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Autore: Vanya Imyarek    23/08/2018    2 recensioni
(Spin-off de 'L'Impero della Vita).
Malgrado la sua importante carica, Etaheupa vede come massimo bene per l'uomo una vita tranquilla, onesta, laboriosa, priva di celebrazioni e trionfi ma piena di affetti familiari.
Così cerca di condurre la sua esistenza, e allo stesso modo, quando gli dei o il caso gli regalano un figlio, cerca di educarlo a vivere.
Non ha considerato che spesso, un certo stile di vita è permesso solo da determinate circostanze: cambiate quelle, che può fare una persona se non adattarsi?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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POCO  MANCAVA  CHE  LA  SERVA  SI  ROMPESSE  UNA  GAMBA

 

 

 

“Non disturbatevi, mio sposo. Controllerò io la fonte di questo trambusto”

 Malina, moglie del governatore Etahuepa di Dumaya, si alzò dal letto, allacciò in fretta la tunica dei giorni di lavoro e accorse a controllare il motivo per cui la servitù aveva svegliato lei e suo marito a suon di strilli, imprecazioni, proteste e corse per i corridoi. Ancora mezzo addormentato, Etahuepa fece in tempo a pensare che era un’ottima cosa che Malina si fosse assunta almeno quell’incombenza: in quel preciso giorno pareva che tutti i giudici della regione avessero deciso di dichiarare un’incompetenza generale, affibbiando alla sua autorità superiore contese tra mezza dozzina di ayllu diversi. Sarebbe stato ridotto a uno straccio a fine giornata, e davvero non voleva perdere il poco tempo di riposo che gli era concesso.

 Certo, era stata una vera benedizione  che la sua famiglia gli avesse fatto sposare proprio Malina: tra tutte le nobili viziate, arroganti e lamentose, a lui era spettata una ragazza dolce e gentile, determinata e più che disposta a farsi carico dei problemi più difficili del palazzo se significava levarli a lui. Se solo fossero anche stati in grado di avere dei figli …

 “Mio signore?” una schiava stava nel vano della porta. “Siamo costretti a chiedere il vostro intervento su qualcosa che … abbiamo trovato. Lo abbiamo portato nelle cucine …”

 “Mia moglie …”

 “E’ stata lei stessa a richiedere la vostra presenza”

 Quelle ultime parole svegliarono del tutto Etahuepa. Sì, Malina era un donna gentile e altruista, pronta ad aiutare … il che significava che non lo avrebbe disturbato a meno che non si fosse trattato di qualcosa di davvero serio. Indossò più in fretta che poteva gli abiti della funzione giudiziaria, maledicendone l’elaboratezza e l’impaccio che gli davano, e si affrettò a raggiungere le cucine.

 Metà strada, e si bloccò per un momento: era il pianto di un bambino quello che sentiva? Il figlio di una delle schiave? Ma gli alloggi della servitù erano abbastanza lontani dal punto in cui ora si trovava, non avrebbe dovuto sentirlo. Il pianto si intensificava man mano che si avvicinava alla cucina: che era successo? Un’improvvisa malattia infantile, forse, e ,la madre aveva portato il piccolo vicino al fuoco per riscaldarlo e ora cercava disperatamente di contattare un farmacista o un Sacerdote di Achesay?

 No: quando entrò finalmente nella stanza, vide la sua stessa moglie che cullava un bambino minuscolo, che urlava a pieni polmoni, e che sembrava nel complesso stare benissimo.

 “E’ un dono degli dei, mio sposo” mormorò sua moglie, gli occhi lucidi, non appena lo vide. “Finalmente, finalmente hanno risposto alle nostre preghiere …”

 “Ma che è successo? Da dove arriva questo … dono degli dei? Chi sono i suoi genitori?”

 “Lo sa la Notte! …Non sto imprecando, mio signore, ce l’hanno letteralmente piazzato sull’uscio mentre dormivamo tutti” intervenne Chilla, una delle schiave più anziane. “L’ho trovato io questa mattina perché ci ho inciampato sopra mentre uscivo per prendere l’acqua, mi sono quasi rotta una gamba per la caduta” e qui la donna scoccò al bambino un’occhiata carica di risentimento, come ad accusarlo di averla intenzionalmente fatta cadere.

