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Autore: Fenio394Sparrow    26/08/2018    2 recensioni
[ Ghost!AU - Amberprice, Pricefield, Amberfield, ma tanto finisce in un'Amberpricefield ]
Il senso di perdita che provava … era la morte. Aveva perso la vita.
Non persa, non persa, rubata, rubata, rubata! Portata via!
Jefferson non l’aveva lasciata nella discarica.
Jefferson l’aveva seppellita nella discarica.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield, Rachel Amber
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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  Capitolo Tre
 
“La vendetta è solo un’altra preghiera al loro altare.
E io sono stanca di inginocchiarmi.”

 
 
«Tu puoi vedermi.»

Certo che posso vederti, fu il primo pensiero di Max. Stava per esprimerlo ad alta voce, ma ecco che la ragazza si avventò su di lei e l’abbracciò talmente stretta da farle mancare il fiato. Abbastanza inquietata, ricambiò l’abbraccio. «Tutto … tutto bene?»
«Sì» la ragazza tirò su col naso «E’ solo che è passato così tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno mi ha rivolto la parola …»
Max le accarezzò una spalla, a disagio. Evidentemente c’era qualcosa che non andava. Iniziò a notare le occhiate che le lanciavano le persone che passavano per il corridoio, sentendosi immediatamente a disagio. Abbassò lo sguardo sulla testa bionda della ragazza. «Capisco che tu sia molto … provata, ecco, ma che ne dici di parlarne? Magari ti farà sentire meglio.»
«Oh, sì, hai ragione.» La ragazza si staccò da lei e si asciugò le lacrime dal viso familiare. Max la osservò per bene. Capelli biondi, zigomi pronunciati, labbra carnose … Era la ragazza scomparsa.

«Rachel? Sei Rachel Amber?»
La ragazza sgranò gli occhi, come se fosse passato tantissimo tempo dall’ultima volta che qualcuno avesse pronunciato il suo nome a voce alta e avesse dimenticato il suono di una domanda rivolta a lei personalmente. Ma questa Rachel era diversa. Non ammiccava come nella foto, i suoi occhi non la inchiodavano sul posto facendole sentire le farfalle nello stomaco. Pareva spenta. Ed era seminuda, santo cielo.
«Sì, sono Rachel Amber. Vogliamo … vogliamo entrare in quella classe vuota?»
Max non aveva idea di come facesse a sapere che fosse vuota, ma annuì alla sua proposta, chinandosi per raccogliere gli auricolari caduti nella colluttazione. Ancora una volta non le sfuggirono le occhiate dei passanti e arrossì imbarazzata, abbassando lo sguardo. Aveva qualcosa sulla faccia? O forse la biasimavano perché non stava riportando immediatamente Rachel a casa o all’ospedale?
La porta dell’aula era chiusa. La aprì  e trovò la ragazza in piedi a braccia incrociate, il piede nudo che tamburellava impaziente sul pavimento. La caviglia era arrossata e la pelle pulita, che strano.

«Finalmente» esclamò la ragazza sorridendole nervosa «Credevo che non venissi più.»
«Stavo raccogliendo le cuffiette, mi erano cadute per terra.» Le sventolò per mostrarle di aver detto la verità e le sorrise anche lei, indugiando sul posto. Cosa si diceva ad una ragazza scomparsa da mesi? Bentornata? E’ bello fare la tua conoscenza?
«Ti va di dirmi dove sei stata e cosa è successo? Sembra che tu ne abbia passate tante.»
«Non tante» mormorò abbassando lo sguardo. «Solo una, in effetti.»
Max tacque, indecisa sul da farsi. Rachel sembrava sul punto di scoppiare a piangere o di abbracciarla di nuovo, quindi decise di riprovare ancora, per andare in fondo alla faccenda. «Ti sei smarrita nel bosco?»
«No. Sono morta.»
Oh. Max sgranò gli occhi. A lei non sembrava morta.  Aveva sentito le sue lacrime sulla guancia e la forza delle sue braccia, non poteva essere morta. Camminava e parlava. Forse era pazza, disturbata, dato che ciò che diceva non aveva senso, ma non morta.
«Se ti senti morta, possiamo parlarne con qualcuno che può aiutarti. Ora che sei tornata sarà molto più semplice, vedrai.» Le sorrise con dolcezza, sperando vanamente di poterla convincere in qualche modo, ma la ragazza scosse la testa. Sorrise anche lei, ma di un sorriso talmente triste che le spezzò il cuore. Stava piangendo, e anche Max, suo malgrado, sentì le lacrime rigarle le guance.
«Non mi “sento morta” perché ho subito un trauma. Non sarà più semplice nemmeno se ne parlerò con qualcuno. Io sono morta.»

