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Autore: A li    10/07/2009    3 recensioni
Era seduto al computer, come al solito, e mi dava le spalle.
Piegato in avanti, sembrava quasi voler sprofondare nello schermo, da cui non sarebbe tornato più.
La luce del monitor illuminava in modo sinistro la parte del viso che riuscivo a vedere.
«Come mai qua, Sensei?»
[Personaggi: Stein, Spirit]
[Spoiler: Episodi 20-25]
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Perciò, Spirit-kun, vorrei che mi aiutassi a tenere d’occhio Stein»

Disclaimers:

Aki è orgogliosa di presentare il suo primo lavoro in questo fandom.

Stein – Madness tiene conto degli eventi che sono accaduti fino all’episodio 27 dell’anime. Personaggi: Spirit e Stein.

Buona lettura!

 

 

 

«Perciò, Spirit-kun, vorrei che mi aiutassi a tenere d’occhio Stein».

Aveva detto così, Shinigami-sama.

Chissà per quanto tempo dovrò fare la spia.

 

 

 

Stein - Madness

Able to be mad. Able to be loved.

 

Entrai nel laboratorio senza fare rumore, socchiudendo semplicemente la porta.

Eppure, anche se nemmeno i miei passi producevano il minimo scricchiolio, già sapevo che se ne sarebbe accorto.

Era seduto al computer, come al solito, e mi dava le spalle. Piegato in avanti, sembrava quasi voler sprofondare nello schermo, da cui non sarebbe tornato più. La luce del monitor illuminava in modo sinistro la parte del viso che riuscivo a vedere.

Ma… Sorride?

Avanzai verso la sedia al fondo della stanza. Il buio intorno al mio corpo mi faceva sentire a disagio, come un estraneo indesiderato. C’era qualcosa che non andava, me ne resi immediatamente conto. L’aria era satura di malvagità, di presagi, di morte.

«Come mai qua, Sensei?»

Non si era mosso di un millimetro. Si sporgeva ancora verso lo schermo, intento.

«E’ sbagliato venire a trovare gli amici, qualche volta?»

La sua risata mi giunse squillante, sinistra. Si voltò di scatto, facendo roteare la sedia di mezzo giro. Mi guardava sorridendo, con le labbra arcuate in una smorfia e i denti stretti di chi lotta contro se stesso.

«Avanti, sensei, non diciamo cazzate», sibilò. «Non sono mai stato tuo amico. Giusto?»

Presi una sedia e mi ci misi a cavalcioni, rimanendo a fissarlo, desiderando con tutto me stesso di poterlo inchiodare a quella sedia con la sola forza dello sguardo. Anche se Stein era stato il mio Meister, adesso non era più nulla per me. Dovevo convincermi di questo, o non sarei mai riuscito a controllarlo come voleva Shinigami-sama. Aveva affidato a me un compito più importante di tutti gli altri, perché dopotutto Stein era un insegnante della Shibusen e il male che sorge dall’interno è il più pericoloso.

«Stein». Pronunciai il suo nome sottolineandolo con un sorriso. «Perché tutta questa diffidenza? Sono stato o no la tua arma?»

Mi rispose con una nuova smorfia, che mi strappò un brivido.

Chi sei tu?

«Lo sei stato, Sensei. Ma il passato è passato. E la scienza non si basa sulla storia per fare scoperte… Quello che conta è il presente e soprattutto il futuro».

«Ragioni sempre da scienziato, eh, Stein?»

Alzò le spalle e rimase in silenzio. Ma il ghigno che sfoggiava contrastava vivamente con le sue azioni. Sembrava che due persone, insieme, stessero occupando il corpo che una volta era stato di Stein.

Il silenzio si prolungò per un minuto.

Restai a guardarlo mentre girava la sua rotella, in balia di chissà quali pensieri. Il suo sguardo era il solito, vacuo e stralunato, come quello di un pazzo. Ma era davvero un pazzo? Davvero il kishin aveva stravolto la sua persona, tirandone fuori la follia?

