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Autore: Mel_mel98    30/08/2018    0 recensioni
| Minho + memory theme. What else? |
Ho letto Maze Runner “The Fever Code” e niente, come sempre, questa fanfiction è ciò che il mio cervello ha elaborato. Trasportata dalla descrizione della vita dentro W.C.K.D (che non riesco a chiamare C.A.T.T.I.V.O. perché è qualcosa di troppo ridicolo) e da un prompt delle Lontre Templari - link nelle note a fine fic – ho cercato di esplorare il rapporto che si è andato a creare tra Minho e Newt, in assoluto i miei cuori di panna preferiti.
Il prompt è “-Credi nelle fate? -Solo quelle verdi.” e da metà in poi diventa un Movieverse rivisitato, perché, lo ammetto, non saprei dire come procede la trama del terzo libro, dopo aver visto il terzo film. Occhio a possibili spoiler, anche se ho visto che The Fever Code è del 2016, quindi come sempre sono io ad essere indietro.
Buona lettura e lasciate un commento se avete un po’ di tempo, fa sempre piacere!
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alby, Minho, Newt
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Solo quelle verdi


 

C’era un passato che ricordava bene, e avrebbe voluto dimenticare,

seppellire sotto litri di alcol rubato a quelle fate che non si erano più fatte vedere.

 

“Ciao Minho… come ti senti?”

Avrebbe solo voluto gridare. Gridarle in faccia che la odiava, che l’aveva sempre odiata, e che avrebbe fatto meglio a smettere di fingersi sua amica. Avrebbe solo voluto gridare. Ma restava in silenzio, il capo chino a fissare il tavolo davanti al quale lo avevano fatto sedere.

“Spero ti faccia piacere sapere che ci siamo quasi: la cura è quasi completa. Capisci Minho?”

Avrebbe davvero voluto non capire di cosa stesse parlando, non capire perché lo dicesse con tanta emozione nella voce. Invece capiva. La cura. Quella che cercavano da anni, senza risultati. Quella che lui aveva nel sangue, e che cercavano di replicare da tempo immemorabile.

Gli avevano fatto di tutto, per prendere quella cura. Lo avevano gettato nel Labirinto senza memoria, per ottenerla.

“Minho… ti ho fatto togliere il Filtro, ho pensato che-”

“Non avresti dovuto farlo” parlò allora lui, con voce roca, graffiandosi la gola secca da giorni.

“Cosa?”

“Non avresti dovuto farmi ricordare.”

Teresa deglutì, a disagio. Era più difficile del previsto, affrontare quella conversazione.

“Ho pensato che ricordando come era il mondo prima del Labirinto avresti capito che tutto quello che stiamo facendo ha una giustificazione...”

“Tu, Teresa, non mi sei mai piaciuta. Me lo ricordo benissimo. Mi sei sempre stata sul cazzo. Ci hai sempre presi in giro tutti.”

“Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per cercare una soluzione all’Eruzione! L’ho fatto per salvare milioni di vite, l’ho fatto per-”

“Però di salvare le nostre non te ne sei preoccupata eh? Di tenere al sicuro chi non era immune te ne sei sbattuta le palle, perché serviva qualche soggetto di controllo, dico bene? Ad impedire che persone immuni morissero dentro il Labirinto di disperazione non hai pensato? Ma lo capisco, lo capisco… Avevi da pensare a quelle milioni di vite là fuori e, ah già: alla tua.”

Minho aveva gli occhi iniettati di sangue, e una irrefrenabile voglia di saltarle addosso.
Aveva il respiro corto e pensante, e la testa ingombra di un sacco di ricordi che ad un certo punto gli avevano fatto dimenticare, e adesso avevano voluto riprendesse in considerazione.

Forse lei pensava si sarebbe ricordato dei suoi genitori, morti a causa dell’Eruzione, che avrebbe così trovato la forza di collaborare.
Che si sarebbe così fatto torturare di sua spontanea volontà.

