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Autore: Miss All Sunday    23/08/2018    1 recensioni
“Ho perso la sola famiglia che avevo. Di nuovo.”
“Doveva andare così.”
“Non dovevi farlo tu; non dovevi farlo. Ora se ti guardo vedo solo la persona che ha ucciso mia madre.”
- Jessica Jones
E poi?
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jessica Jones, Trish Walker
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Gone Forever

Ogni notte Hell's Kitchen cambiava aspetto.

Se di giorno la città era animata e spesso caotica, al calare del sole tutto mutava; i rumori, eccetto che per qualche sporadico allarme che ogni tanto faceva sentire la sua presenza, abbandonavano le strade per essere relegati all'interno dei pub che si trovavano sparsi per il quartiere. Solo le insegne al neon di quei locali e la luce giallastra dei lampioni che costeggiavano la strada illuminavano l'ambiente.

Quella sera, sebbene fosse già arrivato l'autunno da tempo, l'estate aveva voluto a tutti i costi lasciare dietro di sé gli ultimi strascichi. Per questo motivo, a dispetto del periodo, non faceva particolarmente freddo. 

Non che sarebbe stato un problema. Lei era abituata a uscire anche nelle ore più tarde per portare a termine i compiti affidatale dai suoi clienti. Scovare l'ennesimo tradimento, controllare uscite sospette e, di tanto in tanto, mettere a disposizione le sue abilità.

Eppure per una volta aveva fatto un'eccezione: niente lavoro, solo affari personali.

Era uscita dal suo appartamento con un sacchetto di carta stretto fra le mani e aveva raggiunto il tetto del suo condominio. Non voleva essere costretta a fermarsi a causa dei problemi che avrebbe potuto trovare a terra. Egoistico? Probabilmente, ma sapeva benissimo di non essere né un’eroina né una giustiziera. Era solamente un'investigatrice dotata di poteri che, quando ne era obbligata dal destino, aiutava chi aveva bisogno.

Gli incubi continuavano a non darle tregua e quello era l'unico modo per sentirsi meglio, o almeno illudersene, dopo tutto ciò che era successo. Certo, adesso aveva Oscar e Vido -come avesse fatto ad affezionarsi a quel bambino così rapidamente rimaneva un mistero persino lei-, ma in quel momento aveva bisogno di qualcos'altro, di qualcun altro.

Continuava a camminare a passo spedito saltando da un edificio all'altro senza mai rallentare, come se, in un attimo di pausa, i suoi demoni avessero potuto raggiungerla.

Dopo una decina di minuti aveva finalmente intravisto in lontananza la sua meta. Era poco illuminata e il cancello verniciato di un grigio scuro che si scorgeva al termine del viale costeggiato da cipressi rendeva l'ambiente molto più cupo. Come se non lo fosse già abbastanza.

In diciassette anni Jessica non aveva mai varcato quella soglia, e a dire il vero continuava a evitare di usare l'entrata principale, ma da circa un mese si trovava sempre più spesso ad abbandonare il suo appartamento e dirigersi verso il cimitero di Hell's Kitchen. Oscar le aveva chiesto una paio di volte dove si dirigesse nel cuore della notte, ma dopo aver visto i suoi tentativi di evitare quella conversazione aveva deciso saggiamente di lasciar perdere.

Grazie alla posizione sopraelevata in cui si trovava in quel momento aveva potuto accertarsi che l'anziano custode non fosse nei paraggi. Era quindi scesa e aveva raggiunto il muro che la separava dal suo obbiettivo. Si era fermata un attimo incerta sul da farsi, come ogni volta. Poi si era fatta coraggio. Aveva rapidamente controllato che nessuno l'avesse seguita -scacciando così via quella fastidiosa sensazione che per un secondo le aveva attanagliato lo stomaco- e infine, senza alcun problema, aveva superato l'ultimo ostacolo sulla sua strada.

