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Autore: HannibalLecter    30/08/2018    0 recensioni
Liam Carter Wright è un giovane avvocato esperto in divorzi e furiosi litigi, tipico topo di città la cui unica idea di contatto con la natura comprende un dissetante cocktail servito in una noce di cocco, calda sabbia bianca e donne dalla pelle dorata dal sole.
Felicity Van Houten, testa tra le nuvole e lentiggini, invece lavora quotidianamente immersa nel verde e ogni sera si rifugia nella sua casetta di campagna alquanto malandata, circondata da un vero e proprio paradiso fiorito, che la tiene impegnata a tal punto da farle scordare di fare la spesa o pagare le bollette.
Il sole stava calando e tutto il giardino aveva assunto una deliziosa sfumatura aranciata. Diressi il getto dell'acqua verso il cespuglio di azalee e mi misi a canticchiare tutta allegra:
«Le rose sono rosse
le viole sono blu
Liam Carter Wright è una testa di cactus
e presto lo scoprirai anche tu!»
Passai al rododendro che tenevo in un bellissimo vaso di terracotta decorata e innaffiai abbondantemente anche lui.
«Miss Van Houten, lei è una poetessa sublime»
Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte in tutto il suo splendore Mr. Testa di Cactus meglio conosciuto come Liam Carter Wright.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mildred e Matthew

«Comincio a pensare che in fondo mia madre non avesse del tutto torto...»

Come risposta ricevette uno sbuffo esasperato ed un'imprecazione soffocata.

«Lei me lo ripeteva sempre e io che mi ostinavo a non darle ascolto, bell'affare davvero!»

«Di cosa stai blaterando?»

«Della tua assoluta incapacità nel prenderti cura e provvedere alla sottoscritta! Sto blaterando di questo, Matthew!»

Erano trascorse ormai più di cinque ore da quando si erano lasciati alle spalle l'aeroporto di Milano Malpensa con la piccola utilitaria rosso fuoco presa a noleggio.

Al loro arrivo li aveva accolti un cielo plumbeo, minaccioso e una serie di raffiche di vento gelido e pungente, che aveva subito fatto loro maledire la scelta di mettere cuffie, sciarpe e guanti nei bagagli in stiva.

D'altronde avevano scelto l'Italia per il suo celebre bel tempo. Il meteo però da allora non aveva fatto altro che peggiorare, la neve aveva cominciato a scendere copiosa e il loro navigatore satellitare aveva iniziato a fare i capricci.

Adesso, ore più tardi, la neve non accennava a diminuire e la visibilità si faceva sempre più scarsa.

«Beh, se lo dice tua madre allora deve essere vero per forza! Quando mai quella donna si è sbagliata su qualcosa? Quando mai ha parlato a sproposito e senza cognizione di causa?»

Matthew era stanco, la notte precedente alla partenza aveva dormito poco e niente e aveva lasciato irrisolte a Boston un paio di importanti cause.

Non era abituato a guidare per lunghi periodi e soprattutto non in campagne sconosciute ed innevate nel Nord Italia.

«Qui ci siamo già passati un quarto d'ora fa! Quell'insegna rossa...la vedi? Stiamo girando in tondo, c'è troppa nebbia. Nessuna guida accennava a tutta questa nebbia, accidenti!»

«Vorrei ricordarti chi è stato a consigliarci di venire nell'assolata Italia nel mese di dicembre e per di più nella zona settentrionale...», borbottò Matt, rassegnandosi a mettere la freccia e fermarsi in una piccola area di sosta lungo quella strada nel bel mezzo del nulla.

«Mamma è sempre andata a Positano in giugno! Che ne poteva sapere lei di questa maledetta nebbia e di... dov'è che siamo?!»

Il navigatore comunicò loro che si trovavano approssimativamente in un punto imprecisato tra la Bassa Bresciana e il Cremonese. Luoghi che risultarono loro del tutto sconosciuti e mai sentiti.

«L'albergo è a Verona, quanto ci vorrà ancora?».

Mildred aveva preso la patente anni fa e da allora si era limitata a guidare solamente in quelle rare occasioni durante le quali il fidatissimo autista della sua famiglia era stato assente. Quando però, l'anno precedente, aveva finalmente acconsentito a sposare Matt e quest'ultimo si era rifiutato di mantenere un autista per scarrozzarla si era vista costretta a rimettersi alla guida.

Aveva così scoperto che guidare le piaceva da matti, soprattutto su strade poco frequentate e piene di curve pericolose. Nessuno però sembrava apprezzare le sue abilità alla Niki Lauda e così si ritrovava molto spesso relegata sul sedile del passeggero, impegnata a tenere il broncio alla persona al volante.

«Con questo tempo ci impiegheremmo troppo...», rifletté Matt, fissando quella densa cortina scura che li avvolgeva da tutti i lati e nascondeva alla loro vista qualsiasi cosa.

Mildred fece per aprire bocca, ma il marito la fermò precipitosamente. «No, non ti farò guidare. Non se voglio vivere abbastanza per festeggiare il nostro primo anniversario e fare ritorno in patria anche solo per dire per una buona volta a tua madre quanto avesse torto»

«Quanto sei noioso! Cosa vuoi fare? E non osare proporre qualcuna delle tue stupide idee da scout! Non dormirò in macchina, non andrò alla ricerca di legnetti e rametti e non scuoierò scoiattoli a mani nude, mi sono fatta fare la manicure solo l'altro ieri!»

«Io non ho mai scuoiato alcun tipo di animale!», si difese indignato Matt.

Lei alzò gli occhi al cielo. «Ma se tua mamma non fa altro che ripetere quanto fossi temibile? Tu, la sua giovane nutria con la fionda!»

«Marmotta»

«Cosa?»

«Giovane marmotta. Le nutrie non c'entrano nulla»

«Non sono la stessa cosa più o meno?»

«No, non lo sono. La marmotta è un animale che -»

Lei alzò le mani in segno di resa. «Non ricominciare con le tue tirate sugli animali»

«Pensavo che guardare con me i documentari della National Geographic ti avesse dato perlomeno le basi. Sai, distinguere un gabbiano da un pipistrello o un ippopotamo da un rinoceronte. Cose così...»

«Di solito dormo e tu neanche te ne accorgi. E poi basti già tu, no? Nella coppia tu contribuisci conoscendo la differenza tra nutria e marmotta e io parlando quattro lingue, risolvendo le situazioni spinose e probabilmente portando in grembo i tuoi futuri figli scout. Mi pare equo...»

«Mildred, cosa ci eravamo detti?», sospirò sconsolato.

Lei alzò gli occhi e incrociò i suoi. Nonostante la penombra erano blu, calmi e rassicuranti come sempre. Come lo erano stati la prima volta che li aveva incrociati al secondo piano della biblioteca di scienze naturali del campus dell'università, tre anni prima quando suo padre aveva avuto un infarto ed era stato salvato per il rotto della cuffia o il dicembre precedente, quando si erano scambiati le promesse in una Boston ghiacciata e bellissima.

«Devo smetterla di fare la stronza», pigolò sconfitta.

Le loro mani si intrecciarono al di sopra della leva del cambio - non gli era riuscito di ottenere un'auto automatica - e si strinsero forte.

Decisero di comune accordo, dopo innumerevoli discussioni, di cercare un albergo o qualunque cosa gli assomigliasse nelle vicinanze e fermarsi lì per una notte.

Il telefono di Mildred si era spento ore prima, con la batteria ridotta allo 0% dai suoi molteplici tentativi di fare shopping online sul sito di Victoria Beckham. Non avevano pensato ad acquistare una SIM italiana temporanea e così attivarono il servizio roaming, ben consapevoli del salasso economico a cui andavano incontro.

L'albergo più vicino risultò essere un affittacamere in un comune a un paio di chilometri di distanza di nome Fiesse, non c'era il link di alcun sito internet, ma un numero di telefono era segnato accanto all'indirizzo.

Matthew poteva pur avere una conoscenza enciclopedica a proposito del diritto e del mondo animale, ma le lingue straniere non erano mai state il suo forte. Inglese madrelingua, non aveva mai tentato di uscire dalla sua comfort zone, confidando sempre nella buona volontà altrui nell'apprendere la sua lingua, che fortunatamente era considerata l'idioma universale per eccellenza.

