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Autore: Alley    28/08/2018    5 recensioni
[a Charlie]
“Jack.”
Il bambino – Jack - si volta verso il punto da cui la voce è provenuta. Dean guarda nella stessa direzione, scorgendo un uomo con indosso un vecchio trench appena troppo grande per la sua taglia. Se non fosse stato per la familiarità con cui Jack ha risposto al richiamo, Dean lo avrebbe detto più un maniaco che un genitore.
(Un maniaco terribilmente sexy ma, ehi, i maniaci dovranno pur avere i loro trucchi per adescare gente.)

[baby!Jack]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Le foglie si staccano dai rami rinsecchiti e svolazzano sospinte dalla brezza autunnale, tracciando nell’aria scie e vortici d’oro; dopo, cadono a puntellare il terreno e finiscono a scricchiolare sotto le suole dei passanti.

Dean ne schiaccia una manciata quando accosta accanto alla solita panchina. Si siede, e abbraccia con lo sguardo la fetta di parco che si estende davanti ai suoi occhi. Lo sorprende, l’immutabilità di quel luogo: sono passati anni da quando ha preso a frequentarlo, eppure, giurerebbe che i bambini assiepati nell’area giochi e le vecchiette intente a dar da mangiare alle anatre lungo le sponde del laghetto siano gli stessi di allora.

Sam ha superato l’età delle giostrine da un bel po’, ma Dean continua a tornare lì.

Il fatto è che quel posto ha uno strano ascendente su di lui. Strano, ma bello. I ricordi lo avvolgono come una coperta calda ogni volta che ci mette piede e, di solito, le memorie della sua infanzia non sortiscono un effetto così positivo. Non lo ammetterebbe mai, ma gli piace quella sensazione. Lo fa sentire protetto; al sicuro.

E poi, non ha molto altro da fare la Domenica, quando l’officina di Bobby è chiusa ed è ancora troppo presto per andare a bazzicare in un bar o per piombare a casa di Charlie ed improvvisare una delle loro serate nerd.

In fondo, l’importante è che Sam non lo sappia. La sua sfavillante carriera di avvocato lo tiene occupato abbastanza da scongiurare incontri casuali che porterebbero a galla lo sporco segreto di Dean e lui non ha certo intenzione di raccontargli delle sue escursioni da nostalgico, pertanto, la situazione è sotto controllo.

D’improvviso, l’immagine di un bambino – non deve avere più di tre o quattro anni - abbatte la cortina formata dai suoi pensieri. Ha un Nougat in mano e si guarda intorno con l’aria smarrita di chi ha perso i suoi adulti di riferimento.

Dean si alza per andargli incontro. “Ehi, campione, che fai tutto solo?” gli chiede, chinandosi alla sua altezza. In risposta, lui si limita a guardarlo con due occhi enormi e sperduti.

“Jack.”

Il bambino – Jack - si volta verso il punto da cui la voce è provenuta. Dean guarda nella stessa direzione, scorgendo un uomo con indosso un vecchio trench appena troppo grande per la sua taglia. Se non fosse stato per la familiarità con cui Jack ha risposto al richiamo, Dean lo avrebbe detto più un maniaco che un genitore.

(Un maniaco terribilmente sexy ma, ehi, i maniaci dovranno pur avere i loro trucchi per adescare gente.)

L’uomo si china per prendere il figlio tra le braccia e Dean arretra di riflesso. “Jack” ripete, la voce gonfia di sollievo. “Quante volte ti ho detto di non allontanarti? Potresti fare brutti incontri.”

Jack arpiona le dita al bordo dell’impermeabile, un accenno di broncio dipinto sulla bocca. Dean se ne sta ad osservare lui ed il nuovo arrivato tenendosi a distanza. “Spero di non essere così male” dice e, soltanto in quel momento, l’uomo alza gli occhi ad incontrare i suoi.

*

Solo in quel momento, Castiel solleva lo sguardo sul volto dello sconosciuto che se ne stava accovacciato accanto a Jack fino ad un attimo prima; ne incontra la bocca piena, gli occhi tinti di un verde brillante, le lentiggini spruzzate in abbondanza sulle guance. “No” dice di getto. “Affatto” aggiunge, e si affretta a schiarirsi la voce per scacciar via la patina di imbarazzo caduta a ricoprirla. “Voglio dire, non intendevo---”

“Jack.” L’arrivo di Kelly gli risparmia l’incombenza di dover dare un senso alle sua parole. “Eccoti.”

Kelly rilascia una carezza sulla testa di Jack, sollevata, poi si rivolge all’uomo. “Spero che non l’abbia disturbata. È un bambino tranquillo, ma a volte sembra il figlio del diavolo.”

Lo sconosciuto sorride con aria affabile. Curiosamente, Castiel ha un calo di pressione in quell’esatto momento – non si spiega l’improvviso giramento di testa, altrimenti. “Tutto a posto.”

“Bene” dice Kelly, ricambiando il sorriso. “Le auguro buona giornata. Jack, sii educato: saluta.”

Jack apre la bocca sporca di cioccolato per assecondare la richiesta: “Tao” dice con voce impastata.

“Ciao, campione.”

L’uomo si dirige verso le panchine. Castiel ne insegue la sagoma fino a quando un paio di dita non schiocca rumorosamente davanti ai suoi occhi. “Terra chiama Castiel.”

Solo allora, si decidere a muovere un passo verso l’area giochi. “Uh, sì, andiamo.”

*

“Sembra l’inizio di una di quelle commedie romantiche tutte cliché che ti piacciono tanto.”

“Non mi piacciono le commedie romantiche.” Pur non avendola davanti, Dean può praticamente vedere Charlie che fa schizzare le sopracciglia verso l’alto – okay, conosce le battute di Se scappi ti sposo e Notting Hill a memoria, ma non significa nulla. Quella è pura cultura cinematografica. “Non per rovinarti la sceneggiatura, ma a quel punto è arrivata la moglie.”

Sorprendentemente, riesce a non suonare deluso come si è sentito vedendo la donna spuntare alle spalle del maniaco sexy che, a quanto pare, è un padre di famiglia sexy.

O, almeno, crede di esserci riuscito.

“Rovinare? Procede tutto secondo i piani. Probabilmente, la poverina non sa nemmeno che il marito è gay e che quello che crede un matrimonio felice è soltanto una copertura a uso e consumo di familiari e benpensanti. Sarà un brutto colpo quando tornerà in anticipo da lavoro e lo troverà con l’uccello infilato nel tuo cu---”

“Okay” la ferma Dean. Non ha assolutamente l’immagine stampata nel cervello e non ha nemmeno intenzione di rivangarla mentre si masturba. Ci sono le ragazze cinesi del porno che ha scaricato, per quello. O Dottor Sexy. “Ti lascio al tuo copione. Sono sicuro che ne uscirà un film fantastico.”