«Che ti sta succedendo, Stein?», mormorai.

Riuscì a sentirmi.

«Nulla, Sensei», rispose. Lo fece con un filo di voce, quasi avesse paura delle sue stesse parole.

Paura o incertezza?

«Nulla?», domandai.

«Nulla, Sensei», ripeté.

E sembrava convinto. Ma il suo sorriso maniacale lo smentiva.

«Ascolta, Stein», dissi. Lui alzò il viso per osservare meglio la mia espressione; sembrava un bambino e per un attimo intravidi il panico nelle sue iridi chiarissime. «Se sono venuto qui, è perché mi fido di te. So che se ti accorgessi che la pazzia sta prendendo il controllo, ti difenderesti. E chiederesti aiuto…»

Mi interruppi un attimo. La pausa ci separò di più.

«…a me», aggiunsi.

Cercai di capire cosa suscitassero in lui le mie parole.

Ma ancora mi osservava atono, con la pazzia dentro gli occhi, che già veniva a galla.

E improvvisamente scoppiò a ridere, rovesciando il capo all’indietro e portandosi le mani al viso.

«Chiedere aiuto, Sensei? A te?».

Rialzò la testa e puntò gli occhi fiammeggianti nei miei. Non l’avevo mai visto così.

«Chiedere aiuto a chi… mi ha abbandonato?»

Sussultai. Abbandonato? Ma cosa stava dicendo? Non avevo fatto nulla del genere.

Il suo sorriso si trasformò in un ghigno rabbioso. Strinse i denti e i pugni, di fianco al corpo.

«E non mi guardare così, come se non avessi colpa!»

Mi alzai in piedi e puntai verso di lui un braccio, tramutatosi in lama. Lo fissai scuro, sentendo l’adrenalina correre in aiuto, pronta a muovermi il braccio. Aveva gridato. Forse avrebbe perso il controllo.

«Adesso smettila, Stein».

Senza accorgersene, anche lui si era alzato. Si ricompose, guardandosi intorno. E tornò a sedersi, lasciandosi cadere sulla sua solita postazione. Rise ancora e poi sospirò.

«Ah, Sensei… Cosa credi di fare con quella lama? Contro di me?»

Ridussi gli occhi a due fessure.

«Non vorrei fare nulla, Stein. Ma non mi sottovalutare».

Il suo sorriso tornò a galla, a stravolgergli l’espressione.

«Io conosco i tuoi punti deboli e tu conosci i miei, Sensei. Sarebbe una battaglia senza senso e senza vincitore. Solo sangue, da entrambe le parti». Il suo sorriso si allargò. «Lo vuoi?»

Mi passai una mano sul volto, esausto. Di quel fronteggiarci e di quella follia.

«No», sussurrai. «No. Non voglio niente di tutto questo».

Lui non rispose.

Fissai la sua espressione maniacale e pensai che non poteva essere vero. Non era giusto che il mio vecchio Meister fosse stato contagiato dalla malattia di un mostro che non meritava d’esistere. E non era giusto che io stesso fossi obbligato a tenerlo d’occhio, quando doveva essere il nostro più abile alleato. Non era giusto che fosse accaduto… tutto.

Non ci riflettei nemmeno sopra. Cominciai a camminare verso di lui, a viso aperto, dopo aver ritirato la lama. Per un attimo sembrò sorprendersi, ma la sua espressione non cambiò.

Mi bastarono pochi passi per arrivargli davanti. Mi fermai.

Continuava a sorridere, come un pazzo, senza curarsi di nulla.

Probabilmente i miei occhi si fecero sofferenti. Perché non ne potevo più.

Mi abbassai alla sua altezza, per riuscire a guardarlo negli occhi.

E lo abbracciai.