Appena raggiunto il suolo aveva rallentato. Quel luogo non sembrava essere soggetto allo scorrere del tempo. Tutto era come fermo, immutato. E lei, ogni volta che vi entrava, si sentiva obbligata a rispettarne i ritmi per non disturbare la quiete che vi regnava sovrana.

L'aveva subito vista. Sempre al solito posto ovviamente. Si era avvicinata e aveva passato una mano sulle due lettere incise nella pietra. 

A. J.

La lapide non presentava né una data né tantomeno una fotografia. Oltre a quelle iniziali era presente solamente un lieve sfregio lasciato da lei a seguito di un pugno sferrato alla piccola lastra di marmo la prima volta che vi si era trovata di fronte. 

Era stato Costa a concederle quel piccolo spazio. Aveva fatto in modo che persino lei potesse avere qualcosa di normale; lei che normale non era.

Jessica aveva tolto una foglia che si era posata sulla roccia calcarea dal colore scuro e si era seduta sull'erba ormai bruna del cimitero. Aveva aperto il sacchetto di carta che aveva poggiato a terra e recuperato la bottiglia di Heaven Hill. 

Era patetico che in luogo come quello lei bevesse del Bourbon, ma non poteva farne a meno. L'aveva stappato e ne aveva consumato un sorso generoso per poi passarsi il dorso della mano sulla bocca per liberarsi di una goccia che era sfuggita al suo destino.

Infine era tornata a concentrarsi sulla lapide e aveva emesso un profondo sospiro. 

"Mi sento un'idiota. Forse lo sono... per diciassette anni ho pensato che fossi morta e ho tenuto le tue ceneri in una scatola di cartone, troppo codarda per liberarmene. Una scatola di cartone nel mio garage... ora invece sono qua a parlarti come se fossi ancora con me. Abbiamo avuto una seconda occasione e l'abbiamo...”
Aveva chiuso per un instate gli occhi e si era morsa il labbro inferiore. Il sapore metallico non aveva tardato a invaderle la bocca.
”E l’ho sprecata. Se avessi gestito meglio le cose ora probabilmente saremmo in qualche parte del mondo intente a scappare, questo è vero, ma saremmo state insieme. Guarda come siamo ridotte invece. Tu di là e io di qua a consolarmi con l'alcol."

Un sorriso amaro si era delineato sulle sue labbra. Poi era svanito senza lasciare alcuna traccia di sé.

"Ti ricordi quando andavamo al Luna Park? Phil e papà correvano alle montagne russe, mentre tu e io avevamo solo una meta: la ruota panoramica. Era bello vedere le persone così piccole e sentirsi padrone del mondo. È quasi ironico che tutto sia finito proprio in quel luogo."

Aveva fatto una pausa, bevuto un altro sorso di Bourbon -bruciava dove aveva infierito sul suo povero labbro- ed era rimasta in silenzio per alcuni minuti a guardare il timido spicchio di luna che rischiarava il cielo.

“Credo di essere io il problema, la causa di tutto. Chiunque si avvicina a me è costretto a sopportare le pene dell'inferno. Malcom ha provato sulla sua pelle le conseguenze dei poteri di Kilgrave. Luke ha perso sua moglie. Hope e Robert che si erano fidati di me sono morti. E tu... tu sei qua. Mentre Trish...”

Aveva portato le gambe al petto circondandole con le braccia e poggiato il mento sulle ginocchia.

"Non sono riuscita a dirtelo, ma devi sapere che alcuni mesi fa sono ritornata a casa nostra. Ritornata o obbligata a tornarci è solo un piccolo dettaglio insignificante. Sarà perché Kilgrave ha fatto in modo che fosse esattamente come l'ultima volta che ho varcato quella soglia o perché per un momento mi sono illusa che nulla fosse cambiato, ma mi sono sentita di nuovo a casa. Veramente a casa, capisci cosa intendo? Come se dopo anni trascorsi a vagare senza meta avessi finalmente raggiunto la mia destinazione. Poi invece al posto del volto di papà ho visto il suo, al posto del tuo abbraccio un po' impacciato ho sentito le sue mani addosso al mio corpo e invece della voce di Phil ho sentito la sua... se quel giorno non mi fossi messa a litigare per quello stupito videogame tutto questo non sarebbe accaduto. Phil avrebbe frequentato il college e io avrei una vita più stabile, chissà magari niente alcol e gruppi di gestione della rabbia, non che questi stiano funzionando sia chiaro. Tu e papà avreste continuato a litigare come ogni tanto capitava, ma poi avreste fatto pace come sempre. Saremmo una famiglia normale: niente esperimenti, sofferenze, poteri... niente mostri."