“Di sicuro un’ottima fan fiction.”

“Buonanotte, Charlie.”

“’notte.”

*

“Credevo si usassero i cani, più che i bambini.”

Castiel incastra un altro pezzo sulla sommità della torre, rendendola un po’ più alta e un po’ più traballante. “Per fare cosa?” domanda distrattamente.

Con la coda dell’occhio, intravede il ghigno che Kelly sfodera in risposta. “Per abbordare.”

A quel punto, alza lo sguardo. “Kelly” la ammonisce. In tutta risposta, lei non smette di sorridere.

Jack reclama la sua attenzione sventolandogli una costruzione rossa davanti agli occhi. Castiel la afferra e la unisce alle altre, rafforzando il piccolo fortino di plastica nel quale sono nascosti soldatini e animali in miniatura.

“Cosa? Non ti piace? Dico, lo hai visto?”

Castiel lo ha visto benissimo, ma non intende stare a quel gioco. Quando si è azzardato a definire Balthazar simpatico, si è ritrovato immischiato in un appuntamento combinato prim’ancora di avere il tempo di spiccicare una sillaba. “Non conosco nemmeno il suo nome.”

“Glielo chiederai la prossima volta che lo incontreremo.”

“Non ci sarà una prossima volta.”

Non lo rivedranno e lui potrà dimenticarsi di tutte quelle lentiggini.

Castiel ne è certo.

*

Quando è abbastanza vicino all’area giochi da poter identificare i bambini che si avvicendano sulle giostrine, Castiel aguzza la vista alla ricerca di Jack: non lo trova.

La perlustrazione della zona adiacente ha lo stesso esito.

Lui e Kelly devono essere in ritardo.

Così, si mette ad aspettare. I raggi del sole cadono sul parco come una cascata di frecce dorate, carezzandogli piacevolmente il viso. Se non fosse per gli alberi spogli e il tappeto di foglie che riveste il terreno, non sembrerebbe un giorno d’Autunno.

“Ehi.” La voce che risuona alle sue spalle risulta stranamente familiare. Castiel non dovrebbe riuscire a riconoscerla così facilmente, eppure, è certo di sapere a chi appartiene come lo è del fatto che la Terra gira attorno al sole. “Sei tu ad esserti perso stavolta?”

Si volta, e il viso dell’uomo che ha raccattato Jack la settimana prima rientra nel suo campo visivo. È seduto su una panchina. La distesa di luce che lo investe rende i suoi occhi simili a zaffiri.

“No” risponde Castiel di getto “Stavo solo---”

La bocca dell’uomo si piega in un sorriso; disegna una curva morbida, del tutto priva di scherno, e Castiel si ritrova involontariamente a percorrerla con lo sguardo. “Era una battuta.”

Castiel cerca di nascondere l’imbarazzo dietro un’espressione neutrale. Kelly gli ha sempre detto che ha il senso dell’umorismo di un marziano. Le sue abilità sociali non sono mai state il massimo, in effetti.

“Posso sedermi?” chiede con cortesia.

L’uomo accoglie la richiesta stringendosi nelle spalle. “La panchina è pubblica.”

Castiel prende posto, attento a mettere una certa distanza tra il suo corpo e quello dell’altro. Nessuno dei due dice nulla. Solitamente Castiel è a suo agio con il silenzio, eppure, in quel momento, vorrebbe tanto avere degli argomenti con cui dissiparlo.

Per sua fortuna, non si rivela necessario. “Solo?”

“Kelly e Jack non sono ancora arrivati.” Castiel esita per un momento prima di azzardare la domanda. “Tu aspetti qualcuno?”

“Oh, no.” Lo dice come se Castiel avesse avanzato l’ipotesi più improbabile di questo mondo. “È da anni che vengo qui da solo.”

In qualche modo, Castiel sente che la risposta cela una storia non esattamente piacevole. Spera di non averlo indotto a rimestare un brutto ricordo.

Per rimediare, si affretta a riprendere la conversazione.

“Quindi è da molto che ci vieni.”

“Da quando ero ragazzino.” Castiel cede alla tentazione di voltarsi a incontrare il suo profilo; l’uomo ha gli occhi fissi sul laghetto, pertanto, può concedersi di scandagliarlo ancora per qualche attimo. “La vedi quella?” Il cenno è rivolto ad un’anziana signora piccola e curva, intenta a seminare spizzichi di pane che hanno appena il tempo di toccare terra prima di venire divorati dalle anatre. “È qui da sempre. Ed è sempre stata così vecchia.”

“Beh, questo non è---” Castiel si ferma, soppesando la considerazione. “Non dicevi sul serio.”

In risposta, riceve un altro sorriso appena abbozzato. “Esatto.”

Mentre la bocca dell’uomo torna a distendersi, Castiel sente il cellulare vibrare nella tasca in cui lo tiene riposto.

Scusa il ritardo. Jack si è rovesciato addosso l’omogeneizzato.
Siamo appena arrivati.


Sei andato a caccia?

Castiel chiude la chat, fingendo di non vedere l’emoticon ammiccante che suggella l’ultimo messaggio. “Kelly sta arrivando” dice, più per distrarsi che per reale bisogno di elargire l’informazione.

L’uomo fa un cenno di assenso e si allunga nella sua direzione. “Dean” si presenta, porgendogli la mano.

Castiel resta a guardarla per un tempo più lungo del necessario prima di stringerla. “Io sono---”

“Cas!”

Le loro teste scattano in simultanea, la stretta di mano che sfuma in un gesto lasciato a metà. “Ciao, Jack. Kelly.”

Castiel si alza, e Kelly approfitta del momento in cui la sua sagoma va a coprire quella di Dean per rivolgergli un’espressione sorniona. “Salve” dice, un barlume di sorriso sulla bocca che si affretta a far svanire. “Perdonate l’interruzione.”

“Facevamo solo quattro chiacchiere.”

Nel frattempo, la mano di Jack prende a sventolare in direzione di Dean. “Tao.”

Lui ricambia il saluto imitando il gesto. “Ciao, campione.”

*

“Potevi dirmelo che stavi flirtando.”

“Non stavo flirtando.”

Kelly aiuta Jack ad arrampicarsi sul divano e lo fa sistemare tra lei e Castiel. La smentita non sembra averla raggiunta. “Quando ti ho scritto, non credevo che fossi andato davvero a caccia.”

