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Autore: Happy_Pumpkin    02/09/2018    4 recensioni
Si sedette sul divano, trovando un posto tra i cuscini, delle divise da lavare, tute da ginnastica, un pallone da pallavolo e il pupazzo di Tippy, il gufo di pelouche che avevano comprato assieme quando anche Akaashi era entrato all’università. Si tolse da sotto il sedere dei sottopentola ancora incartati e mai usati, comparsi da uno degli scatoloni mentre cercavano probabilmente qualcos'altro, e si domandò, stropicciandosi lentamente il volto:
“Perché?”

Akaashi ha un problema. Ma grazie al suo ingegno troverà il modo di convincere Bokuto a risolverlo.
[BokuAka]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come Akaashi sopravvive a un trasloco

... e altri modi per manipolare Bokuto





Keiji Akaashi non era mai stato un fissato con l’ordine. Metteva a posto semplicemente perché in quel modo riusciva a lavorare meglio e far funzionare la sua mente analitica: c’erano meno dettagli e questo gli consentiva di concentrarsi sui particolari davvero interessanti. Per questo in principio non gli era pesato particolarmente soggiornare in stanze piene di scatoloni, oggetti ammucchiati su ripiani, libri impilati a sostituzione dei comodini che dovevano ancora arrivare e videogiochi le cui custodie finivano inevitabilmente per scivolare ed espandersi a terra a macchia d’olio.