In quel campo Mildred lo batteva su tutti i fronti. Era stata allevata da una tata tedesca, aveva frequentato un collegio in Francia e aveva scritto la tesi a Firenze durante il suo ultimo anno di specialistica. Si destreggiava con disinvoltura tra le sue conoscenze linguistiche e non si stancava mai di approfondire e perfezionare le nozioni già in suo possesso.

«Cedo a te l'arduo compito...», affermò sollevato Matt, porgendo alla moglie il proprio telefono.

«Ovviamente...»

Le dettò il numero di telefono e successivamente ricontrollarono che fosse giusto e che il prefisso inserito fosse corretto.

Matthew approfittò di quel momento per studiare la vecchia cartina stradale che avevano trovato nella portiera del passeggero. Sarebbe bastato fare inversione, proseguire su quella strada fino all'intersezione con una statale e da lì prendere l'uscita sulla sinistra, poi alla seconda rotonda si doveva svoltare a destra e lì ci sarebbe dovuta essere la pensione.

«No, una notte. Una soltanto, sì, esatto. Stanotte, domattina ripartiamo. Mmh, mmh...no! Siamo in due...si, va bene tutto. Ok, perfetto! D'accordo, ci vediamo tra poco. Grazie mille! Ah sì, Signore e Signora Levinson. A dopo!». Mildred chiuse la telefonata e tirò un sospiro di sollievo.

«Fatto?»

Annuì soddisfatta. «Le tre camere in affitto sono già occupate dai loro lontani parenti arrivati per le feste natalizie o qualcosa del genere. Però fortunatamente hanno una piccola dependance e possono sistemarci lì per una notte...»

Poteva andare peggio, pensò Matthew, mentre rimetteva in moto l'auto e si apprestava a reinserirsi nella nebbia sempre più spessa.

Dieci minuti più tardi, dopo aver sbagliato per due volte l'uscita,  riuscirono a raggiungere la rotonda e a parcheggiare l'automobile in un piccolo parcheggio di fronte ad una farmacia.

Si riusciva solo ad intravedere la luce al neon verde della croce lampeggiante della farmacia, che segnava 1°C e li informava che erano le 22.07, dopodiché non si vedeva alcunché.

Uscirono dal caldo abitacolo e il respiro si mozzò loro a contatto con la gelida aria invernale. Recuperarono i bagagli e provarono ad avvicinarsi alla strada, alla ricerca di un cartello stradale o di un numero civico.

«Questo è il 7!», esclamò Matthew, rimuovendo un velo di neve dalla cassetta della posta dell'unica casa presente dal lato di strada della farmacia.

La pensione si trovava al numero 12, così attraversarono la strada deserta e si ritrovarono di fronte ad un citofono debolmente illuminato che recava impressa la scritta 'Affittacamere Luisa'.

Essendo un'ora tarda Mildred si rifiutò di suonare il campanello, nel timore di svegliare gli ospiti e si impuntò per telefonare e annunciare così il loro arrivo.

Passarono altri cinque gelidi minuti prima che il cancello venisse aperto e uno spiraglio di luce illuminasse il grande porticato della casa a tre piani.

«Buonasera, prego entrate. Benvenuti! Avete fatto fatica a trovarci? Immagino di si, con questa nebbia è praticamente impossibile spostarsi!», li accolse un'anziana signora dall'aria materna e gioviale.

Matthew non capì una parola e così si limitò a sorridere, grato per l'accoglienza e il calore che regnavano in quell'anticamera arredata con gusto alquanto rustico.

«Buonasera, grazie mille! È stato piuttosto complicato, ma ora siamo qui. Io sono Mrs. Levinson e lui è mio marito, purtroppo non parla e non capisce alcunché di italiano», si scusò indicando il consorte, impegnato a scaldarsi le mani vicino all'unico termosifone presente.

«Sbrighiamo subito le faccende burocratiche così vi lascio andare a riposare. Allora la dependance sarà un po' fredda perché non aspettavamo ospiti e abbiamo acceso il riscaldamento solo dieci minuti fa. Qui c'è la vostra biancheria per letto e bagno e un cestino con uno spuntino, ho pensato che forse non avevate avuto il tempo per cenare come si deve. Mi serve solo un documento d'identità, un paio di firme e...per una notte fanno 35€!»

La ringraziò e tradusse velocemente a Matthew.

«Ovviamente tu mi rendi partecipe solo quando si tratta di tirare fuori i soldi...», fu il suo unico commento.

Saldarono il conto, firmarono il registro e uscirono nuovamente nella tormenta per seguire la Signora Luisa nel retro del giardino.

Dovettero camminare per cinque minuti nella neve prima di riuscire ad intravedere le finestre debolmente illuminate di quella che pareva essere una graziosa casetta in legno dal tetto spiovente.

Altri cinque minuti e si ritrovarono da soli, attorniati dalle valigie, al centro di un ampio salone tutto pietra e legno di pino.

«Qui dentro si congela...», constatò Matthew, allungando una mano per tastare il calorifero vicino alla porta.

***

«Cosa credi di fare? Matt, non sei mai riuscito neanche a riparare la lampadina fulminata in soggiorno, figurarsi una doc-»

Il getto della doccia si aprì e iniziò ad erogare un'abbondante quantità di acqua gelida. «Dicevi?»

«Pff, la fortuna del principiante!», gli tarpò le ali lei.

Matthew fece per uscire dalla vasca da bagno quando, del tutto senza preavviso, il miscelatore della doccia impazzì iniziando a comportarsi come se fosse un impianto d'irrigazione, spruzzando acqua tutto attorno e bagnando ogni cosa.

Scivolò sulla superficie smaltata bagnata della vasca e si ritrovò lungo e disteso, completamente zuppo.

«Cosa avevi appena detto?», sbraitò Mildred, mentre tentava di mettersi al riparo dietro la tenda in plastica impermeabile decorata con piccole nuvolette.

Allungò un braccio e con la punta delle dita riuscì a chiudere il rubinetto. L'acqua gorgogliando iniziò a svuotarsi giù per lo scarico e lei fece capolino per controllare la situazione.

Le balzò subito agli occhi che qualcosa non andava quando vide il marito premersi forte un palmo contro la tempia e delle goccioline di un rosso pallido scivolargli lungo la manica della camicia impregnata d'acqua.

«Oh mio dio! Matt! Ma sei ferito?», si allarmò, lasciando perdere il suo riparo e gettandosi in ginocchio sul pavimento bagnato.

Gli scostò con delicatezza i capelli e osservò la piccola ferita sanguinante che faceva capolino sulla pelle imperlata d'acqua. Fortunatamente non pareva niente di grave e così gli ordinò di alzarsi, infilarsi l'accappatoio e mettersi un paio di pantofole prima di prendersi qualche malanno.

Nel frattempo lei raggiunse la camera da letto, dove avevano abbandonato le valigie chiuse accanto alla porta d'ingresso. Sua madre le aveva tramandato molto gentilmente una certa ansia ipocondriaca che la portava a temere sempre il peggio e ad evitare a tutti i costi luoghi pubblici troppo affollati, ospedali e persone colpite da malattie potenzialmente contagiose. 

Eppure quasi tutte le fasi salienti della loro relazione avevano avuto come sfondo malattie, lunghe convalescenze e corsie asettiche di ospedali.

Solo un paio di anni prima c'era stato quel brutto incidente che aveva visto coinvolta Mildred, ai tempi ai ferri corti con Matthew. Quest'ultimo era stato mandato per un periodo di sei mesi in uno studio notarile associato con sede a Montreal. E così si era visto costretto a lasciare sola la sua ragazza, dopo solamente tre mesi di convivenza nel nuovo appartamento che avevano acquistato insieme.
I sei mesi erano scaduti da una decina di settimane e ancora lui non accennava all'idea di un imminente rientro in patria. Mildred continuava a dormire da sola in un letto troppo grande per lei e a volare in Canada non appena possibile. Non si era mai lamentata, ma Matthew percepiva il suo disappunto in ogni suo gesto e in ogni suo silenzio.