Un rumore alle sue spalle aveva messo in allerta i suoi sensi. Era stata attenta ne era certa, nessuno sapeva dove fosse.

“Non è stata colpa tua.”

Erano bastate quelle parole per creare il panico nella sua mente e un brivido le aveva percorso la schiena. Aveva fatto il possibile per illudersi che non stesse accadendo realmente; non in un momento in cui non sarebbe stata in grado di reagire in modo razionale. Sempre che esistesse un modo logico per far fronte a tutto ciò.

Si era imposta di non voltarsi, di rimanere ferma e di ignorare quella fastidiosa vocina che dentro di lei le diceva di affrontare le sue paure che in quell'instante avevano assunto un volto ben preciso.

Se un tempo vederla le procurava emozioni positive, come se fosse la sua ancora di salvezza, ora non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine dello sguardo spento di sua madre su quella maledetta ruota panoramica. Era diventata l'iceberg che l'aveva fatta affondare.
O forse aveva semplicemente accelerato l’inevitabile?

Aveva iniziato a stringere convulsamente la mano attorno alla bottiglia che giaceva ormai vuota accanto a lei.

“Jess...”

Aveva stretto ancora di più la presa e il vetro non era più stato in grado di resistere alla pressione cedendo e riducendosi in mille pezzi. Come lei d'altronde.

Alcune schegge erano rimaste nella sua mano. Quella bottiglia era riuscita almeno in parte ad avere la sua vendetta. Le aveva tolte con attenzione una a una cercando inutilmente di mettere ordine ai pensieri che le affollavano la mente. Poi senza troppi problemi, probabilmente solo per avere ancora del tempo prima di essere costretta a prendere una decisione, si era passata il palmo della mano sui jeans per asciugare le gocce di sangue che contrastavano con la sua pelle bianca. Infine si era fatta coraggio. O magari la sua parte illogica aveva semplicemente preso il sopravvento.

Si era alzata e si era voltata anche se quella, ne era sicura, sarebbe stata una pessima idea.

In fondo la sua vita era costellata di pessime idee.

“Sapevo di dovermi fidare del mio istinto quando prova ad avvertirmi...”
Lo aveva detto più a sé stessa che alla ragazza che aveva di fronte, come una sorta di promemoria. Si era obbligata a sostenere lo sguardo della sua interlocutrice.
“Vattene.”

Il suo non era un consiglio. Era un avvertimento come quello alla ruota panoramica. Scappa.

“Jessica ti prego ascoltami. È da settimane che non ho più tue notizie! Sono passata da te e non eri in casa così mi sono preoccupata e ho chiamato Costa.”

La mora aveva scosso la testa e un’espressione incredula si era dipinta sul suo volto.

“Preoccupata? Per cosa? Che potessi fare qualcosa di avventato solo perché mia sorella ha ucciso mia madre a sangue freddo davanti ai miei occhi?”

Trish aveva abbassato lo sguardo un istante per poi tornare a rivolgere l'attenzione all'investigatrice.

“Ho provato a dimenticare te lo giuro. Ti ho perdonato di tutto, ti avrei perdonato di tutto, ma stavolta non posso...”

“Jess se non l'avessi fatto io sarebbe stata la polizia! Lei non aveva il controllo di sé, ha ucciso delle persone!”

“Anche io Trish!”

“L'hai fatto per difesa.”

“Difesa? E la moglie di Luke?”

Colpita e affondata. 
Aveva visto la bionda vacillare.
Evidentemente nemmeno lei credeva alle sue stesse parole.

