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Autore: GHENEA    01/09/2018    0 recensioni
"Pensi davvero di non aver scelta.
Sei convinta al cento per cento che quella sia l’unica possibilità.
E poi scopri che l’inevitabile era evitabile.
Questi sono i momenti più disperati; ti senti morire, perchè in fondo sapevi che le cose potevano andare diversamente, ma non mi sono mai spinta oltre, per paura di sbagliare o di cercare l’inesistente. Mi rendo finalmente conto di tutta la sofferenza che avrei potuto evitare, se solo non avessi avuto paura."
Rachel ha avuto una vita difficile, basata su scelte che forse non erano corrette, ma non sembra rendersene conto finché non incontra quel rompiscatole di Garfield che come un'uragano sconvolgerà lei e la sua traumatica vita.
Lei sarà in grado di accettarlo? la scelta finale la farà bene?
non vi dico altro e vi lasco a questa storia (se così si può definire).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci sono sempre dei periodi duri; ci saranno sempre. È una cosa che pensi di sapere, ma che spesso dimentichi e ti abbandoni a te stesso. Se non ci fossero, non avrebbe senso la vita, però. Come si può far nascere una creatura, sapendo di metterla in un mondo monotono e scostante. Le difficoltà sono piccole cose; sono marce in più che ti aiutano a capire cosa vuol dire esistere, un concetto che da sempre ci è estraneo: forse perché odiamo i periodi bui e non sappiamo trarre conclusioni da noi stessi. Chi vive di speranza, vivrà sempre per mezzo dei successi degli altri; che vive di rinunce, avrà sempre rimpianti. Eppure mi ci è voluto così tanto tempo per capire; troppo e già ne abbiamo davvero poco da sfruttare per stare il meglio possibile con noi stessi. Mi sento trascinare da un gelido spirito di paura, ma avanzo. La folla intorno procede, senza badare a me; è semplicemente ciò che bisogna sempre fare: non saranno brutti momenti o gravi perdite a fermare il mondo per darti il tempo di ripartire. Nessuno ti aspetta o ti aspetterà mai ed era un concetto che mi pareva chiaro, eppure i ci sono voluti cinque anni di stacco e di ripresa per rendere questo concetto vivo dentro di me.

Cinque anni passati a nascondersi, ad avere paura, a piangere e a crearsi una nuova vita; a pensare alla nuova vita che si creeranno gli altri senza di me.

La Norvegia sembrava il posto perfetto; in Europa i nemici di mio padre mi hanno accolto ed aiutato. Sono rimasta lì tre mesi, poi mi sono arrivate notizie di questo ragazzino che cercava una giovane molto simile a me e sono ripartita.


 

Le cose che erano accadute in quel tunnel mi hanno cambiata profondamente. Quando decisi di lasciar scappare Trevor per salvare Garfield avevo anche deciso di allontanarmi da lui per sempre, perché ero spaventata; ero terrorizzata da quello che ero diventata, da quella persona che stava mettendo davvero in analisi l’idea di lasciare morire l’uomo che amava per inseguire un fantasma. Quella ragazza era l’ultima cosa che volevo diventare, era come lui. Allora fermai l’emorragia e rimasi a fissarlo per cinque minuti per assicurarmi che stesse meglio; gli accarezzai i capelli per l’ultima volta e poi scappai senza più guardarmi indietro, tranne per ringraziare Tara, che era già morta.

Solo dopo essere scesa dall’aereo, alla stazione di Oslo scoprì che erano riusciti ad arrestarlo in tempo e che Garfield era vivo.

L’unica cosa che rimpiangevo è stata quella di non aver potuto rivelargli i miei sentimenti. Non potergli dire che finalmente avevo capito che lo amavo mi stringeva il cuore, come l’idea che ora lui avrebbe potuto trovare qualcuno che potesse dargli molto più di quello che gli ho dato io.


 

Non lo chiamai, non chiamai nessuno; troncai tutto e grazie ai miei contatti cancellai completamente ogni prova della mia esistenza e mi creai una nuova identità: Cecilie Bergan, nata ad Oslo e residente a Drammen. Mi creai una storia e tutto funziono perfettamente, finché non mi spostai verso Shikoku.

Altra vita, altra storia, altre bugie, ma lui era ostinato e non si arrendeva e riuscì a trovarmi infatti un mese dopo che mi sistemai nella casa di campagna di un mio vecchio amico giapponese mi arrivarono notizie della sua comparsa all’ aereoporto Tokyo. Ci misi dieci minuti a ripreparare le valige e partì un’altra volta, questa volta più vicino, per essere sicura che lì non mi avrebbe mai cercato: Honolulu.


 

Come previsto non ci furono più suoi avvistamenti e io vivevo nella vecchia tenuta per le vacante di mio nonno: una villetta davanti al mare che mi permetteva di uscire di casa il meno possibile grazie anche all’arrivo di Gregor, un grande amico di famiglia e maggiordomo di fiducia.

Lì trovai la calma e la pace; pensai molto: a quello che era successo, a quello che sarebbe potuto accadere e a cosa avevo intenzione di fare. Le prime risposte mi arrivarono verso la fine del secondo anno di fuga: scappare è uno dei tanti piaceri della vita che gli uomini non si possono permettere, tranne me; il patrimonio lasciatomi mi permetteva di continuare a vivere nell’ombra per tutta la vita, con tutte le comodità e questo mi spaventò molto. Se solo avessi voluto avrei potuto decidere di restare in quel posto magico per sempre, ma la donna che volevo diventare l’avrebbe fatto? La Rachel che avevo lasciato a Jump l’avrebbe fatto? La ragazza che sono ora, lo farebbe?

Da quando capì che in ogni caso la risposta sarebbe stata si mi posi un limite: ancora tre anni, per far calmare le acque, per depistare la CIA. Dovevano essere cinque anni di totale reclusione dal mondo esterno, di riflessione e di decisioni.

Così è stato; capì finalmente che non potevo lasciare anche il mio futuro a Trevor, non potevo farmi condizionare ancora da un uomo ormai i prigione. Non potevo cambiare il passato, ma sicuramente il futuro me lo sarei costruita meglio e lo avrei fatto da sola.


 

La prima cosa che capì di volere nella mia vita furono i miei amici. Volevo un bel lavoro, che mi desse soddisfazioni e qualcuno che mi avrebbe amato per quello che sono ora e per quello che ero.

Magari la scrittrice, pensai.


 

Gregor mi aiutò molto nello studio e nella mie preparazione. Non potevo di certo passare cinque anni senza fare miente e di certo non potevo tornare nel mondo esterno con senza una qualche certificazione.

Così, grazie a degli agganci del mio amico e maggiordomo, riuscì a prendere una Laurea più che rispettabile alla Oxford Univesity di Londra attraverso studio individuale e ad un esaminatore personale che ogni mese veniva con un test diverso. Ovviamente parliamo di un uomo fidato, tenuto sempre sotto stretta sorveglianza. Più difficile fù con la commissione finale alla presentazione della tesi. Lì decisi di rischiare e partì per la sede dell’università prendendo le giuste precauzioni

Lo studio in parte mi aiuto a capire cosa provava ogni giorno una studentessa normale, con una vita normale, con delle ansie normali e problemi … normali.


 

Quando arrivo la conclusione del quinto anni non mi sentì affatto pronta. Avevo paura che tutto potesse ricominciare da capo, che questi sforzi non siano bastati. Poi però pensai a mia madre; in realtà non passava giorno senza che pensassi a lei, ma alla vigilia della mia partenza la sentì particolarmente vicina.

Come sarà riuscita lei ad andare avanti dopo tutto quello che aveva passato? Forse ponendosi un obbiettivo; alla fine non è così che andiamo avanti tutti? Ci poniamo una linea di traguardo per resistere, per darci un’idea di come comportarci o che scelte fare. Forse usare questo trucco sarebbe stato utile anche a me.

Infondo glielo devo; devo vivere come voleva lei, come desideravamo entrambe di fare un giorno e dato che l’ultima cosa che volevo fare era deluderla decisi che avei fatto così: una lista di cose che voglio fare, dei progetti che porranno l’inizio della mia nuova vita.


