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Autore: Trivo    24/08/2018    0 recensioni
Le informazioni che ho, riguardanti gli avvenimenti, verranno descritti senza però utilizzare la medesima metodologia, con cui ne sono venuto io a conoscenza, altrimenti, non credo potreste capire, nemmeno dopo aver letto la fine della fine, le vicende che involontariamente, hanno contribuito, al far finire tutto.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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I primi ricordi che pensavo di avere, erano quelli con le suore, nel convento, dove ho vissuto circa dal mio sesto anno, al mio circa ventesimo, vivendo con Suor Genoveffa, Suor Nausica, Suor Ermenegilda e Suor Cornelia.

Pur aventi nomi così singolari, non mi ero mai posto alcun quesito riguardante la veridicità di essi, ed essendo state le mie 4 mamme, mai ci avevo neanche pensato alla possibilità che potessero essere qualcos'altro, vivendo con loro, essendo giovane, passando così tanto tempo con loro da essere visto come il loro figlio, adottato chissà quando, chissà come, chissà perché, dato che mi interessava saperlo, ma avevo anche timore delle eventuali risposte, così mi ero sempre limitato a leggere la bibbia cristiana cattolica, anche per quella emozione che mi dava il sapere che un qualcosa, un qualcuno, facesse andare le cose nel giusto verso, nella giusta direzione.

Mi imponevo però, di ragguagliare la mia coscienza dalle lettere che leggevo nei libri presi in biblioteca, bibbia compresa, dalle frasi che sentivo, come quelle delle persone che incontravo per strada quando passeggiavo con le mamme, che infamavano me e le loro, imputandoci sguardi di dissenso, commenti, giudizi altalenanti e indifferenza.

Il fatto di andare a scuola, sarebbe stato preferibile al dovermi studiare le cose che mi interessavano per conto mio, come il comportamento inadeguato della gente all'interno della società, peccato che perfino la cosiddetta educazione, aveva un prezzo, e quel prezzo, non era, a quanto pare, una opportunità, una possibilità, pur dovendo essere una necessità, all'altezza dalle mamme, nemmeno camminando ogni giorno assieme al loro dio.

Non avendo ricordi precedenti al mio primo giorno con le madri, il mio io, osservava tutto tentando di apprendere il più velocemente possibile le cose, facendosi tante domande, riguardo tante cose, rispondendosi volte su volte, capendo col passare degli anni, che le risposte che mi davo, scaturivano in me ancora più domande, finché non cominciai a pensare al lavoro, senza ancora un obbiettivo nella vita, ne tantomeno, un posto dove rifugiarmi, un nessuno sul quale appoggiarmi, nemmeno le madri, dato che il nostro rapporto era quello di una famiglia unita, legata ad un ragazzo adottato, la cui presenza, costava, pesava ma si accettava, non avendo mai causato nessunissimo problema grazie al fatto di apprendere le cose velocemente.

Le suore invecchiavano, e una di loro, Nausica, ci abbandonò per un tumore al seno che non si era riuscito a debellare in tempo.

Non era la più vivace, ne la più tranquilla, ma fece tanto male alle sorelle, quanto a me, pur non conoscendola da altrettanto tempo.

Mi imposi, dopo la sua morte, di affrontare la società, lottare contro essa dall'interno, non trovando alternative più rosee a quella che mi portò a lavorare come bibliotecario, nella biblioteca che ormai cominciava ad avere sempre meno libri interessanti da leggere per me.

La mancanza di una madre, fu un brutto colpo alla stabilità del convento, e non riuscendo, nemmeno col mio misero stipendio, a dare una mano economicamente , decisi che andarmene, cercare una strada alternativa, cavarmela da solo senza appesantire nessuno, sarebbe stata la scelta migliore.

Non avevo esattamente un passato, ne una istruzione, ne un rapporto, se non quello di convivenza, con le suore, così, una sera, presi la decisione di lasciare ad ognuna, un biglietto differente nel quale ringraziavo di tutto, ma che sentivo di non poter più usufruire di un'ospitalità tanto accogliente per altro tempo, andandomene per la mia strada, cercando il mio posto nel mondo, cercando delle risposte altrove, ponendomi differenti domande, guardando, sentendo, vivendo, altrove....

Il tuffarmi dalla finestra non era stata una fuga ben congeniata, ma fu abbastanza efficace da farmi atterrare sulle mie scarpe, ovviamente non di marca, facendomi sentire le formiche alle gambe, ovviamente coperte da jeans stretti neri, nei quali, portavo penne funzionati e una cifra di denaro che mi avrebbe permesso di andare parecchio lontano, lasciando il resto, sotto il letto che mi ha accolto per una decina di anni, finendo col dire addio a tutta la casa.