Ma tutto ciò che vedeva erano i suoi amici in fila davanti ai medici che dovevano prepararli per le prove del Labirinto, mentre lei e Thomas li guardavano dall’altra parte della stanza.

Ricordava il suo tentativo di fuga e le sue conseguenze. Ricordava il pugno che aveva dato a Gally quando era riuscito a tornare in sé, e aveva usato lui per sfogare la frustrazione, e ricordava… Le notti insonni, passate ad elencare mentalmente gli ingredienti del polpettone.

“Non te n’è mai fregato un cazzo di noi, Teresa, quindi smetti di far finta che questa sia una rimpratriata. Quello che ho io nel sangue ce l’hai anche tu. Perché non lo prendi da lì quello che stai cercando, eh?” gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, alzandosi, e nonostante le mani legate per precauzione, spostando il tavolo verso la ragazza, che in fretta e furia si diresse verso la porta, mentre la sicurezza accorreva ad immobilizzarlo.

“Erano un branco di sadici pervertiti, e tu sei diventata una di loro, Teresa! C’erano così tanti modi per salvare l’umanità, e avete scelto il più stronzo possibile!”

E adesso piangeva, mentre qualcuno gli infilava un ago nel collo.
Piangeva come la prima volta che aveva visto un Dolente, e come la prima volta che lo aveva raccontato a qualcuno.

 

Pochi giorni dopo la sua tentata fuga, e dopo la sua punizione, lo avevano reinserito nel Gruppo A, quando in realtà tutto quello che avrebbe voluto fare era stare da solo in una stanza a fissare il soffitto.

Non era pronto a parlare con gli altri, non era pronto a fare finta di stare bene, a fare finta che non gli avesse fatto tremendamente male, fallire nella sua fuga.

Non aveva voglia neppure di parlare con i suoi amici, che avevano gli occhi gonfi di apprensione, e la bocca evidentemente colma di domande a cui Minho non sapeva rispondere.

“Come stai Minho?” gli aveva chiesto Alby appena lo aveva visto, e tutto quello che era riuscito a fare lui era stato alzare le spalle.

Newt invece era rimasto ad osservarlo in silenzio. Minho non avrebbe saputo dire se si trovasse in una delle sue giornate sì, o in una di quelle no, ma sembrava incredibilmente stanco.

 

“Ti va il mio polpettone?”

Erano state quelle, le prime parole che aveva sentito pronunciare dal biondo, dopo essere tornato.

“Va bene… ma dovresti mangiarne almeno la metà, sei più bianco del sottoscritto...”

“Sono sempre stato più pallido di te, idiota” gli aveva risposto, facendosi spazio sulla panca accanto a lui “E comunque lo sai che mi fa schifo questa roba, mentre a te servirà.”

“Sì, a riempirmi lo stomaco di schifezze, grazie, molto gentile da parte tua.”

“Sì, a quello, e a pensare a qualcosa di non deprimente prima di addormentarti stanotte.”

 

Quella sera, Newt lo aveva salvato dai suoi fantasmi, avvicinandosi al suo letto a notte fonda e sedendosi ai suoi piedi con fare non troppo discreto.

“Non si dorme stanotte, eh pive?”

“Non credo, no” aveva sussurrato lui.

“Beh, neppure io. Posso restare qui?”

Minho aveva annuito, sentendosi immediatamente un idiota perché era buio pesto e Newt non poteva certo vederlo. “Fa’ come vuoi” aveva detto.

“Minho”

“Sì?”

“Ti prometto, che dopo quello che ti hanno fatto non mi permetterò più di pensare che questo posto sia sicuro. Che non ci sia niente di meglio. Te lo prometto.”

 

Ed era in quel momento che aveva iniziato a piangere. Newt ancora non lo sapeva neanche, che cosa gli avevano fatto, eppure era pronto a mettere da parte quegli unici pensieri che gli davano un po’ di sollievo, per essergli solidale.