“Non eri in te...”

”Nemmeno mia madre lo era! Per diciassette anni mi sei stata vicina, hai visto come stavo quando ho saputo della morte dei miei! Quando di notte urlavo e mi svegliavo in lacrime a causa degli incubi c'eri tu al mio fianco a calmarmi. Ora invece ne sei la causa. Appena chiudo gli occhi rivivo ogni singolo momento. Ogni dannata volta. Lo sparo. La sua espressione prima di cadere al mio fianco. Il suo sangue su di me!”

Quella che un tempo era Patsy -anche se forse lo era ancora- aveva distolto nuovamente lo sguardo e Jessica avrebbe giurato di aver colto la sua amarezza nel sentire quelle parole, ma nulla di ciò che avrebbe potuto fare sarebbe bastato per farsi perdonare.

La mora aveva quindi deciso di sfruttare il suo silenzio per dare sfogo a tutti pensieri che l'avevano tormentata da quel giorno. Doveva sapere il male che le aveva causato.

“Io avrei fatto di tutto per te! Sarei stata disposta a morire al tuo posto quando mia madre ha cercato di ucciderti nella stanza d'ospedale. E ho avuto paura. Una paura folle che alla persona più importante della mia vita accadesse qualcosa. Che a mia sorella venisse fatto del male! Ti ho protetta da Dorothy, ti ho protetta da Kilgrave e ho fatto lo stesso con mia madre! L'ho implorata Trish, l'ho implorata di lasciarti stare, di risparmiarti! Ma ho fallito lo stesso.... mia sorella è morta quella sera al luna park e io non ho potuto fare nulla per impedirlo.”

Qualcosa era scattato nella giovane Walker. I suoi occhi riflettevano un sentimento che la dotata non era stata subito in grado di identificare. Persino il suo tono ora era diverso.

“Jessica tu non capisci! Volevo essere un’eroina, avrei fatto di tutto per esserlo!”

“Un’eroina? Tu sei malata! Essere un eroe significa interessarsi degli altri e agire di conseguenza. Significa darsi da fare per migliorare le cose. E uccidere la gente non è da eroe! Per questo io non lo sono e non pretendo di esserlo. Sapevo benissimo che mia madre non aveva più alcuna possibilità di riscatto e che avrebbe pagato, me l'aveva detto lei stessa prima che tu...”

Aveva lasciato la frase in sospeso. Continuare sarebbe stato come rivivere quella scena per l'ennesima volta e non ne aveva la forza. Non più.

Prendendola alla sprovvista la bionda le si era avvicinata e le aveva afferrato con forza le spalle.

“Svegliati Jess, non eri lucida allora e non lo sei tutt'ora! Non capisci il pericolo che costituiva per te? Avrebbe potuto farti del male e tu non avresti reagito. È già successo ricordi?”

Solo avendola a così poca distanza la giovane Jones si era accorta del suo sguardo. Sembrava quello di un folle, allucinato.

“Trish cos'hai fatto?”

“Ho smesso di essere debole! Tu invece non ne sei stata capace. Ti sei ribellata a un manipolatore come Kilgrave, ma con Alisa non sei stata in grado di farlo. Ti sei dimostrata debole quella sera quando avresti dovuto mettere fine a tutto e lo sei ancora! Per anni sei stata a tu a salvarmi, ho solo fatto lo stesso.”

Erano bastate le ultime parole a far perdere il controllo alla mora. In un istante aveva mandato al diavolo quel poco di lucidità che le permetteva di mantenere la calma.

Si era liberata dalla presa di Patricia e le aveva bloccato un braccio dietro la schiena ottenendo come unica risposta un lamento di dolore.

“Era mia madre Trish!”

“No Jessica. Era un mostro.”

Con il braccio libero la bionda aveva assestato una gomitata all'altezza dello stomaco della sua rivale che per un paio di secondi aveva boccheggiato permettendole così di liberarsi. Poi si era voltata e senza pensarci due volte aveva colpito l’investigatrice in pieno volto con un pugno.