Forse aveva battuto la testa, anche se non vedeva segni. E di sicuro aveva subito più di qualche trauma. Notò che Rachel restava in piedi, dondolandosi sui talloni e asciugandosi invano le lacrime, perciò le indicò la sedia. «Devi essere stanca, vuoi sederti?»
«No, mi ci vuole troppa concentrazione per non sprofondare nella sedia.»
«Ah.»
Questo sembrava mettere fine alla conversazione. La ragazza davanti a lei rise appena e la guardò in un modo che le fece tremare le gambe. Per un istante tornò ad essere la Rachel Amber vivace di cui tutti parlavano, quella di cui tutti avevano grande nostalgia. Se fosse arrivata alla Blackwell pochi mesi prima, era certa che le sarebbe venuta a dare il benvenuto per non farla sentire un’estranea a casa propria.
«Tu non mi credi» e poi sparì.
A Max mancò il fiato per la sorpresa. Uno, due, cinque secondi, e riapparve nell’esatto punto in cui era sparita. Mosse una mano verso il tavolo e lo attraversò come un sospiro. «Adesso mi credi?»
Max arretrò fino a cadere su una sedia, lo sguardo perso nel vuoto. «Capisco perché piangi.»
«Oh, no! Non piango perché sono triste» Rachel si inginocchiò davanti a lei e prese le mani di Max fra le sue. «Piango perché sono felice. Perché ti ho incontrata.»

Max la osservò a bocca aperta. Sembrava affamata di contatto umano. Da quando l’aveva vista, non faceva altro che cercare un motivo qualsiasi per toccarla. Max non era abituata a questo genere di contatto, ma non le dispiaceva. Rachel sembrava una ragazza che fa la proposta di matrimonio all’amore della sua vita. Emanava un’aura di pura luce impalpabile, pura luce che illuminava gli occhi verdi e le labbra dischiuse in una ritrovata speranza. Max deglutì.
«Ma è tutto sbagliato, tutto sbagliato … Sento la tua pelle sulla mia, mi hai abbracciato stretta, tanto da farmi mancare il fiato …»
«E’ un talento naturale.»
«Come puoi essere morta?»
Aveva paura, aveva paura perché le credeva ma non lo accettava. Non l’aveva mai sentita respirare nemmeno una volta, nemmeno quando l’aveva abbracciata per quegli interminabili secondi.
«Mi hanno uccisa.»
«Chi ti ha ucciso?»
Rachel scosse la testa. «Ti prego, non mi abbandonare. Non lasciarmi da sola, sei l’unica persona che può vedermi, che può parlarmi, che può toccarmi …»
«Non lo farò.»
Rachel la squadrò per un istante, poi annuì come se avesse deciso di potersi fidare di lei e le sorrise. «Allora, tu sai il mio nome, ma io non conosco il tuo.»
«Max. Max Caulfield.»
«Max? Diminutivo di Maxine?»
«Regola numero uno: Max, mai Maxine.»
«Ricevuto, capo.» Rachel le fece l’occhiolino, per il qualche chiunque avrebbe fatto carte false. «Diventeremo migliori amiche, ne sono certa.»
 

