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Autore: Ofeliet    23/08/2018    1 recensioni
Non avrebbe dovuto permettere a Stanley di convincerlo. La sua idea era folle, terribilmente pericolosa. Nella sua mente vorticavano troppi interrogativi. E se Bill Cipher non ci fosse cascato? E se i bambini stessero rischiando la loro vita per niente? Perché era stato così ingenuo a cedere alle lusinghe di un demonio di un’altra dimesione?
{ missing moment | implied!Stancest }
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stanford Pines, Stanley Pines
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bisogna battere il ferro finché è caldo e scrivere finché si hanno i feels post finale.
Questa serie l'ho amata, e nonostante io abbia voluto bene ai gemellini, sono questi due ad avermi spezzato il cuore più volte. Quindi beccatevi la storia, e i miei feels disperati a riguardo.
Ho lasciato i soprannomi di Stanford in inglese perché non ho idea di come li abbiano tradotti in italiano, e anche perché adoro come suonano in oroginale.
Se yaa, weirdos



Non avrebbe dovuto permettere a Stanley di convincerlo. La sua idea era folle, terribilmente pericolosa. Nella sua mente vorticavano troppi interrogativi. E se Bill Cipher non ci fosse cascato? E se i bambini stessero rischiando la loro vita per niente? Perché era stato così ingenuo a cedere alle lusinghe di un demonio di un’altra dimesione?
Una parte di sé lo sapeva perché. Era solo e vulnerabile in quel momento, aveva bisogno di un compagno che fosse sempre al suo fianco a supportarlo e tenergli testa. Si era sbagliato, così come aveva fatto con Fidds e poi con Dipper, ma con Bill era un errore che gli stava costando la sua stessa dimensione. E se il secondo aveva fatto la sua scelta – rimanere con Mabel, nonostante tutto – il primo aveva subito le piene conseguenze dell’amicizia che lui gli aveva offerto. Fiddleford era la perfetta rappresentazione di ciò che lui offriva come amico. La disperazione e la voglia di dimenticare tutto.
« Sixer, hai intenzione di stare lì fisso ancora a lungo? Quell’essere può tornare da un momento all’altro. » le parole di Stanley lo riscuotono, e finalmente Stanford torna a guardare il suo gemello. Si era già tolto fez e giacca, e lo osservava con una certa stizza.
Temeva la loro idea. Nonostante fossero gemelli, Ford non si era mai sentito identico a Stan. Forse da bambini, quando lavoravano alla Stan’ O War, e non avevano altre preoccupazioni al di fuori di essa, ma quelli erano semplici ricordi che profumavano di estate e che non sarebbero mai tornati. Sono sempre stati diversi, Bill si accorgerà subito dell’inganno e sarà la loro fine.
« Ford, non abbiamo tutta la giornata. » Stanley gli si avvicina e tira via la sua giacca, e procede con i guanti. Stanford arrossisce, sentendosi improvvisamente scoperto. Aveva evitato il contatto col fratello fin da quando era tornato, e la sua mano ancora bruciava da quando si erano tenuti sullo Zodiaco.
« Posso fare da solo. » mormora, iniziando a togliersi il maglione.
« Allora sbrigati, non abbiamo tanto tempo. » Stanley gli da le spalle, togliendosi la camicia. La sua cicatrice è ben visibile. La cicatrice che lui gli ha procurato. Una parte di sé, per anni dopo il portale, ha sempre incolpato Stanley di quella ferita. Non doveva comportarsi in quella maniera, non doveva minacciare di bruciare il suo diario, ma dentro di sé sapeva che era colpa sua. Era diventato matto, diffidente e sull’orlo della follia in quei dieci anni che hanno passato separati. Stanley voleva proteggerlo, così come faceva da bambino con i pugni.
