Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Black Swallowtail    26/08/2018    0 recensioni
I ricordi più difficili da serbare, quelli che ci marchiano come una maledizione, sono quelli dei giorni più felici, macchiati dal proprio errore, distorti dal senso di colpa.
Aidan Reiss, l'esperto dell'occulto che cammina tra la realtà e il mondo sovrannaturale, è costantemente tormentato dalla promessa che ha compiuto, una croce che ha scelto per se stesso.
Dopo gli eventi che hanno portato al salvataggio di Jeiv Kondras, Azure Kuri, in un parco in rovina, abbandonato e distrutto, su un'altalena arrugginita, ascolterà la storia di Aidan — una storia di sofferenze, apatia, abbandono e rosso cremisi.
La storia della sua più grande perdita.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Scary Monsters and Nice Spirits'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VIII

Crimson.

 

Il silenzio immobile è rotto solo dallo scricchiolare dell'altalena, le catene che la reggono stridono muovendosi lentamente, avanti ed indietro, in un dondolio appena percettibile, causato dalla leggera brezza gelida che scivola attraverso i vicoli del quartiere.

L'erba secca e pallida, quasi biancastra, si agita appena quando una folata più violenta delle altre piega i suoi steli e scuote i miei capelli. La miriade di ciocche si muove per un secondo a mezz'aria, nascondendo la sua figura in piedi di fronte a quel seggiolino vuoto, la mano che sembra voler carezzare ogni anello arrugginito, ogni centimetro di plastica scolorita; è come se cercasse disperatamente un po' di calore rimasto, una presenza persistente in questo luogo che può avvertire solo lui, ma evidente abbastanza da fargli socchiudere gli occhi.

Per qualche istante, rimane assorto, immerso nei suoi pensieri contorti, in quel groviglio di ricordi aspri e pungenti che si intrecciano e crescono, come rampicanti, fiori che germinano da una figura, una solitaria sagoma invisibile, ma vivida nei suoi ricordi.

Le ultime parole del suo racconto muoiono, trasportate via insieme a qualche foglia secca e ad un po' di polvere, trascinate chissà dove da uno sbuffo di vento, insieme a quel tono malinconico, tanto vibrante da pungermi lentamente, parola dopo parola, ricordo dopo ricordo.

Due figure in piedi in mezzo alla rovina, rimaniamo isolati nella nostra bolla personale, una sfera invisibile che copre tutto il parco, un involucro fatto di memorie, rimpianti, sensi di colpa e promesse sussurrate che le sue labbra hanno strappato, pezzo per pezzo, dal fondo del suo animo lacerato.

L'ho osservato, mentre parlava, senza mai staccare gli occhi da lui, cercando di captare ogni minimo cambiamento di espressione, ogni piccola increspatura del suo viso, come alla disperata ricerca di qualcosa, come se una parte di me volesse assolutamente trovare quel dettaglio invisibile all'occhio che, come un fantasma, aspettavo attraversasse i suoi lineamenti.

Per tutto il tempo in cui ha narrato, con una voce tanto bassa da essere poco più di un respiro affannoso, mi è sembrato che i suoi occhi vitrei fossero persi da qualche altra parte; come se, raccontando pezzo per pezzo, giorno per giorno, quelle vicende che hanno lasciato il loro profondo, palpitante segno rosso sulla sua coscienza, potesse tornare ad immergersi in quei giorni perduti.

Quasi come se sperasse di vederla ancora una volta, osservandomi di sottecchi.

Ogni volta che il suo sguardo si è spostato appena verso un angolo del parco, verso lo scivolo avvolto nella penombra, verso un vicolo sperduto al limitare del campo visivo—verso di me, seduta sull'altalena che avrebbe occupato lei, ho visto un guizzo in fondo alle sue pupille, che mi ha dato una sensazione inspiegabile sul fondo dello stomaco, amara e corrosiva quanto la storia che stava raccontando.

Aidan non mi ha mai rivelato i suoi sentimenti o i suoi pensieri. È sempre rimasto chiuso in se stesso, circondandosi di invisibili pareti che nascondessero i suoi tormenti, le sue colpe, la sua rabbia, la sua delusione. Come se avesse deciso di rinchiudere tutto dove nessuno lo potesse captare, come se non volesse aprire le porte dei suoi pensieri a nessuno.