Tutto era degenerato poco prima di Natale, quando lui le aveva telefonato informandola che non sarebbe volato a casa prima della Vigilia. La cena del 24 Dicembre per la famiglia di Mildred era una sorta di istituzione e il solo fatto che Matthew fosse stato invitato per la prima volta, nonostante si frequentassero da svariati anni, era già di per sè un fatto singolare.

Le presentazioni erano già state fatte anni prima, ma mai in occasioni ufficiali come una cena con la famiglia al gran completo. Quella era la prova dell'otto, superata quella Matthew avrebbe avuto la strada spianata per sempre. Mildred aveva minimizzato l'importanza di quell'invito, ma in verità fremeva d'ansia. Matt non l'avrebbe delusa, ne era certa.

Alle 18.30 di quel 24 Dicembre di lui però non c'era traccia e il suo telefono continuava a suonare a vuoto. Sarebbe dovuto atterrare ore prima, il sito di monitoraggio dei voli lo confermava, ma non aveva ancora ricevuto alcuna notizia da parte sua. Lui doveva esserci quella sera, lo aveva promesso. Quasi trenta parenti lo attendevano e lei non poteva presentarsi sola, non lo avrebbe sopportato. Non dopo anni al tavolo delle prozie zitelle e dei cuginetti in età scolare.

Mettersi alla guida con tutti i telegiornali che annunciavano una tormenta di neve in arrivo giusto in tempo per la mezzanotte di Natale non si era rivelata una scelta saggia. Aveva raggiunto Boston premendo all'impazzata sull'acceleratore, gli sguardi preoccupati e scettici dei suoi genitori impressi a fuoco nella mente. Il loro appartamento si trovava nella zona est, in una zona piuttosto verde, abitata principalmente da giovani famiglie. Trovare tutte le luci di casa spente e le finestre sbarrate la fece deprimere ancora di più. Dov'era Matthew?

Ormai erano le 21 suonate, lei si era tolta le scarpe già da un pezzo e se ne stava seduta al buio sulla poltrona che dava le spalle alla porta d'ingresso, un bicchiere di vino bianco stretto in una mano. Quando la porta si aprì, lei non si mosse di un centimetro. Ascoltò i suoi passi stanchi avanzare per l'ingresso, il tintinnio delle chiavi che venivano lasciate cadere in una tasca, il fruscio di un cappotto che veniva abbandonato sopra lo schienale del divano.

«Dove sei stato?»

Detestava impersonare quel ruolo, lo detestava con tutto il suo cuore, ma meritava delle spiegazioni e le avrebbe pretese, anche a costo di passare per la fidanzata psicopatica.

«Mil...». Un sospiro, pochi passi attutiti dal legno del parquet e poi il silenzio.

Avevano speso così tanto tempo per scegliere quell'esatta tipologia di legno e quella sfumatura calda per il parquet della loro nuova casa. Per mesi avevano dedicato ogni weekend alla realizzazione di quel piccolo nido, punto di partenza della nuova vita che avevano deciso di condividere. Ma erano mesi ormai che non condividevano più nulla, se non delle stanche conversazioni telefoniche che si sentivano obbligati a sostenere ogni sera.

«Perché non sei a casa?», chiese lui, avvicinandosi alla poltrona e sfilandole dalle dita il bicchiere ormai vuoto.

Fu allora che Mildred realizzò che non era altro che una donna alla soglia dei trent'anni che non era stata in grado di concludere un granché. Si era illusa che quello sarebbe stato l'inizio della sua vita da adulta. Basta fughe, basta tira-e-molla, basta incertezze. Aveva un lavoro da freelance, un mutuo appena avviato, un uomo affidabile al suo fianco. Invece si era ritrovata alle prese con un impiego che le concedeva la libertà di lavorare da casa, ma le occupava le serate e i fine settimana, impedendole di dedicarsi ai suoi affetti, che invece avevano tutti un tranquillo lavoro che andava dal lunedì al venerdì. La casa era un impegno in più, le pulizie, la spesa, il bucato. E a fare tutto ciò era sempre stata sola, con Matthew in Canada. E Matthew, Matthew si era dimostrato distratto, assente non solo fisicamente e di poco supporto.

«È questa casa mia! Questa casa che abbiamo scelto insieme tra decine di altre case, questa casa che abbiamo acquistato e trasformato insieme, dove avremmo dovuto vivere insieme. Cosa potevo dire ai miei genitori? Me lo avevi promesso, Matthew, lo avevi promesso!», strillò incapace di mantenere il solito controllo. Fu liberatorio, per una volta, non sforzarsi di soffocare le proprie emozioni, non calibrare le proprie reazioni e agire impulsivamente.

Si fronteggiarono, in piedi di fronte alla grande portafinestra del soggiorno. La stessa portafinestra che con l'ampia terrazza a cui dava accesso li aveva convinti a prendere quell'appartamento.

La luce era ancora spenta e così solo la penombra data dai lampioni e dalle luci dei palazzi attorno a loro si rifletteva sul volto stanco di Matthew e negli occhi delusi di Mildred.

«Mildred, sai benissimo che siamo nel bel mezzo di una trattativa delicatissima e che la buona riuscita di questo incarico sarà decisiva per il mio futuro. Ne abbiamo parlato mille volte e tu ti sei sempre dichiarata d'accordo, sei sempre stata al mio fianco e io ti sono grato per il sacrificio che hai fatto, dico davvero»

«Me ne sei grato? Dovrei ringraziarti? Sono stata in silenzio, Matthew, ho vissuto da sola per quasi un anno, portando avanti questa casa che doveva essere nostra. Ho preso quasi quaranta voli per Montreal, contro l'unico viaggio che tu hai fatto fino a Boston per la nascita della figlia di Liam! Ti avevo chiesto solo una cosa in cambio, solo la tua presenza stasera a quella maledetta cena!»

Matthew lo sapeva, aveva fatto di tutto per liberarsi in tempo, ma aveva fallito, nonostante la quantità assurda di soldi che aveva dovuto sborsare per farsi posticipare il volo, nel disperato tentativo di arrivare in tempo.

«Dammi un quarto d'ora, mi faccio una doccia, mi cambio al volo e andiamo dai tuoi. Ci sono delle camicie stirate qui nell'armadio?»

Era l'armadio di casa sua, una casa in cui non aveva quasi mai vissuto, e non sapeva più neanche cosa contenesse.

«Sì, c'è tutto quello che ti può servire. Non voglio che tu venga a casa dei miei genitori, non stasera. Ci andrò da sola e ci resterò almeno fino a Capodanno, credo sia meglio così», mormorò Mildred, dirigendosi verso la stanza da letto.

Recuperò il vecchio borsone che utilizzava quando in passato trascorreva il weekend a casa di Matthew e iniziò a infilarci dentro capi a caso che prelevava alla cieca dal cassetto della biancheria pulita.

Una mano le circondò il polso, obbligandola a fermarsi. «Cosa stai dicendo? Sono tornato solo per te!»

«Altrimenti cosa avresti fatto? Se ti avessi detto che potevi restare in Canada anche per le feste natalizie? Avresti lavorato e mi saresti stato grato per aver compreso?», sibilò furiosa, liberandosi dalla sua presa e passando al ripiano dei maglioni.

«Io...Mildred, stai solo facendo i tuoi soliti capricci. Sono qui, sono qui con te adesso. È questo l'importante, non credi? Adesso ci calmiamo entrambi e partiamo-»

«Calmati tu, stronzo!», gli gridò prima di correre fuori dalla stanza.

Lasciò perdere l'ascensore e si gettò giù per le scale, il borsone stretto tra le braccia. Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, se lui la stesse rincorrendo, se avesse senso quel suo istinto di fuga.

Raggiunse la sua auto, il respiro mozzato dal freddo e dalla corsa. Era senza cappotto, senza scarpe e probabilmente senza senno. Si era appena chiusa la portiera alle spalle quando lo vide, scarmigliato e affannato che spalancava il portone del loro palazzo e si lanciava al suo inseguimento.

Gli rivolse un ultimo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore e partì in quarta, senza mai sollevare il piede dall'acceleratore.