“Ci siamo incontrati per caso.”

“Cosa che, stando alle tue parole, non sarebbe mai potuta accadere.” Così dicendo, Kelly gli porge il sacchetto di marshmallow che è impegnata a ingurgitare. Seppellito nei cuscini, Jack segue la traiettoria del gesto con estremo interesse. “Sembra di essere tornati indietro nel tempo: schifezze, gossip sulle nostre cotte…”

“Sulle tue cotte, vorrai dire.”

“Ti avrei ascoltato, se ne avessi avuta una. Non è colpa mia se i tuoi gusti sono sempre stati impossibili.” Kelly tira fuori un marshmallow, lo divide in due e porge il pezzo più piccolo a Jack. “Mastica bene, tesoro.”

In effetti ai tempi della scuola Castiel non ha avuto una vita sentimentale particolarmente piena. Non che le occasioni gli siano mancate; Meg era simpatica ed Hanna estremamente gentile, ma, anche se allora non aveva ancora chiaro che le ragazze non avevano speranza di piacergli in quanto, appunto, ragazze, Castiel aveva saputo per certo di non provare nei loro confronti lo stesso tipo di interesse che loro nutrivano nei suoi.
Dopo, le cose non sono cambiate poi tanto. Ha avuto le sue esperienze, certo, ma nulla che assomigliasse ad una storia vera e propria. Nulla che meriti di essere ricordato.

Kelly aveva sperato che Balthazar potesse essere quello giusto, ma, a dispetto dell’impegno messo da lei nel combinar loro un appuntamento, la cosa non è andata in porto.

Castiel non è contrario all’idea di trovare qualcuno. Solo, non vuole che diventi un’ossessione né è disposto a farsi andar bene chiunque pur di avere un partner accanto.

Non ha gusti impossibili: semplicemente, non ha ancora trovato una persona che ne valesse la pena.

“Sapevo che i ruoli si sarebbero invertiti, prima o poi.”

Fino ad ora.

*

Dean è immerso nella home del suo profilo Facebook quando avverte una pressione improvvisa all’altezza del ginocchio. Alzando la testa, ne individua la fonte: due piccole mani poggiate l’una sull’altra a premere in quell’esatto punto.

“Mi pingi?”

Dean sposta lo sguardo e adocchia il seggiolino vuoto che oscilla pigramente all’interno dell’area giochi. “Mi pingi?” chiede di nuovo Jack e, questa volta, stacca una mano dalla sua gamba per accompagnare la domanda con un gesto rivolto proprio all’altalena alle sue spalle.

“Certo” acconsente Dean, alzandosi. “Sono bravissimo a spingere i bambini.”

*

Appena svoltano nella zona dove è situata l’area giochi, Jack sfreccia verso la panchina su cui Dean era seduto la settimana prima.

E dove è seduto anche adesso.

A quanto pare, era proprio lui il bersaglio di Jack: gli si è piazzato davanti e, ottenuta la sua attenzione, gli ha indicato l’area giochi.

Castiel non sa se ritenere tutta quella situazione una fortuna o una sfortuna.

Lui e Kelly sono giunti in prossimità della panchina quando Dean si alza in piedi, dicendo a Jack qualcosa che Castiel non riesce ad afferrare. Dopo, solleva il capo e li accoglie con un cenno di saluto.

Ha addirittura più lentiggini di quante Castiel ne ricordasse.

Fortuna.

“Non vuoi proprio smetterla di dar fastidio a…”

Per essere una che ha passato l’intera settimana provando a rintracciarlo su qualsiasi social esistente solo sulla base del suo nome, Kelly finge di non conoscerlo in maniera piuttosto convincente.

“Dean. Non c’è problema: vorrei che tutti mi infastidissero chiedendo semplicemente di esser spinti su una giostra.”

“Non si diverte quando è Castiel a farlo. Dice che è troppo lento” replica Kelly con zelo. “Kelly. Piacere.”

“Lo dice anche di te.”

“Sono una madre: ho la prudenza nel DNA.”

“Beh, se non rientro più nel novero dei brutti incontri…” Dean lascia la battuta in sospeso per un momento, giusto il tempo di occhieggiare Castiel. Lui si ritrova ancora con quella sensazione di vertigine addosso - sfortuna. “…lo faccio volentieri.”

“Tì!”

“Non ce n’è bisogno. Possiamo---”

“Fantastico!”

Mentre Dean avanza verso l’area giochi guidato da Jack, Castiel trattiene Kelly per un braccio affinché rallenti. “Kelly” bisbiglia con durezza, tenendo la voce abbastanza bassa da far sì che lei sia l’unica a udirlo.

In tutta risposta, Kelly scrolla le spalle con innocenza. “Tre contro uno: hai perso.”

 
*

Dean tiene il cellulare infilato nell’incavo tra collo e spalla in modo da poter disporre delle mani. Toglie l’hamburger dalla padella facendolo scivolare direttamente sul pane e poi lo ricopre con un’abbondante porzione di patatine, prima di sigillare il tutto con l’altra fetta del panino.

Dall’altra parte del telefono, Charlie va avanti con l’interrogatorio. “Indossano la fede?”

“No” risponde Dean prontamente, spostando il piatto dalla cucina alla tavola.

“Lo hai notato.”

Non l’ha fatto intenzionalmente. Lo sguardo gli è scivolato sull’anulare di Castiel in modo assolutamente casuale e poi, sempre per puro caso, anche su quello di Kelly. Tutto qui.

“Forse eri assente alla lezione sulla riproduzione, Charlie, ma il matrimonio non è un prerequisito indispensabile per fare figli.”

“Forse eri assente alla lezione sui rapporti interpersonali, Dean, ma un uomo e una donna con un qualche tipo di legame affettivo non devono per forza aver procreato.”

Dean si siede e farcisce il panino con una quantità di ketchup e maionese di cui basterebbe la metà per far rabbrividire Sam. È una fortuna che lui non sia lì a fare l’avvocato difensore del suo fegato.

“Quindi, vista la tua convinzione, la prossima settimana ti guarderai bene dall’averci a che fare. Giusto?”

Dean solleva il panino per portarselo alla bocca. Se ha avuto a che fare con Castiel e la sua famiglia è stato soltanto perché il figlio lo ha interpellato; non ha preso l’iniziativa e non ha in programma di prenderla in futuro. Ammesso che ci sarà un futuro in cui avrà l’opportunità di farlo.

“Non si dice di no ad un bambino” risponde semplicemente, addentando il primo morso.