Solo ora ho capito che non può più farlo, che non ha mai potuto, perché una parte di lui è sempre stata rinchiusa in se stessa, ad osservare un grigiore dilagante ed assoluto, desolante e divorante. Ogni giorno, Aidan si è alzato per ritrovarsi in mezzo ad una realtà che non riusciva più ad avvertire, a toccare, a sentire. Rifiutato da tutto e da tutti, incapace di comprendere, incapace di farsi comprendere, era come un fantasma che camminava sulla sottile linea invisibile che separava se stesso e la realtà in cui non era che una figura caduta per caso, una comparsa nella sua stessa esistenza.

Ferito com'era dalla sua stessa esistenza, non ha fatto altro che cercare quel tono di colore che potesse, per un istante, farlo sentire vivo, attirarlo con la sua brillantezza. L'ha trovato, lo ha sfiorato ed osservato.

Accanto a lei, si è sentito finalmente in grado di respirare, come dopo aver nuotato in un mare d'inchiostro, senza riuscire ad intravedere la superficie; ma è riuscito a tirare solo una boccata d'aria, prima che i gorghi lo prendessero, lo trascinassero nuovamente in basso, dove solo lui può sentirsi. Dove può parlare, ma nessuno può capire.

Dove una sola persona lo ha potuto capire, perché era più in profondità di lui. Per cui, per un momento, si sono toccati ed hanno trovato qualcosa, nel dolore reciproco, una connessione vibrante che li ha fatti sentire, per la prima volta, quello che sempre hanno desiderato. È una sensazione che conosco perfettamente, perché è la stessa che ho provato quando è arrivato da me, quando mi ha teso la mano, quando ha ricordato il mio nome. Ho sentito di non avere più bisogno di sbiadire giorno dopo giorno, condannata ad essere un personaggio mal disegnato sullo sfondo di altre persone. Mi sono resa conto di avere un significato.

Ho desiderato capire cosa custodisse tanto gelosamente, quale nome tenesse stretto a sé, nonostante il dolore che sembrava procurargli. Ho sperato di comprenderlo, di riuscire a muovermi attraverso le paludi torbide dei suoi pensieri taciuti e delle parole che non ha mai detto, soffocandole sulle labbra; ho voluto, con tutta me stessa, riuscire a vedere Aidan Reiss per quello che è completamente, vedere tutte le sue sfaccettature e quei lati più scuri che tiene solo per sé.

Solo ora ho capito di essermi inutilmente illusa. Ho creduto di essere qualcosa di più, di averlo compreso, anche solo per un istante. Il nostro è stato un errore comune, dopotutto, il disperato sbaglio di chi vuole a tutti i costi aggrapparsi a chi gli sta accanto, disperatamente nella speranza di trovare conforto, di sentirsi, per un secondo, più vivi, più veri, convinti che ci sia un destino di qualche tipo che possa unire due storie tanto simili.

Perché il filo rosso che correva tra di noi ora mi sembra così sottile?

Attraverso gli occhi offuscati, riesco ad intravederlo con le mani affondante nelle tasche, che guarda le stelle come a volerne riconoscere una, sperando che si tratti di questa o quella stella che ha intravisto la notte accanto a lei. La sua espressione sembra essere più spenta, come leggermente crepata, come se minacciasse di rompersi insieme alle ultime parole tremanti che ha pronunciato per chiudere la storia.

La sua storia di perdita, di promessa, di dolore, di ombre, di colpe e di un legame di quelli che nei libri si dice ce ne sia uno solo nella vita. Quel tipo di legame che rimane con te e ti logora, ti consuma lentamente e ti soffoca, perché non puoi fare a meno di tornarci sopra, come se ricordare possa aiutare a cambiare le cose.

Non si è mai poggiato a me, perché l'unica volta che lo ha fatto, forse si è sentito stranamente troppo lacerato o forse, al contrario, troppo felice, quel miscuglio di dolce ed amaro che sembrava trasudare da ogni sua parola, da ogni suo ricordo, da ogni singolo dettaglio su di lei. Mentre tutto il resto era solo un ricordo sbozzato, la figura al centro del suo racconto era così perfetta, al punto che anche io sono riuscita a vederla, in tutta la sua sfolgorante, dolorosa imperfezione. E me ne sono sentita tanto schiacciata da non riuscire più a sopportare l'idea che lei fosse perennemente, assolutamente dentro di lui.

