava per sfoggiare ulteriormente davanti agli ospiti. Raggiunto quasi mezzo secolo d’età, Rhonda sembrava ancora una giovane e avvenente donna di trent’anni. Controllò l’orologio. Le sei. Jim sarebbe stato presto a casa.
Scese da basso, controllando che il salotto fosse in ordine. Le tende erano ben tirate e pulite, il legno dei tavolini era stato lucidato a dovere e la tappezzeria dei divani non presentava macchie o pieghe. La loro era una casa grande, dotata di numerose stanze e di un paio di giardini, uno che dava sulla strada e uno che si apriva sul retro, dove d’estate ospitavano i barbecue invitando i loro amici più intimi. Di comune accordo, avevano pattuito come Rhonda dovesse occuparsi degli spazi interni, mentre Jim, soprattutto nel finesettimana, di quelli esterni. Sino a quel momento, era un equilibrio che aveva retto. Non le dispiaceva fare la casalinga, e l’impiego del marito permetteva ad entrambe di condurre un’esistenza agiata.
Finalmente udì il rombo della Chevrolet del marito lungo il vialetto di ghiaia. Non attese che il suo uomo bussasse alla porta per aprirgli, gli corse incontro. Uscendo, gli gettò le braccia al collo. Lui la abbracciò, ridendo e stampandole un bacio sulla fronte e poi sulle labbra. Jim era un grande e grosso uomo di cinquantacinque anni, dal collo taurino e dal prominente ventre da birra, ma era dotato di un cuore d’oro.
Non avevano figli, ma questo non gli aveva allontanati, anzi, gli aveva avvicinati ancora di più. Dopo diversi tentativi di avere bambini, lei aveva scoperto di essere sterile. La depressione in cui era caduta dopo aver ricevuto quella notizia era stata un pozzo senza fondo in cui aveva rischiato di scivolare senza possibilità di riemergerne, ma Jim l’aveva aiutata a superare il trauma fungendo da sua solida e sicura ancora di salvataggio.
“Che schianto che sei stasera, bambola” fischiò lui nella sua voce baritonale.
“Non fare il ruffiano Jim” disse lei falsamente offesa.
“Non sto scherzando.”
“Grazie – replicò arrossendo – ma ora vieni dentro, vedi se come ho preparato ti piace.”
“Agli ordini capitano... anche se sai che non mi permetterai mai di commentare i tuoi gusti. Casa nostra è il tuo regno.”
Continuando a sorridere, gli fece cenno di entrare. Jim trovò tutto di suo gradimento, soprattutto gli stuzzichini che Rhonda aveva preparato per soddisfare l’appetito degli ospiti. Dovette cacciarlo dalla cucina per evitare che si pappasse tutti i manicaretti disposti su diverse teglie. All’interno della loro cerchia di amici, era nota per essere una maga ai fornelli.
Si sedettero dunque in salotto, lei composta sul divano per evitare di spiegazzare il vestito, lui stravaccandosi sulla sua poltrona preferita. Aveva deciso di non cambiarsi gli abiti per la serata, la camicia, i pantaloni e la cravatta gli sembravano abbastanza puliti ed eleganti per l’occasione.
Erano le sei e mezza, e fuori dalla casa i raggi del sole divennero obliqui e arancioni. Gli invitati sarebbero presto arrivati. Lui le prese le mani nelle sue, grandi e ruvide.
“Tutto bene cara?”chiese continuando a guardarla.
“Si, tesoro, è tutto a posto.”
“Sbaglio o sei emozionata e … tesa?”
“Beh, a dirla tutta, si Jim, mi sento un po’ entrambe.”
Il marito si portò le sua mani alle labbra e le baciò con dolcezza, dopodiché iniziò ad accarezzarle.
“Immagino. Tranquilla, andrà tutto bene. Ti sei impegnata molto per organizzare questa serata, non ti devi preoccupare. Sento di doverti ringraziare, a volte non mi rendo conto di quanto fortunato sia ad averti.”
“Oh ma caro, ma cosa dici? Sono io quella a doversi sentire grata, ti preoccupi sempre per me e per il mio benessere. A volte mi domando se non ti stressi troppo per questo.”
“È che vedi, dopo quello che è successo pensavo tu …”
 “No hey – lo interruppe lei stringendogli le mani con le sue – non parlarne, ne oggi ne mai. Godiamoci la festa.”
“Hai ragione – disse tornando a rilassarsi sulla poltrona – questa serata è nostra, grazie a te.”
Rimasero seduti in silenzio, godendo della reciproca compagnia, fino a quando non giunsero i primi ospiti. Solo allora, quando il campanello squillò, si levarono in piedi ad accogliere gli invitati, premurandosi che si sentissero a loro agio e si accomodassero. Le trenta persone presenti al ricevimento mangiarono e bevvero a sazietà fino a tarda notte, brindando alla saluta della coppia.
Rhonda era al settimo cielo, non smise di sorridere nemmeno un attimo per tutta la durata del ricevimento. Era semplicemente estasiata dalle risate, prima fra tutte quella profonda di Jim. Quell’anniversario di cinquant’anni di morte sarebbe rimasto impresso nella memoria dei presenti per tutta la durata della loro eterna non-vita, ne era certa.
 
Ralph Willbourne inserì le chiavi nella toppa della porta di casa sua, una modesta ma elegante villetta di provincia in cui, in un certo senso, viveva da solo. Appena ebbe varcato l’uscio, seppe come loro fossero di nuovo attivi. Si passò una mano sul viso con fare stanco, borbottando insulti. A lavoro era stata una giornata lunga e faticosa, e aveva sperato di poter tornare a casa per rilassarsi, godersi un film in santa pace e farsi una bella dormita. Come al solito, non aveva considerato la presenza dei suoi fastidiosi e indesiderati inquilini.