*

La Domenica successiva va in scena lo stesso identico copione. Anche questa volta Kelly recita benissimo la propria parte.

“Se non ne hai voglia---”

“Sono qui apposta.”

Quando scorge il sorriso che Kelly gli rivolge di soppiatto, Castiel non ha idea di quante volte ancora lo vedrà andare in scena.
 
*
 
Jack giochicchia con la cravatta di Castiel, facendone strusciare il tessuto contro quello della camicia. Lo fa ogni volta che Castiel lo tiene in braccio.

L’assenza delle fedi è stato solo il primo della lunga lista di particolari che Dean ha incamerato nel corso di quelle settimane. A dispetto delle insinuazioni di Charlie, non ha fatto assolutamente nulla per far sì che quel primo episodio si trasformasse in una consuetudine: semplicemente, Jack lo ha avvicinato anche la Domenica dopo e quella dopo ancora e, alla fine, il giro sull’altalena e le chiacchiere annesse sono divenute una routine a cadenza settimanale.

Certo, non ha fatto nulla nemmeno per evitarlo e sì, forse sarebbe bastato andare a sedersi da qualche altra parte, ma non interferire con il corso degli eventi non è una colpa.

Sono tante, le cose che ha appreso di loro: ha imparato che un'ape è capace di far scappare Kelly a gambe levate e di attirare Castiel come la luce fa con le falene; che il classico Disney preferito di Jack è Il re leone; che Castiel è appassionato di documentari e ne propina a Jack anche se Kelly sostiene che lui sia troppo piccolo per poterli apprezzare.

("Non darle retta. Quello sui pinguini gli è piaciuto da morire.")

“Giù!” ordina Jack.

Castiel obbedisce e si china fino a fargli toccare terra con i piedi. Quando si risolleva, la cravatta è ancora pendente verso destra.

A quel punto, Dean agisce mosso dall’istinto; realizza d’essersi sporto a raddrizzarla soltanto quando le sue dita sono già strette attorno al nodo.

Ritrarsi di scatto lo farebbe sembrare un perfetto idiota più di portare a termine il lavoro, quindi, sommerso dalla vergogna, procede ad aggiustarne la posizione; sistema la cravatta in modo che caschi esattamente sopra la striscia di bottoni.

Se Castiel è infastidito, non lo dà a vedere. “Grazie” dice gentilmente.

Dean spende un ultimo momento a fissare la propria mano agganciata alla stoffa prima di ritirarla. “Uh, figurati.”

“Cas!” Soltanto allora Dean si accorge che Jack è letteralmente aggrappato all’estremità del trench. “Cas!” lo chiama ancora Jack, strascinando il suo nome in un lamento, le piccole dita che strattonano l’impermeabile con forza. “Civolo!”

È Kelly a staccarlo via. “Vieni, tesoro, ti accompagno io” gli dice, poi si rivolge a Dean. “Perdonalo: non è abituato a dividere le attenzioni di Castiel con qualcun altro.”

Non ha l’aria di una frecciatina, eppure, Dean avverte uno sgradevole senso di disagio attanagliarlo.

*

Alle spalle della piccola figura di Jack, Dean vede avanzare Kelly e Castiel l’uno accanto all’altra. Come per un riflesso condizionato, il suo sguardo scorre verso il basso e si ferma all’altezza delle loro mani: non sono incrociate.

Non li ha mai visti mano nella mano né in atteggiamenti intimi d’altro tipo.

Appurarlo gli fa provare una punta di sollievo di cui va tutt’altro che fiero.

“Tao Dean!”

“Ciao, campione.” Dean infila una mano nella tasca della giacca, sgomberando la mente da pensieri inopportuni, e si inginocchia davanti a Jack per portarsi alla sua altezza. “Ho una cosa per te.”

Così dicendo, sfodera il modellino della Chevy Impala e glielo porge. Jack lo afferra e lo studia con la curiosità e l’applicazione proprie dei bambini. Un attimo, e la sua bocca si apre in un sorriso pieno ed entusiasta.

“Com’è che si dice?” lo sprona Kelly. In risposta, Jack solleva lo sguardo su Dean. “Azie!” gli dice, poi corre a giocare con l’automobilina e Kelly lo segue.

“Sembra che il regalo gli sia piaciuto” osserva Castiel.

“È un buongustaio” commenta Dean soddisfatto “È una miniatura della mia auto.”

“Non me ne intendo molto, ma sembra un bel modello.”

“Non è semplicemente bello, Cas, è magnifico. Ti farò fare un giro, un giorno.” Naturalmente, Dean si accorge di quanto sbagliata suoni l’affermazione soltanto quando è troppo tardi per rettificare. “A te e a Jack, intendo. E anche a Kelly, se le va di venire.”

Dal canto suo, Castiel non pare averla recepita negativamente. “Sono sicuro che le piacerebbe.”

*

Castiel issa Jack sul seggiolino e Dean si posiziona alle sue spalle; aspetta che Jack si aggrappi alle due corde che pendono dall’alto della costruzione in metallo, poi fa aderire le mani alla sua schiena e comincia a spingere.

Ormai è un meccanismo collaudato. Dean non sa fino a che punto sia giusto: è un intruso, in quel quadro, ma la verità è che gli piace troppo farne parte per approfondire quel pensiero e trarne le dovute conclusioni.

“Più fotte!”

“Vuoi approfittare del fatto che la mamma non è qui a guardare, eh?”

Dean mette più forza nelle braccia per aumentare la velocità. Quando il sediolino schizza verso l’alto, la risata di Jack si leva allegra e fragorosa.

Castiel è poggiato al pilone laterale dell'impalcatura. Dean sente il suo sguardo su di sè come fosse qualcosa di fisico, con un suo peso ed una propria consistenza.

“Okay, Jack. Ti sei divertito abbastanza.”

Castiel si avvicina al seggiolino in movimento per aiutarlo a scendere; in tutta risposta, i pugni di Jack si serrano attorno alle funi. “No.”

“Avanti: ci sono un sacco di bambini che aspettano.”

Jack resta immobile e la sua bocca si storce in un piccolo broncio. A quel punto, Dean si fa avanti.

“Se accetti di scendere, ti dirò un segreto.”

Jack si sforza di rimanere impassibile, ma la luce che scintilla nei suoi occhi tradisce l’interesse suscitatogli dalla proposta. “Che tegreto?”

Dean fa precedere la rivelazione da un silenzio strategico. “Caccio i mostri. Insieme a mio fratello Sam.”

“Che mottri?”

“Di tutti i tipi: vampiri, streghe, fantasmi e---” Dean fa una pausa e ricorre al tono più teatrale del suo repertorio d’attore improvvisato. “—demoni.”

