Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: metalmarsh97    23/08/2018    1 recensioni
Ray Bradson, allevatore della piccola cittadina rurale di Cornfield's End, nello Stato del Kansas, cerca di convincere i suoi amici di aver avvistato a distanza ravvicinata un UFO, intento a sorvolare dei campi di grano, prima di sparire all'orizzonte. Quando però i suoi conoscenti, oltre a non credergli iniziano anche a sbeffeggiarlo, Ray, infuriato, decide di andarsene dal consueto luogo di ritrovo e tornare a casa a piedi. Lungo il tragitto, tuttavia, verrà avvicinato da un paio di uomini in abiti scuri che lo costringeranno, seppur con parole gentili, a salire sulla loro vettura nera.
Genere: Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’AMNESIA DI RAY
 
“Vi sto dicendo che so quello che ho visto.”
“Si, certo, e mio zio Fred una volta si è fatto una sgroppata con Marylin Monroe.”
“Beh Al, non ci metterei la mano sul fuoco, tuo zio Al era un vero sciupa femmine.”
“Cristo Santo, ma mi state ascoltando?”
“Si Ray, ti stiamo ascoltando, e stiamo anche cercando di dirti che facciamo fatica a crederti. Tutto qui.”
“Fottetevi, pezzi di stronzi, non mi sto inventando nulla.”
Dietro il bancone di lucido legno, Mark Helwing assisteva alla scena con un sorriso di sincero divertimento dipinto sulle labbra mentre lucidava uno dei numerosi bicchieri da birra posto lungo le mensole alle sue spalle. Erano le undici e mezza di un’afosa sera d’estate, in giro non si vedeva un cane e all’interno del The Place, il pub di sua proprietà, c’erano solo una mezza dozzina di clienti, due dei quali intenti in una serrata partita a biliardo e gli altri quattro riuniti intorno a un tavolino, impegnati nella conversazione che stava origliando.
Uno di questi era Alfred Kirkeer, quello con lo zio donnaiolo. Seduto accanto a lui v’era Benjamin Faulchard, quello che aveva ricordato ad Al di avere un parente amante delle belle ragazze. Seguiva quindi Carl Wilthmann e, infine, Ray Bradson, quello che stava tentando in tutti i modi di convincere la sua platea di scettici ascoltatori della veridicità della sua storia. Erano suoi clienti abituali, aveva una decina di anni più di loro e li conosceva sin da quando si pisciavano nei pantaloni. Erano allevatori e agricoltori, ma prima di tutto erano amici.
Come ogni mercoledì sera, e quello era un mercoledì sera, si trovavano al The Place per stare un po’ lontani da moglie e figli, farsi qualche giro di birra e raccontarsi come fosse andata la settimana appena trascorsa. Mark era uno scapolo di cinquant’anni, e dunque non pretendeva di saperne in merito, ma avere una famiglia a cui badare a volte doveva essere un lavoraccio stressante. Fare un salto nel suo locale e bere qualcosa era il rimedio giusto per smaltire quella fatica.
“Ok Ray – disse Carl in tono conciliante – facciamo così. Tu ci racconti di nuovo cosa è successo, e noi promettiamo di ascoltarti senza sparare sentenze prima che tu abbia finito. Ci stai?”          
Tutti e tre assentirono in silenzio, ma vide poca convinzione sui volti di Ben e Al. Era sicuro che i due nemmeno stavolta avrebbero creduto alla storia dell’amico.
“Allora – cominciò Ray – come stavo dicendo, l’altra sera decisi di farmi un giro per la proprietà. Annah era appena andata a letto, e i bambini dormivano già da un pezzo, così uscii di casa, mi accesi una sigaretta e iniziai a percorrere uno dei tanti viottoli che attraversano i campi. Non so perché lo feci, forse avevo voglia di prendere una boccata d’aria, oppure di sgranchirmi le game. Fatto sta che camminai per forse un’ora, giungendo fino al confine con le terre dei Mckormak. Fu a quel punto che lo vidi. Ancora non riesco a capire come facesse a non far alcun rumore, cazzo era grande come due campi da baseball messi insieme, se non di più. Era … ellittico, credo, oblungo e metallico, con alcune luci bianche simili a fari poste lungo quelli che sembravano i bordi. Lo spostamento d’aria creato dal suo passaggio quasi mi strappò dagli stivali da lavoro che indossavo. Mi sorvolò scivolando via come se non mi avesse notato, quasi non esistessi. Scomparve nella notte, veloce così come era apparso, lasciandomi da solo e incredulo.”