 

N. 1

- trovare Garfield


 

N.2

- dirgli che lo amo


 

Dissi addio ad Honolulu e partì nove ore dopo che scrissi quella lista. Altre cinque ore e undici minuti e arrivai all’ aereoporto di San Francisco


 

Con la valigia sotto mano, eseguo gli ultimi controlli, arrivando alla fine davanti all’uscita.. Le porte scorrevoli si aprono e la calda aria di giugno mi attraversa i polmoni; rivedo i palazzi e le strade con la quale sono cresciuta. Inspiro a fondo l’aria; è ufficiale: sono a casa.


 

-


 

-


 

-


 

“non mi pare così difficile da capire giovanotto; si chiama segui il copione, ma sopratutto NIENTE improvvisazioni è chiaro?!”


 

Sedicesimo lunedì bloccato all’inferno; non sta andando bene.

Sarà più o meno la settima volta in una settimana che questo nanetto continua a prendersela con me: per l’amor del cielo, sei il proprietario del ristorante e tutto quello che vuoi, ma ti prego smettila di dirmi cosa fare.

Sapete quando fate una cosa un po' fuori dagli schemi, ma con la convinzione che sia quella giusta, cosa che poi risulta essere? Ecco! Più o meno questa è la mia situazione.

Questa specie di pantegana con meno peli mi sta letteralmente mandando fuori di testa perché non seguo gli spartiti che lui stesso mi scrive per intrattenere le cene a lume di candela dei clienti; il problema non è tanto l’idea di non poter suonare liberamente, quanto più quella che i suoi pezzi fanno davvero schifo.

E non sono solo io a pensarlo; per capire se fossi l’unico a trovarli ripugnanti li ho suonati anche a Kori, che poi lo ha fatto sentire a Richard, che lo ha detto a Karen che li ha mandati a Victor. La risposta è stata unanime: fanno cagare!

Sono quattro mesi che lavoro al Galeone, per pagarmi l’affitto in attesa della fine degli studi a Yale. Appena ricevetti la notizia entrai nel panico più totale: il corso di teatro più famoso d’America aveva scelto me;ME!

Fù solo grazie a mio zio se fu effettivamente possibile realizzare questa assurda idea di entrare nella prestigiosa università: si era preso il compito di pagarmi tutte le spese che fortunatamente non furono troppo fuori i suoi schemi grazie alla borsa di studio, ma è stato comunque un aiuto notevole.

Quando se ne andò non mi aspettavo di restarci così male. L’uomo che per gran parte della mia vita mi aveva cresciuto se ne andò verso la fine del mio primo anno di College e lasciò un vuoto gigantesco. Prima di morire mi chiese un favore un favore enorme: di non piangere per la morte di un farabutto come lui. Non riuscì a mantenere la promessa, ma in compenso volli farlo seppellire di fianco alla tomba di mia madre. Per comodità dissi a me stesso, ma sapevo che in quei pochi mesi ero riuscito a scoprire un uomo nuovo. Inoltre non sarei mai stato in grado di ripagare tutto l’aiuto che mi vi aveva dato, cinque anni prima.

Nonostante la cospicua eredità che mi aveva lasciato io decisi di non usarlo finché non sarebbe stato strettamente necessario, quindi sicuramente non ora. Purtroppo.


 

“tu non puoi iniziare a strimpellare quel povero piano ogni volta che ti pare è chiaro? Ne và della mia reputazione e di quella di tutto il ristorante!”


 

La voce roca Larry stava iniziando a darmi sui nervi; non ce la facevo più. Il “pubblico” ha sempre apprezzato molto le mie improvvisazioni senza mai lamentarsi di nulla. L’unico che si lamenta è lui.

Fortunatamente a salvarmi stanno arrivando Victor e Karen; li vedo entrare di sfuggita, in effetti dovevamo vederci per fare un giro prima che iniziasse il mio turno e a quanto pare questo tipo mi sta facendo perdere un sacco di tempo. Appena riesco a vederlo in faccia, mando un segnale di soccorso al mio amico che in risposta mi guarda confuso, chiedendosi cosa dovrebbe fare (ormai siamo quasi telepatici). Io indico con lo sguardo il nano, attento a non farmi beccare e lui guarda Karen sperando che abbia qualche idea. Lei porta in altro gli occhi spazientita, come suo solito e si avvicina a me a al mio datore di lavoro.

“chiedo scusa, potrebbe indicarmi la strada più breve per la biblioteca pubblica; sa io e il mio ragazzo ci siamo persi e ci farebbe tanto piacere poterla visitare”


 

Larry si gira e in insieme a lui cambia completamente personalità diventando quasi gentile ed educato. Si fionda su Karen con occhi languidi non senza suscitare il fastidio del mio migliore amico che riesce ad intimorire il piccoletto grazie ai sui dieci centimetri in più.

Intanto che loro escono per mostrare la strada io me la svigno verso l’uscita sul retro e aggiro il palazzo. Appena vedo che i tre finiscono di parlare mi dirigo verso la coppia ringraziandoli.


 

“oh mia salvatrice cosa farei senza di te? “


 

“sicuramente tardi agli appuntamenti, direi”


 

Ci salutiamo con un affettuoso abbraccio. Saranno sei mesi che non la vedo, al contrario del suo compagni che ormai non sopporto più per via della sua costante presenza. A parte alle lezioni siamo praticamente sempre insieme, alcuni ci hanno scambiato anche per gay, quello però è stato terrificante: eravamo entrambi un po' ubriachi; un po' tanto. Dico solo questo, mai e dico MAI mentire sulla propria eterosessualità in un bar se non sei prima sicuro al cento per cento che non sia un locale pieno di omosessuali. MAI!


 

“per fortuna che non sei neanche lontanamente simile a questa testa vuota”


 

Ribadisco, tanto per divertirmi un po' a prenderlo in giro.


 

“che simpatico; se non fosse per me lei non sarebbe neanche qui, quindi stai attento ragazzino o non te la porto più”


 

Sta cosa di chiamarmi ragazzino mi dà sempre sui nervi. Ho capito che son più basso di lui, ma dai chi è più alto di Victor. Sono 1,87m di pura massa muscolare e inoltre io mi sono anche alzato in questi anni: 1, 70m di fascino assicurato.

In effetti però non ha tutti torti, ora che vivono a più di tre ore di macchina di distanza non è facile per loro vedersi, sopratutto per Vic, che ha ben deciso di entrare in giurisprudenza e “Yale” e “Giurisprudenza”, fanno rima con “un culo della Madonna”. Però c’è da dire che stanno andando alla grande: sono sette anni che stanno insieme e sono quasi più affiatati di prima, si vede che questa relazione andrà a buon fine.

“volete continuare ancora per molto? Io avrei una certa fame e questo buon cavaliere devo offrirmi un doppio cheeseburger”


 

Chissà quale sarà stata la stramba sfida di questa volta? Di solito per allontanarsi dalla noia fanno queste sfide e penso che ora siano a pari-merito. Tutte le volte è uno spettacolo vederli, entrambi così competitivi.


 

“meglio muoversi allora, tra un’ora e mezza io devo tornare a suonare”


 

Prendiamo la strada principale per andare nel solito bar tanto amato dai miei compagni. È un posto accogliente che ho trovato con Victor girando per New Haven e ormai andiamo sempre lì a mangiare o anche solo a scambiare due parole con Eliza, la storica cameriera più esuberante di quel posto. Perché esuberante? Tutti i giorni la vediamo con una tinta diverso e in faccia un trucco abbinato al colore dei capelli; una volta l’abbiamo vista prima che entrasse a cambiarsi con la divisa del bar e aveva addosso una gonfia gonna con un sacco di balze e veli. Bellissima e strana ecco i due aggettivi perfetti.

Per un periodo Vic aveva provato ad organizzarci un appuntamento perché credeva che saremmo stati una bella coppia; quel giorno la presi molto male e appena scoprì tutto andai a dire di tutto al mio amico, forse ferendolo troppo, ma aveva toccato un tasto troppo dolente, troppo vivo, come lo è ora.


 

“ecco i mie tre clienti preferiti!”


 

Karen e Eliza avevano legato molto, nonostante si vedessero molto raramente ed entrambe si perdono sempre a sparlare degli sconosciuti per strada o perfino dei clienti nel locale.