Protetto da quello scudo di oscurità, Minho si era finalmente lasciato andare, mentre le immagini di quegli esseri rivoltanti che lo avevano attaccato minacciavano di fargli perdere di nuovo la testa.

Ma la presenza di Newt sul fondo del letto lo teneva ancorato al presente, impedendogli di scivolare via.

Quella sera, Newt gli aveva offerto l’elisir di lunga vita, senza neppure rendersene conto.

 

 

Adesso, dopo aver passato anni all’oscuro di ciò che ci fosse stato prima del Labirinto, Minho sapeva.
Sapeva che quell’amico che lo aveva salvato, aveva sempre sofferto di depressione, e che sotto gli occhi di tutti quei medici e psicologi si era trascinato lungo la sua faticosa vita senza che nessuno facesse niente. Sapeva che li avevano usati senza nessun riguardo, e se anche quello fosse stato l’unico modo per raggiungere una cura per salvare il pianeta, avevano quantomeno sbagliato nell’approccio che avevano avuto nei loro confronti.

Brividi di freddo gli percorsero la schiena quando, chiuso a chiave nella sua stanza dove lo avevano portato, si distese malamente sul pavimento, lasciando vagare il suo cervello, finalmente libero, tra i ricordi.

Dov’era Newt in quel momento? Stava bene? Se gli avesse detto che solo tre anni prima avevano parlato di fate e polpettoni per addormentarsi, c’avrebbe creduto?
Sorrise debolmente.
Per qualche ragione faceva piuttosto male, ricordare quelle cose.
Eppure, non riusciva a non sorridere.
Forse, a forza di tutti quei sedativi, lo avevano trasformato in un ubriaco.

 

“E comunque, anche se non era lei che aveva il veleno, la meglio rimane la fata blu.”

“Sì, certo, come vuoi Minho. Io, se dovessi scegliere comunque, sceglierei quella rossa. Secondo me la rossa è meglio. Quella blu è ubriaca, lo hai detto tu stesso!”

“Lo dici solo perché l’ho scelta io quella blu Alby! E comunque gli ubriachi sono simpatici, secondo me”

“Ovviamente. Come se se ne vedessero tanti di ubriachi, qui in giro.”

“Io invece, vorrei essere la fata verde.”

“Cosa? Vorresti essere una fata? Newt mi sa che il purè di oggi ti ha dato al cervello.”

“Ma poi la fata verde era quella con il veleno, no?”

“Esatto. Vorrei essere quella verde, e dare la mio boccetta a quel medico incapace che stamattina mi ha fatto le analisi: guardate qua che livido mi ha lasciato con quel suo ago maledetto!”

“Cavolo amico… allora se tu diventi una fata, anche noi lo diventeremo: io quella blu, e Alby quella rossa! Ti accompagniamo nella missione, che quel dottore sta troppo antipatico anche a me!”

“Mmh… io non mi fiderei delle fate blu… sono sempre in ritardo!”

“E io non mi fido delle fate rosse: rompono sempre le scatole!”

 

 

E poi c’era il presente. Dove i fantasmi si erano moltiplicati, e non c’era più nessuno che credeva alle fate.

“Zio Minho?”

“Dimmi pive.”

“Ho trovato la soluzione all’enigma delle fate.”

“Non avevo dubbi, marmocchio.”

“L’elisir di lunga vita sta nella bottiglia della fata rossa e in quella della fata blu. Mentre la fata verde ha il veleno, e infatti è bugiarda perché dice che la rossa ha il veleno ma non è vero!”

“E bravo il nostro campione di indovinelli. Stai diventando sempre più sveglio.”

“Zio Minho, posso chiederti una cosa?”

“Spara.”

“Ma tu... ci credi alle fate?”

“Solo a quelle verdi.”

 

E lui, lui aveva smesso di credere a tante cose.