“Quindi, in sostanza – intervenne Al – ci stai dicendo di aver visto un disco volante.”
“Esatto.”
Ben proruppe in una sonora risata, battendo la mano sul tavolino in preda all’ilarità, e anche Al, che sino a quel momento aveva cercato di trattenersi, si unì al compagno. Carl si limitò a fare spallucce e a mostrare le palme delle mani come per dire non posso farci nulla. Ray divenne paonazzo d’ira e di vergogna. Mark assistette a tutto ciò attento a non farsi notare e continuando a lucidare bicchieri. Non voleva entrare a far parte di quella discussione, per quanto divertente fosse.
“Non è che avessi alzato un po’ troppo il gomito quella sera?” azzardò Ben fra le risate che gli facevano sobbalzare il petto.
Ray era noto in tutto il paese per avere il vizietto del bere. Non era un alcolista, questo no, ma gli piaceva attaccarsi alla bottiglia quando se ne presentava l’occasione. In ogni caso, da ubriaco era docile come un cagnolino, come Mark stesso aveva potuto sperimentare un paio di volte, quando lo aveva riaccompagnato a casa a braccia dopo l’orario di chiusura. Quella dovette essere la goccia che fece traboccare il vaso. L’agricoltore si alzò di scatto dalla sedia, gli occhi che mandavano lampi.
“Belli amici del cazzo che siete – sbottò – uno vi fa una confessione e voi lo perculate. Andate a fare in culo. E pagate voi per me, la birra mi è andata di traverso.”
Furioso e senza dire altro, imboccò la porta del The Place, scomparendovi oltre. I due giocatori di biliardo non parvero essersi accorti di nulla, dato che il rumore di stecche su palle continuò imperterrito. I tre al tavolo si guardarono increduli, per poi dirigere gli  sguardi verso il barista, che per tutta risposta tese le labbra e sollevò le sopracciglia, rimanendo in silenzio. Avevano esagerato, avevano teso troppo la corda.
 
Ray uscì dal The Place con le mani affondate nelle tasche dei jeans e con l’umore sotto le scarpe. Sapeva cosa avessero visto i suoi occhi, e soprattutto sapeva di essere stato sobrio quella notte. Sua moglie aveva minacciato di cacciarlo di casa a pedate in culo se non si fosse dato una regolata con il bere, ed era già da quasi tre mesi che rigava dritto.
Quello che lo faceva incazzare di più di tutto era il fatto che i suoi amici, i suoi migliori amici, non gli credessero. Cazzo, quello lo faceva andare fuori di testa. Non aveva mai mentito loro, e non vedeva perché dovesse iniziare a farlo proprio ora. Soprattutto quando la sua storia era una storia vera. Per Dio, che rabbia. Che pensassero quello che gli pareva, lui sapeva di essere nel giusto.
Ricordava ancora la paura provata quando quella … cosa lo aveva sorvolato. Per un momento aveva temuto lo avrebbero rapito. Aveva sentito di gente prelevata da dischi volanti mentre tornava a casa di notte da sola, per poi svegliarsi il giorno dopo in un posto diverso, nel quale erano giunti senza sapere il perché o il percome. Non aveva mai creduto a quelle cose fino ad allora, beninteso. Si era dovuto ricredere quando un UFO gli era passato sopra la testa proprio lì, a Conrfield’s End, Kansas.
“Fanculo. Stupida città dallo stupido nome” borbottò calciando via un barattolo di fagioli abbandonato lungo il marciapiede che stava percorrendo.