 

“ehi bella! come andiamo”


 

Se Karen non fosse fidanzata vi giuro che a volte sono convinto che queste due potrebbero anche limonarsi all’istante.


 

“guarda chi si decide, finalmente; allora che vi porto oggi?”


 

“metti tutto nel conto del mio uomo, oggi offre lui!”


 

Vedo la faccia del moro sbiancare completamente a quella affermazione, provocando in me una del tutto giustificata risatina.


 

“come prego?!”


 

“finalmente un vero cavaliere, io te l’ho sempre detto che hai pescato il pesce giusto”


 

Mangiammo in modo più animato del solito, ma con Eliza e Karen insieme non si poteva fare altrimenti. Quelle due da sole facevano un baccano terrificante e pensare che all’inizio si odiavano. Una era gelosa del fatto che El passasse più tempo di lei con Vic e l’altra trovava insopportabile quella costante autorità che la riccia emana, poi un bel giorno decisero di allearsi e per noi non c’è più stata vita.

Dopo aver sborsato completamente il portafoglio del neo-avvocato lasciammo il locale e mentre Karen andava a prendere il furgone per accompagnare il fidanzato a casa, questo mi accompagna al Galeone.


 

“hai sentito l’ultima?”


 

“no, che è successo?”


 

“a quanto pare il nostro Richard, dopo due anni, ha trovato il coraggio e ha fatto la proposta a Kori”

il mio amico progettava da un sacco di tempo di fare la richiesta ufficiale alla rossa, ma tutte le volte succedeva qualche imprevisto o lui aveva un attacco di panico improvviso, che poi mi chiedo mi chiedo, per quale motivo? Kori pende dalle sue labbra come lui fa con lei, quindi di che dovrebbe aver paura?


 

“era anche l’ora!”


 

“penso che presto potrei provarci anche io sai? Non dico il matrimonio, Karen è contraria, ma pensavo alla convivenza; magari dopo gli studi potrei trovarmi qualcosa a Jump City”


 

“è fantastico vedere che perfino tu ti stai sistemando; poni delle speranze anche per i più disperata”


 

Sono felice che il mio amicone abbia deciso finalmente di compire un passo concreto, confesso che credo che Karen aspettasse da un po' una decisione simile, ma non ha mai professato parola per non deconcentrarlo dagli studi e questo oltre che giusto è stato anche molto coraggioso da parte sua. Le relazioni a distanza sono in generale un atto di coraggio, per la maggiore delle volte stupido, ma non per casi eccezionali come loro o chissà chi altri nella terra.


 

“sai qual’è l’unica cosa che mi blocca?”


 

mi fermo sul marciapiede, un po' più avanti di dove si è fermato anche Vic; so a cosa vuole arrivare, lo sapevo che prima o poi questa domanda sarebbe arrivata.


 

“non devi preoccuparti per me Victor, so badare a me stesso”


 

Per questi lunghi anni hanno evitato sempre di parlarne o quanto meno abbiamo affrontato il discorso molto alla leggere qualche mese dopo l’accaduto, ma nulla di più. Penso che l’abbiano fatto per me. Nonostante l’abbiano pianta a lungo a un certo punto si sono tutti rialzati e ora stanno andando avanti. Io non sono arrivato neanche alla parte delle lacrime, perché dentro di me ho sempre avuto questa sensazione insistente, che continuava a dirmi di continuare a cercare, lei non era lontana, che c’è ancora e ha bisogno di me. Dopo l’ennesimo fallimento in Giappone era arrivato l’inizio dei corsi così mi ripromisi che dopo il diploma sarei tornato a cercarla, ma credo questo potrebbe creare soltanto più dolore ai miei più grandi amici.


 

“invece mi preoccupo; mi preoccupo perché sono passati cinque anni e non ti ho mai visto versare una lacrima, cinque anni dove sei rimasto da solo e nessuna ragazza sembrava suscitare il tuo interesse, cinque anni dove non mi hai mai detto come stavi o cosa volevi fare, dove pur di non fare il terzo in comodo ti fingevi malato o lavoravi in extra. Non mi hai mai detto se ti manca o se avessi bisogno di aiuto ed è questo che mi spaventa di più Gar. Non voglio lasciarti solo sapendo che tu per primo non vuoi altro che continuare a restare da solo”


 

La sua preoccupazione era comprensibile; dopo essere rimasto solo praticamente gran parte della mia vita, senza genitori, non vuole che possa ritornare il ragazzino sempre nei guai di tempo, solo che stavolta non siamo più al liceo.

Ma se c’è una cosa che più mi ferirebbe di gran lunga di più è vivere sapendo che di aver strappato le ali alle persone che mi stanno accanto


 

“non ho bisogno di tutte queste cose per stare bene Vic”

in parte era vero; non volevo versare una lacrima e anche solo provare dolore perché avrebbe significato che lei se ne fosse andata per davvero e io non dovevo accettarlo. Perché se c’è qualcuno che può trovarla sono io; Devo essere io. Non riuscì mai a, come dice Vic, rifarmi una vita. Sarebbe stato troppo.


 

“non ho bisogno della tua preoccupazione, dei tuoi rimproveri e tanto meno della tua compagnia. Se vuoi sentirti dire grazie, non lo farò perché è stata una tua scelta quella di dividerci l’affitto quindi sei liberissimo di andartene quando vuoi”


 

le parole mi uscivano dalla bocca come se fossero rimaste incastrate lì da tempo. Non è quello che penso veramente, ma è quello che mi ero sempre imposto di dirgli da anni per mandarlo via.


 

“fare lo stronzo non mi renderà più facile lasciarti”


 

Mi volto verso di lui cercando di adoperare tutte le cose che Rachel mi aveva insegnato senza saperlo: per allontanare le persone a cui vuoi bene devi essere disposto a farti odiare da queste e per farlo devi essere atroce, limpido e senza pietà.


 

“ma aiuterà me a liberarmi di te”

Lo vedo avvampare e mi viene incontro con lunghe falcate che sembravano far tremare il terreno. Mi tira su per il colletto della camici alzandomi di qualche centimetro da terra, ma tengo lo sguardo alto senza farmi intimidire.


 

“piantala di fare come lei cretino e prova a parlarne. Smettila di fare il vigliacco e trova almeno il coraggio di pronunciare il suo nome! Pensi che non ce ne siamo accorti!”


 

Stringe ancora di più la presa, mentre io non so più cosa fare, quindi il silenzio diventa la mia soluzione, come lo è stata per cinque anni.

 

“Allora Gar, come si chiamava? Te ne sei già dimenticato?


 

“non ti permettere nemmeno di pensarlo!”


 

Colto dalla rabbia inizio a ribollire. Come se potessi davvero esserne in grado, come se una cosa del genere fosse davvero possibile. Provare anche solo ad insinuare che io mi sia dimenticato di lei, dei suoi occhi, delle sue labbra … il mio ultimo ricordo-


 

“allora dillo!”


 

resto a fissarlo per qualche minuto finché quella parola non arriva al palato, pronta ad uscire, dopo tanto tempo


 

“dillo!”

mi strattona ancora e a quel punto io cedo definitivamente.


 

“Rachel! Si chiama Rachel! Porta i capelli neri fino alle spalle, ha gli occhi di uno strano colore viola, un tatuaggio sulla schiena ed è la ragazza più bella che abbia mai visto. Me ne sono innamorato cinque anni fa e quando glielo detto lei è scappata. Mi ha salvato la vita e poi è scappata, lasciando me, noi, qui a chiederci ogni giorno se fosse viva o meno, a chiederci se dovessimo andare anche al suo di funerale o se dovessimo iniziare a cercarla. Lei è la ragazza che ci ha abbandonato per salvarci la vita e forse si, è stato un gesto egoista da parte sua, ma lo ha fatto per noi. È la ragazza che ha perso tutto e non lo ha mai fatto capire; è quella che dopo aver perso la madre ha deciso di prendere in mano la sua vita e affrontare i suoi demoni senza chiedere aiuto a nessuno. Forse è stato proprio questo il suo errore più grande, l’agire nell’ombra senza dire a nessuno nulla, così facendo ha costretto anche noi ad agire nell’ombra portandoci ad aiutare Arella ad organizzare il suo suicidio e rinchiudendo suo padre in prigione”


 

Quelle parole mi uscirono di bocca come un fiume in piena, così feroci da farmi star male; così vere da farmi lacrimare.