Evidentemente essere migliori amiche per Rachel significava restarle appiccicata come la glassa ad una ciambella. Da quel giorno di settembre, iniziò a seguirla ovunque. Perfino in luoghi in cui avrebbe preferito mantenere la propria privacy. Un giorno, quando se la ritrovò appena fuori dalla doccia quasi scivolò sul pavimento bagnato per la sorpresa, e da allora il fantasma sembrò ridimensionare un pochino la sua presenza, che da costante divenne quasi costante. A Max piaceva veramente tanto Rachel: la trovava una compagnia esuberante e più furba della fame, inoltre la faceva sentire meno sola. Tornare alla Blackwell non aveva avuto il sapore di casa, quello che Arcadia Bay era stata per lei in un tempo remoto, ma con Rachel … con Rachel aveva iniziato a pensare di aver fatto la scelta giusta.

Rachel, dal canto suo, adorava Max. Non solo perché poteva finalmente parlare ed interagire con qualcuno, no, la adorava perché era lei. Le era bastato poco tempo per imparare a conoscerla, nonostante le rivelasse poco o niente della sua vita, perché Max era fatta così: si nascondeva sotto le spalle ricurve, osservava il mondo attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, domandosi se ne avrebbe mai veramente fatto parte. Aveva attaccato alla parete della sua stanza una serie di fotografie, tutte molto introspettive e leggermente malinconiche. Rachel si ritrovava a perdersi fra gli scatti, la testa poggiata allo stipite della porta, sentendosi trasportata in quei luoghi magici immortalati per sempre sulla carta. A volte ne riconosceva alcuni, e senza pensarci si ritrovava sulla spiaggia al tramonto o nel bosco di sera, i rumori della foresta che la circondavano. Appena accadeva Rachel tornava immediatamente da Max, terrorizzata all’idea di rimanere sola ancora una volta. Rachel viveva solo per lei. Se solo l’avesse incontrata qualche mese prima, se solo i loro destini si fossero intrecciati in anticipo … l’avrebbe trovata rosa di rabbia e quanto mai prona alla vendetta. Ma ora si sentiva svuotata da quel genere di emozioni. Ora sentiva il cuore palpitare solo per lei, la sua amica.

«Chi ti ha ucciso?» era la domanda che Max le rivolgeva più frequentemente. Rachel aveva deciso di non dirle niente di Jefferson e Nathan. Conosceva la ragazza da poco, ma era abbastanza abile da capire che se le avesse detto la verità il suo atteggiamento nei confronti dei due sarebbe cambiato, attirando su di sé la loro attenzione, e questo non era un rischio che era intenzionata a correre. Avrebbe protetto lei Max. Nessuno le avrebbe torto un capello. Si sentiva rinvigorita dalla sua presenza, più forte, tanto da riuscire a spostare gli oggetti se si concentrava davvero e Max la incoraggiava con qualche trucco da nerd che aveva visto in un anime o letto in un fumetto.
«Non importa chi mi ha ucciso, saperlo non mi riporterebbe in vita. Ma non bevi neanche un po’?» Rachel era seduta per terra di fronte a Max, anche lei sul pavimento, con la schiena poggiata sul letto dalle federe gialle. Max storse le labbra in una smorfia. «E’ vietato bere alla Blackwell.»
«Ma è una serata fra ragazze!»
«Non sviare il discorso, Rachel. Non smetterò di chiederti chi ti ha ucciso. Io ti voglio aiutare. Voglio sbatterli dietro le sbarre.»
Alzò gli occhi al cielo. «E cosa dirai alla polizia? Che il fantasma di Rachel Amber è tornato dalla terra dei morti per avvertire te, una completa estranea, che una misteriosa figura l’ha uccisa? Io potrei ancora venire a trovarti in una cella imbottita, ma la camicia di forza mi metterebbe a disagio.»
«Ah, ah. Sei molto divertente, davvero.»
«Sono anche bellissima.»
«E modesta» Max le lanciò il cuscino che le passò attraverso e rimbalzò sull’armadio, atterrando sulle sue gambe. «Oddio, che impressione, levalo!»
Rachel alzò gli occhi al cielo. Effettivamente vedere il cuscino fra le sue gambe evanescenti faceva un certo effetto. «Io non ci riesco, genio. Sei tu quella che ha una consistenza solida, ricordi?»
Max spostò il cuscino e scoppiò ridere contagiando anche Rachel. Si stiracchiò, allungando le gambe e Max osservò curiosa il drago tatuato sul polpaccio. Timidamente, allungò la mano per accarezzarle la pelle, e Rachel tremò sotto il suo tocco. Senza potersi fermare si allungò verso di lei e le si sedette accanto, poggiando la testa sulla sua spalla. Max sobbalzò, sorpresa, ma la lasciò fare. Rachel le accarezzò anche la mano, persa nella sensazione del ritrovato calore umano.
«Mi chiedo perché funzioni solo con me» mormorò Max.
«A me sembra abbastanza chiaro» rispose Rachel «Perché tu puoi vedermi.»
«Già, ma perché posso vederti? Perché io? Da quando ho questo potere?»
Rachel fece le spallucce. Era curiosa anche lei, tremendamente curiosa, ma la sua tremenda curiosità non era niente rispetto al menefreghismo che quella domanda comportava. Fintanto che Max fosse riuscita a vederla e a toccarla, la curiosità sarebbe passata in secondo piano. «Quando Dio ti fa un dono non chiedi perché, lo accetti e basta.»
Max sorrise: «Non ti facevo credente.»
Rachel invece non sorrise affatto. «Però è vero. Io non mi sono mai posta delle domande esistenziali, non me ne è mai fregato un cazzo del perché fossimo qui, l’unica cosa che mi interessava era vivere. Cazzo, se vivevo. Avevo dei piani. Avevo accettato il mio dono.»
«Il dono della vita» mormorò Max. «Sono certa che vivessi al massimo. Manchi a tutti qui.»