Il cipiglio di Jack si fa ancora più profondo. “Mamma dice che i mottri non etittono.”

“Li uccidiamo prima che possano svelarsi alle persone e far loro del male” spiega Dean, strizzando l’occhio in un gesto complice. Adesso, Jack è genuinamente impressionato.

“Non hai paura?”

“Sono i mostri ad aver paura di me.” A quel punto Jack allunga le braccia in cerca di un appoggio; Dean gli porge le mani e lui le stringe, saltando giù dalla giostra. “Non dirlo a nessuno, okay?”

“Neanche alla mamma?”

Dean mette su un’espressione pensosa assolutamente studiata. “Se proprio vuoi” gli concede alla fine. “Ma dille di tenere il segreto.”

Jack corre in direzione di Kelly, ansioso di condividere con lei la mirabolante scoperta. Il seggiolino vuoto viene immediatamente occupato da uno dei bambini assiepati nell’area. Dean e Castiel raggiungono l’esterno e camminano lungo la recinzione che delimita le giostre.

“Sei bravo con i bambini.”

“Sam mi ha dato modo di fare pratica. Lui è la parte vera della storia.”

“Vuoi dire che non cacci mostri?” Dean sbuffa una risata e Castiel lo imita, piccole rughe d’espressione che si annidano attorno al bordo dei suoi occhi. Dean resta a fissarle fino a quando il viso di Castiel non torna a distendersi. “Lo stesso io con Gabriel.”

“Fratello maggiore?”

“Uno dei tre. Siamo io, Gabe, Michael e Rapahel. Le cose non sono mai andate particolarmente bene, con gli altri due. Ero troppo…indisciplinato, per i loro standard.”

“Indisciplinato?” ripete Dean stupito “Non ti facevo il ribelle della famiglia.”

“Non è quello che il mio aspetto suggerisce, in effetti.”

Non lo è: la tenuta formata da trench, camicia e cravatta gli conferisce un aspetto pacato e ordinario. Scartata l’ipotesi maniaco, Dean ha cominciato ad associarla a quella di un esattore delle tasse.

Sexy anche lui, naturalmente.

“Beh, acqua cheta rompe i ponti.” 

*

Kelly raccatta gli oggetti sparsi sul tavolo e li getta nella borsa, poi se la infila in spalla. “Devo andare” dice frettolosamente, destreggiandosi su due tacchi vertiginosi con un equilibrio che Castiel trova surreale. “Mi hanno anticipato il colloquio.”

“A Domenica?”

“Il datore ha il coltello dalla parte del manico.”

“Ma---”

Kelly si ferma al centro della stanza e incrocia le braccia sotto al seno. “Cas” dice, con tutta la serietà di cui è capace. “Vuoi davvero che perda quest’opportunità? Che non abbia i soldi per mandare Jack in una scuola come si deve? Per vaccinarlo? Per---”

“In bocca al lupo.”

Kelly sorride soddisfatta e corre a scoccargli un bacio sulla guancia. “Divertitevi.”

Castiel la vede percorrere l’ingresso e sparire oltre la porta, poi abbassa lo sguardo ad incontrare quello di Jack aggrappato alla rete del box. “Lo faremo.”

*

Jack corre lungo le sponde del laghetto, battendo forte i piedi sul terreno fangoso. Le anatre, spaventate, si allontanano dalla riva e cercano rifugio in acqua.

Sono stati soltanto loro tre quel giorno. Kelly, occupata con un colloquio, ha fatto sapere a Castiel che sarebbe stata trattenuta oltre l’orario di pranzo; a quel punto, Dean gli ha proposto di prendere una cosa insieme.

Anche con Sam lo faceva, qualche volta; i bei tempi in cui suo fratello si faceva rifilare il cibo spazzatura dei camioncini appostati all’ingresso senza attaccare con la propaganda salutista che ha sposato più avanti.

“Jack, lasciale in pace.”

Dean si appoggia allo steccato che contorna il perimetro del laghetto, la luce calda del pomeriggio che fa risplendere le increspature lungo la superficie dell’acqua. “Ti preoccupi per le anatre.”

“Mi preoccupo per tutti gli esseri viventi. Bisogna insegnare ai bambini a rispettarli” dice Castiel convinto. Poi, d’un tratto, appare più incerto. “Pensi sia una cosa stupida?”

“No” risponde Dean sincero. “Penso sia una cosa…” si ferma, alla ricerca dell’aggettivo giusto. Non ne trova alcuno in grado di rendere giustizia al concetto. “…da te.”

“Suo marito ha ragione: non è affatto una cosa stupida. Dovrebbero essercene di più, di genitori come lei.”

Dean sarebbe pronto a giurare che la vecchietta è spuntata fuori dal nulla. Dev’essere un fottuto ninja travestito da nonna. “No, signora, non sono suo---”

“Prendi, tesoro.” La vecchia lo ignora e porge a Jack il sacchetto di cui è puntualmente munita. “Dagli da mangiare.” Lui infila la mano al suo interno e tira fuori una manciata di spizzichi di pane, poi, la donna lo offre a loro due. “Prendete.”

Castiel si china accanto a Jack con la sua dose di mangime. Quando un’anatra fuoriesce dall’acqua attratta dall’offerta di cibo, Jack diventa titubante. Con la mano libera, Castiel gli stringe un fianco per rassicurarlo. Nel frattempo, la vecchia si posiziona a lato di Dean, a osservare la scena dalla sua stessa angolazione.

“Vi vedo tutti i giorni, alle altalene. Siete proprio una bella famigliola.”

Jack stringe gli occhi, sporgendosi con cautela, e l’animale scatta in avanti per catturare il pezzetto di pane nel proprio becco. Quando si rituffa in acqua, Jack scoppia a ridere. Castiel gli stampa un bacio sulla guancia, e ride con lui.

Dean avverte un peso simile a quello di un sacco di macigni schiacciargli lo stomaco. “Già.”

*

Dean ingolla l’ennesimo sorso di birra; non è abbastanza lucido per molte cose, al momento, ma, per fortuna, selezionare il numero di Charlie in rubrica non è tra queste. “Che cazzo sto facendo?” le chiede, senza saluti né preamboli.

“Bevendo troppo, a giudicare dalla voce.”

Dean non può di certo definirsi un puritano, ma ha i suoi principi. Certo, tutte le volte che si è appartato nel bagno di un locale per una sveltina non si è preoccupato di fare accertamenti sullo stato civile dell’altra persona, ma stavolta è diverso: Castiel è impegnato e lui lo sa. Ha una famiglia, porca puttana, e lui non ha alcun diritto di minarne la serenità per via della sua cotta da adolescente.