 “Per fortuna lui non si è fatto niente” continuò Malina, stringendosi al petto il piccolo sempre urlante. “Non sembra avere più di un giorno di vita, è un vero miracolo che sia sopravvissuto alla notte e a un urto simile. E questo conferma ciò che dico: è un dono degli dei” alzò lo sguardo carico di determinazione su Etahuepa. “Mio sposo, sono passati sei anni dal nostro matrimonio, e mai abbiamo avuto anche solo la speranza di un figlio, nonostante tutte le nostre preghiere. E ora compare improvvisamente sulla nostra soglia questo bambino, privo di genitori, senza neanche un segno di riconoscimento: è un regalo degli dei, dobbiamo adottarlo, spetta a noi prendercene cura come a un figlio nostro!”

 C’erano tante cose che si potevano obiettare al discorso di Malina.

 Innanzitutto, le adozioni erano faccende complicate per gente del loro rango. Un contadino o artigiano avrebbe letteralmente potuto prendere come suo figlio qualsiasi bimbetto orfano avesse incontrato, non sarebbe stata altro che una benefica aggiunta all’ayllu; ma se entrava di mezzo il sangue del Sole, la faccenda cambiava. Suo padre era stato il primo a governo di quella regione, dopo che la popolazione originale era stata deportata perché i Soqar potessero colonizzarla; era il fratello dell’Imperatore, discendente diretto di Achemay e simbolo vivente del dominio che ora l’Impero teneva in quei luoghi. Etahuepa gli era succeduto in quanto suo figlio, detentore anche lui del sangue del Sole, e così avrebbe idealmente dovuto fare un suo figlio biologico.

 Questo neonato era invece figlio di chissà chi: mendicanti, ladri, una prostituta e un cliente che neppure lei avrebbe saputo identificare, gente che viveva al di fuori dello Stato e non aveva diritto al suo sostegno, ritrovandosi senza alcuna possibilità di provvedere a un figlio. Capitava abbastanza spesso, in realtà, e di solito quei bambini finivano rispediti in strada e adottati da criminali che ne facevano ladruncoli o prostitute da cui profittare in cambio di un po’ di cibo avariato e un riparo malconcio. Oppure, qualora i genitori volessero assicurare loro un futuro migliore lasciandoli davanti alla casa di un ricco, relegati tra la schiavitù.

 E qui si trovava in realtà il primo elemento di stranezza rispetto alla ‘normalità’ di quelle situazioni: l’assenza di segni di riconoscimento, come aveva notato Malina. Qualunque affetto genitoriale nutrissero i debosciati che esponevano i propri figli, spesso vi lasciavano qualcosa che potesse ricondurre il piccolo a loro, una volta cresciuto: forse la speranza di avere un adulto robusto che li mantenesse nella vecchiaia, forse la genuina speranza di un ricongiungimento in tempi migliori, comunque c’erano, per quanto insignificanti potessero essere.

 Questo bimbo invece non aveva nulla, se non la coperta in lana ruvida e di pessima qualità in cui era stato avvolto. Chiunque fossero i suoi genitori biologici, non li avrebbe mai incontrati, né loro avrebbero potuto riconoscere lui. Un vero figlio di nessuno, privo di ogni legame di sangue e affidato solo alla bontà degli dei.

 Che erano stati tanto generosi da farlo sopravvivere alle intemperie della notte e agli animali randagi, per farlo arrivare in salute al mattino e consegnare a Malina. Malina che, da tanti anni, desiderava disperatamente un figlio e si sottoponeva alle più intense preghiere e penitenze per poter finalmente essere fertile …

 Forse era davvero destino. Forse era davvero un ordine degli dei, di prendersi cura di quel trovatello. Forse era davvero la risposta alle loro preghiere.

 Comunque, sarebbe stata la cosa più facile da rispondere a chiunque l’avesse accusato di aver interrotto la linea ereditaria.