La ragazza dai capelli castani strinse le ginocchia al petto, affondandovi la testa. Rachel perse la presa sulle sue mani ma mantenne la testa sulla spalla. A differenza di Rachel, Max questo genere di domande se lo poneva. Non trovava risposte che la convincessero del tutto, però da quando aveva scoperto di essere in grado di vedere gli spiriti – per lo meno lo spirito di Rachel – la sua mente aveva iniziato ad aprirsi a nuove possibilità. O questo o la pazzia. Sono una novella Melinda Gordon, pensò con una punta di sarcasmo, la Melinda Gordon di Arcadia Bay. Melina Gordon aiutava i fantasmi a passare oltre, ovunque fosse, e sinceramente le sembrava una cosa corretta da fare, ma era sicura che Rachel non avesse intenzione di andare avanti. Non poteva nemmeno  tornare a vivere tanto intensamente come prima, però. E Max come viveva? Attraverso la lente dell’obiettivo, a distanza di sicurezza.

«Sono certa di mancare a tutti.» Il disprezzo nella voce di Rachel le fece alzare la testa, ma ciò che vide le fece desiderare di non averlo fatto. Si allontanò da lei istintivamente, lanciando un piccolo urlo.
La faccia di Rachel era decomposta.

Pallida come un fantasma, quasi traslucida,  le vene viola che si diramavano sul collo e sulle guance – sulla guancia. Metà del suo viso aveva ancora una parvenza di vita, della pelle abbronzata che da qualche settimana a quella parte era diventata parte integrante delle sue giornate, mentre l’altra metà sfumava nel grigio di un cadavere dimenticato, la guancia scavata e brulicante di vermi. L’occhio era coperto da una patina lattiginosa, inespressivo, immobile, le labbra strappate a morsi, i vestiti stracciati.
Si voltò verso di lei lentamente, permettendole di osservare le metà speculari del suo corpo: la sinistra – sana, splendente, amichevole – e la destra, morta, decomposta, spezzata come una bambola di porcellana gettata in uno scantinato.
Riusciva a vedere le larve bianche annidate nel costato …

