Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: Selena Leroy    24/08/2018    1 recensioni
Il progetto "Les Enfant Terrible" aveva uno scopo: dare alla luce una nuova generazione più consapevole, più capace e più ambiziosa della precedente. Non era rimasto molto, d'altronde, agli ultimi superstiti di un pianeta arso vivo dalla Peste, un nuovo morbo che infesta il pianeta uccidendo qualunque creatura esistente si trovi sul suo cammino.
Yuya Sakaki è una di queste speranze, cresciuta assieme al padre e alla medicina. Ha solo sedici anni, ma il suo quoziente intellettivo supera di gran lunga quello delle sue normali coetanee; con il suo amico di sempre, quel ragazzo di nome Yuto segretamente innamorato di lei, continua una battaglia che però sembra persa in partenza.
E la situazione, per lei, volgerà inaspettatamente verso il peggio; alla morte improvvisa del padre, le decisioni di un uomo mai visto né sentito e che risponde al nome di Leo Akaba, la porteranno via dal suo luogo natio, dai suoi affetti e dai suoi amici, e in quella solitudine imposta da estranei, nelle cui menti si cela un segreto dalle cupe ombre, tutto ciò che le rimane da fare è lottare, e continuare quella ricerca ora così preziosa. Se farlo o meno da sola, dipenderà solo da Reiji Akaba...
[Pendulumshipping]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akaba Reiji/ Declan Akaba, Yuto, Yuya Sakaki
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Crow Hogan non riconobbe quel Reiji Akaba che invase il suo campo visivo, non rinvenne l'algido caporale hitleriano nei tratti distorti da un sentimento che agiva come macchia conturbante su un viso abituato ad apparire come neutrale. Akaba Junior sembrava appena uscito da una tempesta, e nell'assurdo di un'immagine retorica che solitamente veniva accostata a lui stesso, lo scienziato pensò quasi che l'uomo vi volesse tornare indietro, le mani ad afferrare i venti ciclopici solo per scoprirsi più inumano di quanto già non fosse.
A fissarlo, mentre attraversava il corridoio per entrare nella sua stanza, il giovane sentì l'inquietudine assalirlo; non che esistesse una versione di Reiji appartenente alla macroarea del buon umore, ma vederlo tanto iroso con un qualcosa che aveva scardinato dalle sue fondamenta la maschera di impassibilità che era solito portare con indifferenza lo rese timoroso, perché nessuno aveva mai davvero sperimentato cosa poteva davvero succedere quando si consegnava un quintale di tritolo nelle mani di un Akaba furioso.
"Ecco, io non so come sia successo..."
Tentativo patetico di iniziare una confessione che avrebbe volentieri distrutto sul nascere. Che poteva distruggere lui sul nascere.
Non dubitava che egli fosse novellatore di cattive nuove, perché la guardia che gli aveva comunicato il tutto aveva mostrato garanzia e serietà nel disporsi come primo intermediario tra lui e una delle situazioni più bizzarre e ingestibili dell'intera zona in quarantena. C'era anzi da maledire il fato e la sua proverbiale sfortuna, perché quello che doveva essere il primo uditore non aveva avuto la facoltà di essere immediatamente raggiungibile - e Reiji Akaba che non rimane fisso scrutatore del suo cercapersone non era un normale esemplare di Reiji Akaba - e quindi era toccato a lui l'onere di portarsi dietro quella patata bollente. A cercare pure uno con cui prendersela finiva solo per fare la figura dello scemo, perché era del mondo scientifico dubitare in modo tanto esacerbato ogni forma di divinità non spiegabile empiricamente.
E anche a comportarsi in modo così irrazionale lui rimaneva lì, fisso scopritore delle immani tragedie che capitano a coloro che pestano la coda ad un cane già furente con l'universo mondo.
"Dimmi solo una cosa, quello che è successo merita la mia attenzione in questo preciso istante?"
Gli occhi di zaffiro conobbero lo stupore, mentre fissavano cupe ametiste cariche di statica elettricità. Era necessario? Certo che lo era, perché in anni di indefesso lavoro lui non aveva mai, e si sottolinei il mai, incontrato un evento eccezionale. Perché chiunque si sdraiava sui loro asettici lettini mai riusciva ad alzarsi, non con le sue forze e non senza l'accompagnamento di una cassa di mogano fornita da Jean Micheal Roger.
"Credo di si, perché..."
"Credi o ne sei sicuro?"
Nuovo stupore, dettato dal fatto che mai, mai Reiji Akaba aveva fermato un suo sottoposto nel mezzo di una sua spiegazione. Lui era quello che ti fissava con sguardo indecifrabile, il mento appoggiato alle mani giunte, dietro una scrivania colma di rapporti già letti e revisionati. Mai, mai una volta aveva posto innanzi una sua necessità di tempo, perché aveva capito che si chiamava persa qualsiasi informazione non riportata puntualmente.
Chi diavolo era quell'uomo che si spacciava per il suo capo?
"Posso dire che è rilevante, ma..."
"Qualsiasi cosa sia, relegalo a chiunque possa darti una mano. Adesso ho bisogno del tuo aiuto. Devo immediatamente cercare Sakaki Yuya"
 