Come al solito, era andato al The Place sfruttando un passaggio da parte di Al, dato che entrambe abitavano lungo la strada di campagna che, una volta giunta in paese, portava al locale. Ora era a piedi, ma non gli dispiaceva. Ci avrebbe messo un’oretta scarsa per tornare a casa, ma avrebbe avuto l’opportunità di respirare un po’ di aria fresca profumata di grano e smaltire ciò che aveva bevuto e mangiato. E magari anche calmarsi.
Gli era dispiaciuto inveire contro gli altri tre, persino lui avrebbe fatto fatica a credere a un racconto del genere se fosse stato qualcun altro a narrarglielo, però quando è troppo è troppo. Fra poco si sarebbe acceso un sigaretta, giusto per tenersi impegnato mentre camminava. La luna e le stelle brillavano distanti nel cielo nero inchiostro. Nessuno lo attendeva sveglio alla fattora. Chissà, magari sarebbe riuscito a fare un secondo avvistamento …
La quiete della via che stava percorrendo venne turbata dal sommesso ronzio di un’auto in avvicinamento. Si girò per capire di cosa si trattasse e notò una Cadillac nera di un modello che non riconobbe avanzare sull’asfalto a velocità moderata. Ray non ricordò di aver mai visto una simile macchina a Cornfield. Tutti, lui compreso, possedevano furgoncini, fuoristrada o pick – up. Alzò le spalle con indifferenza e riprese a camminare.
La Cadillac lo superò e parcheggiò qualche metro più avanti. Una delle portiere posteriori, quella che dava verso il marciapiede, si aprì, facendo uscire un uomo vestito con giacca, pantaloni, cravatta e scarpe neri e una camicia bianca. Indossava un paio di occhiali da sole, nonostante fosse notte.
Ray dovette resistere all’impulso di mettersi a ridere come un idiota quando associò il misterioso individuo ad uno dei Blues Brothers, ma l’ilarità gli morì in gola quando riconobbe in quel volto sbarbato e incorniciato da capelli ordinati, scuri e tagliati a spazzola i tratti di uno dei due tizi che, fino a una ventina di minuti prima, stava giocando a biliardo al The Place. Allora era senza giacca, con la cravatta allentata e con le maniche della camicia arrotolate sino al gomito, intento a fumarsi una sigaretta che gli pendeva di traverso dalle labbra. Pareva essersi tirato a lucido per andare a lavoro. Non si sa quale, dato che era mezzanotte passata.
“Buonasera, Mr. Bradson” lo salutò il tizio una volta che Ray l’ebbe raggiunto.
L’agricoltore rimase impietrito. Per qualche misteriosa ragione, un’intuizione scaturita dalle profondità del suo cervello, sapeva come l’uomo stesse cercando proprio lui, se lo sentiva nelle budella. Lo sconosciuto mise una mano all’interno della giacca, e per un istante ebbe la certezza che stesse per estrarre una pistola e ammazzarlo come un cane, lì, su quell’anonimo marciapiede. L’altro tirò fuori invece un portafoglio, lo aprì e gli mostrò un distintivo.
“Mi chiamo Stanley Former, e lavoro per il Governo, Divisone MIB. Dovrei farle alcune domande riguardo un fatto accadutole di recente. Ma la prego, si accomodi. La accompagneremo noi a casa, se non le dispiace.”
Disse tutto ciò con tono accomodante, come se si stesse rivolgendo ad una persona bisognosa di aiuto o in difficoltà. Ray colse la sfumatura implicita di quelle parole. Sali o ti facciamo salire noi a suon di cazzotti. Non rispose, ma si limitò a replicare con un cenno affermativo del capo. Poi, docile come un agnellino, entrò nell’abitacolo della Cadillac mentre Former, ora sorridente, gli teneva la portiera aperta.
Dentro, l’auto era interamente foderata di pelle nera, e profumava di un lieve sentore di tabacco che trovò piacevole, quasi confortevole. Seduto al posto del guidatore v’era l’altro tipo che Ray aveva visto al pub, che tuttavia non lo degnò di uno sguardo una volta che ebbe preso posto. Dopo aver fatto il giro del veicolo, l’altro agente entrò nel veicolo accomodandosi vicino a lui. La vettura partì. Rimasero in silenzio per alcuni istanti, poi Former parlò.