«Sentono tutti la mia mancanza, eppure nessuno è venuto a cercarmi» Le parole inciampava una sull’altra, la voce distorta da quella metà del viso che non si muoveva,  tutto il rancore di Rachel che sembrava in procinto erompere come un fiume in piena. «Il mio corpo giace ancora in quella maledetta discarica dimenticata da Dio! Avvolto in un telone di plastica, sotterrato a pochi centimetri di profondità, straziato dai parassiti!»
La guardò e vide l’orrore sul viso di Max, gli occhi azzurri sgranati dal terrore, le lentiggini come spruzzi di sangue sulle guance impallidite. La rabbia fluì via, sostituita dall’autocommiserazione.
«Ogni tanto li sento, sai?» mormorò guardando in basso.
Appoggiò quel che rimaneva della mano sulla guancia brulicante di vermi quasi sovrappensiero, la voce un sussurro. «Sento i vermi che mi strappano la pelle dalle ossa. Le larve che si nutrono della mia carne, l’immobilità dei miei muscoli … A volte apro gli occhi e vedo tutto nero, sento il terreno umido sopra di me che mi riempie la bocca e striscia nei polmoni … E vorrei gridare aiuto, urlare e scappare … Ma non ce la faccio. Non c’è forza nelle mie braccia. Non c’è nessuno che possa tirarmi fuori. Sono intrappolata nel mio corpo.»
Lentamente, il suo viso tornò sano ed in salute, così com’era stato al momento della sua morte. Quando le mosche smisero di agitarsi sull’incavo del collo, Max notò un piccolo foro rosso. Puntura di un ago.
«Ti prego, non farlo mai più.»
«I miei genitori hanno smesso di cercarmi due mesi dopo che sono morta» continuò imperterrita Rachel, senza dare segno di averla udita. «Due mesi dopo la mia scomparsa. Loro non potevano sapere della mia morte, non potevano, eppure hanno smesso di cercarmi. Due mesi dopo! Solo due mesi! Quale genitore smette di cercare suo figlio dopo così poco tempo?»
Max combatté contro i brividi che le correvano lungo la schiena e si avvicinò verso il fantasma. «Mi dispiace, mi dispiace tanto.»
Rachel scoppiò in lacrime fra le sue braccia, mentre Max la stringeva forte e le accarezzava i capelli e piangeva con lei. «Se potessi riavvolgere il tempo per salvarti la vita, lo farei. Se potessi salvarti, se potessi avere quel potere, lo userei. Mi dispiace …»
«Lo so» singhiozzò Rachel. «Lo so. Raderesti una città al suolo per salvare qualcuno che ami …»
 
Era uno degli ultimi giorni di settembre e l’aria era croccante e dorata come una mela appena colta. Max osservò il cielo terso sorridendo, cercando di indovinare le forme delle nuvole, ma erano sbuffi troppo sottili per potervi trovare un’immagine soddisfacente. Rachel non era lì, e la cosa la inquietava un po’, ma non dover tenere l’auricolare nell’orecchio per parlare con lei fingendo di avere una chiamata in corso non le dispiaceva. Anche quel piccolo istante di solitudine tutto per lei non le dava fastidio. Aveva bisogno di prendersi del tempo per sé stessa, ogni tanto, ma non aveva il cuore di dirlo alla ragazza, nemmeno quando la mattina appena sveglia la ritrovava a fissarla dallo stipite della porta. «Veglio su di te» le diceva sempre, e Max ingoiava il rospo.

Kate passò accanto a lei e la salutò con un sorriso, diretta versa il dormitorio delle ragazze, e anche Max la salutò con la mano. L’occhio le cadde sulla croce che portava al collo e all’improvviso si rese conto che Kate era una cristiana credente e che sicuramente ne sapeva molto più di lei riguardo spiriti e angeli e conti in sospeso. Si sistemò la borsa e partì all’inseguimento. «Kate, aspetta!»
La ragazza si voltò sorpresa: «Posso aiutarti in qualche modo, Max?»
«Sì, ehm …» Non ci posso credere che sto per farlo «Kate, tu … tu credi ai fantasmi?»
Kate si fece piccola piccola. «Vuoi prendermi in giro?»
«No, no! Lo sai. E’ solo che tu sei molto credente e ultimamente mi sono posta queste domande e pensavo che non ci fosse persona migliore di te per rispondermi e … ehm …»
La ragazza la osservò guardinga, prima di deglutire e rispondere. «Sì, io credo negli spiriti dei defunti. Penso che siano anime tormentate intrappolate fra questo e mondo e l’aldilà.»
«Sono peccatori?»
«Siamo tutti peccatori, Max.»
«Ma si può fare qualcosa per aiutarli? O la loro anima è persa?»
Kate ci pensò un po’ prima di rispondere. «Non so darti una risposta certa. Penso che siano persone che hanno dei conti in sospeso, persone strappate alla vita prima che si compisse il loro destino. Non si possono aiutare da soli, quindi … beh …» Arrossì violentemente e lasciò cadere il discorso. Max aveva bisogno di risposte, quindi la incalzò con gentilezza. «Quindi?»
«Ti sembrerà stupido, ma … Io prego per loro. Prego per le anime smarrite e spero che Dio possa aiutarle.»
«Non mi sembra stupido per niente, Kate» mormorò Max stringendole la mano. «E per quanto riguarda le persone che possono vederli? Esistono?»
«Io credo di sì, sono persone molto speciali. Forse solo loro possono aiutarli a risolvere i loro conti in sospeso e a passare oltre.»
Max meditò su quest’ultima frase, tentando di non pensare troppo a Melinda Gordon, e annuì. «Ti ringrazio, Kate.»