 

Come previsto, la giornata era stata estenuante. Cercare di rintracciare con certezza chi fosse il nonno di chi e dunque quale ufficiale avesse diritto a certi possedimenti, cercare di capire perché fosse una tragedia degna del tribunale che una ragazza  si fosse sposata in una famiglia anziché in un’altra, scoprire quanta lana fosse effettivamente stata tessuta in un certo giorno di settimane prima e se vi fosse stata una truffa, indagare se qualcuno avesse mentito sul numero di bambini nati in famiglia quell’anno per ottenere più cibo di quel che gli spettava …e tutto con il pensiero di quel bambino – suo figlio adottivo – che gli ronzava costantemente per la testa.

 Davvero quando l’avevano ritrovato piangeva per fame, e non per qualche male che non era stato subito notato? Aveva accettato Viquila come balia? Erano riusciti a procurargli buone coperte e una culla, anche una di fortuna in attesa di trovarne una più adatta al figlio di un governatore?

 Al suo rientro al palazzo, ebbe le sue risposte: tutto era andato per il meglio. Il bambino stava bene, era stato allattato a sazietà da una Viquila che aveva sopportato con molto coraggio il compito inaspettato, e adesso dormiva in una culla in legno solido riempita da morbide coperte, che Malina era riuscita a procurare a velocità sorprendente. Trovò Malina a contemplarlo, gli occhi quasi adoranti; no, non era rimasta così tutto il giorno, aveva svolto alla perfezione i suoi compiti nell’amministrazione domestica, ma non poteva negare di essersi concessa diverse pause per andare a controllare il bambino. Del resto anche quello, ora, rientrava nei suoi compiti.

 Aveva anche mandato uno schiavo a fare accordi con i cacciatori di aqi e i sacerdoti del locale Tempio di Achesay: il giorno dopo avrebbe offerto un grande sacrificio alla dea della fertilità. Il bimbo non sarà stato davvero suo, ma a lei era stato affidato: era obbligatorio un ringraziamento. Il che lasciava alla loro adozione un unico problema da risolvere.

 “Che nome gli daremo?”

 “Pensavo avessi già provveduto tu, mia sposa”

 “Siete suo padre, è vostro diritto dargli un nome. Se volete un mio suggerimento, io pensavo ad Atahai … il nome di mio nonno paterno, sapete”

 Atahai, ‘il Valoroso’, nella Prima Lingua. Un nome legato alla guerra e alla conquista, un bel nome, in una società espansionistica come quella di Tahuantinsuyu.

 Ma sarebbe stato adatto a questo particolare bambino? Se fosse diventato governatore dopo di lui, probabilmente non sarebbe mai davvero sceso in battaglia: avrebbe concesso tutte le truppe necessarie all’Imperatore per le sue guerre, ma il suo posto sarebbe stato a Dumaya, a vigilare sul benessere della popolazione.

 Etahuepa credeva nell’importanza dei nomi, nell’intrinseco legame che avevano con il destino di chi li portava. Atahai era un ottimo nome per un soldato, certo. Ma che avrebbe portato a qualcuno che avrebbe dovuto guidare dei sudditi in una vita giusta e serena?

 “Per come penso io” concluse “Simay sarebbe più adatto”

 “ ‘Pace’” Malina fissò per un attimo il bimbo in silenzio, poi sorrise. “Sì. Questo è davvero perfetto”.

 

Etahuepa se lo aspettava, che qualcuno avrebbe avuto da ridire sulla sua adozione.

 Il primo fu un consigliere, che riuscì facilmente a mettere a tacere facendo notare la sua assenza di eredi diretti; il secondo fu nientemeno che il principe Manco. Una lunga lettera carica di termini ampollosi, piena di riferimenti storici e religiosi che mal si addicevano alla situazione.

 Etahuepa era sorpreso di averla ricevuta proprio da lui: se sapeva per certo che l’Imperatrice sua madre era a dir poco ossessionata dalla purezza del sangue, l’idea che si era fatto di Manco era quella di un giovane fatuo e non poco donnaiolo (gli dei avessero pietà della povera principessa che l’avrebbe sposato, con una simile educazione!), non certo interessato a mantenere concentrato il potere della famiglia. Certo, non si poteva escludere che la prima avesse indotto il secondo a scrivere quella lettera … ma sarebbe stato sufficiente un tono autoritario, e ribadire la chiara volontà degli dei nell’affidargli quel bambino perché la questione fosse abbandonata su quel fronte.