“Bene, Mr. Bradson. Lei sa perché questa conversazione sta avendo luogo?” chiese sempre con tono conciliante.
“ Si tratta del mio … avvistamento?”
Era l’unica spiegazione razionale al perché fosse stato caricato, nel cuore della notte, su un’anonima Cadillac nera da due agenti governati i quali, con tutta probabilità, lo stavano tenendo d’occhio da un pezzo senza che lui se ne fosse reso conto.
“Precisamente – assentì Former – è di quello che stiamo parlando. Lei mi pare un uomo accorto, un onesto lavoratore, un buon marito e padre e soprattutto un cittadino modello.”
“Come fate a sapere tutte queste cose sul mio conto?”
“Lo sappiamo e basta, così come sappiamo che lei ha visto ciò che le persone comunemente chiamano disco volante.
“Ci spiate, quindi.”
Ray era impaurito dalla piega che stava assumendo la conversazione. Non aveva mai creduto alle teorie complottiste secondo le quali eminenze grigie controllavano le vite delle gente comunque a sua insaputa, ma evidentemente si era sbagliato, e di grosso. In effetti, dalla comparsa dell’UFO, si era dovuto ricredere su un mucchio di cose. La prima fra tutte il non essere soli nell’universo.
“Non direi spiare – lo corresse l’agente – il termine più adatto è vegliare. Ci premuriamo che gli americani siano al sicuro, protetti da cose che non potrebbero e, mi creda se glielo dico, non vorrebbero capire. Ma torniamo al nocciolo della questione. Lei ha avuto quello che noi classifichiamo come incontro ravvicinato del primo tipo, ovvero un semplice avvistamento.”
“Noi?”
“La MIB.”
“Che sarebbe?”
“Una branca della CIA che si occupa della gestione dei fenomeni di matrice extraterrestre. Adesso però mi ascolti. Lei è entrato in contatto con un UFO, e le crediamo perché sappiamo che è vero, ma deve smetterla di andare in giro a raccontare ciò che ha visto, sono stato chiaro? Dirà semplicemente che si trattava di uno scherzo, e che la bella incazzatura che si è fatto venire con i suoi amici al bar era solo una sciocca messinscena creata apposta per rendere più verosimile la sua storia.”
“Come fate a sapere che non mi sono inventato tutto? E perché mai non dovrei parlare del mio avvistamento, lo ha notato anche lei, nessuno mi crede, pensano sia solo il racconto di uno scemo ubriacone.”
Aveva formulato quelle parole con tono petulante, quasi infantile, ma non se ne accorse. Era ormai prossimo ad un collasso nervoso. Non solo un fottuto disco volante lo aveva sorvolato e nessuno gli aveva dato retta, ma addirittura era stato preso da un paio di agenti segreti appartenenti ad un’agenzia governativa di cui non aveva mai sentito parlare per fare con loro un’amichevole chiacchierata. Iniziava ad essere un po’ troppo.
“Per rispondere alla sua prima domanda, Mr. Bradson, le posso solo dire che abbiamo i nostri metodi per sapere che sta dicendo il vero, ma si tratta di informazioni riservate che non possiamo ovviamente fornirle. Per quanto riguarda invece il suo secondo quesito, le dirò questo: oggi nessuno le ha creduto, e con tutta probabilità non lo faranno nemmeno domani, o fra un mese, o anche un anno. Ma, mettiamo caso, se qualcuno dovesse farlo? Vede, esistono certe persone che utilizzerebbero tali testimonianze per minare il fragile equilibrio alla base della nostra società per mandarlo in pezzi. Come reagirebbe se le dicessi che durante la Seconda Guerra Mondiale gli Alleati fossero tutti stati a conoscenza dell’esistenza dei campi di sterminio nazisti, ma che nessuno osò muovere un dito per salvare quelle povere anime?”
“E’ vero?” chiese inorridito.