 

“Rachel mi sta facendo stare così male, mi sta facendo provare un dolore così grande che non sono neanche in grado di parlarne normalmente con il mio migliore amico, ma so che lo ha fatto solo per assicurarsi che potessimo rifarci una vita anche senza di lei. La conosco abbastanza da dire che ne sarebbe capace e voglio essere io quello che quando la rincontrerà le dirà quanto male ci ha fatto stare e che il suo sacrificio è stato inutile. Perchè se c’è una cosa peggiore della morte è proprio l’idea di vivere con la consapevolezza che la persona che più ami al mondo ti stia lontano perché non sei stato in grado di proteggerla o perché non hai fatto altre che peggiorare solo la situazione”


 

Quelle parole mi venivano dritte dallo stomaco. Non dal cuore. Era così liberatorio poter urlare finalmente quello che per anni mi passava per la testa e non dirlo a nessuno stava rischiando di farmi impazzire; eppure non riesco ad esserne felice. Non riesco a non pensare a quanto patetico sono stato per tutto questo tempo, perché ho fatto esattamente quello che ha fatto Rachel per tutta la sua vita: tenersi tutto dentro fino a scoppiare. Eppure ero sempre io quello che le raccomandava di non farlo, di sentirsi libera di parlare e sfogarsi liberamente. La sola differenza è che lei aveva un buon motivo per non farlo.


 

“Gar lo sai che non è vero; abbiamo fatto il possibile per lei e se le cose sono andate così e non possiamo farci nulla”


 

Il suo sguardo preoccupato mi perforava come una lama fredda continua a infilarsi, nel mio corpo, perforando la pelle e gli organi lasciando una sensazione di gelo al suo interno. Lo sguardo di chi sta cercando di capirti, di chi sta cercando di aiutarti, forse peggiorando solo la situazione.


 

“ e se ci fosse stata un’altra soluzione?”


 

la domanda arriva letale alle orecchie del mio interlocutore e lo lascia un po' basito. Che davvero non ci abbia mai pensato? Sono davvero stato l’unico che continuava a torturarsi con questa faccenda?


 

“Garfiel se ti riferisci alla faccenda di Arella ti ricordo che è stata lei a volerlo, che è stata lei che ci ha assicurato che non ci fosse altra scelta”

“non parlo solo di quello Vic, ma di tutto! Abbiamo fatto davvero bene ad impicciarci, a costringerla a cambiare completamente la sua vita. Va bene, quella non la potevi chiamare vita, ma se c’è qualcuno che poteva affrontare una situazione del genere era Rachel e magari sarebbe riuscita a fare meno danni. Hai mai pensato che magari il nostro intervento le ha creato solo più casini?”


 

Resta in silenzio per qualche secondo, a riflettere sulle parole del biondo. Passarono dieci minuti, forse anche di più in totale silenzio. Victor si era chiesto queste stesse cose solo una volta: quando la bara della madre della sua amica venne calata vicino a quel salice; solo che lui ne parlò subito con Dick sperando di non essere l’unico ad avere dei risentimenti. Quello che gli disse il moro cancello qualsiasi suo dubbio, lasciandogli solo un po' di amaro in bocca capendo i suoi errori di giudizio. Decise che era il momento di adoperare le parole del suo amico più saggio.


 

“se pensi che Rachel sia così forte ti sbagli di grosso biondino; lei è solo molto brava a fingere, ma penso che tu sappia meglio di me quanto in realtà necessiti di aiuto.”


 

Si ferma un attimo per lasciare assimilare le sua parole in modo tale da assicurarsi che il ragazzo resti attento e che comprenda.

“se pensi che lei fosse in grado di risolvere la situazione, che il nostro sia stato solo un impiccio e che avremmo fatto meglio a starcene in disparte allora io non sto parlando con Garfield Mark Logan, ma con Rachel Roth”


 

Ora gli occhi azzurri erano fissi con i suoi e sebbene tentasse di nascondere il più possibile le lacrime che lottavano contro la sua volontà per scendere e bagnare il mondo della sua disperazione, quelle erano già lì a rendere quel ragazzo a prima vista così felice e carismatico un vero bambinone.


 

perchè se una persona non riesce a piangere è debole, se si arrabbia per cose stupide ha bisogno di amore, se mente ha bisogno di un nuovo mondo, se si nasconde ha bisogno di una torcia, se odia ha bisogno della forza e se si perde ha bisogno di un bastone e questi perché non potremmo essere noi? Tu, Kori, Karen,me e Dick; perché non dovrebbe aver bisogno di noi?”


 

Molla il colletto della camicia e si allontana di qualche passo. Un campanellino proveniente dalla tasca del biondo spezza il silenzio, per segnalare che è in ritardo e che deve iniziare a lavorare. Già, sembra che sia sempre tardi per lui.

“devo andare, ci vediamo”


 

Anche il moro si gira per tornare dalla sua fidanzata, entrambi prendono strade opposte, ma con gli stessi pensieri per la testa.


 

-


 

-


 

-


 


 

“signorina Rachel è sicura di stare comodo nel sedile posteriore”


 

“Anna ti ho già detto che sto benissimo e che ora devi chiamarmi soltanto Rachel, ormai non lavori più per noi da tempo, lascia stare le formalità”


 

Eravamo in viaggio da circa due orette buone, e questa era più o meno la decima volta che mi faceva la stessa domanda. Questa donna sembrava essere l’unica cosa ancora a me cara rimasta della sua vecchia vita e sebbene gliene avessi fatte passare di tutti i colori era ancora disponibile e pronta ad aiutarla; tanto che lei e il suo garbato marito ( di cui non conoscevo neanche l’esistenza) mi hanno obbligata a stare da loro finchè non avessi trovato un posto fisso in cui stare, nel Naw Jersey, a Toms River; dopo essere atterrata al aereoporto stetti per qualche giorno in un Hotel lì vicino il tempo per potermi organizzare e lì beccai per puro caso lungo la spiaggia. Non ci fù modo di convincerli a fare diversamente così mi fecero rifare le valige per poi ridisfarle a casa loro, nella camera del figlio, ora il Florida. Questa sera hanno voluto portarmi a cena in un locale di alta classe per festeggiare, ma anche in questo mi sento più in obbligo che altro. Diciamo quindi che la mia prima settimana di nuovo negli Stati Uniti l’ho passata a fare avanti e indietro.

Ovviamente avrei pagato io il conto, non voglio fare la parte della sanguisuga e mi sono assicurata che il mio primo libro fosse già stato inviato ad un editore che sembrava molto interessato: con quello che avrei guadagnato comprerò un appartamento a San Francisco. Per sicurezza sono anche riuscita a farmi prendere come allenatrice di karate in una palestra nel caso le cose con il libro non andassero bene.

Eppure, nonostante fosse passato così tanto tempo, lei continuava a trattarmi come il suo capo e non voglio assolutamente che si senta abituata ad avere riguardo anche a casa sua.


 

“va bene signorina, farò del mio meglio”

vidi il suo tenero sorriso dallo specchietto e ricambiai con affetto. Questa donna mi ricorda tanto mia madre, ma non saprei quanto riuscirei ad accettare il fatto di trattarla come tale; di Arella ce ne è una sola e non sarà mai sostituibile.


 

“piuttosto ha avvisato i suoi amici del suo ritorno? Erano molto in pensiero”


 

Con imbarazzo annui, sentendo di nuovo un peso al cuore; ovviamente non era ancora riuscita ad avvisare nessuno, le mancavano le forze e non sapeva quale sarebbe stata la loro reazione se mai lo avessero scoperto. Di una cosa era certa però: il primo che lo avrebbe saputo sarebbe stato sicuramente Garfield. Chi più di lui ne aveva il diritto?