Perché quando pronuncia il mio nome, improvvisamente mi sembra quasi di sentire il suo?

È stata colpa mia. Assolutamente, unicamente colpa mia. Ho cercato a lungo di riuscire a capire cosa lo tormentasse, perché non volesse poggiarsi a me, rivelarmi la sua debolezza, le sue ferite, le sue sofferenze. Una parte di me sapeva che ne sarei uscita strappata. Ma l'ho fatto lo stesso, ho ascoltato il suo lento, tremante racconto come se scorresse di fronte a me, come se questo parco fosse sfumato e avesse cominciato ad ospitare, una dopo l'altra, figure vomitate fuori dalla sua gola secca, dalla sua voce assorta.

A me importa cosa pensi, Aidan.

Non sono mai riuscita a dirglielo. Ma ora so che risponderebbe con un grazie, con un sorriso indecifrabile, in cui riuscirei solo a pensare che, qualunque cosa io possa fare, non sarò mai all'altezza di lei. Non sarei mai capace di stargli accanto come avrebbe fatto lei.

Mi sono illusa di poterlo sfiorare per qualche istante, di riuscire a camminare al suo fianco e, in qualche modo, sorreggerci a vicenda. Riuscire a scrutarlo, a toccare le piaghe peggiori del suo animo e, in qualche modo, a vivere in uno spazio che potesse essere nostro. Che potesse accettarci entrambi, nonostante tutto l'accaduto. Perché, accanto a lui, sono riuscita nuovamente ad essere.

L'unica cosa che riesco a fare, ora, è stringere i pugni e seguire quel piccolo, quasi invisibile filo che ci unisce, che ancora lega le nostre esistenze. Non potrò mai essere come lei, non è così, Aidan? Non c'è bisogno che tu risponda.

L'erba si piega sotto le mie scarpe, fruscia quando le mie caviglie la spostano, e le erbacce graffiano appena la mia pelle, dandomi piccoli, pungenti brividi, una vaga pelle d'oca risale lungo il corpo fino a raggiungere la schiena. Lo afferro per il braccio, la mano che cerca la sua, scivolando fino al polso, ai polpastrelli, avvertendo il leggero tepore della pelle, quando intrecciamo le dita debolmente, per un solo secondo. Un'unica, accennata stretta, come a volergli ricordare…

“Grazie.”

Annuisco, senza una parola. È un contatto di qualche istante, che si rompe subito dopo con delicatezza, un semplice scivolare delle dita. Un semplice modo per fargli sentire che, in ogni caso, io sono proprio dietro a lui.

“Grazie per avermi ascoltato,” un mezzo sorriso amaro si apre sul suo viso, poco più che una increspatura delle labbra, una posticcia imitazione, come se faticasse a muovere i muscoli del viso, “è come se mi fossi tolto un peso.” Si volta, la ghiaia che scricchiola sotto le suole delle sue scarpe, lo sguardo che corre all'altalena, al suo movimento fantasma, come se riuscisse a vedervi qualcuno seduto sopra, “Non ne ho mai parlato con nessuno. Non è strano? Se tieni le cose per te, si fanno sempre più pesanti. Iniziano a soffocarti e ti ritrovi a chiederti cosa avresti potuto fare per rimediare. ..” Si porta una mano al viso, poggiandola appena sui suoi occhi, come se volesse nascondere la sua faccia al mondo, come se volesse strapparsela via, evitare di mostrare la sua espressione alla realtà attorno a lui, “...Aveva ragione lui. Per quanti mostri possa salvare, continua a divorarmi.”

L'esitazione mi pietrifica, mi lascia immobile con la mano tesa verso di lui, le dita ad un soffio dalle sue spalle, incapace di toccarlo, di allungarmi anche solo per fargli capire che sono qui. Vorrei dirgli che non è colpa sua, che a volte siamo troppo piccoli per riuscire a fare la differenza. Che lei se n'è andata per il suo bene. Che l'ha resa felice, anche se per poco tempo, anche se solo per qualche istante, e questo è tutto quello che ha bisogno di ricordare di lei.