Perché è di quello che si tratta: una stupida cotta.

Era facile convincersene, all’inizio, quando il sentimento si manifestava attraverso la smania che arrivasse Domenica, simile a quella che provava quando attendeva l’intervallo per incrociare Lisa nei corridoi. Lo è meno adesso che Castiel è familiarità e parole gentili e il senso di pace e libertà che lo pervade durante il tempo trascorso insieme a lui, ma ammetterlo significherebbe perdere definitivamente la testa ed è l’ultima cosa di cui ha bisogno al momento.

“Devo smetterla.”

“Il tuo fegato sarebbe d’accordo.”

“Devo smetterla di pensare a lui. Ha un figlio, Cristo, un figlio. Faccio già abbastanza schifo senza fare il rovinafamiglie.”

“Dean, posa quella bottiglia” dice Charlie; la sua voce è un rimprovero e una carezza insieme. “Fai schifo solo perché conservi i cheeseburger sotto al letto per tre giorni. Per nessun altro motivo." Oltre lo strato di intontimento causato dall’alcol, Dean avverte un vago senso di sollievo alleggerirlo. Charlie è sempre riuscita a sortire quell’effetto. “Va’ a dormire.”

“L’ultima volta che l’ho fatto ho sognato Castiel che mi scopava.”

“Spero che tu non sia così ubriaco da dimenticare quello che stai dicendo.” Tra le cose che non è abbastanza lucido per fare c’era il riflettere sui possibili effetti collaterali del tenere quella conversazione con Charlie in uno stato simile. Avrà modo di farci i conti quando sarà sobrio. “Smettila di bere e mettiti a letto.”

Dean ripone la bottiglia ai piedi del letto e obbedisce.

Il sonno lo prende prim’ancora che abbia il tempo di riattaccare.

*

“Dormito poco stanotte?”

Dean distoglie lo sguardo nel tentativo di prendere tempo. Sarebbe stato meglio farsi venire quella cazzo di crisi esistenziale in un momento della settimana che non fosse il Sabato sera; lo aveva già realizzato quella mattina, adocchiando i cerchi scuri che gli bordavano gli occhi nel riflesso offerto dallo specchio.

Per fortuna, non è tenuto a condividere con Castiel i particolari di una notte passata tra paturnie e conati di vomito.

“Un’auto non mi ha dato tregua. Non riuscivo a capire che accidenti avesse che non andava. A volte è difficile stare dietro ai motori.” Proprio in quel momento, Dean cattura l’immagine di Jack intento a mangiare il gelato sulla panchina di fronte. “Non quanto deve esserlo stare dietro ad un figlio, naturalmente.”

L’attimo di silenzio che si consuma è stranamente denso. Per qualche motivo, Dean coglie al suo interno l’eco di un pessimo presagio.

“Dean.” La perplessità che Castiel riversa nel suo nome non fa che alimentare il brutto presentimento. “Jack non è mio figlio.”

Oh.

“Io credevo---” Credevo un’emerita cazzata che è decisamente meglio non ripetere. “Quindi, uh, Kelly lo ha avuto prima che vi metteste insieme?”

Castiel aggrotta la fronte, il cipiglio spaventosamente simile a quello sfoggiato da Jack quando Dean gli ha rifilato la storia dei cacciatori e dei mostri. “Non stiamo insieme.”

“Capisco” replica Dean in automatico, il cervello impegnato a processore le informazioni appena ricevute “Voi vi, uh, somigliate. Parecchio. Sei sicuro che non sia tuo figlio?” Troppo impegnato per occuparsi della connessione con la bocca, evidentemente. “Che accidenti dico, certo che sei sicuro. Lo sapresti, se avessi un figlio. Insomma, al giorno d’oggi, è facile sapere se un figlio è tuo oppure---”

“Se è un modo per chiedere se io e Kelly abbiamo dei trascorsi sessuali---”

“Cos---? No! Non è un modo per---”

“---la risposta è no” conclude Castiel. “La conosco dai tempi del liceo e non è mai stata più di un’amica. È come una sorella, per me. E, in ogni caso, non ha i, uh, requisiti per interessarmi in quel senso.”


Oh.

La voce di Charlie prende a sussurrargli all’orecchio nel tono saputo a cui fa ricorso quando si scopre dalla parte della ragione.

Dean la zittisce: è perfettamente in grado di darsi del coglione da solo.

*

Ora, la voce di Charlie non è confinata tra le pareti della sua testa.

“Ti avevo detto che era gay.”

“Charlie, per favore.”

“Preferisci che ti dica quanto sia stato stupido da parte tua saltare alle conclusioni in maniera così azzardata?” Dean ingoia un sospiro e incassa il colpo: non può dire di non esserselo meritato. “Immagino che te ne starai a colpevolizzarti e a piangerti addosso invece di essere semplicemente felice della cosa.”

“Felice di aver fatto la figura dell’idiota, intendi?”

“Tu sei un idiota, Dean: sarebbe venuto fuori in ogni caso.” A scapito delle parole, nella voce di Charlie risuona null’altro che tenerezza. “È stato un malinteso: dimenticalo e volta pagina.”

Charlie la fa sembrare la cosa più semplice di questo mondo. Forse lo è davvero, ma, purtroppo, lui è sempre stato bravo a complicarsi la vita.
Quella mattina, alle spalle di Jack, Dean scorge soltanto la figura di Kelly. Evidentemente, Castiel ha deciso di non voler più avere a che fare con l’imbecille che si permette di fare insinuazioni sulla paternità del figlio della sua migliore amica.

Non se la sente di biasimarlo.

“Ciao, Kelly.”

“Non vedevo una faccia così delusa dalla sconfitta dei Broncos al Super Bowl.”

Dean trasalisce e avverte un fastidioso pizzicore spandersi lungo le guance. “Non sono---”

“Ciao a te, Dean.” Kelly smorza la tensione con un sorriso conciliante. In qualche modo, il gesto aiuta Dean a rilassarsi. È brava a mettere a proprio agio le persone. “Castiel aveva un impegno: tornerà la settimana prossima.”

Dean accoglie la notizia senza reagirvi in alcun modo; se da una parte non può nulla per spegnere il barlume di speranza che gli si è acceso nel petto, dall’altra sa che la cosa non ha alcuna implicazione riguardo a lui e Castiel e a quello che c’è tra loro.

Di qualunque cosa si tratti.