Sognavano tutti delle grandi storie d'amore, uno di quegli amori in grado di farti toccare il cielo con un dito e che ti regalano una felicità unica, completa e contagiosa. Ma quei grandi amori sono anche gli stessi che ti portano a guidare senza meta tra la neve, la vista appannata dalle lacrime. Sono quelli che in cambio di tutta quella gioia pretendono piccoli pezzi del tuo cuore, lasciandoti molto spesso agonizzante al suolo se colui a cui li hai donati si allontana troppo portandoseli con sé. Ne valeva la pena?

La risposta era così chiara, la consapevolezza la illuminò all'improvviso e il suo piede pigiò all'improvviso sul freno, incurante della folle velocità a cui si stava muovendo la vettura e dello spesso strato di ghiaccio che ricopriva l'asfalto.

Successe tutto in un attimo. Perse il controllo dell'auto, un boato.

Matthew era il suo grande amore.

Poi il buio.

Si era risvegliata poco dopo, la testa che pulsava, i capelli umidi e qualcosa di caldo che le bagnava la nuca. Era stordita dalle mille sensazioni contrastanti che stavano attraversando il suo corpo. Un dolore sordo alla spalla sinistra, il gelo pungente della neve, il cuore traboccante d'amore. Qualcuno le stava puntando la luce di una torcia dritta in viso e lei chiuse gli occhi per proteggersi.

Ricordava sprazzi di conversazioni, mani che la toccavano con delicatezza, un rumore di passi, una sirena che si avvicinava, luci blu lampeggianti. Poi qualcuno l'aveva medicata, le avevano steccato un braccio e l'avevano sollevata con estrema cautela.

Quando si era risvegliata una seconda volta era distesa in uno sterile lettino d'ospedale, un braccio immobilizzato e la mano intrappolata in una presa calda.

La testa di Matthew era posata sul materasso, gli occhi chiusi e un'espressione tesa dipinta in volto nonostante il sonno. Avrebbe voluto accarezzarlo, domandargli cosa era successo, ma si limitò ad osservarlo con infinito affetto.

Aveva aperto gli occhi e lui era lì. Era lì solo per lei e questo probabilmente bastava a dimostrare quanto tutto ciò di cui lo aveva accusato poche ore prima fosse sbagliato, sbagliato e ingiusto.

Poco dopo un'infermiera fin troppo loquace era arrivata nella stanza e da lì fu un susseguirsi di notizie e visite. Aveva avuto un incidente, era finita fuori strada a causa del manto stradale ghiacciaio. Una macchina si era fermata qualche minuto più tardi e aveva allertato i soccorsi, aveva contattato subito il numero delle emergenze salvato in rubrica, che altri non era che Matthew. Quest'ultimo era accorso immediatamente, aveva chiamato la famiglia affinché rilasciassero il permesso di visita anche a lui. Dopodiché non si era più allontanato dal suo letto.

Uno splendido giorno di Natale insomma.

Aveva una lieve commozione cerebrale e clavicola e omero sinistri erano fratturati.

«Come stai, tesoro?», le chiese Matt una volta sveglio, accarezzandole piano la fronte.

C'erano volute ben due ore per far sloggiare dalla stanza tutto il parentado vario, ma finalmente erano soli.

«Mi sento piuttosto frastornata e non riesco ancora a capire come siano potute succedere così tante cose in meno di ventiquattro ore...», mormorò lei.

Sapeva di avere un aspetto orribile, i capelli ancora impiastricciati di sangue rappreso e un antiestetico cerotto applicato proprio sul mento, ma in quel momento nulla le pareva più importante della presenza costante di Matthew al suo fianco.

«Quando ho ricevuto quella telefonata ero così sollevato, credevo volessi avvisarmi di raggiungerti e invece...»

«Invece ho visto bene di esibirmi in una tripla capriola con automobile e atterrare in un torrente ghiacciato», concluse mortificata lei.

Era stata così infantile, e così incosciente.

«Promettimi che non metterai mai più a repentaglio la tua vita, mai più. Non so cosa avrei fatto se...»

«Shh, non è successo nulla per fortuna. Io sto bene, è tutto passato. Noi staremo bene...», lo rassicurò lei, afferrandogli la mano e portandosela alle labbra.

«Non volevano farmi entrare, continuavano a ripetere la solita stupida frase riguardo al fatto che sono ammessi solo i parenti. E io non lo sono»

Il discorso finì nel nulla perché gli antidolorifici uniti ad una buona dose di calmante avevano iniziato a fare effetto e Mildred poco dopo si era addormentata. Matthew la osservò dormire pacificamente, bellissima nonostante la camicia da notte dell'ospedale e il viso pallido.

Era rimasto in silenzio di fronte alle male parole che gli erano state rivolte dalla madre di Mildred, non aveva fiatato al cospetto dello sguardo contrariato e furioso di suo padre. Cosa avrebbe potuto dire? In quel momento il suo corpo era teso, le gambe incapaci di fermarsi per un solo istante, la mente confusa da una miriade di terribili immagini che vedevano Mildred lontana per sempre.

Continuò a guardarla e a chiedersi cosa avesse fatto per meritarsi l'amore di quella creatura meravigliosa. L'aveva tradita, l'aveva lasciata andare, l'aveva abbandonata. Si era preso il suo cuore, donandole in cambio il proprio. Questo lei lo sapeva, era proprio per quello che gli aveva sempre offerto una seconda possibilità, gli aveva sempre teso una mano.

Ora toccava lui: prenderle la mano, aiutarla a rimettersi in sesto, tornare a vivere accanto a lei, proteggerla e continuare ad essere il suo primo contatto in caso di necessità.

L'idea gli venne all'improvviso, quando lo sguardo gli cadde sul pennarello rosso abbandonato vicino ad una rivista di cruciverba.

Fece attenzione a non svegliarla e quando ebbe finito le lasciò un bacio sulle nocche della mano destra e se ne andò.

Erano passati due anni da quella notte di Natale dove tutto cambiò.

«Continuo a pensare che nessuno abbia mai ricevuto una proposta più insolita ed idiota della tua...», ridacchiò Mildred, tamponando con dell'acqua ossigenata la tempia del marito.

«Ammettilo Mil, in fondo l'hai adorata...»

Ed era vero, quando si era risvegliata nuovamente la luce del sole che filtrava dalle veneziane le aveva fatto scoprire di essere rimasta sola. Aveva provato un moto immediato di delusione, ma lo aveva scacciato concentrandosi piuttosto sull'impellente bisogno di andare in bagno.

Era stato lì, mentre si guardava allo specchio, controllando lo stato della sua ferita al mento e la profondità delle occhiaie, che lo sguardo le era caduto sull'ingombrante ingessatura.

Lì, sopra a quel bianco immacolato, spiccava un'unica parola, vergata in rosso sangue.

SPOSAMI.

«Pareva più un ordine che una domanda...», borbottò, applicandogli un piccolo cerotto rettangolare.

«Credo tu ti sia rifatta quando mi hai costretto ad inginocchiarmi nella neve di fronte a tutti i tuoi parenti, fingendo che fosse quella la proposta ufficiale. Devo ammettere che ti dimostrasti un'ottima attrice, ci credettero tutti...»

***

«Ti ricordi il nostro viaggio di nozze?», le sussurrò accarezzandole piano il collo lasciato scoperto dai capelli sparsi sul cuscino.

Mildred si mosse e si accoccolò più vicino a lui, la guancia posata sulla sua spalla. «Oh sì! Ricordo che il primo giorno volevo già chiamare Liam per chiedergli informazioni riguardo ad un possibile annullamento del nostro contratto matrimoniale...»

«Che bugiarda che sei...»

«Però devo ammettere che i giorni successivi me li sono goduta», tubò maliziosa, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio.

«Vorrei ben vedere! Le mie doti amatorie mi hanno reso celebre ad Harvard!», gonfiò il petto lui.

Quelle parole gli fecero guadagnare un doloroso pizzicotto all'avambraccio.

*

Mildred lo aveva sempre saputo e accettato; Matthew aveva un carattere estroverso, era chiassoso, divertente, catalizzava gli sguardi e l'attenzione di tutti e sapeva godersi la vita.