***
 
"Sei ancora qui?!"
Yuto sobbalzò malamente, quando la voce del suo migliore amico invase la stanza nel quale ancora attendeva con impaziente livore. Ebbe timore di aver svegliato la sua amata, ancora vittima dei poteri di Morfeo, ma la mano fremente non colse il senso di panico che gli era venuto incontro, e il respiro regolare di lei tolse ogni dubbio circa l'agire convulso dei suoi nervi a pezzi.
"Perché non urli un altro po'? Credo che Leo Akaba non ti abbia sentito" gli disse quindi il moro, piccato. La voce era solo uno sbuffo di vento in una notte di tempesta, ma la carica negativa del suo timore la convertì in giusto rimprovero da fornire a chi per primo doveva essere cosciente dei pericoli che correva.
"Allora datti una mossa e vattene! Si può sapere perché stai ancora qui come un beota?"
Shun Kurosaki non era ancora entrato nella stanza, quando aveva fatto il suo trionfale ingresso, e quei secondi lui li sfruttò per guardarsi intorno e verificare che nessuno avesse davvero deciso di piazzarsi in maniera sicura per seguire con diligenza le sue mosse. Non aveva bisogno di esporsi ancor di più di quanto già avesse fatto, perché dal poco che aveva incominciato a scoprire su quella faccenda aveva capito che non rischiava solo il posto di lavoro, in quell'intrigo, ma forse la sua stessa vita.
"Non posso andarmene adesso" rispose Yuto, semplicemente
"Come no? Ma si può sapere che ti prende? Reiji Akaba a chiamato tutti i suoi collaboratori per una riunione straordinaria, ci vuole tutti nel suo studio e adesso sta cercando Yuya!"
Yuto sapeva bene che Shun non avrebbe mai usato un simile tono su di lui, se la necessità non lo avesse richiesto. Forse, in quelle iridi di oro fuso che lo fissavano con tremore, vi era lo stesso pensiero che aveva appena finito di formulare. Quello delle conseguenze in merito ad un'eventuale tragedia.
Però lui non stava sottovalutando i rischi della sua missione. Semplicemente era cosciente di quello che era il suo posto, il ruolo scelto dal primo burattinaio di quella maledetta storia.
"L'ho visto, Shun. Lui era qui?"
"Di chi stai parlando?" chiese lo scienziato, palesemente stupefatto.
"Penso parli del capo, non è vero?"
La figura che si fece innanzi doveva essere un fantasma. Niente l'aveva annunciata, non un fiato né uno spostamento d'aria capace di dargli consistenza. Nemmeno la porta aveva avuto il coraggio di aprirsi, e con la scarsa luce delle stelle, anche se solo per un secondo, Yuto credette davvero di trovarsi davanti ad una figura ectoplasmatica.
Ma, seppur pallido come un morto, chi si fece avanti dalle ombre della stanza aveva corporeità, una fisicità che si racchiudeva nei tratti efebici di un ragazzino, esile come un giunco ma agguerrito come un soldato. Racchiusa nella buffa divisa dei malati, quella che solitamente non si abbandona se non in punto di morte, li raggiunse con passo leggero, quasi impercettibile, e ancora nulla segnò quell'incedere visibile ai loro occhi, quasi il mondo non riconoscesse nella sua esistenza una giustizia inerente al suono.
"Sei tu la persona di cui mi parlava Zarc?"
Shun, che non aveva nemmeno capito cosa ci facesse lì un suo paziente, quasi trasalì a quel nome, rinvenendo quindi l'identità di quel lui che aveva fatto desistere Yuto alla fuga. Eppure, guardando il suo amico, ebbe il tacito invito a non fare domande, a non porle al ragazzo e a non mostrarsi così eccessivamente sorpreso.
"Il mio nome è Sora" si presentò il piccolo, con un piccolo inchino deferenziale "Sì, è stato lui a dirmi di venirvi a prendere. E mi ha anche riferito che, per qualsiasi cosa, non devi più pronunciare il suo nome davanti a lei"
La falange eburnea del ragazzino indicò quasi con indolenza la figura ancora addormentata, pallida di un malessere che non la lasciava nemmeno nei sogni.
"Va bene, ma... dove dobbiamo andare?"
"Prima di tutto, fuori di qui" disse con decisione Sora "Leo Akaba non è uno che accetta di perdere, ma il mio capo ha fatto in modo di... tenerlo impegnato, con un enigma che terrà a freno le sue mani"
"Quindi la lascerà in pace?" fu l'ingenua domanda di Shun.
"Oh, quando capirà tutto, credo che la cercherà con ancora più affanno" rise il piccolo "Ma temo che non sia questo il momento di parlarne. Tu" e indico lo scienziato ancora stupefatto di quegli avvenimenti "devi essere lo scudiero del cavaliere"
"Lo scudiero?"
"Il tuo compito sarà quello di aiutare il cavaliere a salvare la sua bella" disse deciso il ragazzo dai capelli turchini "Quindi distrarrai l'aiutante del nemico a non scovarla"
"Stiamo parlando di Reiji Akaba?" chiese dubbioso quello
"Si, proprio di lui. Tu, invece" e indi indicò il cavaliere "Mi seguirai per sfuggire da questo triste maniero. Ordini del mio capo"
"Tanto dovevo farlo fin dal principio" disse velocemente il moro.
Il ragazzo sorrise. Tutto sarebbe andato proprio come nei piani del suo dio.
 