La perdita lascia una voragine che forse non si può colmare. Vorrei poterlo fare io, Aidan. Vorrei poter sanare la ferita che ti ha squarciato, ma non ne sono capace. Posso solo cercare di alleviare i tuoi tormenti, disperatamente, per qualche secondo. Farti sentire meno solo, nel tuo dolore.

La sofferenza è qualcosa che è solamente nostro, che non possiamo dividere con nessun altro, se non lo vogliamo. E tu non ti poggeresti mai a me, come a nessun altro. Un animo ferito come il tuo preferisce rimanere da solo e fluttuare nella propria solitudine, nel buio gelido, calcare una strada dove nessuno può avvicinarglisi.

Io sono un'eccezione, non è così? Hai visto anche in me, per un istante, un po' di quel colore? Vorrei davvero fosse così. Vorrei sul serio pensare che tu abbia intravisto qualcosa capace di accendere una fiammella, una luce tenue, un fuoco fatuo, nei tuoi pensieri, nei tuoi ricordi. Il fantasma di una tinta nella tua vita grigia ed immobile di tutti i giorni.

Quando le mie dita sfiorano la sua guancia, si irrigidisce di colpo. È umida e calda, bagnata di un pianto tiepido e malinconico, senza alcuna disperazione, senza un singhiozzo. È un semplice scorrere di lacrime trattenute per tanto, troppo tempo.

Non si toglie la mano dal viso, si limita ad asciugarsi gli occhi, per strappare via le ultime gocce, così che quando abbassa lo sguardo su di me, è rimasta solo una vaga patina lucida nella quale posso specchiarmi, posso intravedere la mia espressione. Un'espressione che non avevo mai visto, che non credevo mi appartenesse. Un'espressione malinconica, colma di una irrequieta tristezza, che si contorce lentamente, senza violenza, quasi come se avesse solo aspettato il momento di arrivare al mio petto e lentamente sciogliere quelle schegge che si erano conficcate nella carne.

La sensazione di averlo sostenuto, per una volta, di aver osservato la sua debolezza, averla accettata e sorretta. Di avergli permesso di barcollare ed inciampare, ma non di cadere.

“Non è stata colpa tua,” ho detto, con un filo di voce, senza nemmeno riuscire a sentirla io stessa, parole divorate dal silenzio del parco desolato, “tu l'hai resa più che umana. L'hai resa felice.”

La ghiaia sotto le nostre scarpe scricchiola producendo un suono appena percettibile, mentre ci allontaniamo dal parco, le nostre ombre proiettate dalla luna che si contorcono e si fondono, si separano e tornano insieme, in una danza infinita che è soltanto l'imitazione dei nostri movimenti più nascosti e contorti, di quelle parole che non riusciamo a pronunciare, della voce che non riusciamo a tirare fuori, delle urla che non vogliono essere strappate dalle corde vocali.

Aidan cammina leggermente più avanti, rispetto a me, come se non riuscisse ad avere accanto qualcuno, mentre cammina. Mi sembra di riuscire a vedere, nei suoi occhi, ancora un tentativo di cercare qualche ombra, come quando si insegue un miraggio lontano, che non si potrà mai raggiungere, perché poco più che un fantasma in un'ombra.

Per quanto non sia capace di camminargli accanto, finché le nostre strade saranno le stesse, io continuerò a guardarlo andare avanti, da solo, come è sempre stato. Non posso che sperare, credere che, un giorno, sarò forse in grado di avvicinarmi anche solo per un singolo istante a lui. Fino a quel giorno, non mi resta che sforzarmi di non rompermi. Rimanere integra.

Sforzarmi di avere un po' del colore che cerca disperatamente.

Un giorno mi piacerebbe avere, in me, quello stesso rosso che ti ha incantato.

Il cremisi che tinge i tuoi lontani giorni d'inverno perduti.

 

Scary Monsters and Nice Spirits

『End.』






 

Afterword

Mettere la parola fine ad una storia non è mai facile. Sopratutto se si tratta di una storia che è stata con noi per tanto tempo, abbastanza da sentirne la presenza costante dietro la testa, nel mio caso nella forma delle persone, incluso me stesso, che mi ricordavano di dover tirare avanti in questa storia (persone che non ringrazierò mai abbastanza, in ogni caso, per avermi spinto a tirare avanti nonostante la mia tendenza a procrastinare.)

