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Autore: Eliele    28/08/2018    0 recensioni
2005: Dopo aver sconfitto il Male Primordiale, Buffy e la sua banda sono nuovamente alle prese con le forze demoniache. Nuove Bocche dell’Inferno si sono aperte in tutto il mondo e le novelle Cacciatrici, giovani e inesperte, sono solo agli inizi del loro addestramento. Un’apparizione misteriosa avverte Buffy di un’imminente Apocalisse che porterà inevitabilmente alla distruzione della Stirpe delle Cacciatrici, Willow avverte una pericolosa scossa nel mondo magico, preludio di una grande distruzione, Xander assiste alla follia di alcune neo-Cacciatrici che si uccidono tra loro, apparentemente controllate da un oscuro figuro…
Oggi: Mi chiamo Lexie e questa è la mia storia. Di giorno lavoro in una grande compagnia di spedizioni e tento di gestire la mia problematica situazione familiare. Di notte divento qualcun altro. Sono un Cacciatore di Taglie e uccido demoni e affini. Metto in chiaro subito una cosa: non sono un’eroina. Non ho remore, sono spietata e porto sempre a termine il mio lavoro. Aspettate a giudicare. Non avete idea di che mondo sono costretta ad affrontare. La Prima Invasione ci ha dimezzato. La Seconda ci ha sterminato. Vivo in un mondo distrutto, affamato, dominato da forze ancora al di fuori della conoscenza umana...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Buffy Anne Summers, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Willow Rosenberg, Xander Harris
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver consegnato l’ultimo pacco della giornata a un vecchio scorbutico che non mi ha dato neppure un po’ di mancia (quanta pazienza devo avere per queste povere, vecchie generazioni) mi sto rilassando in una delle panchine fuori dalla Jeep House, insieme a Ronnie e Sara. Conosciamo Sara da quando abbiamo iniziato a lavorare qui. È una tipa a posto, con cui ci si va tranquillamente d’accordo. Fin dall’inizio ci prova con Ronnie e lui pare che cominci ad abboccare, nonostante tutto.  Anticipo ogni possibile supposizione: non sono gelosa. Ronnie è come un fratello per me. Siamo stati compagni di stramberie, partner di furti e amici del crimine. Lui mi conosce meglio di qualunque altro, anche se non mi conosce del tutto. Sa che sono una brava ladra. Che so combattere fin troppo bene. Che so saltare da un tetto all’altro anche se a separarli ci sono diversi metri. Ma non mi ha mai chiesto come sapessi fare tutto questo o perché. Lo ha accettato e non ha mai indagato oltre quello che volevo fargli sapere. È per questo che andiamo molto d’accordo. Ora cerco di fare tutto per allontanare il suo pensiero dal fratellino. So che sta scoppiando dentro, vorrebbe indagare a fondo la questione, trovare i presunti responsabili e fargliela pagare. Vedo nei suoi occhi una sete di vendetta, la stessa che io, per ragioni molto simili, cerco continuamente di sotterrare e combattere. Per adesso fa di tutto per non fare emergere quella parte di sé, ma prima o poi lo farà. La sua rabbia uscirà in un botto, come un’esplosione.  E io sarò lì e farò di tutto per evitare che si bruci.
< Andiamo a fare un salto da Snake? > chiede Sara mentre si fuma una sigaretta.