Kate le chiese come mai questo improvviso interesse per la materia. «E’ che credevo di aver capito che tu non credessi a queste cose, mi chiedevo cosa ti avesse fatto cambiare idea. Ti vedo … strana, diversa in questo periodo. Non in una brutta maniera, però …»
«Capisco cosa intendi» la rassicurò la ragazza «Anche io mi sento diversa. Ultimamente … è successa una cosa che mi ha fatto dubitare di ciò in cui credevo di credere. Ha senso?»
«Sì, lo ha. Max?»
«Dimmi.»
«Pregherò per te.»
Max le sorrise. «Ti ringrazio, Kate.»
 
Quello stesso giorno rubò uno scatto particolare e lo stampò non appena tornò alla Blackwell, pregando che nessuno entrasse per vederlo. Corse in camera sua e chiuse la porta a chiave. Precauzione inutile, dato che Rachel sarebbe entrata comunque, ma Rachel era colei che la preoccupava di meno. Sedette sul letto a braccia incrociate e lo osservò per bene. Il fitto del bosco era ancora verde, e nella radura aveva immortalato un corvo appollaiato su un ramo e un cervo – forse era femmina – adagiato sugli aghi di pino, la testa poggiata sulle gambe di una ragazza. La ragazza aveva i capelli biondi e i polsi arrossati, una piuma azzurra come orecchino e la mano intenta ad accarezzare il muso dell’animale. Max non aveva idea di come fosse possibile, si sarebbe aspettata che la fotocamera digitale esplodesse o altre cazzate simili, invece no, aveva stampato Rachel come qualsiasi altro soggetto, senza alcun difetto. Ma poteva vederlo solo lei? Non voleva scoprirlo. Si domandò cosa sarebbe accaduto con la macchina fotografica istantanea che tanto desiderava, ma scacciò via il pensiero.
«Quella sono io» mormorò Rachel accanto a lei.
«Sì» rispose Max allungandole lo scatto per vederlo meglio. Rachel si contemplò in silenzio, rivedendo dopo mesi un’immagine di sé stessa. «Sono ancora una bellezza.»
«Certo che lo sei.»









NdA:
Ehilà! Non fatemi pensare che fra 4 giorni è settembre perchè mi metto a piangere. Il capitolo in teoria doveva finire molto più in là, ma sarebbe stato troppo lungo e quindi ho deciso di terminare qui, che mi sembra un ottimo punto. Perdonate eventuali errori, ho controllato molte volte ma sono certa che mi sia sfuggito qialcosa. La citazione ad inizio capitolo è tratta da Westworld, non mi ricordo quale episodio della seconda stagione. Il capitolo mi piace molto, mi sono divertita ad alternare i POV, ma non sono completamente sicura di aver centrato bene il carattere di Max e di averla resa IC. Mi sono resa conto che mi risulta più semplice muovere Chloe e Rachel, ma spero di aver fatto un buon lavoro. Come al solito, il capitolo è dedicato alla mia Sensie, con la quale faccio intense sedute di brainstorming dalle quali poi mi discosto sempre ahaha
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!
Feniah <3
EDIT: 02/03/2022
   
 
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