I primi tre anni di relazione erano stati un calvario, un continuo rincorrersi e mai raggiungersi. Lui troppo immaturo per mantenere fede alle promesse che le faceva e lei troppo cocciuta per dirgli addio una volta per tutte.

Si erano presi e mollati infinite volte, avevano giurato di non ricascarci mai più e si erano dichiarati il proprio odio reciproco. Aveva portato all'esasperazione l'intero campus con la loro storia on-off e portato sull'orlo di un esaurimento nervoso Liam e Tiffany, i loro rispettivi migliori amici.

La sera del ventiquattresimo compleanno di Matt litigarono, e questa di per sè non rappresentò una grande novità, se non fosse che lo fecero davanti a quaranta invitati e il tutto si concluse solo con l'arrivo di un'ambulanza.

Erano in un periodo di  pausa; Mildred  quella sera era esausta, era appena stata bocciata ad un esame e quella stessa mattina aveva ricevuto una mail in cui le veniva comunicato di non essere stata accettata all'ultimo anno di laurea specialistica all'Università di Heidelberg per soli tre punti. Aveva preso un paio di aspirine e le aveva buttate giù con una generosa dose di Vodka Redbull. Quello era il cocktail preferito di Matt, che lei solitamente schifava, ma quella sera non ebbe la forza di fermarsi troppo a riflettere sulle proprie azioni. Tiffany le aveva sconsigliato vivamente di presenziare a quel party.

Non sei sua amica, non sei una sua compagna di corso né una sua cugina. Come giustificheresti la tua presenza lì?

Non era proprio niente per lui, niente di niente. Decise all'ultimo di andarci, solo per fare un salto e augurargli buon compleanno, si disse.

Aveva acquistato un paio di mesi prima il suo regalo, un soggiorno di quattro giorni in una riserva faunistica del Canada. Un dono da fidanzata, ma ormai era troppo tardi per richiedere un rimborso. Liam non sembrava affatto un tipo da baita, abeti a perdita d'occhio e assenza di Internet, ma perlomeno Matthew si sarebbe divertito ad andare a fare delle escursioni nella speranza di avvistare qualche orso. O qualche giovane turista bionda con un pessimo senso dell'orientamento.

Era arrivata in ritardo; la musica era già alta, le cibarie scarseggiavano e gli ospiti parevano già alquanto alticci.

Depositò la sua elegante busta argentata in cima alla pila dei regali e si sfilò il cappotto. Fu in quel momento che Matthew apparve sulla soglia della cucina e lei cercò un contatto visivo con lui.

Sapeva che lui l'aveva vista, nonostante evitasse di guardarla. «Auguri...», mormorò timidamente.

Trascorse un istante, dopodiché lui la sorpassò senza degnarla di uno sguardo, fingendo di non averla sentita.

Fu come ricevere un sonoro ed inaspettato schiaffo sulla guancia. Le si riempirono gli occhi di lacrime, ma si rifiutò di lasciarle scendere.

Dopo, ordinò a sé stessa, più tardi avrai tutto il tempo per autocommiserarti, ora alza la testa e vai avanti.

Scappare via avrebbe significato fare il suo gioco e così decise di raggiungere il soggiorno alla ricerca di qualcosa di molto forte ed alcolico.

C'era della birra calda, del punch dal colore sospetto e un paio di bottiglie di whisky. Tutto ciò che Mildred aborriva e che invece piaceva tanto a Matthew. Optò per tre dita di whisky liscio, rinunciando in partenza ad avventurarsi alla ricerca di un paio di cubetti di ghiaccio.

Sapeva già che se avesse aperto il freezer di Matthew ci avrebbe trovato solo altre birre messe a raffreddare, i pacchettini con il pranzo ordinatamente etichettati preparati dalla sua fin troppo amorevole mamma e un barattolo di gelato alla stracciatella. L'essere a conoscenza di tutti quei piccoli dettagli che lo riguardavano una volta aveva il potere di farla sentire ancora più innamorata, mentre ora voleva solo dimenticarseli al più presto per non doverci pensare mai più.

«Mildred»

C'era solo una persona al mondo, oltre a suo padre, che pronunciava il suo nome come se fosse un muto rimprovero.

Ai tempi Liam non era molto diverso dalla persona adulta che sarebbe diventata. Era sempre stato un ragazzo attraente, ma Mildred lo aveva sempre trovato eccessivamente serio e corrucciato. Sapeva quanto lui disapprovasse il modo di vivere libertino del suo migliore amico, eppure non aveva mai parteggiato per la buona riuscita della loro relazione.

Matthew una volta le aveva confidato che Liam la riteneva troppo focalizzata su sé stessa e poco incline a giungere a compromessi. Si era sentita oltraggiata, sicura com'era di essere una persona buona ed altruista.

«Ehi Liam, niente studio stasera?», gli domandò tanto per fare.

Era da tempo che non si incrociavano e si sorprese a trovarlo ad un evento mondano. Non aveva mai ben capito cosa ci fosse nel suo passato, fatto sta che non ne parlava mai, non tornava mai a casa e passava ogni festività o ad uno dei suoi due lavori o dalla famiglia di Matthew.

Lui si strinse nelle spalle. «È il suo compleanno...»

Già, in fondo anche lei era lì per quello, nonostante tutto.

«Ti trovo bene. Cosa fai adesso? Non ti ho più vista dalla tua laurea...»

Ovvero tre mesi prima, in un settembre insolitamente caldo e luminoso. Conservava una foto nella sua copia consunta de I dolori del giovane Werther. Un'immagine scattata a tradimento da sua madre, che la raffigurava sorridente con la mano allacciata a quella di Tiffany, il braccio di Matthew attorno alle sue spalle e un Liam meno serioso del solito sullo sfondo.

Lui doveva essere all'ultimo anno di legge, esattamente come Matthew, e probabilmente era ancora il primo del suo corso. Mentre lei...

«Alla fine ho scelto Relazioni Internazionali come specialistica. Sto pensando di andare all'estero il prossimo anno...»

«Hai lasciato perdere Letteratura Tedesca?», le domandò chiaramente sorpreso.

Il suo amore per Goethe era cosa nota. Così come l'opposizione della sua famiglia.

«Ho dovuto fare un compromesso», tagliò corto.

Più che un compromesso si era trattato di un silenzioso assenso, una decisione quasi obbligata, fatta a testa bassa, dopo le innumerevoli discussioni che avevano animato i pasti in famiglia.

«Tu come stai?», si affrettò a chiedere, spaventata per la prima volta dall'idea di poter apparire proprio come lui l'aveva sempre descritta.

Fredda, altera, per nulla interessata agli altri. Era così che appariva? Ultimamente se lo era chiesto più volte, accantonando ogni volta il pensiero. Non lo avrebbe sopportato, non ora che aveva un cuore ancora malandato e una carriera universitaria che stava perdendo pericolosamente quota.

«Non c'è male, grazie. Com'è che non sei andata a sciare sulle Alpi quest'anno?»

I due dicembre precedenti non aveva mai potuto presenziare di persona ai festeggiamenti per il compleanno del suo ragazzo, sempre confinata in uno chalet tra i monti svizzeri con una compagnia che, conteggiando pure lei e sua cugina di dieci anni, aveva un'età media di sessant'anni.

Era una tradizione di famiglia e una grande passione di suo padre, il quale da ragazzo era stato una vera leggenda dello sci.

Quell'anno si era rifiutata, causando ulteriore disappunto in famiglia. Aveva deciso di lasciare il campus dopo la laurea triennale e si era trovata un bilocale poco costoso a quindici minuti di distanza che i suoi genitori trovavano semplicemente orrendo.

Trascorrere le feste in solitudine le era parsa una possibilità per rimettere ordine tra i suoi sentimenti ingarbugliati e ripartire in piene forze con l'anno nuovo.

«Non mi andava molto. Puoi scusarmi un attimo? Avrei bisogno di andare in bagno...», mollò il bicchiere sul basso tavolino accanto al divano e fece per voltarsi.

«Ti conviene usare quello al primo piano. Seconda porta a sinistra», la istruì lui, il tono di voce freddo.

Mildred si infastidì. «Me lo ricordo», commentò pungente, prima di mollarlo lì, solo nel mezzo dell'ampia sala.