“No, certo che non lo è, ma ha visto come ha reagito? Ha avuto un comprensibile moto di repulsione. Poniamo caso che quello che le ho appena detto corrisponda alla realtà dei fatti. Sarebbe una verità così orribile che la gente perderebbe fiducia nel suo governo per avergli nascosto, sino ad ora, un simile fatto, scenderebbe in piazza per protestare, ci sarebbero scontri con le forze dell’ordine, feriti e forse anche dei morti, ma soprattutto si scatenerebbe il caos. La stessa cosa vale per gli UFO. Sappiamo che esistono, ma è meglio che una simile nozione rimanga segreta ai più. In caso contrario, una notizia di questo genere causerebbe un disordine inimmaginabile, facendo scindere l’opinione pubblica su come comportarsi nei confronti di questi visitatori alieni e generando problematiche fra nazioni a livello globale. Io e lei, tuttavia, non vogliamo che ciò accada, dico bene? Noi amiamo il nostro Paese, e amiamo ancora di più la pace e l’armonia che vi regnano. E’ inutile fare confusione per nulla. Alcune verità è meglio rimangano nascoste. Anche perché, in caso contrario, ci sarebbero conseguenze affatto piacevoli.”
“Conseguenze” mormorò Ray osservando come, d’un tratto, il viso di Former si fosse fatto duro e spietato.
“Si, esatto, conseguenze. Suvvia però, non voglio dover utilizzare il bastone con una persona come lei, Mr. Bradson. Allora, farà come le ho detto? Se qualcuno le chiederà di raccontarle quella buffa storia sul disco volante, lei liquiderà tutto con una risata e una bella pacca sulla spalla, spiegando si trattasse solo di uno scherzo ben architettato.”
“Si, sicuro, lo farò” assentì lui, preferendo fare la figura dello scemo piuttosto che marcire a vita in una prigione peggio di quella di Guantanamo.
“Ero sicuro saremmo riusciti a chiarirci – replicò l’agente, ora tornato cordiale e sorridente – Frank, ferma la macchina. Siamo arrivati, giusto?”
“Si.”
Oltre il finestrino dalla sua parte, poco più avanti, Ray vide aprirsi il vialetto che conduceva alla porta di casa. La fattoria, come previsto, era immersa nel sonno e nel silenzio. La conversazione con Former lo aveva così rapito che non si era nemmeno accorto del paesaggio notturno che, velocemente, scorreva intorno alla Cadillac.
“Bene, è stato un piacere fare questa tranquilla chiacchierata con lei. Mi stia bene, e dia un bacio ai suoi figli e a sua moglie. E non dimentichi, il Governo fa affidamento sul silenzio di cittadini onesti come lei.”
“Certo” disse mentre stringeva la mano che gli veniva tesa.
La tenaglia ferrea dell’uomo  significava “parla e vi ammazziamo tutti”. Non ne poteva più di stare in quell’auto, non si sentiva più così comodo come quando vi era entrato, quindi non appena la vettura accostò vicino al cancello d’ingresso della tenuta, aprì la portiera e schizzò fuori. Non ne voleva più sapere di alieni, dischi volanti e agenzie segrete, non gli importava più nulla. Voleva solo tornare a casa, infilarsi sotto le coperte e abbracciare Annah. Maledisse la sera durante la quale aveva deciso di farsi una passeggiata in mezzo ai campo. Aveva appena fatto alcuni passi, quando Former gli parlò per l’ultima volta.
“Ah, dimenticavo una cosa, Mr. Bradson.”
Ray si voltò per sentire cosa avesse da dirgli, sperando solo di uscire presto da quell’incubo, ma non appena si girò venne investito da un potentissimo e accecante fascio di luce bianca proveniente da chissà dove. Poi più nulla, il buio assoluto.
 
La settimana successiva, il mercoledì sera, Mark Helwing stava come al solito lucidando i bicchieri. A volte si domandava se servisse veramente a qualcosa pulirli in quel modo così maniacale. Dopotutto, aveva una lavastoviglie industriale nel retrobottega. Forse gli serviva per concentrarsi per ascoltare le chiacchiere dei clienti, o forse più semplicemente per passare il tempo quando non aveva nulla da fare. Bah.