Mi obbligò il mio istinto o forse un vecchio sentimento insepolto. O forse tremenda pietà per un uomo costretto a sottomettersi alla parte più oscura di sé. Un uomo che era stato capace di controllarsi, di ricominciare, di diventare uno scienziato e un professore in modo da tenere a bada la propria cattiveria.

Lo strinsi forte, perché non si liberasse. Ma non lo avrebbe fatto. Era inerme, sotto la mia presa, completamente abbandonato. Non si era mosso di un centimetro.

Non osai sbirciare la sua espressione: avevo troppa paura di quello che vi avrei letto.

Tentai di trasmettergli quello che non sarei mai riuscito a dirgli. Che c’era una possibilità di salvarsi, di tornare indietro. Di sopravvivere anche a tutto quello.

Non ero bravo a parole. E forse non ero bravo neanche a gesti. Nella mia vita ero riuscito solo ad allontanare mia moglie e poi, piano piano, anche mia figlia. Ma in quel momento non c’era nulla di tutto ciò. Esistevano solo un laboratorio, uno scienziato pazzo e un’arma incapace.

Le mie mani afferrarono il suo camice e affondai di più oltre la sua spalla, sperando che avesse capito.

E alla fine, rispose.

Alzò lentamente una mano, dietro la mia schiena, finché raggiunse la mia spalla. E afferrò la giacca con una forza incredibile, come se la sua vita fosse dipesa da quel gesto. Anche l’altra mano si unì alla prima in un abbraccio che aveva il sapore della disperazione.

D’un tratto sentii qualcosa di caldo sulla spalla, e liquido. Piangeva?

Fu solamente in quel momento, quando lo fece lui, che mi accorsi di stare piangendo da un po’. E allora lasciai che le lacrime scivolassero sulle guance e che la tristezza uscisse, finalmente.

La sua risata mi risuonò nell’orecchio a cui aveva avvicinato le labbra. Era una risata diversa da quelle di prima. Questa volta era dolce e terribilmente nostalgica.

«C’è qualcosa che la pazzia non può fare…», mormorò.

Il silenzio rispose al mio posto. Perché le parole erano troppe e troppo pesanti.

«…Non credevo che esistesse qualcosa in grado di fermarla».

Sospirò. E quando percepii il suo fiato sul collo mi sembrò freddissimo.

Possibile che l’unica via per salvargli la vita fosse quella di… amarlo?

Forse in fondo l’avevo sempre saputo. Che Stein era ancora un ragazzo ed era solo, molto solo. Quello di cui aveva bisogno era affetto. Tantissimo affetto per tenere lontana la pazzia.

Shinigami-sama non si era sbagliato sul suo conto: in effetti era diventato davvero pericoloso.

Ma su una cosa non aveva visto giusto. Stein non era irrecuperabile. Anche se l’unico che poteva farcela, in quel senso, era la sua arma.

In quel momento capii, con intensità improvvisa, quello che Stein aveva voluto dirmi.

«Chiedere aiuto a chi… mi ha abbandonato?»

Una Buki non avrebbe mai dovuto abbandonare il suo Meister. E io l’aveva fatto, eccome.

Lasciando Stein solo ad affrontare la vita. Non ne era capace: era stato così fin dall’inizio.

Solo e incapace, proprio come un bambino.

«Scusa se ti ho lasciato solo per tutto questo tempo».

«Tornerai?»

La speranza che si faceva spazio in quella domanda mi stupì.

«Tornerò», risposi, sorridendo.

Che stupido ero stato. Stupido e masochista. Perché era difficile ammetterlo, ma anche io avevo un disperato bisogno di lui.

Lo strinsi più forte e sospirai.

«Mi sei mancato», dissi.

 

 

Si accettano critiche, consigli… Ma soprattutto belle recensioni!

Spero vi sia piaciuta. (Se avrà successo potrebbe diventare una long-fic – che era l’idea originale).

A presto!

 

Aki

   
 
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