Imboccò in fretta le scale e percorse due scalini alla volta, lo stomaco sempre più in subbuglio e un cattivo sapore che le invadeva la bocca.

Era stata in quella casa almeno un centinaio di volte se non molto di più in quegli ultimi anni. Infinite notti passate nel letto di Matthew, ad ascoltare il rumore del suo respiro confondersi con quello della ferrovia poco distante.

La musica era assordante, una qualche traccia di quell'elettronica arzigogolata e quasi barocca, che piaceva tanto agli amici di Matthew.

La porta era socchiusa, allungò una mano per bussare, ma all'improvviso il suo corpo decise di averne abbastanza e così si ritrovò a spalancare la porta e a gettarsi a terra di fronte al water.

Vomitò le aspirine, il cocktail di prima e il whisky appena bevuto. Quando si sentì completamente svuotata e gli spasmi allo stomaco si calmarono alzò la testa e i suoi occhi inorridirono.

Seduto sul bordo della vasca da bagno, i pantaloni slacciati, e una ragazza bionda inginocchiata e china davanti a lui, all'interno della vasca in ceramica azzurra, stava Matthew.

Si fissarono per alcuni istanti interminabili; mentre la bionda, ignara del fatto di avere compagnia, continuava il suo lavoro di bocca, la testa che si alzava ed abbassava ritmicamente.

Un attimo dopo lui balzò in piedi e scansò la ragazza, mentre Mildred cercava contemporaneamente di alzarsi in piedi, pulirsi la bocca e rasettarsi i capelli.

Provò a rimettersi in posizione eretta, ci provò con tutta sé stessa e detestò la propria debolezza quando riuscì solo a farsi cadere priva di forze sulla tazza del wc, che era riuscita a chiudere un attimo prima di accasciarvisi sopra.

Vide con la coda dell'occhio che lui era riuscito a sistemarsi i jeans e a liberarsi della bionda, chiudendole la porta alle spalle. A chiave.

«Stai bene?», le chiese non accennando ad avvicinarsi.

Aveva i capelli stravolti, le pupille dilatate e i vestiti in condizioni pietose. Mildred si rifiutò di pensare cosa avesse fatto per ritrovarsi con quell'aspetto trasandato.

«Una meraviglia», biascicò con la bocca impastata.

Avrebbe davvero voluto un bicchiere d'acqua fresca, ma il lavandino era troppo vicino a lui e così decise di lasciar perdere concentrandosi piuttosto sulla sua modalità di fuga.

Gliela poteva leggere sul volto, al di là delle occhiaie scure e degli occhi troppo lucidi. Quell'espressione determinata a finire ciò che aveva iniziato, a strapparle nuovamente dal petto quel poco di cuore che era tanto faticosamente riuscita a rimettere insieme.

Matthew la osservò, così pallida e minuta, le mani aggrappate al bordo del water come per restare ancorata a qualcosa, nella vana speranza di non colare a picco.

L'aveva amata tantissimo, ma lo aveva fatto nel modo sbagliato. L'aveva data per scontata, l'aveva sempre sottovalutata, non comprendendo pienamente la complessità e le mille sfaccettature di quella piccola donna che ora stava tremando davanti ai suoi occhi implorandolo con lo sguardo di lasciarla andare.

«Mil, io...non vol-», tentò.

Lei esplose senza preavviso. La rabbia a scorrerle nelle vene e a donarle un'improvvisa e precaria dose di nuova energia. Balzò in piedi e fece tre passi verso di lui e la porta.

«No. No, non ascolterò un'altra volta le tue cazzate. Spostati!»

Non era abituato a sentirla alzare la voce, sempre incastrata in quella gabbia di buone maniere in cui l'aveva costretta a crescere i suoi genitori. Perciò si sorprese quando la sentì urlare ed utilizzare un tipo di linguaggio non da lei.

Non poteva lasciarla andare, non così, non con in testa come sua ultima immagine la scena appena avvenuta nella vasca da bagno.

«M, ascoltami un attimo, io non potevo sapere che-»

Lei gli mise una mano sulla bocca, non curandosi di essere delicata. «Ti ho detto di tacere. Non mi interessa sentire le tue scuse o qualsiasi altra cosa tu abbia da dire. Ora scansati, per favore», la voce le si spezzò sulla fine della frase e il suo tono si fece quasi supplice.

Scosse la testa deciso ed incrociò le braccia.

Aveva passato una vita intera a fare solo quello che le veniva detto, a comportarsi come ci si sarebbe aspettato da una ragazza di ottima famiglia con dei principi saldi e all'antica. Anni trascorsi ad abbassare la testa, ad annuire, ad annullarsi.

Fu in quel momento che qualcosa scattò dentro di lei, qualcosa si liberò nel mezzo del suo petto dopo anni in cattività e le fece fremere la spina dorsale.

«Levati dalle palle, stupido coglione!», sbraitò, assestandogli una poderosa spallata che lo sospinse violentemente contro il lavandino.

Fece scattare la serratura e spalancò la porta con forza, non curandosi di come il legno cozzò sonoramente contro il ginocchio di Matthew.

Stava per scendere il primo gradino verso la libertà, verso la fine di quell'incubo, quando le sue parole la gelarono sul posto.

«Cos'è tutto questo fuoco improvviso, Mildred?»

Non si mosse dalla cima delle scale, le spalle voltate verso di lui. Sempre più occhi curiosi puntati su di loro dal piano inferiore.

La musica improvvisamente si era abbassata e aveva lasciato il passo ad una vecchia dolce ballata, la colonna sonora più sbagliata che poteva esserci in quel momento.

«Perché adesso ti scaldi e ti infervori per me? Perché ora? Ora che è troppo tardi, cara Mildred. Perché credi dovessi sempre cercare consolazione altrove? Perché pensi di avermi trovato con il cazzo in bocca alla prima che passava? Riesci a immaginare perché sia successo più volte? Perché continui a farlo?»

Lo sentiva alle sue spalle, ferito, accecato dal risentimento. Percepiva il suo alito alcolico sulla nuca.

«DIMMI PERCHÉ!», le urlò nell'orecchio.

Non si mosse, rimase immobile.

La musica ora si era spenta, basta Prefab Sprout, ora era tempo di un nuovo capitolo della loro telenovela preferita. L'eterno dramma Matthew e Mildred era ricominciato.

«Non vuoi parlare? Ok, continua a fare la sostenuta come al solito. Te lo dirò io allora, Mildred. Sì, lo farò io, qui davanti a tutti i miei ospiti. Volete sapere perché? Lo volete sapere?», gridò come un folle, gli occhi arrossati e una vena che pulsava sulla fronte.

«Matt...», Liam alzò la voce per farsi sentire.

Durò per un secondo la speranza che Matthew potesse fermarsi, potesse lasciarla stare, smettere di tenerla prigioniera.

«LO VOLETE SAPERE PERCHÉ?»

«Non farlo», bisbigliò così piano che si chiese se lo avesse davvero detto ad alta voce.

«Perché sei frigida, cazzo! Sempre impettita, sempre pronta a giudicare, sempre con un manico di scopa infilato su per il culo. Sempre ad osannare il tuo perfetto papà. Vorresti che fossi come il tuo paparino, vero? Così ti piacerei di più, ti ecciterebbe di più?»

Trascorsero pochi secondi, un silenzio assoluto regnava nella casa, si udì in lontananza una sirena della polizia e un'auto che faceva scricchiolare la ghiaia del parcheggio antistante il palazzo.

Dopodiché fu il caos. Mildred si voltò, afferrò Matthew per il colletto della camicia, lo fissò con odio e lo spintonò con tutta la forza che aveva in corpo.

Lui inciampò, parve recuperare l'equilibrio, ma poi iniziò a precipitare.

Ancora ad anni di distanza Mildred riusciva a vedere il suo corpo cadere, sbattere ripetutamente conto la ringhiera e il legno dei gradini per poi atterrare, immobile e scomposto, ai piedi delle scale.

*

«Dopotutto poteva andarmi molto peggio...»

Mildred ridacchiò. «Massì, un trauma cranico, una spalla lussata, clavicola e ulna fratturate. Cosa vuoi che sia?», gli ricordò.