Indossavo anche una maglietta nera, col collo a v e, a parte le calze, le mutande, un paio di occhiali e uno zainetto con dentro due ricambi, qualche quaderno, non portai con me nient'altro.

Per prima cosa, avevo intenzione di andarmene fuori città, prendere un pullman, un treno e andare il più lontano possibile, sperando che la distanza che avrei percorso, fosse stata immaginariamente dritta, e che quindi, ovunque fossi andato, sarebbe bastato allontanarsi il più possibile per avvicinarsi il più possibile alle risposte che cercavo, riguardanti i soldi, il sapere, la verità....

Avendo scelto di andarmene calcolando la notorietà delle madri, oltrepassai la soglia dell'edificio chiamata casa per anni, alle 00.40, un martedì di giugno.

Non avevo fatto amicizia con nessuno, essendo negligente rispetto al volere delle suore che mi intimavano spesso di fare conoscenza.

Le prime emozioni attinenti alla fuga, le percepii solo dopo qualche ora dalla mia partenza:

Un connubio stordente fra senso di colpa, paura e solitudine.

Sbagliai appositamente la strada che mi avrebbe portato alla fermata del pullman e conseguentemente ai treni della stazione, e da quel momento, temetti che, anche fossi tornato a casa, prima del risveglio delle madri, e mi fossi comportato come la società mi chiedeva di confrontarmi, seguendo le alternative concesse da lei stessa, al meglio, non avrei avuto ciò che speravo di trovare, magari anche stupidamente, preferendo quindi, il camminare alla cieca, verso una direzione indefinita, percorrendo strade mai percorse.

Il dio delle mie madri controllava tutto al di la di tutto, al di la delle decisioni prese incoscientemente, e sperai vegliasse su di me, portandomi dove avrei dovuto andare, pur non volendo, pur sbagliando mille e più strade, pur avendo lasciato l'unica casa, l'unica famiglia mai avuta, pur perdendomi in me stesso, nelle mie domande, alla ricerca di risposte che avrebbero potuto non generare altre domande.

Camminai pensando a tutti, indipendentemente dei vestiti che indossavano, pensando agli oggetti, indipendentemente dai loro possessori, chiunque fossero, notando anche, che non causavo interesse agli sconosciuti che incontravo, benché fossi un ragazzo comune a parte i peli e capelli arancioni, a dispetto dell'ora tarda, indipendentemente dal mio umore, dalla realtà della mia vita vista dalla mia prospettiva così vuota in quel momento....

Mi balenarono idee e domande, mai fatte prima di allora nel buio della notte, ma la strada finì, distraendomi dal mio momentaneo autismo indotto....

Mi trovavo ad osservare una spiaggia dorata, maggiormente nascosta dal buio della notte, nella quale un chiosco bersagliava l'atmosfera con la musica, che artisti sconosciuti come me e come tutti gli altri presenti, suonavano con chitarre, batteria e le corde vocali del cantante.

Mi domandai il come, la gente, potesse provare felicità pur stando ad un passo da chi è triste, ed a causa delle mie emozioni incontrollate, decisi di spendere gli unici soldi che avevo con me, per drogarmi con alcool o comprando da fumare.

Conversare con degli sconosciuti non era mai stato facile per me, ma in quel caso, cercai di ricordare qualsiasi libro letto che poteva darmi una mano in quella occasione, e presi quella, come una scusa per mettermi in gioco, per vedere se davvero potevo cavarmela come avevo pensato di poter fare prima di partire.

Mi immedesimai in un ragazzo normale:

Presi i lacci della cartella, li allungai fino a farmela arrivare al culo, poi, me la spostai su una sola spalla e cominciai a camminare sulla sabbia verso il chiosco che vibrava grazie alla gran cassa del batterista che si stava perdendo nel ritornello intonandolo assieme alla sua band.

Mi spettinai, e con lo sguardo cominciai ad incasellare le persone, inserendole in contesti simili osservando i loro movimenti, i loro vestiti, le parole che dicevano, anche sapevo di non poterle ascoltare tutte, neppure se la musica fosse cessata, soffermandomi quindi sulle conversazioni fisiche, i movimenti delle braccia e delle gambe, il quantitativo di tempo che ci metteva ogni singola persona, a spostare lo sguardo e dove lo spostava, da chi a cosa, per intuire i movimenti successivi.

Mentre lo spicchio di luna in cielo, cominciava a farsi oscurare da una nuvola e alcuni granelli di sabbia mi si infilavano ambiguamente nelle scarpe, basandomi sulle informazioni che stavo ottenendo programmandomi come un computer che cerca di risolvere un problema solo grazie ai dati concessi, conclusi di suddividere nei vari gruppi e sottogruppi, i possibili acquirenti.