Non erano più bambini, ma il gemello voleva comunque proteggerlo. Proteggere i bambini, certo, ma anche la sua mente. Proteggere il mondo in cui vivevano ad un costo che agli occhi altrui sembrava irrisorio. Ma non ai suoi. Stanford sapeva che bruciare la mente del fratello era definitivo, per distruggere Bill era la cosa necessaria da fare, ma gli faceva male. Stanley avrebbe perso tutto, i ricordi con i bambini, quelli dei suoi successi e soprattutto quelli che aveva di lui. Faceva più male di quanto volesse ammettere, ma doveva riuscire a premere il grilletto quando sarebbe stato il momento.
Sarebbe cambiato tutto, lo sentiva.
Togliendosi il maglione, questi gli viene quasi strappato dalle mani. Stanley sembra così determinato a sacrificarsi per questa causa. Tra di loro è sempre stato quello coraggioso, quello disposto a gettarsi tra le braccia del mare in tempesta in cerca di strabilianti tesori.
Si abbottona la camicia, cercando di legarsi il fiocco nella stessa identica maniera del gemello.
« Cavolo, Sixer, questo maglione è infernale! Siamo in estate e tu vai in giro pure con un cappotto! Quel triangolo maledetto mi beccherà solo perché sto già sudando. » Stanford sa che l’altro vuole alleggerire l’atmosfera, e ci riesce. Una leggera risata sotto forma di sbuffo lascia le sue labbra, nonostante il contegno che cerca di darsi. « Non c’è niente da ridere. » bofonchia Stan, girandosi verso di lui. « E per tutti i pancakes belga come hai legato quel fiocco? »
A Stanford viene ancora più da ridere. Da quando c’erano i bambini, Stanford non poteva lasciarsi sfuggire nemmeno una parolaccia, e le aveva tutte rimpiazzate con le stesse esclamazioni che la loro prozia usava quando loro erano bambini. Nonostante gli anni, Stanley non era cambiato.
E presto non avrebbe nemmeno ricordato quelle imprecazioni così dolci e fantasiose.
Un groppo torna alla sua gola, mentre le dita di Stanley armeggiano con il nastro fino a farlo diventare come dovrebbe essere.
« Non ti preoccupare. » lo sente mormorare, occhi ancora sul fiocco. « Ho deciso io di farlo. »
Stanford aveva capito di non poter ingannare il gemello. Potevano rimanere separati anche per trenta anni, ma Stanley avrebbe sempre capito. Lo avrebbe sempre capito.
« Mi dispiace. »
« Te l’ho già detto, la mia testa è piena di niente. Non sarà una grande perdita. » alza finalmente lo sguardo e lo fissa dritto negli occhi. « Certo, perdere le tue scuse è una noia ma sono sicuro che me le rinnoverai anche dopo. » ridacchia, sembrando divertito dalle sue stesse parole. È nervoso, ha sempre fatto così quando lo era. Stanford gli prende i polsi, le sue mani che ancora non si erano staccate dal nastro rosso.
« Mi dispiace. »
« Ehi. » il tono del fratello si fa più scocciato. « E’ vero che questa apocalisse l’hai scatenata tu. Ma ormai quel mostriciattolo si è inimicato tutta la famiglia Pines. E’ un nostro problema, adesso, li hai sentiti i bambini. »
Dipper e Mabel di certo sapevano cavarsela. Non erano come loro due, avevano deciso di rimanere insieme. Avevano capito ciò che lui, ragazzino pieno di idee e desiderio di compiacere il padre, non aveva mai compreso. Non aveva mai dato retta alla voce dentro di lui che lo implorava di rimanere con Stanley, la sua unica famiglia, l’unica persona che amava davvero. Lo aveva perso, e non appena lo ritrovava doveva lasciarlo andare.
Stanford deglutisce, l’improvviso peso della responsabilità che grava sulle sue spalle si fa pressante. Questa sarebbe stata l’ultima volta.
« Avanti, Pointdexter, passami stivali e pantaloni, non abbiamo tutta l’Apocalisse. »
Bill Cipher stava tornando.
   
 
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