“Cristo santo, almeno pagassero l’affitto! Pezzi di stronzi che non siete altro” rimbrottò mentre, con la giacca ancora sulle spalle, andava a prendersi una birra in cucina.
Dopo aver gettato il soprabito in terra, stizzito, si sedette pesantemente sulla poltrona. La lattina, sulla cui superficie iniziava a formarsi una gelida condensa, si aprì con un sonoro schiocco. La bevanda era fredda al punto giusto, risultando schiumosa e frizzante al palato. Ralph si concesse un sonoro rutto di apprezzamento, l’unica soddisfazione che forse sarebbe riuscito a ricavare da quella maledetta giornata. Intorno a lui, il rumore di passi, voci e stoviglie tintinnanti proseguiva ininterrotto, giungendogli ovattati come se provenissero da lontano o da sottoterra. Si rimproverò per l’ennesima volta per aver comprato quella casa. L’agente immobiliare che gliela aveva procurata evidentemente non doveva essere a conoscenza del fatto che fosse infestata. O forse lo era, ma aveva deciso di tenere per se quel piccolo particolare. Non era un’eventualità da scartare, conoscendo la risma di cui erano fatti quei gran figli di puttana.
Tutto era cominciato nemmeno un mese dopo il suo arrivo. Il trasloco era terminato, e lui aveva appena fatto in tempo ad ambientarsi nella nuova dimora, quando aveva scoperto di non essere solo fra quelle quattro mura. Iniziò con il rumore di passi nei corridoio e nelle camere. Aveva pensato si trattasse di topi, dati che la struttura era parecchio vecchia, e aveva quindi chiamato il disinfestatore. Questi non aveva rilevato alcun problema, ma se ne era lo stesso andato via con il portafoglio gonfio di cinquanta dollari in più per il disturbo di averlo fatto arrivare sin lì.
Ai passi si erano pio aggiunti altri rumori, come porte che si chiudevano, e infine erano arrivate le voci. La prima volta che le aveva sentite si era letteralmente cagato sotto. Aveva temuto di essere completamente impazzito, magari a causa dello stress o roba simile. Era andato dritto dallo psichiatra, convinto che di li a poco lo avrebbero sbattuto in qualche schifoso manicomio in compagnia di altri schizzati, ben stretto in una camicia di forza, ma nulla. Il dottore diceva fosse sano come un pesce, una diagnosi ottenuta sborsando altri trecento dollari, il tutto per ritrovarsi in mano un pugno di mosche. Bell’affare di merda.
Aveva tuttavia notato un paio di cose. Non udiva voci e rumori quando si trovava fuori di casa, e inoltre gli ospiti che ogni tanto invitava o che lo venivano a trovare non sentivano nulla di anormale mentre si trattenevano da lui.
Si era messo perciò a fare alcune ricerche per conto suo, cercando di non dare nell’occhio per evitare di essere veramente scambiato per matto. Si era dovuto recare presso la biblioteca del paesino di Merry Hill, l’unico luogo nel raggio di parecchi chilometri che possedesse una sezione dedicata a volumi dal contenuto particolare.
Non aveva mai creduto nel paranormale, negli spiriti e nei fantasmi, da lui sempre bollate come autentiche stronzate, ne tantomeno a quei cialtroni che si professavano medium, ma le recenti esperienze lo avevano portato a rivedere le sue posizioni. Nonostante l’assurdità di tutta quella faccenda, era giunto ad una scomoda conclusione. La sua casa era infestata da anime inquiete.
Secondo i libri sull’occulto da lui consultati, si trattava di presenze innocue per l’uomo, incapaci di agire sul piano reale, percepibili inoltre solo da alcune persone in particolare, dotate di capacità psichiche più sviluppate rispetto alla media. Inutile dirlo, rientrava in questa fortunata categoria. Le voci che sentiva, le quali mormoravano frasi di cui non riusciva mai a comprendere il significato, appartenevano ad un uomo e a una donna.
Si era informato su chi fossero stati i precedenti proprietari della struttura, dato che aveva letto che gli spiriti delle persone morte di morte violenta tendevano ad abitare nei luoghi in cui avevano risieduto in vita per tutta una seri di motivi che in quel momento non ricordava. Aveva scoperto che la casa era stata restaurata solo di recente, dopo un periodo di abbandono durato quasi cinquant’anni, da quando i suoi occupanti, i coniugi Jim e Rhonda Myers erano deceduti in un incidente stradale senza lasciare eredi. Le loro anime, per ragioni a lui misteriose, dovevano essere rimaste intrappolate all’interno dell’edificio.
Aveva dovuto imparare a convivere con loro, dato che non aveva nessuna intenzione di abbandonare la casa che aveva appena acquistato  sborsando un ingente gruzzoletto. L’iniziale inquietudine derivante dal fatto di dover abitare insieme a spettri invisibili si era trasformata dapprima in abitudine per poi sfociare in aperta irritazione. A volte la coppietta sapeva essere veramente rumorosa, tanto da non riuscire a farlo dormire, e a giudicare dal casino di quella sera, i due dovevano aver invitato qualche loro defunto amico. Il tutto, ovviamente, senza chiedere il suo consenso.
“Abbassate il tono, cazzo – sbottò – qui c’è gente che lavora e che vorrebbe godersi un po’ di pace a fine giornata.”
Dopo aver ingollato un altro sorso di birra, accese il televisore e si sintonizzò sul canale del football, giusto per tenersi occupato. Si prospettava essere un’altra lunga e insonne notte.
   
 
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