Gli occasionali acquirenti, gli spacciatori ostili, gli spacciatori meno ostili, chi era li solo per caso, chi si trovava in quella parte della spiaggia per lavorare e chi per divertirsi.

Con stupore, calcolai che l'87% dei ragazzi presenti, o non aveva mai fumato e neanche ci pensava, o aveva fumato, oppure fumava o spacciava, il 5%, erano adulti che non sospettavano, facenti parte della sicurezza o capitati li per caso e la rimanente percentuale, sinceramente, nemmeno l'avevo incasellata, avendo già trovato ciò che cercavo.

Mi sembrava fosse stato troppo semplice calcolare con tale precisione tutto ciò, ma la cosa importante in quel momento, era disfarsi degli unici soldi per drogarmi il più possibile, d'altronde, mai avevo provato sostanze stupefacenti, ma mi presi talmente bene, grazie al fatto di non aver nessuno che potesse dirmi di non farlo e grazie all'insolita risolutezza che mi era piombata addosso, che mi misi subito all'opera.

Andai verso la riva, dove gruppetti di ragazzi stavano confabulando e tralasciando il fatto che mi cominciai a sentire osservato, andai dal ragazzo dai capelli neri e lunghi, il quale, secondo i miei strani calcoli, avevo scoperto, custodiva in una tasca interna della felpa, un qualcosa di illegale ma non troppo e cominciai l'approccio -”ciao, scusa se te lo chiedo così, ma dei ragazzi mi hanno detto che hai un po' di erba da vendere”- ovviamente nessuno mi aveva detto che lui spacciava, e nemmeno cosa, ma sperai di fare centro al primo colpo -”oi, ho qua solo un ventino però”- rispose lui mentre cercava di guardarsi attorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno di losco nei paraggi -”perfetto”- gli dissi io di rimando -”maaaa avrei un ulteriore favore da chiederti”....

In sintesi, avevo 4 canne di erba da fumare, avevo beccato il ragazzo più accondiscendente fra tutti, avevo fatto conoscenza e non mi ero messo nei casini, finendo col ritrovarmi a passeggiare in solitaria, percorrendo la costa della spiaggia con ancora del denaro nelle tasche, sorridente, perché non avevo ne cartine ne filtri, ne accendino, ma ora avevo tutto e tutto il tempo per godermi l'imminente sballo, sfilandone una dalla scatola nella quale le avevo messe, e dopo averla rimessa nella cartella, la accesi, tossì facendo i primi tiri e cominciai a passeggiare tranquillamente sulla spiaggia, ancora senza una meta.

 

Era notte inoltrata, e vagavo per la spiaggia da solo, ma momentaneamente non mi sentivo solo:

Il flebile sospirare dell'aria fredda che tentava in ogni modo di tenermi sveglio;

Il calmo movimento delle piccole onde che si infrangevano a pochi passi da me, quasi come se tentassero di farmi addormentare;

La sabbia, che ormai mi aveva ghermito quasi interamente le scarpe e che quasi sembrava non volermi farmi avanzare rallentando la mia camminata sconnessa;

Seppur molto fosse contro di me, perfino la povertà, la mancanza di una persona fisica che mi aiutasse a fare il passo successivo, barcollante, continuavo imperterrito a proseguire sulla costa.

Perfino la mia mente era contro di me:

D’un tratto, la spiaggia giallastra venne ricoperta da una distesa di neve, l’atmosfera notturna venne sostituita da un sole luminoso e dai suoi raggi caldi che, a contatto con la neve, davano vita ad un gioco di colori stupendo.

Notai d’essere più basso e di essere accompagnato da una figura celata alla vista, ricoperta da mantelli neri tagliuzzati e bucati, avente un cappuccio che gli copriva il volto e una falce come bastone da passeggio....

 

La sensazione svanì di colpo tornando ad essere più alto e abbastanza fatto a causa dell'unica canna fumata.

Non capivo cos’era successo, ma diedi tanta importanza alla cosa, che non pensai più al tenermi in equilibrio cascando a terra involontariamente.

Mentre riflettevo sull’accaduto, cominciai a sentirmi osservato, ma il corpo non rispondeva più, nemmeno per voltare lo sguardo.

-“mamma non penso sia una buona idea”- sentii in lontananza – “sjcjdt no pakd cavallo dsun lui”- rispose un’altra voce prima che io chiusi gli occhi, e facendomi trasportare chissà dove dalla brezza, sperai di non morire quella notte, su quella spiaggia, dovendomi arrendere alla realtà omicida della vita umana.

   
 
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