Scary Monsters and Nice Spirits” è nato due anni fa. Nel corso del tempo, mano a mano che ho iniziato a lavorarci sopra, a cambiare dettagli, sistemare personaggi e vicende, lentamente ha cambiato aspetto e percorso; tuttavia, la sua idea centrale, il suo punto di partenza, è rimasto sempre lo stesso, immutato – raccontare una storia che iniziasse e finisse in se stessa, senza la pretesa di una trama, di grandi colpi di scena, di eventi stravolgenti.

SMNS è semplicemente una storia di persone e, ancora di più, della loro psicologia, delle loro paure, traumi, colpe o presunte tali ma, sopratutto, il filo conduttore che unisce le tre storie è il rapporto umano, le sue declinazioni, le sue difficoltà, le sue ombre.

Ho sempre voluto poter raccontare qualcosa che andasse oltre la semplice azione, l'agire, il fare parte di eventi la cui corrente prende e trascina i pensieri, succhiandoli prepotentemente al di fuori della realtà; ed è anche per questo che le brevi ma intrecciate, contorte storie sono tutte piccole, diversificate finestre inserite in un mosaico che è la vita di tutti i giorni, una vita soffocante, pesante, che opprime e che ha, come protagonisti, persone unite dallo spago rosso che è la propria incomunicabilità. Ognuno di loro, stretto nella propria bolla, incapace di sfiorare il prossimo, che preferisce tenere dentro di sé il proprio dolore, i propri pensieri perché condannato da se stesso, dalla visione che si è costruito della sua realtà e di quella degli altri.

Il sovrannaturale, in tutto questo, non è altro che un veicolo, una lente con il compito di deformare, filtrare e, sopratutto, concretizzare le ombre che ognuno dei personaggi porta dentro di sé, così che spiriti, maledizioni e mostri non sono altro che la personificazione di dubbi e paure, di incertezze e pentimenti, di desideri inespressi.

Non ho preteso che queste storie avessero una trama a muoverle. Al contrario, ho voluto che fossero i personaggi stessi, i loro pensieri, le loro riflessioni, le loro incertezze, a spingere avanti il guazzabuglio in cui si trovano a nuotare, con l'acqua fino alle orecchie e l'incapacità di sentire, di parlare, perfino di vedersi chiaramente.

Proprio perché c'è stato il desiderio di rendere queste storie eventi di persone, ho tentato di lasciare lo sfondo delle vicende il più generico possibile, unendo elementi specifici ma non caratterizzanti, per forgiare una città, una scuola, una strada, una casa, una realtà quanto più universale, perché, alla fin fine, ognuno potesse plasmare i luoghi secondo la propria immaginazione e sperare, almeno per lo spazio di un racconto, di poter incontrare quello spirito o quella creatura che crede lo tormenti, vedere le vicende che si dipanando tra queste pagine in una forma che possa essergli più vicina, più congeniale.

Sono dell'idea che non ci sia un lieto fine, nelle storie, e mi è stato rimproverato più volte. Tuttavia, mi è sembrato giusto che questa storia si chiudesse sulla stessa nota sulla quale è iniziata — malinconica, in un certo senso, ma questa volta con un accento in più.

Una volta che il nostro mostro si è fatto da parte, ne arriveranno altri, certamente, perché la sequela di pesanti, corrosivi sentimenti e problemi che caratterizza i rapporti umani, perfino con se stessi, 

non termina mai.

Al contrario, “Scary Monsters and Nice Spirits” termina così, senza un inizio, senza una fine, ma che si esaurisce in se stesso, proprio come lo avevo pensato, proprio come lo avevo immaginato.

A tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la voglia di seguire il mio lavoro in questi anni, che lo hanno apprezzato o criticato, che gli hanno dedicato un po' del loro tempo, va il mio ringraziamento e la mia gratitudine.

Mettere la parola fine ad una storia non è mai facile. Ma posso dire che è stato un viaggio molto più lungo di quanto immaginassi e decisamente più appagante.

Spero che questi mostri, questi spiriti, queste persone così incapaci di vivere rimangano con voi, almeno per un po'.


Black Swallowtail.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Black Swallowtail