Come si era aspettato, alle nove giunsero Carl, Ben, Al e Ray. Aveva sentito che quest’ultimo era stato male, o qualcosa del genere. L’ultima volta che lo aveva visto, la sera della litigata e del racconto sull’UFO, l’agricoltore era andato a casa a piedi, ma era stramazzato al suolo lungo il vialetto d’ingresso della sua fattoria, colto da un malore. Era stato fortunato che non si fosse trattato di qualcosa di grave o che fosse inverno, altrimenti sarebbe crepato di ipotermia.
Era ancora svenuto quando lo avevano ritrovato riverso in terra il mattina successivo, ed era stato subito portato in ospedale, dove era rimasto un paio di giorni per essere tenuto d’occhio e consentire ai medici di fare alcuni accertamenti. Alla fine non gli era stato trovato nulla di strano, e Mark stato informato anche sul fatto che i suoi tre amici fossero ugualmente andati a trovarlo per vedere come stesse e per riappacificarsi. Essere il proprietario di uno dei maggiori pub in città comportava anche l’essere perennemente aggiornato su tutti i pettegolezzi che circolavano per Cornfield.
Sperò che l’argomento del disco volante non venisse fuori, o era certo che questa volta si sarebbero presi a cazzotti. Nella sua lunga esperienza di barista, nulla era peggio di un allevatore del Kansas alticcio, arrabbiato e ferito nell’orgoglio.
Le nove divennero presto le dieci, e le dieci si trasformarono altrettanto velocemente nelle undici. Al The Place erano rimasti solo lui, i quattro compari e i due giocatori di biliardo del mercoledì scorso. Ora che ci faceva caso, Mark non vedeva quei due tizi proprio dalla settimana precedente e, a giudicare dagli abiti che indossavano, pareva non si fossero cambiati. Stessi pantaloni neri, medesima cravatta allentata e maniche arrotolate sino al gomito. Forse si trattava anche per loro di una sorta di rito, trovarsi il mercoledì sera per qualche partita di biliardo, e probabilmente avevano finito di lavorare tardi e quindi non avevano avuto tempo e modo per cambiarsi. Mark fece spallucce e tornò a pulire i suoi già splendenti bicchieri.
“Allora – disse improvvisamente Ben – hai visto altri dischi volanti Ray?”
Il barista vide Carl irrigidirsi come un cavo d’acciaio, mentre Al lanciò all’amico un’occhiataccia che l’altro non vide o fece finta di non notare. Cazzo, ci risiamo, pensò pronto ad intervenire nel caso la situazione si fosse messa male.
“Eh?” chiese l’altro confuso.
“Massì, il disco volante, quello che ha visto al confine con la proprietà dei Mckormak. Diavolo, ti sei pure arrabbiato per bene la sera che ce lo hai raccontato, non dirmi che non te lo ricordi.”
“Ben ma di che cazzo stai parlando?”
“Ci stai prendendo per il culo?” intervenne Al fra il preoccupato e l’incazzato.
“Buoni tutti – si intromise Carl – forse ha avuto un amnesia in seguito al trauma.”
“Mi spiegate cosa sta succedendo?” chiese Ray.
“Mercoledì scorso te ne sei uscito fuori dicendo di aver visto un UFO” spiegò Ben.
“Cosa? Io che vedo un disco volante? Andiamo, è una stronzata, quella è roba per squinternati. Mi sarò inventato tutto, anche se non me lo ricordo, ma vi stavo sicuramente prendendo in giro, e voi ci siete cascati da bravi scemi quali siete.”
“E’ quello che pensano tutti, che fosse solo una gran panzana, anche se per un momento ci hai spaventato quando hai dato di matto. Doveva far parte della messinscena, vero vecchio bastardo? Meglio così.”
“Propongo di brindare agli omini verdi e alla fervida immaginazione di Ray” dichiarò Al.
Gli altri tre accolsero le parole dell’amico con una sonora risata accompagnata dal tintinnare dei boccali di birra fra loro. Mentre i due giocatori di biliardo continuavano indisturbati con la loro partita, Mark sorrise soddisfatto. Tutto è bene ciò che finisce meglio, pensò, posando un bicchiere sulla mensola alle sue spalle e prendendone un altro in mano.
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: metalmarsh97