Insomma, come intuibile si trattava di una normalissima condizione post-trasloco; esatto, quattro mesi fa l’un tempo alzatore della Fukurodani aveva compiuto la più grande pazzia della sua vita: trasferirsi in un appartamento a Tokyo assieme al suo ormai pluriannuale ragazzo, Bokuto Koutaro.
“Bokuto-san.”
Ripeté il suo nome in un sospiro a metà tra il nostalgico e l’irritato, rivivendo in quel titolo onorifico i bei tempi andati in cui era un semplice studente senza troppi pensieri. Poi era arrivata l’Università, la borsa di studio, il lavoro part-time presso una scuola privata come insegnante di matematica e, praticamente pochi mesi dopo aver firmato il contratto, la convivenza.
Si sedette sul divano, trovando un posto tra cuscini, divise da lavare, tute da ginnastica, un pallone da pallavolo e il pupazzo di Tippy, il gufo di pelouche che avevano comprato assieme quando anche Akaashi era entrato all’università. Si tolse da sotto il sedere dei sottopentola ancora incartati e mai usati, comparsi da uno degli scatoloni mentre cercavano probabilmente qualcos’altro, e si domandò, stropicciandosi lentamente il volto: “Perché?”
Poteva continuare la sua vita al campus come una buona parte di studenti all’inizio del terzo anno universitario, invece si era fatto due conti sulle entrate e uscite, nonché sulla questione che praticamente finiva sempre per passare comunque il tempo libero con Bokuto, dunque aveva optato per accettare la reiterata proposta di convivenza del suo compagno.
Peccato che, ancora a quattro mesi di distanza dal trasloco di entrambi in un appartamento più grande rispetto alla stanza al campus o al monolocale di Koutaro, la casa fosse un gigantesco, immenso casino: scatoloni non svuotati, pezzi di mobili che mancavano, oppure strutture fisicamente ingegnose per reggere la biancheria appena lavata. In parte perché nessuno dei due aveva granché tempo, in parte perché Bokuto diventava totalmente insofferente all’idea di sprecarlo togliendo cose dagli scatoloni, fiero sostenitore della teoria del Pian Piano Mettiamo a Posto.
Teoria fallace, dato che la casa faceva schifo esattamente come prima, ed era stato solo per senso dell’igiene che Akaashi puliva girando attorno agli scatoloni.
Scorse da quel punto i suoi libri di diritto civile usati da Bokuto per reggere la playstation e assottigliò le labbra, giocando distrattamente con le dita, mentre fissava i suoi tomi di studio usati come poggia-cose.
Fino ad adesso ho fatto un calcolo di equilibrio tra il lavoro di entrambi, lo studio e il fatto che quest’anno Koutaro dovrà laurearsi; insistere sul trasloco lo avrebbe portato a un maggiore stress, quindi maggiore lamentela, disperazione, scarsa produttività di entrambi e incremento dello stress anche per me. Decisamente pressarlo non mi sembrava l’opzione migliore. Ma ora...
“Akaaaashi!”
L’interpellato guardò fisso davanti a sé, intento a fare un paio di calcoli, eppure udì comunque il suono della porta d’ingresso chiudersi, il rumore di un piede sbattuto contro uno scatolone e relativa protesta verbale a riguardo, infine l’appoggiarsi di un borsone dove c’era posto.
Avvertì persino il suono di chi traeva fiato per parlare ancora, dunque intervenne prima:
“Bokuto-san, siediti un attimo.”
Si girò per vedere l’espressione perplessa del proprio ragazzo che, capelli ancora sparati come una volta e occhi dorati sgranati, sconvolto dall’essere stato interrotto, si portò davanti all’ex-alzatore con i pugni sui fianchi e la giacca di squadra posata sulle spalle.
“Mi stavi per proporre di andare fuori da qualche parte a mangiare, Keiji?”
Gli sorrise tutto sicuro di sé, anche se intimamente era un po’ preoccupato per l’uso di quel –san, dato che ormai Akaashi lo utilizzava se le cose erano veramente, veramente gravi. E non gli sembrava fosse successo nulla di che, eccetto essersi dimenticato di tirare lo sciacquone dopo aver fatto pipì la mattina, ma quello non poteva essere un crimine contro l’umanità. O sì?
“Prometto che stasera tiro l’acqua anche due volte. Spesso essere così pieni d’impegni è tremendo.” Lo prevenne, annuendo convito.