“Vieni.” Con la mano stretta a quella di Jack, Kelly fa un passo in direzione dell’area giochi. “Facciamo due chiacchiere.”

*

Dean guarda Jack arrampicarsi lungo le scale dello scivolo, toccare terra e ricominciare da capo in una catena che potrebbe tranquillamente essere infinita. Per un momento, l’immagine viene sostituita da una risalita direttamente dai meandri del suo passato: ha la stessa cornice ma, al posto di Jack, c’è un bambino dai capelli più lunghi e più scuri.

Dean, guarda come scivolo!
Sta’ attento, Sammy.

Prima che possa rendersene conto, Dean si ritrova a sorridere al ricordo.

“Avevo una relazione con il mio capo” dice Kelly, secca e diretta. “Solita storia noiosa: lui mi assicura che chiederà il divorzio e io gli credo. Avrebbe potuto promettermi la luna, e io non avrei avuto dubbi sul fatto che me l’avrebbe portata. Per un motivo o per un altro, non era mai il momento giusto: una settimana c’era il compleanno del figlio, quella dopo l’operazione della suocera. Mi dicevo che non erano soltanto scuse; che sarebbe bastato aspettare. Quando sono rimasta incinta, lui si è magicamente ricordato di quanto amasse sua moglie e mi ha detto che si sarebbe accollato le spese dell’aborto. Non mi ha chiesto nemmeno se volessi tenerlo.” Kelly piega la bocca in quello che somiglia più ad una smorfia che a un vero sorriso. “Me ne sono andata. Senza nemmeno la liquidazione.” Si interrompe, torcendosi le dita che tiene raccolte in grembo. “So a cosa stai pensando: la sfasciafamiglie illusa ha avuto la punizione che si meritava.”

“Non sono il tipo che giudica.”

“I miei sì, invece. Mi sono ritrovata disoccupata e rinnegata dalla mia famiglia in un colpo solo. Mi è rimasto solo Castiel. È lui che mi è stato accanto durante la gravidanza; che mi ha detto di respirare a fondo quando sono cominciate le contrazioni; che mi ha portata in tutta fretta in ospedale. Ha consumato il pavimento fuori dalla sala parto a furia di fare avanti dietro in attesa di notizie. Ad un certo punto abbiamo smesso di puntualizzare che no, non era il padre.”

Kelly ridacchia, e Dean solleva gli angoli della bocca in un moto di tenerezza.

“È stato il nostro angelo custode: mio e di Jack. Mi ha aiutata da morire con lui: ha cambiato più pannolini di quanti ne abbia cambiati io; se n’è occupato ogni volta che avevo un colloquio o un giorno di prova. Ho faticato a trovare un nuovo lavoro, dopo il licenziamento. Ho dovuto cambiare ambiente perché, sai, il mio capo era un pezzo grosso e le voci corrono: nessuno era disposto ad assumere una sgualdrina. Tutt’ora sono in cerca di un’occupazione migliore. Non è facile, ma almeno Castiel continua ad esserci.”

“Mi dispiace, Kelly.”

Tutt’ a un tratto, l’espressione di Kelly cambia: i suoi tratti si induriscono e una luce decisa le brilla negli occhi quando li pianta in quelli di Dean.
“Dean, non ti ho raccontato la triste storia della mia vita per creare il momento empatico dell’episodio. Non siamo in una serie tv e non voglio che tu mi compatisca; voglio che inviti Castiel a uscire.”

Dean schiude le labbra, ma non riesce a tirar fuori alcun suono. Prima che abbia il tempo di ritentare, Kelly riprende la parola. “Lascia stare. Non è a me che devi parlare.”

Dean accoglie l’invito, abbandonando qualsiasi tentativo di replica. Torna a seguire il percorso tracciato da Jack qualche metro più avanti, le parole di Kelly che gli si sedimentano dentro gradualmente.

“Credevo che foste una famiglia.”

“Lo siamo.”

In quel momento, sente risuonare un vecchio monito elargito in maniera burbera ma, allo stesso tempo, calda e carezzevole: la famiglia non finisce con il sangue.

Bobby ha sempre avuto ragione.

*

“Ciao, Dean.”

La voce di Castiel lo sorprende mentre è seduto sulla sua solita panchina, irrigidito dall’attesa.

Ha passato l’intera settimana a chiedersi se si sarebbe presentato, temendo che non lo avrebbe fatto. Il sollievo per essersi sbagliato viene presto smorzato dalla prospettiva della conversazione che di lì a breve terranno: è già lì, nascosta sotto la superficie, pronta ad essere portata a galla.

“Ehi.”

“Posso sedermi?”

La sensazione di déjà-vu ha il potere di farlo distendere per un momento. “La panchina è pubblica” replica Dean, le parole scelte in maniera assolutamente intenzionale. La minuscola espressione che si forma sul volto di Castiel testimonia che la sua mente è occupata dallo stesso ricordo.

Castiel prende posto, e Dean sente la tensione addensarsi nuovamente dentro e attorno a sé. È come se fosse una presenza che si frappone tra lui e Castiel, insinuandosi nello spazio che li divide.

Per qualche momento restano così, immersi nella quiete del pomeriggio autunnale, la vita del parco che gli scorre davanti come le immagini di una pellicola.

Questa volta, Dean non ha alcuna domanda con cui spezzare il silenzio.

“Come mai vieni qui?” Castiel glielo chiede all’improvviso, cogliendolo totalmente impreparato. “Scusa, è una domanda stupida” aggiunge, davanti alla sua esitazione. “Non dev’esserci un motivo per passeggiare o per starsene seduti a godersi un po’ di pace.”

“No” acconsente Dean. “Non per forza.”

Potrebbe lasciar cadere lo spunto, guidando la conversazione altrove con una battuta di circostanza. Sta prendendo in seria considerazione l’ipotesi, quando sente la propria voce andare in una direzione del tutto diversa.

“Mi ricorda i vecchi tempi, quando Sam non era ancora un armadio a due ante ed entrava tranquillamente nello scivolo. Lo portavo qui ogni Domenica. Nostro padre non aveva tempo per cose del genere; era sempre impegnato con la causa per la morte della mamma. È bruciata in un incendio quando avevo quattro anni. Un incendio doloso. Incontri con l’avvocato, udienze, ricerca di testimoni…Diceva che ci sarebbe venuto dopo aver fatto sbattere in galera il bastardo che l’aveva ammazzata. Ci è riuscito, alla fine, ma al parco non ci ha mai accompagnati. A quel punto, era il lavoro a tenerlo troppo occupato. L’ultima volta che ci siamo stati tutti insieme la mamma era ancora viva.”