Col tempo aveva smesso di credere ci fosse qualcosa di assolutamente giusto, o qualcosa di assolutamente sbagliato, al mondo.

Aveva smesso di credere ai suoi incubi, e aveva smesso, prima di molti altri, di benedire il sole che sorgeva ogni mattina sulle loro teste. Accadeva e basta, non c’era niente di giusto, niente di sbagliato, nel fatto che lui fosse ancora lì a poter vedere la luce del giorno.

Non credeva più agli elisir di lunga vita, perché la cosa che più gli si avvicinava che avesse mai conosciuto li aveva portati tutti sull’orlo di un baratro senza fine.

Ma alle fate, ci credeva ancora. Soprattutto credeva ancora a quella bugiarda che aveva conosciuto, la cui risata rimbombava forte nei suoi ricordi, quando si spingeva con lo sguardo al di là del mare.

Bugiarda, ma non abbastanza da negarsi il proprio destino, e che alla fine se n’era andata, senza dirgli niente.

 

Gli mancava, gli mancava tanto Newt.

Ogni tanto si domandava cosa avesse dovuto provare, mentre si sentiva scivolare la sanità mentale tra le dita.
Thomas gli aveva detto che non aveva mai pensato a sé stesso, il suo unico pensiero era sempre stato tirarlo fuori dalla W.C.K.D.

Adesso avrebbe voluto tornare indietro al momento in cui l’aveva rivisto nel corridoio dove tanti anni prima si erano conosciuti, quando l’aveva abbracciato a aveva sentito dal calore della sua pelle, che c’era qualcosa che non andava.

Avrebbe voluto tornare lì e raccontargli tutto quello che lui non poteva ricordare. Non poteva salvarlo, lo sapeva fin troppo bene.
Non poteva salvarlo adesso, che era troppo tardi, non aveva potuto farlo allora, perché era troppo presto per quella dannatissima cura.

Ma avrebbe potuto stringerlo più forte, avrebbe potuto restare con lui più a lungo.

Ma quel compito era toccato a Thomas, che lo aveva accompagnato fino alla fine.

Newt s’era sempre fidato ciecamente di Thomas, ma non perché credeva potesse salvarlo: semplicemente perché era capace di trasmettergli quella forza che tanto gli mancava nei giorni no.

E sotto sotto, Minho non riusciva a cancellare quella sorta di risentimento che provava nei confronti di tutti quelli che lo circondavano. Non riusciva a cancellare neppure il risentimento che provava verso sé stesso.

Avevano fallito.

Avevano fallito tutti.

Non c’era rimasto niente in cui credere, se non in Darwin e la sua vomitevole teoria sull’evoluzione della specie.

 

“Zio Minho?”

“Sì?”

“Tu l’hai mai vista una fata verde?”

“Forse, è probabile.”

“Si può credere solo in qualcosa che si è visto con i nostri occhi?”

“Niente affatto. Anzi, è il contrario: il più bravo a credere è quello che crede a cose che non ha mai visto, ma solo sentito.”

“Allora ci credo anche io, zio, alle fate verdi, va bene?”

“Certo che va bene, scemo di un pive, mica devi chiedere il permesso a me.”

 

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Note dell'autrice
E adesso è proprio finita, spero vi sia piaciuta la lettura di questa fanfiction almeno la metà di quanto è piaciuto a me scriverla. Sarebbe già un risultato di cui andrei fiera!
Lascio nuovamente il link alla pagina dove sono raccolti i prompt delle Lontre Templari ma non solo, così che anche voi possiate farvi travolgere dalle mille idee che questi prompt riescono a suscitare!
Voi fate i bravi, lasciate un commentino e fatemi sapere dove potrei migliorare (a parte nella grafica, che mi fa sempre schifo ma cambiando computer come spazzolini da denti ultimamente è diventato sempre più difficile gestire le storie dal punto di vista estetico!)
Alla prossima,
Mel <3

 

   
 
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