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Autore: chaoticgoodness    02/09/2018    0 recensioni
Questa ‘storia’ più che come storia vera e propria nasce come delirio notturno dell’autrice stessa. Perché a volte tenere tutto dentro fa solamente male, e alcuni sentimenti vorresti solo urlarli a tutto il mondo, perché l’amore è bello ma fa anche schifo.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Ciao,

Non so se come inizio va bene, ma faremo finta di niente per stavolta.

Mi sento un po’ scema perché mi ero ripromessa che non lo avrei rifatto, che non mi sarei umiliata una seconda volta, perché non ne valeva la pena e perché mi sarei fatta solo del male. E invece eccomi qui, di nuovo, stessa storia ma anno differente. Evidentemente sono cocciuta, masochista, e probabilmente anche un po’ recidiva, o forse solo deficiente.

 

Se ti conosco bene come penso di conoscerti ora ti starai domandando quale tipo di patologia grave mi affligge, ma giuro che non sono pazza; non del tutto almeno. Trovo solo davvero assurdo il fatto che continui a farmi sprecare il mio tempo in messaggi melensi e roba varia come se tu non sapessi già tutto quello che ti sto per dire. Come se io non fossi la persona più facile da leggere dell’intero pianeta.

Come se tu non avessi già capito che mi fai impazzire. 

 

Ti conosco da quasi sette anni, e nonostante abbia fatto finta di niente e abbia mentito a me stessa e ai miei migliori amici per molto tempo, ho capito dal primo momento in cui ti ho visto che mi piacevi e che mi avresti incasinato l’esistenza.

E porca la troia se non è stato così. 

 

I primi due anni di liceo non mi hai filato manco di striscio; non mi hai mai guardato neanche per sbaglio. Ma d’altronde eri troppo impegnato a correre dietro a quelle popolari, quelle sempre perfette, per prestare attenzione a me, timida ragazzina di seconda liceo, con l’apparecchio, il senso stilistico di un alpaca cieco, e probabilmente troppo eye-liner in faccia.

 

Poi però in terzo qualcosa è cambiato, forse perché ti sei accorto inconsciamente che sarei stata disposta a tutto pur di starti vicino, persino a ridurmi a tua segretaria personale. 

Pensa che cogliona. 

Però, a mia discolpa, posso dire che ero piccola, imbranata e reduce di decisamente troppi romanzi di Jane Austen. 

 

Man mano abbiamo iniziato anche a parlare, e mi sono resa conto che con il passare del tempo mi affezionavo sempre più a te. Sembrerà una cagata strappalacrime copiata malamente dai libri di quel rincoglionito Nicholas Sparks (scusa Nico, niente di personale), ma mi ero ridotta ad aspettare con ansia i messaggi in cui mi chiedevi aiuto con i compiti, in modo da poter aver un occasione di parlare con te da sola. Come se fosse il nostro piccolo segreto. Che malata.

 

E comunque, il nostro, di segreto non era segreto manco per il cazzo. 

 

Qualcuno ha iniziato a chiamarmi ‘sottona’ (e altri epiteti poco carini) e io ho capito quanto i miei sentimenti fossero palesi a tutti quanti tranne che a te, che te ne stavi la coon quella tua aria un po’ da rincoglionito e mi guardavi solo. Madonna che occhi che hai: illegali.

 

Vabbè insomma, il liceo finalmente finisce e io prego Dio che smetterai di parlarmi. Che deciderai che quella tra noi era solo una pallida amicizia tra due compagni di classe che non si frequentano fuori da scuola, e che tra trent’anni stenteranno a ricordarsi i nomi l’uno dell’altra. 

Ma tu sei un grandissimo egoista, e io non so dire di no.

 

E quindi ora, per colpa tua, dopo ben sei anni e tre quarti che ti conosco, mi ritrovo a scrivere messaggi deliranti nel cuore della notte sulle note del telefono, cercando di colmare vuoti incolmabili e insoddisfazioni insormontabili. 

Fondamentalmente perché io non ci credo.

Non ci credo manco per niente che non ti piaccio neanche un po’, neanche un pochino pochetto. 

 

Non sono più ingenua come una volta e ho notato la tensione che si crea quando parliamo, come ci avviciniamo fino a sfiorarci, sguardi che si cercano, e questo nostro spasmodico bisogno di toccarci, che sia per una carezza di sfuggita o solo per scherzare, come per accertarci che è tutto vero e che uno dei due non sparirà da un momento all’altro. 

Il fatto è che sinceramente sono stanca e non ce la faccio più ad andare avanti così, perché vorrei di più di questo.

 

Ma tu non fai mai niente di più che illudermi e poi lasciarmi lì, affogata nel mio brodo di giuggiole e nelle mie fantasie da quindicenne in crisi ormonale.

Il tuo è un eterno allungare la mano e poi ritrarla un istante dopo per paura di rimanere scottato. 

Io qui, invece, mi consumo lentamente come una fiamma eterna, alimentata da spezzoni di conversazioni, chat di ieri, oggi, o l’altro ieri, e tanti, tanti, troppi film mentali. 

 

E lo so che in questo momento starai pensando che questo discorso l’ho preso un sacco alla larga come al mio solito, ma sono le tre di mattina, non riesco a dormire perché penso a te, e sinceramente voglio fare un po’ come cazzo mi pare. Magari farti soffrire pure un pochetto, che tanto leggere non ti fa male. (Seriamente, dovresti leggere più libri e smetterla di prendermi in giro quando tento di consigliarti qualcosa.)

 

Rido.

 

Tanto lo sappiamo entrambi che questo messaggio non te lo manderò mai. O forse si, boh non lo so.

Magari, come un anno fa, mi farai incazzare e allora finalmente troverò le palle di dirti tutto come sta, nero su bianco, una volta e per tutte. Non certo come quella cagata di messaggio che ti ho inviato a Ottobre dell’anno scorso; messaggio che tra l’altro hai bellamente deciso di ignorare.

Che stronzo che sei.

 

Mi piaci.

No aspetta, cancello e riprovo ancora.

 

Ti amo.

 

Ah, meglio.

Ora posso finalmente andare a dormire.

   
 
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