Akaashi lo fissò senza battere ciglio, evitando di ricollegare gli assurdi ragionamenti dell’altro: “Siediti, Koutaro.”
Quest’ultimo dette un colpo di tosse. Cosa poteva aver combinato di più grave dello sciacquone? Abbassò lo sguardo, realizzando che Akaashi era compressato tra vestiti, cuscini, oggetti da cucina e...
“Tippy! Ecco dov’era!”
Esclamò, temporeggiando inconsapevolmente.
Akaashi prese in grembo Tippy, tenendolo per il collo. Koutaro sbiancò, spostò le sue tute della squadra di pallavolo, compressò un cuscino e si sedette.
“Tippy è sempre stato lì, Bokuto. Sepolto in mezzo al mucchio di roba mai messa a posto.”
Replicò Akaashi con freddezza e una sorta di stoica tranquillità che lo avrebbero fatto diventare il perfetto giudice a cui aspirava essere.
L’altro inarcò un sopracciglio, cominciando ad avvertire una sorta di tensione istintiva. Se anni fa, quando erano a scuola assieme, aveva un po’ approfittato dell’animo da balia di Akaashi – che lo seguiva ovunque, lo riparava dalla pioggia, lo costringeva a coprirsi se faceva freddo – con il tempo e la crescita si era reso conto che Akaashi era più che altro categorico: se riteneva che una cosa fosse giusta, non ammetteva alternative. Se Bokuto doveva indossare la giacca, Bokuto l’avrebbe indossata e basta – tendenzialmente aveva quasi sempre ragione, ma questo per Koutaro era irrilevante, non contemplabile, nada, errore di sistema.
“Quindi non volevi andare fuori a mangiare.”
Dedusse, intrecciando le mani in grembo mentre lo guardava con la schiena ancora eretta, sull’attenti.
“Il mangiare non c’entra niente. Guardati attorno.” Replicò l’altro con calma che, per contro, generò ansia nel compagno.
“Beh, è il nostro salotto. C’è la televisione, il tavolino, il divano, la libreria, la vetrina in cui metterò le action figures...”
Ma Akaashi gli portò un dito davanti alla bocca, intervenendo: “Hai detto correttamente, Bokuto-san. Metterò. Quando pensi di farlo? E in che modo, dato che siamo sostanzialmente sepolti nell’unica cosa che non hai menzionato?”
Bokuto trattenne il respiro, inchiodato dagli occhi blu-metallici del compagno. Di solito erano un ottimo incentivo a fare sesso selvaggio dove capitava, ma non quella volta. Quella volta erano più gli occhi della gorgone con tanto di paralisi perpetua.
Mosse gli occhi, per poi dire, sfiorandogli il polpastrello.
Catoloni.”
“Come? Non ho capito cos’è che sostieni ci circondi da ben quattro mesi.”
Già quattro? Come passa il tempo, pensa un po’!
“Scatoloni. Ci sono un sacco di scatoloni.” Borbottò Bokuto, assumendo un’aria un po’ seccata. Allora davvero niente cena fuori. E non era nemmeno per via dello sciacquone!
“E i miei libri di diritto. Usati come piedistallo per la tua consolle.”
“Ehm, a quello si può rimediare, era solo che non volevo rovinarla, sai.” Scrollò le spalle lo schiacciatore, gesticolando come per autoconvicersi delle sue sacrosante ragioni.
“Il codice civile invece nessun problema, non serve a nulla, giusto?”
“Felice che tu l’abbia finalmente notato, Akaashi! – ma vide il suo sguardo assolutamente letale e si corresse – ma ovviamente no, è il tuo codice e non posso usarlo per metterci sopra le mie cose. Un bellissimo codice civile tra l'altro, rilegatura robusta, caratteri...”
“Ok, basta, va bene – lo interruppe l’altro, con un sospiro esasperato – ora hai capito che cosa è tempo di fare, Koutaro?”
Quest’ultimo elaborò un sorriso, tentando la fortuna: “Sesso?”
“No. A meno che tu non voglia trovarti faccia a faccia con Tippy, i poggiapentola e le tue divise, perché non c’è spazio per fare sesso. E, casomai te lo stessi chiedendo, io mentre sono nudo non ho intenzione di avere a che fare né con Tippy, né coi sottopentola e tantomeno con le tue divise.”
Per un attimo Bokuto sperò che almeno le divise potessero comunque accendere la fantasia di Akaashi, ma dovette subito ricredersi. Capiva il gufo e i sottopentola, ma le divise avevano un loro perché. E a ben pensarci anche i sottopentola...
“Bokuto, quindi?”
“Quindi tolgo i sottopentola?”
“E tutto il resto. Tutto.
Dobbiamo svuotare questi scatoloni e mettere a posto.”