***
 
Leo Akaba non era cosciente dello scorrere del tempo; i meandri di riflessione nel quale era immerso richiedevano ai suoi neuroni una totale e indefessa dedizione ad un nucleo tematico tutto rivolto alle sue ricerche, alle sue scoperte e soprattutto alle sue più recenti rivelazioni.
Di Zarc, in fondo, non sapeva assolutamente nulla. Aveva meditato molto sul modo di neutralizzarlo, ma negli effettivi non aveva davvero badato al problema di quella creatura come ad un qualcosa di concreto, di afferrabile con mano. Di eliminabile.
No, il suo nemico era la peste, e in quanto tale quella doveva avere tutte le sue energie. A Zarc, nelle sue visioni, avrebbe solo mostrato l'antidoto scoperto, esibito con sguardo trionfo e un sorriso cattivo a bagnargli le labbra. Quando aveva stretto tra le mani quel sangue puro, cristallino, magico, aveva davvero creduto di essere ormai al capolinea del suo problema; il suo paziente era guarito, quel paziente su cui aveva basato la sua rivincita e che invece era proprio il suo nemico ad esigere spiegazioni.
Aveva parlato di gioco, di regole. Se il cadavere di Roger non fosse stato dinanzi ai suoi occhi, a simboleggiare un potere che di certo lui non aveva alcun modo di combattere, le sue dita si sarebbero certamente strette intorno al suo collo, e avrebbero anelato ogni spasmo della sua sofferenza fino a carpirne l'immonda vita. Perché, nel suo parlare deviato, aveva praticamente paragonato sua figlia ad una pedina caduta, così come pezzi di una scacchiera infinita erano quegli umani innocenti che, per una volta, avevano solo dovuto pagare l'indecente richiesta egoistica di una sola persona. Ed era una cosa che mai, mai nella vita avrebbe potuto perdonargli.
Ma quell'uomo aveva posto davanti ai suoi occhi un piccolo lumino colmo di speranza. Aveva parlato di una possibilità, la sua possibilità, di riavere indietro la sua Ray. Un prezzo che poteva pagare nella soluzione dell'enigma e che... che forse non esisteva. Perché la ricerca aveva parlato chiaro, non c'erano strade in grado di competere con la Peste. Cercarle era l'arte degli sciocchi, e non una persona aveva davvero dimostrato di essersi almeno avvicinata ad una qualche forma di soluzione.
Mentre si rigirava quella piccola speranza tra le mani, Leo Akaba fu colto da un dubbio. Quello inerente ad un inganno perseguito nei suoi confronti , principio di una vendetta che, nelle sue più esatte forme, allontanava le sue mani dalla ragazza al centro di tutto.
Dov'era Yuya Sakaki, in quel momento? Aveva promesso a suo figlio che ogni contatto con lei sarebbe stato definitivamente tranciato, ma in quei frangenti iniziò a concepire una scappatoia che si allineava ad un pensiero ancor più conturbante, ancor più sibillino nel far vibrare le sue sinapsi.
Un pensiero che aveva origine nelle risposte che Yuya Sakaki poteva dargli; nella possibilità che ella non fosse l'innocente ragazzina arrivata da lui senza nemmeno uno straccio di idea sulla sua vera identità, sulla sua vera esistenza, sul significato insito nella sua vita.
La sedia, la stessa su cui Zarc aveva giocato volentieri poco prima, quasi cadde dinanzi all'impeto del suo moto di alzarsi.
Doveva trovare la ragazzina. Doveva metterla al muro e farsi dire quanto sapeva su Zarc e sulla sua magia.
   
 
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