«Niente in confronto al mio risveglio in ospedale. Quando mi resi conto di cosa avevo avuto il coraggio di dirti, di farti...», mormorò angosciato.

Lei gli accarezzò piano la fronte, le sue dita fredde e leggere. «Shhh, è passato tanto di quel tempo...»

L'aveva cercata appena dopo essere stato dimesso. Era in Svizzera e non era raggiungibile, così gli comunicarono. Le aveva telefonato tutti i giorni senza mai ricevere risposta. Aveva pazientato, dopotutto ingessato com'era non poteva andare chissà dove.

«È arrivato il nuovo semestre, io avevo di nuovo tutte le ossa integre e milioni di scuse pronte per te. Ma tu non c'eri...»

Firenze le aveva salvato la vita. La Toscana, gli italiani, il calore del sole, la Cupola del Brunelleschi, Piazzale Michelangelo all'alba, il Chianti, la sua piccola mansarda al settimo piano.

Era stato in quell'anno che aveva lavorato su sé stessa per la prima volta nella sua vita, aiutando ad emergere e prendendosi cura di quel nuovo lato di sé che aveva scoperto.

Si era dedicata solo e soltanto a sé e aveva trascorso dei mesi meravigliosi. Andava in università, telefonava poco a casa e provava a schiarirsi le idee. Durante i fine settimana solitamente accompagnava gruppi di turisti in piccole gite fuori porta, insegnava loro ad apprezzare la cucina, la storia, la tradizione italiana e lei imparava insieme a loro.

Aveva conosciuto Giovanni una sera di aprile, alla proiezione di un film di Wim Wenders in lingua originale. Iniziò come una semplice amicizia; avevano molti interessi in comune ed entrambi parevano poco interessati ai trascorsi dell'altro. Lui non le parlò mai di cosa facesse prima di incontrarla e lei non gli accennò mai alla sua vita negli Stati Uniti.

La portava in vespa per le colline toscane, le cucinava i pici al ragù secondo la ricetta di sua nonna e l'aiutava a migliorare la sua conoscenza della lingua e della cultura italiana.

La prima volta che andarono a letto insieme fu in un'afosa serata di inizio giugno, un mese esatto prima del suo rientro. Da lì seguirono trenta giorni in cui iniziarono a comportarsi come una coppia, pur avendo sempre dichiarato entrambi di non essere alla ricerca di una relazione sentimentale.

Con l'arrivo del mese di luglio e la fine della sessione d'esame estiva, si vide costretta a tornare non avendo più scuse per rimandare.

«Eri così diversa quando ti vidi, dopo tutto quel tempo...», ricordò sovrappensiero Matthew.

L'immagine di lei, i piedi scalzi e la pelle dorata dai raggi solari, se la sarebbe ricordata per sempre. L'aveva lasciata piccola, immatura e capricciosa, ma quella nuova donna davanti a lui non sembrava affatto essere la stessa persona che lui si aspettava di trovare.

*

Era rientrata in patria da circa una settimana e non aveva ancora avuto un momento libero per fermarsi a riflettere. Lo sapeva che sarebbe stata quella la prova finale, l'esame decisivo. Cambiare e credere di essere una versione migliore di sé stessi era facile lontano da casa, da tutti coloro che la conoscevano da sempre.

Aveva sempre dato il peggio di sé lì, Boston e Harvard avevano fatto da cornice al formarsi del suo carattere viziato e volubile e infine al suo sgretolarsi in mille pezzi.

Era riuscita ad avere delle conversazioni civili con i suoi genitori e per la prima volta non aveva permesso che la sminuissero e screditassero il percorso da lei intrapreso e il futuro che si era scelta. Aveva risposto a testa alta a suo padre, aveva detto di no alle richieste assurde di sua madre e si era rifiutata di accompagnarli a Cape Cod per il 4 luglio.

Aveva ventiquattro anni, una nuova vita al di là dell'oceano e zero voglia di mostrarsi accomodante.

Quando lui arrivò la trovò immersa nei suoi pensieri, intenta a farsi cullare in silenzio dall'ampio dondolo in ferro battuto nel giardino sul retro.

Aveva i capelli lunghi, sciolti sulle spalle nude. Un corto prendisole giallo limone a risaltare l'abbronzatura e dello smalto rosa chiaro sulle unghie dei piedi scalzi.

Non aveva la più pallida idea di come avrebbe reagito vedendolo. Dopotutto erano passati sei mesi dall'ultima volta che si erano visti, in cima a quella maledetta scala.

Lei alzò lo sguardo, come percependo la sua presenza e si limitò ad osservarlo, continuando a dondolare avanti e indietro.

Non batté ciglio, nascose tutto lo stupore, la furia e il dolore sordo di alcune ferite profonde, che a chilometri di distanza parevano quasi guarite, nel proprio cuore e lo fissò. Lo fissò senza emozioni, un'espressione neutra a decorarle la bocca.

Dentro di lei però stava avendo luogo il finimondo. Lo trovava ancora più bello del solito, con i suoi capelli color dell'oro più lunghi del solito e una corta barba che non aveva mai avuto. Il respiro le si era fermato per un attimo e il cuore aveva perso un battito.

Poteva essersi illusa, poteva essersi divertita con Giovanni a fare finta di non avere un passato, ma ora che questo si era ripresentato e lei si era resa conto di non essere ancora pronta a lasciarlo entrare. O a dirgli addio per sempre.

«Ciao Matthew», si obbligò a salutarlo.

La sua voce era la stessa, pensò Matthew, tirando un sospiro di sollievo. Sempre altezzosa, leggermente strascicata, ora leggermente contaminata da un'ombra di un accento insolito, quasi esotico.

«Come stai?», le chiese preoccupato, pur notando che fisicamente probabilmente non era mai stata meglio.

Lei si mosse sul cuscino candido per lasciargli un po' di spazio e l'orlo del vestito si alzò, lasciandole scoperta una generosa porzione di coscia.

Matthew deglutì a disagio, obbligandosi a distogliere lo sguardo. Aveva messo su peso, ma considerato quanto fosse ossuta in precedenza, ora avevo un aspetto sano, pieno e ancora più sensuale di prima.

Molto più sensuale di prima, dovette constatare Matthew. Bella lo era sempre stata, con i suoi tratti aristocratici, la sua bocca piena e il corpo ben proporzionato. Ma si era sempre costretta in eleganti abiti dal taglio classico, con pettinature raccolte e strette sulla nuca, sempre pudica, quasi a vergognarsi delle proprie curve e della propria femminilità.

«Direi bene, grazie. Tu?». Appariva poco interessata, quasi annoiata da quello scambio di battute.

Lui si domandò come faceva a restare impassibile quando a lui pareva di essere ad un passo da avere un colpo al cuore. Pensava di essere pronto a rivederla, ad affrontare quello che negli ultimi mesi era stato il suo tormento. Non era riuscito a perdonarsi, a trovare una giustificazione per il proprio pessimo comportamento e soprattutto non ce l'aveva proprio fatta a non pensare a lei.

L'aveva cercata, l'aveva rincorsa, ma lei era stata più astuta ed era sparita. Tiffany si era lamentata di sentirla troppo poco e si era rifiutata categoricamente di aiutarlo, i genitori di lei non avevano voluto fornirgli alcun nuovo recapito o il suo indirizzo fiorentino e la segretaria universitaria gli aveva ordinato di non avvicinarsi mai più di dieci metri agli uffici della segreteria amministrativa se non voleva riceve un ordine restrittivo ufficiale dalla polizia di Boston.

L'aveva stalkerata su ogni social network mai inventato, ma l'unica cosa che era riuscito a scovare era un'immagine in penombra di lei e un tizio italiano sopra ad un traghetto in mezzo al mare. I loro corpi non si toccavano neanche, ma la rabbia che quella fotografia gli aveva procurato era durata per settimane.

«Sono stato meglio, molto meglio», disse arrabbiato.

Non sapeva neanche lui perché se la fosse presa tanto, ma quell'ira ora stava rimontando dentro di lui. Così decise di sedersi accanto a lei, almeno avrebbe potuto guardare la siepe di fronte a lui invece che la sua pelle nuda.

«È successo qualcosa?», si informò lei, una nota allarmata che sfuggì al suo controllo.