 

“mio fratello lavora nella segreteria di Yale, sono sicura che potrebbe aiutarla a trovare i numeri dei suoi amici, se è questo il problema”


 

“tranquilla Anna, sto solo cercando il momento giusto”


 

la mancanza di mezzi di comunicazione non era mai stato un problema, era riuscita a localizzarli senza troppi problemi da tempo. No, il vero ostacolo era la paura, era lei che metteva sempre i bastoni fra le ruote. Aveva il terrore della loro reazione, aveva paura che le cose non sarebbero mai state come prima o che peggio, avessero avuto dei ripensamenti. Sebbene ci avesse pensato parecchio alla fine perfino lei si era resa conto di quanto prezioso fosse stato il loro aiuto.


 

“come vuole signorina”


 

Per il resto del viaggio non si fece che parlare di me. Anna e il suo consorte erano curiosi di sapere cosa avessi combinato per cinque anni; parlai loro dei corsi fuori sede di Oxford, dei miei vari spostamenti (tralasciando ovviamente la parte in cui fuggivo per evitare Gar) e di come il tempo fosse passato lentamente. Già; sembra passata una vita. Però mi era mancato tutto questo: la vita cittadina, il casino dei turisti, la continua sensazione di movimento, di vitalità e il profumo di caffè appena fatto. Alla fine vivere qui significava non stare mai fermo che se la mettiamo a confronto con la mia sedentarietà di qualche settimana prima è un bel cambiamento da affrontare.

Le ore passavano placidamente, ma quando arrivammo a destinazione capì perché quei due erano stati pronti a farsi un viaggio di circa quattro ore solo per una cena. La classe che il Galeone emanava si avvertiva sin dall’esterno e per una volta mi sentì soddisfatta di aver indossato un vestito lungo; ovviamente non bello come quello del mio compleanno, quello l’ho voluto donare insieme a tutti i beni materiali che erano rimasti in quella casa. Volevo ricominciare da capo e farlo nella villetta a Jump City non mi sembrava l’idea migliore.

Questo è molto più semplice, bianco con uno scollo a barca e le due maniche che mi cadono sulle spalle. I capelli corvini sono leggermente arricciati sul fondo. In questi anni avevo deciso di lasciarli crescere liberamente, aspettando di vederli simili a quelli lisci e soffici di mia madre, invece erano più disordinati, più selvaggi.


 

Una musichetta vivace usciva dalla sala, un pianoforte a coda direi.


 

“sei pronta Rachel?”

Annui alla mia amica, che a braccetto con il marito si avviarono verso l’entrata. Erano una bella coppi, molto in sintonia, molto fedeli l’uno all’altra e soprattutto molto innamorati. Poche volte mi trovavo a riflettere sul futuro, ma ultimamente questo avveniva più spesso. Mi chiedevo chi sarei diventata, dove sarei finita, ma più di tutto mi chiedevo con chi. Vedere ora marito e moglie ha fatto tornare a galla quella domanda, mentre una brezza leggera mi portava ad entrare. Forse avrei fatto meglio a prendere quella giacca.


 

Appena entrati un uomo dietro ad un balcone chiese i nomi per il tavolo e ci accompagnò verso il nostro tavolo. Il locale era molto ampio esteso su due piani, di cui uno dava su un terrazzo magnifico. Noi però preferimmo restare dentro, per via dell’aria fresca che tirava, così riuscimmo a farci dare un tavolo al primo piano. Incontrai alcuni vecchi amici della mamma che mi trattennero più a lungo di quanto volessi. Riuscimmo finalmente a sederci, ed eravamo proprio di fianco al piano posto su una pedana che lentamente ruotava per dare a tutto il locale la possibilità si ascoltare le abili mani del pianista posarsi con estrema delicatezza sui tasti, suonando un melodia dolce e rilassante. Ero già stati in molti ristoranti con orchestra, ma per me facevano solo più casino che altro; qui invece sembrava fatto apposta per rilassare gli ospiti e forse era proprio per la bravura dell’artista.

Appena ci sistemammo sul tavolo un cameriere venne a porci il menù; mentre noi signore scegliamo cosa mangiare il marito di Anna concordava sulla scelta del vino. Andammo di bianco partendo già dal presupposto che in posto del genere non si potesse non scegliere una cena a base di pesce.

Appena finì di prendere appunti il ragazzo si riprese i menù per portare il foglio in cucina. Sembravano tutti molto indaffarati e in effetti quasi tutti i tavoli era praticamente occupati.


 

“l’ultima volta che ci siamo venuti c’era un pianista terrificante; sia io che George eravamo d’accordo e lo sembrava anche tutto il resto del ristorante perché la musica era terribile. Sono felice che l’abbiano cambiato”


 

Sorseggia un sorso del vino appena portato e sorride verso il marito; in segno di lo approvazione assaggio anche io: era davvero buono. Nonostante la bella atmosfera continuava ad essere convinta che in ogni caso una normalissima pizza d’ asporto sarebbe stato comunque perfetto; avevo vissuto nel lusso e nello sfarzo per circa tutta la sua vita, di cene simili ne facevo spesso, se non sempre e ora che potevo godermi un po' di vita mondana sembrava che cercassero di impedirmelo. In fondo ero curiosa di conoscere l’arte dell’ arrangiarsi.


 

“ora riesci a goderti il posto molto più dell’ultima volta”


 

“un buon intrattenimento può trasformare una cena disastrosa a un banchetto dei migliori re; saper distrarre la gente per non far notare da banali errori nel cibo è la filosofia di molti chef stellati”


 

I due mi sorridono dolcemente, afferrando al volo la mia opinione su certe abitudini, ma ammetto che non è poi così male. Quanto meno copre un po' del caotico vociare nel locale.


 

“non l’avevo mai vista da questa prospettiva” risponde George portando il braccio dietro alla nuca della moglie.


 

“dopo che queste cose diventano abituali inizi a farti più domande su certe scelte di gestione. Sono abbastanza esperta nel campo”


 

Ora entrambi mi guardano mortificati, ma continua a sorridere per far capire che in realtà è tutto a posto. Se fossi ancora così debole da piangere ogni qualvolta si accenni alla mia vita passata non sarei di certo qui.


 

“posso farti una domanda un po' scomoda Rachel” chiede sempre il compagno del’ ex-cameriera.


 

“prego”


 

“Come mai ha deciso di tornare nonostante le indagini siano ancora fresche?”


 

A quella domanda resto un po' perplessa, un po' me la aspettavo, ma non da lui, non detta così direttamente. Le indagini su di me sono state chiuse da poco in effetti, con il risultato che ora la CIA mi da per morta, ma sono riuscita a risolvere anche quella faccenda.


 

“George ti pare il caso di fare una domanda del genere? Siamo felicissimi che lei sia tornata signorina e sono certa che avrà i suoi motivi per rischiare”


 

Anna lancia uno sguardo minaccioso all’uomo ma io la calmo subito iniziando a parlarne tranquillamente.


 

“non preoccupatevi, ormai le indagini su di me sono chiuse e sono sicura che se sto attenta resteranno tali. E poi ho già fornito alla polizia tutto quello di qui avevano bisogno per l’indagine”


 

In realtà le cose erano andate un po' diversamente: appena scesa dall’aereo sapevo che i servizi segreti mi avrebbero trovata subito, così gli resi il compito più facile e andai io da loro, grazie all’aiuto di un novellino appena abilitato che stato stupido da condurmi da uno dei pezzi grossi. Inutile dire che contrattare non fù affatto facile; pensavo che volessero informazioni sul crimine organizzato o in che tipi di altri affari si occupava mio padre oltre alla mafia, ma le loro richieste furono ben diverse. In cambio della mia libertà dovevo assicurare all’agenzia i miei servigi per qualche missione di spionaggio.


 

“la tua fama ti precede” mi dissero. Dopo un po' di accese discussioni capì che non c’era altro modo. Se volevo una possibilità per ricominciare dovevo cogliere la palla al balzo: accettai, ma con la condizione che le missioni a cui avrei partecipato le avrei fatte da sola e poche volte. Non avevo abbandonato tutto solo per tornare a fare la spia.


 

“speriamo bene allora”


 

Detto questo arrivarono le prime portate. L’odore di mare rendeva il tutto veramente invitante oltre che la bella vista. Anche il gusto era piacevole quindi potevo dirmi soddisfatta: avevo appena trovato l’eccezione alla regole delle mie teorie sui ristoranti con orchestra.