“Forse l’idea di tornarci era troppo dolorosa per lui. I ricordi possono fare molto male.”

“Già.” Dean ripensa a John, alla disperazione che, quella notte, si rifletteva nei suoi occhi insieme al riverbero delle fiamme. “Forse è così.”

“Mi dispiace per quello che è successo a tua madre, Dean” dice Castiel, totalmente, completamente sincero. “Davvero.”

Dean assorbe quelle parole, lasciandole penetrare in profondità. “E tu?” chiede, per distogliere l’attenzione da sé. “Quando hai cominciato a venirci?”

“Dopo la nascita di Jack. Non passavo molto tempo fuori casa, da bambino. Zia Naomi ci teneva chiusi a studiare per buona parte del tempo.”
“Un ottimo motivo per ribellarsi. Vi ha cresciuti lei?”

“Da quando mio padre se l’è data a gambe. Ero molto piccolo, quando è successo. Nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto” spiega Castiel, una nota amara nella voce. “Sai, Kelly pensa che sia io ad aiutare lei, ma in realtà è il contrario. Darle una mano con Jack mi fa sentire--- utile. Mi occupo di lui perché non voglio che si senta come mi sono sentito io tutte le volte in cui mio padre non c’è stato. La verità è che non accadrebbe comunque, perché lui ha Kelly. Ma mi piace pensare di poter fare la differenza, in qualche modo.”

“Beh, più amore ed attenzioni non gli faranno male.”

“Immagino di no.”

Cala il silenzio; un attimo, e le loro voci lo spazzano via risuonando all’unisono.

“Dean---”

“Cas---”

Si voltano l’uno verso l’altro e, per la prima volta dall’inizio della conversazione, si guardano negli occhi.

“Prima tu.”

Dean tira un respiro profondo. “Mi dispiace per quello che ho pensato” ammette. “Riguardo a Jack, e a Kelly.”

“Dispiace a me avertelo lasciato credere.” Castiel esita, e la sua espressione muta; si fa incerta, come se stesse valutando se dar voce ai pensieri sigillati nella sua mente. “Avrei dovuto dirti---”

“Attalena!”

È come se la bolla in cui erano racchiusi esplodesse di colpo, rigettandoli violentemente nel mondo esterno. Castiel è quello che torna più in fretta alla realtà; si alza, dando un buffetto affettuoso a Jack, e si lascia trascinare nell’area giochi.


Dean, invece, resta al suo posto con il cosa incastrato in gola.

*

“Dovevo trascinarlo via con la forza ogni Domenica.”

“Ma se passavi sull’altalena più tempo di me!”

“Non cercare di salvarti la reputazione con tua moglie, Sammy.”

Jessica si esibisce in un sorriso divertito, tenendosi fuori dalla disputa.

Pochi passi più indietro, l’area giochi del parco brulica di attività e di risa. Dean lo ha visto, lo sguardo apparso negli occhi di Sam quando l’ha adocchiata; lo ha visto e la battuta gli è scivolata via dalle labbra prim’ancora che decidesse di rilasciarla, come un meccanismo di autodifesa che si mette in moto senza che ci sia il bisogno di azionarlo. Lo ha visto, ed ha scorto al suo interno lo stesso mare di ricordi in cui si ritrova a nuotare ad ogni visita al parco; per tutto quel tempo ha pensato che sarebbe stato spaventoso sondare quelle acque assieme a suo fratello ed ha fatto di tutto per evitare che accadesse.

Ha trattato il suo passato come un vecchio quadro nascosto in soffitta che andava a sbirciare di tanto in tanto, e di nascosto, per poi tornare a comportarsi come se non esistesse. Ora, ha deciso di tirarlo fuori e soffiare via lo strato di polvere da cui era ricoperto, per esporlo alla luce del sole.

Sam è la prima persona a cui desiderava mostrarlo.

Quando Castiel e Kelly arrivano, è tutto un susseguirsi di occhiate esplorative e sorrisi cordiali; Dean lascia che quella prima fase dell’incontro giunga al termine prima di procedere alle presentazioni.

“Kelly, Cas: l’armadio a due ante e Jessica.”

“È così che mi descrivi ai tuoi amici?” Sam si finge offeso, ma il suo tono lascia trapelare tutt’altro.

“È la cosa più gentile tra quelle che gli dico.”

Seguono altri sorrisi, e strette di mano. Kelly e Jessica cominciano a parlare fittamente. Jessica dà a Jack una carezza. Qualche attimo, e finiscono all’interno dell’area giochi.

Sam solleva Jack e lo porta sulla sommità dello scivolo senza farlo passare per le scale. Questa volta le due immagini non si sostituiscono l’una all’altra, ma si fondono nel presente vivo davanti agli occhi di Dean. “Sarebbe un padre fantastico” si ritrova a dire.

Lui e Castiel sono gli unici a non essersi uniti al gruppo.

“Come tu lo sei stato per lui.” La replica lo porta a voltarsi di colpo. Castiel ha di nuovo addosso quell’espressione, quella di chi è combattuto tra l’ingoiare le parole e il lasciarle fluire liberamente. “Dean” comincia. Questa volta, sembra deciso a buttarle fuori. “La cosa che avrei dovuto dirti---”
Dean non glielo permette: prima che possa proseguire, preme forte la bocca contro la sua.

Il contatto fa suonare nella sua testa qualcosa di simile alla sirena di un allarme; la consapevolezza di quel che ha fatto lo colpisce come una freccia arrivata tardi a bersaglio e l’effetto è quello di una secchiata d’acqua gelida riversata direttamente in faccia.

Dean si scosta in preda all’agitazione. “Era questo, vero?” domanda “Perché, sai, sono sempre quello che ha creduto che avessi un figlio e---”

Castiel ride contro la sua bocca. “Era questo” dice e, stavolta, è lui a cercare le sue labbra. Prima che le trovi, la manica di Dean viene strattonata.

“Mi pingi?”

Jack ha la testa rivolta all’insù e due occhi carichi di aspettativa. Dean lancia un’occhiata d’intesa a Castiel, un piccolo sorriso a increspargli le labbra. “Certo.”


























Note
Visto che ho una friendlist di quelle belle, la prima volta che ho cianciato in bacheca di questo head canon mi sono ritrovata tra i commenti questo bellissimo disegno realizzato da Charlie, disegno senza il quale, probabilmente, l'idea sarebbe rimasta per sempre allo stato embrionale. Le dedico la storia come forma di creditaggio e ringraziamento, sperando possa farle piacere almeno la metà di quanto il disegno ha fatto piacere a me.
  
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