 L’ultima inquisizione arrivò dall’Imperatore Duqas in persona, che sollevava la molto più concreta obiezione: e se avesse avuto eredi diretti? Simay era stato adottato in loro assenza, ma Malina non era ancora uscita dall’età fertile: se fosse sopraggiunto un erede legittimo, che ne sarebbe stato di quello adottivo?

 Il figlio vero e proprio l’avrebbe scalzato da qualunque diritto al governatorato, certo, anche se fosse stata una femmina avrebbe portato Dumaya come dote al suo sposo. E Simay come l’avrebbe presa, dopo essere stato cresciuto con la prospettiva di diventare governatore? Vedersi proporre il potere, per poi vederselo sottrarre per qualcosa che esulava dal suo controllo?

 Sembrava solo naturale supporre che il ragazzo non avrebbe accettato il naturale ordine delle cose, avrebbe creato un suo partito e creato all’Impero una serie di grattacapi completamente inutili. E questo assumendo che il figlio di gente di strada sarebbe cresciuto perfettamente onesto e disposto a cercare un corso di azione che rientrasse nella legalità: e se invece i peccati dei suoi antenati fossero sopravvissuti in lui, e avesse cercato di eliminare il rivale con mezzi empi e sanguinosi? Davvero Etahuepa voleva rischiare la sua possibile discendenza per un figlio di vagabondi?

 Questo era quel che gli dava da pensare. Certo, era preparato ad affrontare tendenze ribelli e violente da parte del piccolo, una volta cresciuto, il sangue non si poteva cancellare. Ma poteva essere mitigato. Un’educazione rigorosa, all’onestà, al rispetto delle leggi umane e divine fin dalla più tenera età avrebbe ben dovuto temprare le influenze di sconosciuti che avevano abbandonato il piccolo a neppure un giorno dalla nascita. E avrebbero saputo proteggere Dumaya.

 Sì, Simay sarebbe stato cresciuto con la prospettiva di diventare governatore, ma avrebbero dovuto porgli in chiaro, fin da subito, la natura caduca della sua posizione. Avrebbe imparato la politica e l’amministrazione economica e giudiziaria, certo, ma sarebbe anche cresciuto nel rispetto degli dei: se un fratello biologico l’avesse soppiantato, sarebbe diventato Sacerdote, stroncando sul nascere possibili complicazioni dinastiche. Avrebbe potuto consacrarsi ad Achesay, a Chicosi, o alla setta dei Purificatori di Qisna, a seconda delle sua inclinazioni.

 La tranquillità della sua famiglia sarebbe stata mantenuta, per tutti i suoi membri. La sua non era una decisione impulsiva e priva di riflessione: ecco tutto quel che scrisse di rimando a Duqas.

 E adesso, poteva sperare che avessero finito di tartassarlo su suo figlio?

 

 

 

GLOSSARIO:

AQI: esseri simili a tassi dal pelo violaceo, che emanano ormoni che fanno marcire le sostanze inorganiche attorno a loro. Soggetti a disinfestazioni a tappeto e contenuti in gabbie speciali, sono frequentemente offerti in sacrificio, con la testa dedicata a Chicosi, il cuore ad Achemay, e il resto del corpo, a seconda che l’animale sia maschio o femmina, a Tumbe o Achesay.

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

ecco qui il primo capitolo del primo spin-off, che durerà circa quattro capitoli più o meno brevi. Qui volevo mettere proprio il ritrovamento di Simay e approfittarne per mostrare un po’ le logiche familiari di Tahuantinsuyu, che verranno comunque spiegate meglio nei prossimi capitoli e nella storia principale.

 Una piccola curiosità sul nome del protagonista e il suo significato: quando ho scelto quel nome ho pensato semplicemente a uno che ‘suonasse’ inca. A quanto pare ha funzionato così bene, che effettivamente esiste un nome andino che differisce solo per una lettera: Samay, che vuol dire appunto ‘pace’, e da lì ho appunto voluto prendere il significato. Piccola differenza: è un nome da femmina … ma vabbè, non si può avere tutto dalla vita (povero Simay).

Ringrazio tutti quelli che avranno voluto leggere e recensire!


  
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