“oh no, ha ricominciato a suonare quel obrobrio”


 

Si lamentò Anna in modo tale che solo il nostro tavolo sentisse. In effetti ora il pianista aveva iniziato a suora qualcosa di … terrificante. Suoni scoordinati, senza senso e senza un minimo di tatto: stava letteralmente stuprando il piano forte rovinando anche il piatto che mi stavo gustando. Se questo qui aveva intenzione di continuare per tutta la serata così, rischio di implodere.

Inoltre eravamo talmente vicini che se avessi voluto avrei potuto prenderlo per la caviglia e trascinarlo giù. La mia stessa idea sembrava avercela avuta anche George, ma probabilmente lui è più civile di me così decide di usare le parole, più che le mani.


 

“ragazzo non è che potresti optare per qualcosa di più … dolce”


 

Il ragazzo, si gira verso la voce misteriosa e sembra sorridergli in modo gentile per scusarsi con il cliente.


 

“mi scusi, ma non sono io che scrivo la scaletta, ma se vuole posso provare”


 

Annuisce con la gratitudine negli occhi, mentre anche il resto del ristorante sembrerebbe apprezzare quella gentile offerta, felice che il trauma uditivo fosse cessato. Intanto io ero molto concentrata su quelli spaghetti allo scoglio e sul tentare di capire chi mi ricordasse quel timbro di voce. Non ero sicura di aver sentito un parlato uguale, ma più qualcosa di molto simile. Ci furono alcuni minuti di silenzio, probabilmente stava provando ad inventarsi qualcosa di decente e tutta la sala era in attesa, tranne me. Giuro, questo piatto era qualcosa di eccezionale e sicuramente mangiato con un sottofondo migliore sarebbe stato il massimo, ma anche il silenzio andava bene.


 

Poi senti delle note familiare, dolci e piene di vita. Continuaì a mangiare tranquillamente cercando di capire perché mi sembrava che il cuore avesse accelerato i battiti; poi delle parole uscirono di bocca del pianista. Erano leggere, silenziose, impossibile da udire tranne a che ero praticamente di fianco a lui, ma quei sospiri mi fecero tornare immediatamente in mente tutto.


 

Parlami di te, dei tuoi silenzi;

dei tuoi occhi che son sempre senza sguardi


 

La pasta mi andò di traverso, costringendomi a prendere un grande sorso di vino (l’unica bevanda a tavola al momento) e tossisco due o tre volte per la sorpresa. Non poteva essere quella canzone.


 

“Rachel stai bene? Hai bisogno di un po' d’acqua?”


 

Chiede Anna, forse con un tono di voce troppo alto per lo spavento, ma non sufficiente per me perché ero troppo impegnata a tentare di respirare e a cercare di scorgere il viso del suonatore. Fù invece esaustivo come tono, per far si che anche il ragazzo la sentisse chiamarmi in quel modo e se i miei sospetti erano fondati era questa la giustificazione da dare alla brusca interruzione della musica nella sala. Se solo questa cacchio di pedana si muovesse.


 

-


 

-


 

-


 

Non fù necessario aspettare il macchinario però; Garfield si era già alzato di scatto, preso all’improvviso dalla speranza. Aveva già colto i capelli corvini da quando la ragazza era entrata nella sala, ma era troppo concentrato ad evitare che il suo capo lo scoprisse suonare un pezzo non presente nella scaletta da non essere riuscito a vederla. Poi aveva notato la reazione della misteriosa donna dal vestito color perla, ma solo dopo che la sua compagna aveva quasi urlato il suo nome capì. Quello, era il suo nome e lui interruppe bruscamente la musica per saltare dalla piattaforma con ancora gli occhi sgranati. E finalmente si videro. Faccia a faccia con il loro passato. Uno più scioccato dell’altro, senza parole.

Più bella che mai, solo questo pensava il biondo mentre si avvicina con estrema cautela per non rischiare di dissolvere anche questo sogno, questa visione.

Più grande, con più spigoli sul viso, più alto eppure sempre lui; per Rachel era sempre lui ed era come aver ritrovato qualcosa che si era perso da tanto tempo, come quando non ricordi dove avevi messo una collana dal grande significato e dopo anni, con tre figli e un mutuo da pagare, la trovi per puro caso nell’album dei ricordi. Era come vedere un fantasma, il fantasma più inaspettato che si potessero ritrovare.


 

“Garfield ...”


 

Appena un sussurro uscì dalle labbra della mora, impercettibile, tranne per colui che non sognava altro da tempo. Ben presto la imitò. Pronunciò anche lui quel nome.


 

“Ra- Rae ...”


 

Anche il suo impercettibile, anche il suo chiarissimo alla diretta interessata. Sembrava essersi creata una bolla intorno a loro, sembravano esserci solo loro, di fianco a quel pianoforte. La crudele realtà venne a galla quando Larry decise che era il momento di fare la merda e di distruggere tutto.


 

“Logan, se non torni a suonare giuro che ti detraggo la serata dalla paga”


 

Fanculo Larry! penso il biondo, perso in quei occhi ... oh cacchio quegli occhi finalmente.

E dall’altra parte si stava pensando alla stessa cosa. Stava guardando quel corpo un tempo così familiare e ora pieno di dettagli nuovi; rimpiange di non essere stata presente nel momento in cui quel ragazzino impertinente era diventato un adulto, un uomo che, se non fosse per i suoi occhi marini, stentava a riconoscere. Anche i capelli erano diversi, più lunghi di come li ricordava, ma gli davano un fascino tutto nuovo, per non parlare della leggera barba che a quanto pare aveva finalmente deciso di crescere. Si rese conto solo dopo che erano già da circa tre minuti che si stavano fissando, per memorizzare ogni singola cosa nuova dell’altro, poi una mano svolazzante davanti al biondo staccò il contatto.


 

“Logan! Sto parlando con te! Ho detto torna a suonare”

Senza pensarci due volte, Garfield decise che si sarebbe appena licenziato, tanto odiava quel lavoro e per lavoro ovviamente si riferiva al suo capo. Sposto con odio quel manigoldo che l’aveva risvegliato dal suo stato di trans e si avvicino con passo veloce verso la ragazza ritrovata, con il fuoco negli occhi e la marcia degna di marins. La prese per un polso, mentre questa sembrava essersi ormai incantata; non una protesta, non un movimento di lotta. Lo seguì senza proferire parola, finché l’aria fresca esterna non le fece venire la pelle d’oca. In quel momento si risvegliò completamente elaborando cosa era effettivamente successo e cosa ora le aspettava: la verità, la paura.

Garfield era riuscito a trovare un posto tranquillo, poco lontano il ristorante e solo dopo decise di lasciare la mano della mora. Avvicinandosi a lei era riuscito anche a percepire il suo odore, quello non era mai mutato era sempre buonissimo e una specie di bomba per i ricordi nella sua testa. Non aveva la più pallida idea di che cosa dire, non sapeva se iniziare il suo discorso ( che aveva provato e riprovato per circa cinque anni ) arrabbiandosi e urlandole addosso tutto quello che gli aveva fatto passare o se iniziare a esplodere di felicità come un cagnolino quando il proprio padrone rientra a casa.

Entrambi, nello stesso istante decisero di non iniziare a parole, di saltare tutta la parte noiosa per un po' e passare all’azione. Si buttarono ciascuno sulle labbra dell’altro, con una foga e una passione tale da scuotere il cielo, non si staccavano neanche per respirare, dovevano recuperare quei lunghi anni senza la presenza dell’altro e entrambi sembravano disposti a morire soffocati nel provarci.

Quando l’aria era ormai finita e l’apnea troppo lunga si staccarono, ma Garfield non era ancora pronto a parlare così iniziò a riempirla di piccoli baci su tutto il viso; baci leggeri che fecero sorridere Rachel e lui subito si fiondo a baciare anche quel sorriso.


 

“sei tu … sei viva … stai bene “


 

Sussurrava due o tre volte le stesse cose, mentre continuava a tenerla stretta e se, così felice, così arrabbiato. Entrambi poggiarono la fronte l’uno attaccata a l’altra, mentre lei giocava con i nuovi capelli, sottili e leggeri come se li ricordava. Morbidi e profumati, era un esplosione di emozioni quella che stava provando, le faceva male il cuore, ma era così felice che si sarebbe anche messa a piangere dalla gioia. Respirava pesantemente, per riprendere aria e lasciarsi cullare da quelle braccia.