< Io ci sto > fa Ronnie, mentre se ne accende un’altra < Lexie? >
< Stasera passo ragazzi. Ho del lavoro da fare > dico, buttando il mio mozzicone a terra < anzi già che ci penso devo andare adesso. Ci si vede! > Mi fanno un cenno mentre mi allontano < Ah > aggiungo < Divertitevi! > faccio l’occhiolino a Ronnie che arrossisce impercettibilmente. Fa tanto il duro, ma io so che è un ragazzo molto diverso da come appare. Prendo la mia bici e mi avvio verso Storen Street. Reek sa che è da molto tempo che cerco un esperto di manufatti che mi possa dire qualcosa di più sul mio medaglione. Gli ho specificato che volevo qualcuno di bravo ma discreto, in grado di tenere la bocca chiusa qualunque cosa avesse scoperto. Insomma, un tipo professionale. E, finalmente, ho un indirizzo. Al confine della Zona, c’è un posto di blocco dove una pattuglia di Agenti Paritari controlla i documenti di ciascuno e si assicura che nessuno sgattaioli indisturbato dall’altra parte. Mi metto in fila. Davanti a me c’è una famigliola con una bambina in braccio di tre anni o giù di lì. Avverto il loro stato d’animo e capisco che stanno per fare qualcosa di cui più tardi si pentiranno. Infatti l’uomo, quello che suppongo che sia il padre, si agita nervosamente, trafficando nella sua giacca, dove intravedo un rigonfiamento. Okay, ora è sicuro che stanno per fare qualche cazzata. Mi avvicino a loro con aria indifferente e mi piazzo dietro l’uomo potenzialmente armato. Davanti a noi ci sono ancora due persone che aspettano di passare, quindi a occhio e croce dovrei avere un paio di minuti. Lo sfioro leggermente con la punta delle dita. Lui sussulta ma non si gira. < Senti > mormoro in modo che solo lui possa sentirmi < ci sono 7 Agenti. 4 umani e 3 demoni, ognuno dei quali potrebbe elettrizzarti prima ancora che tu possa emettere un solo fiato. Vuoi davvero mettere in pericolo te e la tua famiglia? Tornate da dove siete venuti e subito >
< Tu non capisci > sussurra con voce insolitamente ferma < mia figlia è malata e qui nel ghetto non possono curarla >
< Uccideranno te e arresteranno tua moglie e tua figlia se fai quello che hai in mente. Vuoi davvero questo? >
< N-non pos-so > mormora. Ora la sua voce trema, ma la sua mano si stringe più forte alla pistola.
< Vattene! > gli ordino a denti stretti < Creerò un diversivo > Ma l’uomo sembra non sentire più ragioni e rimane al suo posto. Maledetto cretino! Ma ha fatto la sua scelta. Io non posso farci niente. Ma faccio l’errore di incrociare gli occhi della bambina. Sono lucidi ma asciutti. Profonde occhiaie le segnano il viso magro e il suo sguardo è spento, non è uno sguardo di bambino ma uno sguardo adulto, consapevole delle sofferenze e dei mali che imperniano questo mondo schifoso. Maledicendomi ancora per la mia futura stupidità esco con noncuranza dalla fila e mi infilo velocemente in un viottolo secondario. Lascio la bici e indosso una felpa nera con cappuccio. Sistemo i coltelli (le uniche armi che mi arrischio a portare di nascosto ai posti di blocco) e mi arrampico rapidamente sulla palazzetta diroccata di fronte a me che da direttamente sul muro di cemento che sbarra il passaggio da questa Zona all’altra. Mi sporgo dalla balconata e vedo quattro guardie che sono piazzate sulle palizzate d’acciaio percorse da filo spinato. Sono fermi al loro posto e scrutano la folla sotto di loro. Tra loro ci sono i tre demoni, poco propensi ad interagire in qualsiasi situazione con gli esseri umani. Sono armati di fucili paralizzanti, l’arma standard degli Agenti Paritari. Gli altri tre sono davanti al cancello a controllare i documenti e spintonare chi si attarda un po’. Mi stringo il cappuccio con i lacci e preparo i coltelli. Tocca all’uomo e alla sua famiglia. Porgono dei fogli sgualciti che dovrebbero costituire il loro permesso al passaggio e che, ovviamente, sono stati falsificati. Il primo agente li guarda attentamente, alzando un sopracciglio. Mormora qualcosa al suo collega a cui passa il foglio. Poi quest’ultimo, dando un’occhiata veloce, miracolosamente, dà loro il via libera. Mentre il cancello viene aperto, ho un sospiro di sollievo, sollievo che dura pochi secondi. Uno degli agenti all’ingresso urla qualcosa alla famigliola e mette la mano sul calcio della pistola. L’uomo e la donna cominciano a correre all’impazzata, mentre gli Agenti Paritari gli puntano i fucili contro. Tutta la folla in attesa cade nel panico e comincia a urlare e scappare. Vedo subito che la famigliola non può avere speranze: stanno percorrendo una vasta piazza, priva di qualsiasi riparo e l’uomo sta sparando alla cieca dietro di sé mentre la moglie con la bambina piangente che si divincola in braccio cerca invano di aumentare il ritmo della corsa. Con