Bokuto sgranò gli occhi, fulminato da quella frase che lo uccise sul colpo: fatale come la notizia che la nazionale di pallavolo giapponese non aveva più bisogno di lui, o che aveva smesso di essere l’asso e lo schiacciatore della sua squadra. Una roba tremenda insomma.
“Akaashi. Non puoi farmi questo, dillo che mi vuoi morto e non ti interessa il fatto che io non cammini più su questo mondo. Ti fa schifo perfino Tippy!”
Si portò una mano sul volto, assumendo un’aria tragica, come se la sola idea di disprezzare Tippy fosse riprovevole quanto la caccia alle tigri albine.
“Tippy è un splendido esemplare di gufo di pelouche – lo tranquillizzò Akaashi, senza farsi impressionare dal tono drammatico dell’altro, per poi prenderlo con pacatezza per un polso – come tu sei uno splendido esemplare di uomo. Ma devi capire che disfare gli scatoloni è un grande impegno e una responsabilità: mi rivolgo a te perché so che grazie al tuo aiuto verrebbe un eccellente lavoro. Se lo facessi solo io non sarebbe la stessa cosa.”
Bokuto riprese a guardare Akaashi, inarcando un sopracciglio:
“Davvero?”
Ovviamente era impensabile che Akaashi svuotasse quelle robe da solo, lavorando e studiando a sua volta, ma poteva anche omettere quel dettaglio.
“Davvero. Puoi anche postare le foto dei progressi sulla tua pagina facebook, ti faranno un sacco di complimenti. E le action figures. Saranno bellissime accanto allo scaffale dei trofei.”
Gli occhi di Bokuto si illuminarono, allargandosi in medaglie di aperta meraviglia:
“Lo scaffale dei trofei? Con anche le foto durante le partite?”
“Per quelle possiamo fare una parete a parte. Magari all’ingresso: la prima e l’ultima persona che gli ospiti vedono saresti comunque tu. Non male.”
Notò Akaashi.
Bokuto gli batté una pacca sulla spalla, con esaltato entusiasmo: “Non male? Akaashi è geniale! Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Pensavo di fare un poster con la mia squadra, poi incorniciare una foto di noi due – Akaashi passò oltre la concezione di priorità in Bokuto – ma questo è ancora meglio! Immagina poi una collezione dei palloni che abbiamo usato, poi quella delle scarpe, poi...”
“Con calma, cominciamo dalle cose basiche – lo interruppe l’altro, di certo non intenzionato a collezionare scarpe usate – per poter fare tutto questo, dobbiamo mettere a posto. E tu sei il migliore, concordi?”
“Concordo! – esclamò Bokuto per poi alzarsi in piedi, così che la giacca gli scivolò dalle spalle, ma Akaashi per riflesso ormai spontaneo gliela afferrò – potevi dirmelo prima che c’era da sistemare! Sono carichissimo! E... attenzione, potrei fare talmente in fretta da farti domandare che fine hanno fatto le cose.”
Scoppiò a ridere, incrociando trionfante le braccia.
Akaashi tralasciò anche il fatto che era da circa quando avevano messo piede in quell’appartamento che dovevano sistemare, sempre a beneficio dello zero stress – per tutti, ma specialmente per lui.
“Non vedo l’ora.” Replicò senza particolare entusiasmo, accennando un sorriso anche se gli occhi erano al solito di una gelida pacatezza.
Ma evidentemente, siccome Bokuto era il maggior esempio di entusiasta ecosostenibile, ovverosia si alimentava da solo la propria euforia, quella frase bastò per farlo caricare a mille e cominciare a raccattare oggetti, aprire scatoloni, parlare di progetti artistici e di quando il suo discepolo Hinata avrebbe visto l’esposizione dei trofei: l’avrebbe aiutato sicuramente a farne una uguale a casa!
Rassicurato dall’intraprendenza e dalla buona lena dell’altro, Akaashi si attivò per spolverare e aiutarlo a sua volta a sistemare; erano stanchi entrambi, visto che era sera e nemmeno avevano mangiato, ma di sicuro non aveva intenzione di sprecare quell’occasione.
Questo finché improvvisamente Bokuto, muovendosi come se fosse già stato un pluri-esperto di traslochi, si spostò con troppa confidenza: fece traballare la pila di libri su cui troneggiava la consolle, riuscì ad afferrarla giusto in tempo con uno slancio atletico ma, nel mentre, le custodie con dentro i videogiochi scivolarono sul pavimento.
Si sentì un crack ben poco rassicurante.
Cadde il silenzio. Ma anche col sudore freddo e la tensione addosso, Akaashi non si lasciò prendere dal panico.