“Tu... tu ti sempre creduta superiore con quei poteri! Sono Jessica e nessuno può dirmi cosa fare, giusto? Quando mia madre è venuta a cercarmi tu hai fatto di tutto per impedirmi di riavvicinarmi a lei! Da ragazza credevo lo facessi perché mi volevi bene, mentre adesso ho capito la vera ragione: eri gelosa del fatto che lei cercasse il meglio per me.”

Aveva iniziato a camminare avanti e indietro di fronte a una Jessica sempre più confusa che la osservava mentre con una mano cercava di ripulirsi dal sangue che aveva iniziato a scenderle dal naso dopo il colpo subito.

“Tu davvero non capisci? Io l'ho fatto per te! Ho sempre vissuto nella tua ombra. Ho fatto l'impossibile per essere alla tua pari, ma per te non lo sono mai stata! Ogni volta che ho tentato di vivere la mia vita tu hai sempre provato a rovinare ogni cosa!”

“Trish è evidente che tu non stia bene.”

“Perché Jess? Perché finalmente posso essere qualcuno? Non l'hai mai accettato! Ora invece la vera me ha finalmente potuto venire alla luce!”

“La vera te?”

“Sì Jessica, adesso sono davvero Patricia Walker ed è ora che anche tu lo capisca definitivamente.”

Per alcuni secondi era calato il silenzio fra le due. Poi, quando la bionda stava per voltare le spalle a quella che era stata sua sorella e andarsene, quest’ultima aveva reagito.

“Ti sbagli. Io ti consideravo già un’eroina. Appena arrivata a casa tua, quando ho scoperto cosa mi aveva fatto l’incidente, la prima cosa che ho fatto è stata attaccare tua madre e solo dopo anni ho capito che non sarei mai riuscita a fare ciò che hai fatto tu. Se fossi stata al tuo posto io non so cosa avrei fatto, conoscendomi sarei andata via, cosa che poi è accaduta. Tu hai sempre creduto che essere un eroe significasse reagire e anche io lo credevo. Poi quando ho visto mia madre ho capito che non è questo, non solo almeno. Lei per anni ha provato di tutto per ritrovarmi. Certo, ha commesso molti errori e per questo non ha scusanti, ma avrebbe fatto di tutto per me. E più stavo con lei, più capivo tutto ciò che sei stata disposta a fare per me. Non so quante volte sono venuta a casa tua nel cuore della notte a dirti ‘Trish sono nei casini mi serve il tuo aiuto’, ‘Trish sono al verde e non so da chi altro andare’ oppure capitavo lì talmente ubriaca da non riuscire nemmeno a parlare. Venivo da te perché eri l’unica di cui potevo fidarmi. L’unica di cui volevo fidarmi! Ora invece quella Trish, mia sorella, non esiste più -l’hai detto tu stessa- e al suo posto c’è Hellcat, non è così?”
Patricia stava per dire qualcosa, ma era stata anticipata dalla bruna.
“Non serve un’investigatrice per capire ciò che è accaduto. Karl immagino...”

”Finalmente posso aiutare le persone!”

Jessica si era avvicinata alla sua interlocutrice. Lo sguardo fisso negli occhi verdi della ragazza, i pugni stretti.

“Credi davvero di essere ciò di cui la gente ha bisogno? Bene, dimostralo.”

Prendendo alla sprovvista l’ex speaker radiofonica, si era lasciata cadere sulle ginocchia. Le mani dietro la nuca. Lo sguardo sempre legato da un filo invisibile a quello della bionda.

“Cosa stai...”

“Hai ucciso mia madre perché la consideravi un pericolo, un mostro. Io sono esattamente come lei ed è inutile negarlo. Le hai sparato senza esitazione. Se davvero sei un eroe e se davvero quella notte hai fatto fuoco perché volevi proteggere la città da lei, ora dovrai fare lo stesso con me.”