un salto di qualche  metro, atterro sulla palizzata. Il primo demone, un Yole scorbutico e stupido, non riesce neanche a esprimere la sua sorpresa perché gli taglio la gola in un secondo. Uno zampillio di sangue verdastro comincia a scorrere dal taglio, mentre cade a terra con un tonfo. Neanche il secondo demone riesce a rendersi conto di cosa sta succedendo perché il mio coltello lo centra nel cuore. Adesso ho tutta la loro attenzione. Gli altri due, un umano e un Kasir (una sorta di lucertola bipede) smettono di sparare sulla piazza e puntano i fucili nella mia direzione. Mi aggrappo al bordo del muro, scansando i proiettili elettrificanti e, dandomi lo slancio, atterro direttamente sul Kasir. Sibila arrabbiato e mi colpisce il braccio con uno dei suoi artigli lunghi e puzzolenti. Cerco di ignorare il dolore (tra l’altro mi ha colpito nello stesso punto dell’altra notte) e con un calcio lo scaglio di fronte a me, contro il suo compagno. Entrambi ruzzolano giù dal muro e si impigliano nel filo spinato. Ora tocca agli Agenti a terra che si sono già lanciati all’inseguimento dei fuggitivi. Sono quasi arrivati alla fine della piazza, ma non ho tempo di raggiungerli prima di perderli di vista, quindi afferro uno dei fucili abbandonati e miro a quello più in avanti, che sta per raggiungere la famiglia. Lo colpisco alle gambe, ma cade a terra all’istante, paralizzato. Ottengo quello che voglio: gli altri due lasciano perdere il loro precedente obiettivo e si dirigono su di me. Probabilmente pensano che un potenziale Ribelle che ha appena messo a terra la loro squadra, sia una preda più succosa rispetto a una delle tante famigliole di profughi che tenta di scappare dal ghetto. Mi appiattisco a terra, evitando per un pelo tre scariche che mi passano sopra la testa, schiantandosi sulla guardiola dietro di me. Sento che rallentano la loro corsa, probabilmente sono convinti di avermi beccato. In un attimo mi alzo con un coltello per mano, un secondo per mirare i due obiettivi e lancio. Cadono a terra, trafitti. L’adrenalina mi scorre in corpo, ho il cuore che batte all’impazzata e il respiro irregolare. Mi ci vuole qualche secondo per capire che non c’è un pericolo immediato. Regna un silenzio inquietante, persino i rumori della città sembrano lontani. Sto per saltare giù dal muro e volatilizzarmi quando un pugno mi raggiunge la schiena, lanciandomi in avanti e togliendomi il fiato. Ho appena il tempo di girarmi che un altro pugno si abbatte sul pavimento sotto di me, a due centimetri dalla mia testa. Con un colpo di reni mi alzo in piedi, colpendo il mio assalitore con un calcio alla faccia. È il secondo demone, uno Screezer piuttosto abile. Il mio coltello è inficcato nel suo cuore dove l’avevo lasciato quindi che diavolo... Ops, dimenticavo che gli Sceezer hanno il cuore vicino al braccio destro. Il demone riesce a abbattermi di nuovo a terra. < Ok, amico > gli dico, saltando in piedi. < Ora mi hai proprio stufato > Gli assesto un paio di pugni in piena faccia, facendolo arretrare. Poi con un calcio rotante lo spingo a tre metri da me. Sibila e allarga le braccia, mostrandomi gli artigli.
< Certo che voi Kasir siete proprio degli esibizionisti! > esclamo mentre afferro gli ultimi due coltelli e li lancio verso di lui. Uno dei due riesce a deviarlo con la mano artigliata, ma il secondo gli si conficca appena sotto l’ascella destra. Mi guarda sbalordito per un secondo, poi ruzzola a terra. Ci metto un attimo in più per realizzare che ora è davvero finita. Tutti gli Agenti Paritari sono a terra, immobili. Anche quello che si era impigliato nel filo spinato insieme al Kasir è ricoperto di sangue e non si muove. Un grumo di sangue all’altezza del collo suggerisce che  le punte di acciaio gli abbiano perforato la carotide. Recupero rapidamente tutti i coltelli, nel caso ci sia qualcosa che possa ricondurre alla mia identità notturna e ritorno nel vicoletto, dove ho lasciato le mie cose. La felpa è tutta imbrombata di sangue, non posso portarmela dietro, non con l'alto rischio di perquisizioni. La nascondo in fretta sotto il bidone della spazzatura. Verrò poi a riprenderla stanotte, quando le acque si saranno calmate. Indosso i miei vestiti giornalieri: pantaloni chiari larghi e felpa blu con stelle rosse disposte a formale un triangolo isoscele (l’orrendo marchio della Jeep Company). Al petto l’immancabile cartellino “Jeep Express” con la mia foto appiccicata sopra. Per finire un bel cappello rosso, la mia aggiunta personale. Inforco la mia bici e quando i primi allarmi cominciano a suonare e i primi Agenti a scalpitare sono già a casa. Mi sa che dovrò nuovamente rimandare l’indagine sul mio medaglione.
  
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