 

“sono terribilmente arrabbiato con te”


 

Garfield non riuscì a trattenersi un sorriso mentre lo diceva, perche finalmente poteva dirgli tutto. Poteva parlare di nuovo con lei.


 

“lo so e sono pronta”


 

Risponde Rachel guardandolo in modo più serio ora. Aveva appena avuto la conferma che le era mancata, ma ora doveva capire se la voleva nella sua nuova vita, se non avesse trovato qualcun’ altro, se avesse rimpianti, ma si era preparata ad incassare tutto e dato che sapeva che lui non avrebbe smesso di parlare finche non le avrebbe davvero urlato di tutto; avrebbe aspettato.


 

“sei andata via, per cinque anni Rachel! Cinque anni! Sai quanto tempo è?! un’infinità! E ogni singolo giorno non ho fatto altro che pensare a te: mi chiedevo dove fossi, se fossi ancora viva, con chi eri, perché non chiamavi, perché non scrivevi neanche un messaggio per farci capire come stavi!”


 

Prese un profondo respiro pronto ad andare avanti mentre Rachel si appuntava le risposte mentalmente.

“mi hai, anzi ci hai fatto passare cinque anni d’inferno lo capisci vero?! Perchè non sapevamo più cosa fare: se saresti tornata tu o se dovessimo cercarti noi e abbiamo praticamente perseguitato la tua cameriera per farci dire qualche informazione, ma nessuno sapeva nulla. Eri sparita e io sono andato in giro per il mondo, alla cieca per cercarti, perché in parte sono ancora convinto che tu sia andata via per colpa mia, per via di quello che è successo nella grotta e che non avevi più intenzione di vedermi. Così sono praticamente entrato in depressione e uscivo poco, studiavo tanto e c’era l’ansia per gli esami perché Yale non è facile e poi Victor che cercava di trovarmi una fidanzata e poi quella volta nel pub per Gay, ma io … no, no, io ...”


 

Inizia a blaterale parole senza senso, parla di cose scollegate ed è ormai diventato una macchinetta che non riusciva più a fermarsi. Alcune frasi non avevano proprio senso logico, ma Rachel decise comunque di lasciarlo parlare, perché magari sarebbe arrivato a qualche nota cruciale o semplicemente per lasciarlo sfogare tranquillamente.


 

“insomma quello che cerco di dirti è che ora ho una paura tremenda di risvegliarmi in casa mia e di aver sognato e trovare una lettera dove mi dicono che hanno trovato il tuo cadavere o che ne so la tua testa in pacco amazon, che … oddio che immagine raccapricciante mi è appena venuta in mente. Comunque, dai hai capito e io sono veramente, infuriato con te ok?! Dovrai darmi delle spiegazioni veramente esaustive per farti perdonare!”


 

Il tono della voce stava aumentando sempre di più e alcuni passanti stavano iniziando a girarsi verso di noi incuriositi, mentre la mora non sapeva se implorare il ragazzo di abbassare i toni o di cacciare gli estranei con occhiatacce. Decise invece di iniziare a dare delle spiegazioni obbligandolo però ad incamminarsi verso l’ignoto per evitare di essere origliati.


 

“ me ne andai appena mi assicurai che la tua emorragia si fosse fermata; sai che avevo la possibilità di vendicarmi?”


 

Mi guardò con gli occhi spalancati, forse sorpreso dell’inizio così diretto. Eppure non desiderava altro;


 

“ma per farlo avrei dovuto lasciarti morire e sai quale è la cosa più terrificante? Ci stavo davvero pensando. Da lì capì che c’era qualcosa che sicuramente non andava in me: prendere anche solo in considerazione l’idea di lasciarti lì a morire per inseguire un fantasma me lo ha fatto capire; avevo bisogno di allontanarmi e di pensare così partì il giorno stesso. Sapevo che mi stavi cercando così continuavo a spostarmi ogni volta che ti avvicinavi, ma non perché non ti volessi più vedere, perché volevo proteggerti. Se mi avessi trovato i servizi segreti o anche solo gli amici di mio padre ti avrebbero scovato e costretto a parlare e credimi per le cose che so, sarebbero disposti ad uccidere. La mia posizione doveva restare segreta e dovevo cancellare ogni mia traccia”


 

Gli disse tutto, dove fosse stata, con chi e che cosa facevo nel mentre. Quando seppe che si trovava addirittura in territorio americano la frustrazione di Garfield crebbe ancor di più. Poi gli parlò di Oxford e dei suoi progetti, mentre entrambi prendevano strade sconosciute, consumando l’asfalto. Il biondo ascoltò tutto senza fiatare, voleva godersi a pieno la sua voce, voleva sapere cosa si era perso in cinque anni e che ragazza era diventata. Trovò nuovi cambiamenti in lei: sorrideva più spesso ad esempio e si creavano delle fossette meravigliose ogni volta. Aveva notato anche che si era alzata un poco, ma gli arrivava comunque alla spalla, aveva un piccolo neo sotto l’orecchio destro e poi non riusciva a smettere di fissare le curve che le evidenziava quel vestito; curve che erano diventate così … adulte. Passò circa un ora e mezza e quando Rechel finì di raccontare decise di aspettare una reazione;


 

“così … Oxford allora; se ti dicessi che quasi me lo aspettavo non ci crederesti”


 

Rachel ammetteva di essere abbastanza confusa, in fondo non sembrava così arrabbiato.


 

“ e poi Honolulu … come mago Merlino”


 

“se ti riferisci a quello di Re Artù lui stava in Inghilterra”


 

“mi riferisco a quello della Disney, dai”


 

Non aveva la più pallida idea di che cosa stesse dicendo. Fino a prova contraria la leggenda parlava chiaro e non c’era alcun accenno alle Hawai, ne era più che certa. Sopratutto non capiva perché stavano parlando di quello. Dove era andato a finire il dovrai darmi delle spiegazioni veramente esaustive di poco fa.


 

“non dirmi che non hai mai visto la versione animata”


 

Garfield era letteralmente a bocca aperta; in che mondo viveva questa ragazza. Insomma: va bene che hai avuto un infanzia non molto … infantile, ma i film della Disney erano un classico, perfino Richard li aveva visti tutti e i suoi veri genitori erano morti quando lui aveva poco più di undici anni. E poi in cinque anni vuoi dire che non hai il tempo di rifarti. Era inaccettabile!


 

“dobbiamo rimediare subito. A casa dovrei avere il DVD”


 

Le prende la mano, di nuovo, e inizia a trascinarla avanti e indietro per la strada alla ricerca di casa sua. Prima che potesse attraversare la strada Rachel decise che voleva assolutamente capire che gli prendeva.


 

“mi spieghi che ti prende?!”


 

Lui si gira verso la ragazza sorridendo impacciato; in effetti non riusciva proprio a capire dove fossero.


 

“Non riuscirò mai ad imparare come orientarmi a New Haven, ma lì vicino c’è un pub dove posso chiedere indicazioni”


 

“non intendevo quello Gar e lo sai bene”


 

Si diciamo che se ne era accorto. Però in fondo che poteva farci, voleva delle spiegazioni e lei gliele ha date e più che esaustive per lui. In realtà gli bastava sapere che lei stesse bene. Però gli era rimasta ancora una domanda, ma aveva una paura tremenda anche solo a pensare di farla.


 

parlami perche ti so ascoltare anche se poi non so che dire; mi hai spiegato tutto Rae e questo mi basta, ma non puoi partire dal presupposto che abbia qualcosa di intelligente da dire, alla fine sono sempre io”


 

Lei lo guardò meravigliata; si era aspettata di dover lasciare che digerisse la cosa qualche giorno, magari settimane per decidere se valeva la pena perdonarla o no, ma a quanto pare, passare così tanto tempo lontano le aveva fatto dimenticare chi era il vero Garfield e di questo le era terribilmente grata.


 

“sai, io e te abbiamo lasciato un discorso in sospeso credo”


 

Lo afferrò per il colletto del completo per avvicinarlo al suo volto e arrivare alla distanza giusta per mordergli il labbro inferiore, facendo entrare il biondo in una dimensione paradisiaca.