“Keiji?”
Sembrò pigolare Bokuto, coperto dai suoi libri dell’Evoluzione dei Kanji nella Letteratura – sì, dopo mesi erano ancora inscatolati, poi quell’esame ormai era già dato, quindi nulla di grave.
Akaashi serrò le labbra, scattò ai piedi del proprio compagno, gli sollevò il piede con le fantastiche calze di Burba, l’Armadillo Spaziale, e raccolse velocemente una schiera di plastiche spaccate a metà, con tanto di disco ovviamente.
“Si è rotto qualcosa? Era la mia collezione preferita.” Come se ribadire l’idea di una collezione generica aggravasse ulteriormente la situazione.
Akaashi afferrò lo scatolone ormai vuoto, gettò dentro i tre videogiochi ormai inservibili e replicò con nonchalance impressionante: “No, Koutaro, tutto a posto: erano solo le custodie vuote.”
Bokuto lo sbirciò da oltre la pila di libri, in un misto tra scetticismo e disperata voglia di crederci, ma vedendo l’espressione per nulla afflitta di Akaashi optò per il crederci tantissimo:
“Ehiehiehi! Non poteva andare meglio, Akaashi!”
Quest’ultimo annuì, accennando un sorriso: “Tolgo questi scatoloni di mezzo, domani ti prendo delle custodie nuove per mettere i dischi – lo rassicurò, per poi dire – se lavoriamo con impegno per un’altra ora, secondo le mie stime riusciamo già a liberare il mobile sotto la televisione; nel frattempo possiamo se non proprio uscire a cena fuori almeno ordinare d’asporto, che ne dici?”
Fugati, almeno parzialmente, i dubbi riguardo un’eventuale perdita di preziosi reperti del mondo videoludico, Bokuto si sentì pienamente compreso dal proprio ragazzo, anche in termini di sostentamento energetico:
“Ottima idea, sei sempre un passo avanti, non so, è come... se mi leggessi nel pensiero!”
Sarà l’abitudine ad analizzarti.
“Sei sempre esagerato, Koutaro – minimizzò Akaashi, allontanandosi – per te ordino il solito?”
“Il solito, porzione doppia però; mi sento carico ma non si sa mai: abbiamo ancora una libreria da riempire!”
Si esaltò, determinato, mentre stipava nell’angolo più remoto i libri sui kanji.
Akaashi sospirò imprecettibilmente, gettò i videogiochi rotti ma, prima di farlo, memorizzò i titoli. In quel modo poteva ricomprarli l’indomani al proprio ragazzo e farglieli trovare, per rivelare che i precedenti videogiochi erano effettivamente rotti.
Conoscendo Bokuto, anche senza avere una nuova copia a disposizione in realtà il compagno non se la sarebbe presa particolarmente; ma Akaashi non poteva rinunciare a quel pretesto per vedere il suo volto sorpreso e, poi, felice: per una vetrina coi trofei, per un regalo della persona che amava.
Compose poi il numero del ristorante d’asporto e attese una risposta. Nel frattempo, scorse Bokuto fischiettare mentre sistemava gli oggetti di entrambi comprati in quegli anni assieme; vedendolo, Akaashi ritenne che la decisione di traslocare, anche se disastrosamente piena di caos, era stata la migliore della sua vita.



Sproloqui di una zucca

Ohibò, ho contaminato questo fandom anche in singolo. Assieme alla mia partner in crimes, aka Sunako, abbiamo scritto a quattro mani delle storie su Haikyuu e stiamo scrivendo delle long BokuAka, ma questa è la prima volta che mi cimento a scrivere in solo una BokuAka, considerando che è in assoluto la mia OTP del manga.
Che dire, c'è un po' di fluff, è scemetta, ma spero di aver centrato i caratteri dei personaggi e avervi strappato un sorriso, perché questi due gufetti possono essere davvero adorabili. Mi piacerebbe scrivere altre one-shot similari, con narrate le 'disavventure' dei nostri eroi quando saranno più grandi.
Ps: in Giappone l'università dura quattro anni. Bokuto è al quarto anno, studia Lettere - sì, con una borsa di studio in quanto atleta lol - e Akaashi Legge. A quest'età oltretutto immagino Bokuto giocare in una squadra a livello professionale e far parte della nazionale - i pallavolisti, come tutti gli altri sportivi, sono giovanissimi ovviamente e comunque tutti tendenzialmente vanno anche all'università.

Grazie per aver letto fino a qui e spero alla prossima <3

   
 
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