Tiffany non era stata molto d'aiuto, ultimamente sempre troppo distratta o troppo impegnata a lamentarsi più del dovuto in merito a qualsiasi cosa, e lei non aveva mai osato fare domande a proposito di Matthew.

L'unica persona rimasta ad unirle era Liam, ma dopo che lei gli aveva scritto per fargli auguri di compleanno a febbraio, aveva ricevuto solo un breve messaggio di ringraziamento e la conversazione aveva avuto fine.

«A settembre non potrò laurearmi...», confessò lui a denti stretti.

Erano stati sei mesi di merda, sei mesi in cui non era riuscito a concludere nulla, ma a mandare a puttane tutto ciò per cui aveva duramente lavorato.

Non aveva dato neanche un esame a febbraio e a giugno era stato bocciato all'unico a cui aveva provato a partecipare. Aveva frequentato poco le lezioni, aveva perso il suo posto nella squadra di baseball dell'istituto e si era reso conto che era ora di darci un taglio con tutto quell'alcool e quella vita irresponsabile.

«Come? Ma se eri perfettamente in pari a ottobre? Cos'è successo?». Ci aveva provato a rimanere indifferente, ma teneva troppo al suo futuro e alla sua buona riuscita per restare in silenzio.

Aveva sempre amato quello che studiava e si era sempre impegnato molto per raggiungere i propri obiettivi, quasi sempre con voti eccellenti e lodi. Era l'anima di tutte le feste, ma le settimane antecedenti un esame le passava rinchiuso in biblioteca, gli allenamenti e il suo lavoro come unici diversivi.

«Diciamo che...mi sono un po' perso per strada. Non avevo nessuno stimolo, nessun interesse, nessuna voglia. Passavo le ore a fissare il cielo fuori dalla finestra. Hai presente le stanzetta di consultazione al secondo piano della biblioteca di Scienze Naturali?»

Lei annuì, era lì che si erano incontrati dopotutto. «Sì, quella senza riscaldamento...»

«Ho passato richiuso tra quelle quattro mura tutto il mese di gennaio, il manuale da studiare abbandonato aperto sul tavolo e lo sguardo rivolto al cielo fuori dal vetro. Quando mi sono reso conto di aver gettato via un'intera sessione non ho provato nulla. Il niente più assoluto»

Quelle parole fecero venire in mente a Mildred il suo primo mese in Italia, quando si limitava a sopravvivere. Osservava Firenze dalla sua finestrella al settimo piano, ma non aveva il coraggio di uscire ad esplorarla. Sorrideva alle persone, ma non riusciva mai a rivolgere loro la parola. Respirava, mangiava, dormiva.

Dopodiché si era resa conto che non poteva permettersi di sprecare tempo, quel prezioso tempo che le era stato concesso in quella terra meravigliosa. Così aveva indossato il suo cappotto rosso dei giorni felici, era uscita, aveva fatto la coda insieme ai turisti ed era salita in cima al Campanile di Giotto. Da lì tutto era molto più bello, molto di più che dalla sua finestrella.

*

«E poi ti rimboccasti le maniche e mi facesti da tutor per tutta l'estate. Non mi dovevi nulla, al massimo un'altra spinta giù dalle scale, e invece sacrificasti la tua estate per me e a settembre superai inaspettatamente ben quattro esami!», esclamò Matthew stringendosela al petto, la suo risorsa più preziosa.

«Non del tutto inaspettatamente dai, in fondo io sapevo di essere un'insegnante infallibile e tu dopotutto non sei un alunno così ottuso...», ribatté lei, ridacchiando contro il suo collo caldo.

«Quando sei ripartita mi si è spezzato il cuore. Una seconda volta», le confessò sommessamente.

Lei lo aveva sempre saputo, ma non sarebbe stato giusto restare. Era consapevole del fatto che lui si aspettava che le cose tra loro fossero cambiate, tornando come erano una volta, ma lei non era pronta. Era assuefatta da lui, da quell'estate passata sempre insieme a darsi una mano a vicenda, per la prima volta più impegnati ad aiutarsi e prodigarsi per l'altro piuttosto che a farsi la guerra e fare a gara a chi sarebbe arrivato per primo al traguardo, a chi ne sarebbe uscito vincitore e chi con il cuore calpestato.

Era tornata in Italia e aveva ripreso la sua vita da dove l'aveva lasciata due mesi prima. Con Giovanni era sempre tutto molto semplice, casuale e divertente, ma lei non riusciva più a continuare e così si vide costretta a dirgli addio. Firenze era sempre bellissima, ma lei continuava a fissare la fotografia della propria laurea, tra le persone più importanti, a casa sua.

A dicembre rientrò in anticipo senza comunicarlo a nessuno. Aveva letto sul sito della facoltà di giurisprudenza l'annuncio dell'imminente cerimonia per la conclusione delle lauree magistrali e aveva deciso che sarebbe stato corretto esserci. In fondo era stata, seppure ad intervalli, al suo fianco per ben quattro di quei cinque anni di percorso universitario.

Era arrivata in anticipo e si era seduta in una delle ultime file. I capelli sempre più lunghi e un vestito di velluto blu nascosto dal suo cappotto rosso. Aveva seguito la cerimonia con scarsa attenzione, gli occhi fissi sulla testa bionda e le spalle imponenti in seconda fila.

Sorrise quando chiamarono il suo nome e lo vide alzarsi e fare una piccola deviazione nel salire sul palco per poter assestare una pacca sulla spalla a Liam, il quale gli rispose con uno dei suoi rarissimi sorrisi e gli fece un cenno incoraggiante verso il rettore e il diploma di laurea che lo attendeva.

Salì baldanzoso i pochi scalini, strinse la mano al rettore e a tutto il corpo docenti, prima di voltarsi verso il pubblico per ricevere il consueto applauso.

Dal pubblico si levarono gli schiamazzi e i fischi dei suoi compagni della squadra di baseball e lui si esibì in uno stupido inchino di ringraziamento.

Quando si risollevò e rivolse un ultimo sguardo agli spettatori, la individuò. Tra un migliaio di persone lui la vide e i suoi occhi si spalancarono.

«Ricordo che il rettore aveva già pronunciato il nome dello studente successivo e io ancora non mi ero mosso. Me ne stavo lì impalato al centro del palco, il cuore in gola, terrorizzato dall'idea che fossi solo frutto della mia immaginazione. Una proiezione dei miei sogni, delle mie speranze...»

«Si chiamava Mark Lowe, ancora me lo ricordo! Alla fine dovettero gettarti giù dal palco di forza», Mildred rise a quell'immagine.

«Attraversai tutta la sala come se fossi in stato catatonico, i miei piedi si muovevano da soli nella tua direzione. Poi tu ti sei alzata e mi sei venuta incontro...»

«Questo è il cappotto dei giorni felici, mi dissi...»

«E tu mi rispondesti che quello era il giorno più felice di tutti»

«E tu, non ancora stanco di essere al centro dell'attenzione, decidesti di dare spettacolo sollevandomi da terra, strillando come un pazzo e baciandomi davanti a tutti! Credo che quel Mark Lowe ci abbia odiato assai...»

«Probabilmente nessuno si ricorderà della sua laurea, ma tutti lo faranno con il nostro bacio spettacolare», gongolò contento lui.

Mildred si mise a sedere di scatto, le lenzuola le scivolarono di dosso lasciandola nuda.

«Che ore sono?»

Matt si sporse verso il comò di legno grezzo e lanciò un'occhiata al suo orologio da polso.

Le comunicò che era quasi l'una di notte, dopodiché allungò un braccio per circondarle la vita e trascinarla nuovamente sotto le coperte al caldo, vicino a lui.

«Direi che per il momento abbiamo parlato e richiamato alla mente ricordi a sufficienza...», gli sussurrò all'orecchio, strusciandosi piano contro il suo corpo.

Aveva la pelle fredda come al solito, ma Matthew non ci fece caso. Ci avrebbe impiegato poco a riscaldarla. «Mmh, sono d'accordo...»

Mildred gli lasciò un bacio sulle labbra. «Buon Natale, tesoro...»

«Buon Natale, Mil»

  
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