 

“davvero?”


 

Fù l’unica cosa che riuscì a borbottare, mentre cercava bisognoso le sue labbra tenendo gli occhi chiusi, senza mai trovarle però.


 

“dove hai detto che abiti?”


 

Le chiese la voce lontana della ragazza, che era riuscita a trovare qualcuno che gli indicasse la strada per la casa del giovane. Lui come un cretino era rimasto lì imbambolato, ma appena la ragazza inizio ad incamminarsi per la strada lui la seguì a ruota. Non ci volle molto ad arrivare sotto il portone, alla fine erano più vicini di quello che sembrava. Victor era rimasto in hotel con Karen, quindi dovette aprire con le sue chiavi, che fortunatamente aveva tenuto nello smoking quella sera, insieme al cellulare: l’unica cosa che doveva ricordare di tornare a prendere erano i suoi vestiti.

Inutile dire che Rachel era stata sollevata non appena il biondo le disse che in casa non c’era nessuno, almeno non avrebbe dovuto passare altre ore a ricordarsi che dolore aveva causato ai suoi amici. Si ripromise però di chiamarli tutti il giorno dopo, ora voleva solo capire cosa si era persa.


 

“è un po' tutto in disordine, ma alla fine cosa ti aspetti da una casa di studenti del college”


 

Sorrise imbarazzato il ragazzo rendendosi conto della situazione della casa. Sicuramente era meglio di come teneva quella a Jump City, grazie ai pochi interventi di Victor nei giorni in cui si trasformava in casalinga, ma comunque migliorabile.


 

“Sarai affamata, in frigo dovrebbe esserci della pizza”


 

Si dirige verso l’ipotetica strada per la cucina, come gli aveva indicato Garfield, che intanto era andato verso quella che sembrava essere camera sua (così diceva la scritta sulla porta), senza avere effettivamente molta fame. Guardandosi intorno non poteva fare a meno di studiare ipotetiche uscite di emergenza, certe abitudini erano dure a sparire. Il vano era piccolo, ma ben organizzato con il piano cucina tutto verso la parete di destra e a sinistra credenza e frigo. Al centro poi un tavolo da quattro posti e le sedie attorno. Una finestra posta sulla parete opposta dell’entrata dava sulla strada, portando con se tutti i rumori della città; il resto della casa non era molto diverso: davanti alla porta d’ingresso un corridoio si interrompeva nel salotto, arredato con un divano, una poltroncina, una televisione di dimensioni generose e una piccola libreria attaccata alla parete delle t.v.

Di lato al salotto c’è il bagno cui attaccato sta la camera di Victor e subito dopo quella di Gar.

Piccolo, ma pieno di sorprese.

Appena finisce di esaminare tutto, il biondo la raggiunge in cucina con in mano un DVD e dei vestiti, probabilmente suoi.


 

“un vestito così bello non può essere usato per occasione del genere, sopratutto se chi lo indossa lo rende ancora più bello”


 

Prende i vestiti dalle mani del ragazzo, dandogli intanto del cretino, mentre si dirige verso il bagno fingendo una calma risoluta. Appena si vide allo specchio con quei vestiti non pote fare a meno di arrossire leggermente. Si lego i capelli in una coda alta e allaccio meglio i pantaloncini larghi e aggiustando la maglia verde scuro che le cadeva larga fino a metà coscia.

Appena uscì lo raggiunse in salotto. Aveva già preparato la postazione, con tanto di birre sul tavolino di fonte al divano.

Prende posto di fianco a lui e senza fiatare iniziano a vedere il film. Nessuno dei due prestava molta attenzione però: lui era troppo concentrato ad ammirare lei che indossava i suoi vestiti, perche cacchio persino vestita in quel modo sembrava la ragazza più bella e eccitante che avesse mai visto. E poi aveva i suoi vestiti.

Lei invece stava cercando il momento migliore per dirgli quello per cui era effettivamente tornata. Quando le mise un braccio dietro la nuca (che mossa prevedibile) capì che non ci sarebbe voluto molto; peccato, il film le stava piacendo particolarmente.


 

“di che discorso parlavi prima?”


 

Le chiese, mentre Merlino stava iniziando a preparare le valige cantando il suo incantesimo. Osservo la ragazza che decise a rispondergli solo dopo che la canzone finì.


 

“si tratta di un filo rosso”


 

Capendo al volo cosa intendeva, perse subito interesse nel respirare, mentre quegli occhi profondi lo scrutavano nell’anima. Di tutto si era aspettato, tranne che fosse davvero lei ad iniziare quel discorso e che un possente schiaffo lo colpisse alla guancia sinistra, provocandogli un dolore lancinante.


 

“punto primo: sei un deficiente! Quella cazzo di pallottola era destinata a me e tu non avresti dovuto interferire. Ti rendo conto che stavi per morire! Cosa volevi fare?! Abbandonarmi anche tu? Costringermi anche tu a vivere per te?!”


 

Garfield cercava le parole per poter ribattere, perchè cacchio sul serio voleva fare quel discorso invece di quell’altro discorso. Dalla bocca però gli uscì solo qualche strano grugnito, non essendosi ancora ripreso dal forte bruciore sulla guancia. Lei riuscì comunque ad intenderlo come una qualche parola e così si alterò ancora di più.


 

“non mi interrompere, prima hai urlato te ed ora urlo io!”


 

Era strano che ora si sentisse così felice di riprovare quel senso di terrore che solo Rachel era in grado di procurargli?


 

“punto secondo!”

Questa volta non arrivò nessuno schiaffo, nessuna urla, solo delle labbra umide che gli erano appena saltate addosso e un profumo inebriante che lo fece impazzire, … di nuovo. Come prima nessuno aveva voglia di respirare, ma solo di intensificare quel contatto e iniziare una danza tutta loro. Appena lei si stacco a forza si accavallò sopra le sue ginocchia e gli prese il viso tra le mani per mantenere il contatto visivo e assicurarsi di dover ripetere quelle parole una seconda volta per farsi capire.


 

“ti amo ance io stupito!”


 

Appena capì effettivamente cosa stava succedendo decise che anche Walt Disney doveva andarsene a quel paese e si butto a capofitto sulle labbra dell’amata, appoggiandola con la schiena sul divano, entrambi con un sorriso da dementi sul viso.


 

“sai di pasta allo scoglio; è stano che mi piaccia così tanto?”


 

In risposta lei gli levò l’utile maglietta e continuando a baciarlo venne a contatto con quella cicatrice. Quella che sarebbe rimasta lì per sempre, testimone di cosa due persone erano disposte a fare amore. Testimone stessa di quell’amore e di quel filo che mai come prima faceva parte di un complesso tessuto di sentimenti che come ragnatele avvolgevano i due. Un intricato casino, ma il più bello del mondo.


 


 


 

Fine...

angolo autrice

salve a tutti o meglio, ciao; ormai possiamo anche darci del tu, soprattutto ora che questa fanfinc è finalmente giunta al termine. che dire ... è stato un parto sia per me che per voi, ma alla fine ci siamo riusciti. tu lettore che mi starai odiando, devi essere orgoglioso di te stesso, perchè sei riuscito a reggere tutti i ritradi, tutte le lunghe attesse e tutte le false speranze.
quesa storia, la mia prima storia, è stata un pezzo importante per me per questi due anni (si perche sono circa passati due anni da quando ho iniziato a pubblicare su EFP); pensare che ero partita con l'idea di creare una cosa completamente diverso, ma sono abbastanza orgogliosa di quello che è uscito e lo sarò di più quando finiro anche di revisionare.
voglio ringraziare tutti i miei lettori, sia quelli attivi che mi riempono il cuore di gioia con le loro recensioni, sia quelli che silenziosi seguono la storia.
per voi nuovi, invece voglio rassicurarvi: non abbiate paura di scrivermi o di darmi le vostre opinioni anche a distanza di anni dalla fine della storia.

spero di cuore di che il finale sia di vostro gradimento e che presto ci potremmo rincontrare, magari in altri generi di storie, magari in altri ambiti, ma state certi che quando sarò pronta tornerò, più carica che mai tra i cataloghi di EFP.

vi auguro ogni bene e buona pasta allo scoglio a tutti.
con affetto
GHENEA.
   
 
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