Patricia aveva scosso la testa.
Sembrava essere tornata lucida e in quel comportamento Jessica aveva visto riflesso lo stesso di sua madre. Il dottor Karl Malus, come aveva dimostrato, non si limitava a mutare il DNA dei suoi pazienti - o vittime, a seconda dei punti di vista -, influenzava anche la loro mente. Alisa Jones non era come sua figlia la ricordava. Era diversa e ciò era innegabile; più instabile, imprevedibile.

Lo stesso era accaduto con Trish. Se qualche minuto prima aveva colpito senza problemi la ragazza che lei stessa diceva di voler proteggere, ora sembrava indifesa. Fragile. Le mani avevano iniziato a tremarle e questo non era passato inosservato agli occhi della mora. Una lacrima le aveva persino bagnato il viso.

“Non puoi chiedermi una cosa simile!”

Jessica non si era fatta fermare. L’ultima volta che l’aveva vista, prima di chiuderla fuori dal suo appartamento -sperando inutilmente che questo potesse chiuderla fuori anche dalla sua vita-, le aveva detto che quando la guardava non vedeva più sua sorella, ma la donna che aveva ucciso sua madre. E più il tempo passava più questo diventava una certezza, un chiodo fisso, nei pensieri dell’investigatrice.

“E perché? Perché ora ti fai scrupoli? Ti conosco bene, o almeno credevo... so che sei armata.”

Trish aveva scosso nuovamente la testa e chiuso gli occhi per un paio di secondi sperando senza successo che la mora tacesse e che tutto finisse. Aveva passato giorni a immaginare quell’incontro e tutto stava andando nel verso sbagliato. O forse era l’unico modo in cui sarebbe potuto andare?

“Ti prego Jess...”

“In fondo l’hai già fatto.”

L’immagine dello sguardo che Jessica le aveva rivolto alla ruota panoramica vivido nella mente come mai prima.

“Smettila...”

Senza che nemmeno ci pensasse -oppure sì?- la sua mano era scivolata nella borsa a tracolla che aveva con sé. Le dita avevano sfiorato la piccola pistola che aveva sempre in caso di necessità da quando tempo prima Simpson aveva perso il controllo.

“Non hai esitato un istante prima di ucciderla!”

“Basta!”

Il rumore dello sparo aveva fatto alzare in volo un rapace notturno che si era appollaiato su un albero poco distante in attesa della sua preda.

L’indice di Trish era ancora sul grilletto, gli occhi fissi sul fumo che per un paio di secondi aveva disegnato una nuvoletta grigia nell’aria e l’altra mano a coprirsi la bocca per soffocare un urlo che però non c’era stato.

La pelle di Jessica, forse a causa della luce lattiginosa della luna, non era mai sembrata così chiara.

Il tempo era parso fermarsi.

Le dita tremavano ancora. Aveva rimesso l’arma nella borsa. Non si era neppure accorta di averla estratta. Lei non voleva questo. Il suo respiro era accelerato.

Un torcia, dapprima lontana, si era accesa e pian piano si stava avvicinando tremolante. La voce del custode flebile, come un sussurro.

Jessica si era alzata.

Aveva dischiuso le labbra per parlare, ma le aveva immediatamente serrate limitandosi invece a scuotere la testa. Per un istante le era sembrato di aver sentito le lacrime pizzicarle gli occhi, solo per un istante. Aveva preso le sue cose - il sacchetto di carta e la borsa sgualcita - e si era avviata verso il muro.

Prima di andarsene per evitare di essere notata dall’anziano guardiano, si era voltata verso la bionda che di lì a poco avrebbe seguito il suo esempio e lasciato il cimitero. Il suo sguardo si era posato per un paio di secondi sulla tomba di sua madre prima di incontrare per l’ultima volta quello di Patricia.

“Volevo una sorella, non un’eroina.”


Angolo autrice

Il titolo è una canzone dei Three Days Grace che secondo me rispecchia bene i pensieri di Jessica dopo il finale della seconda stagione.

Detto questo, spero che la one shot vi sia piaciuta soprattutto perché è la prima in questo fandom.

Per ora è tutto, quindi alla prossima,
Miss All Sunday.

   
 
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