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Autore: NPC_Stories    03/09/2018    1 recensioni
Sharova è una succube che è stata già sufficientemente maltrattata dalla vita. Prigioniera per diciannovemila anni in un dungeon sigillato, l'antica città di Atorrnash, finalmente è libera... libera di cercarsi una nuova casa.
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Storia creata per celebrare la vittoria di Sharova nel contest "miglior villain delle mie storie", sulla mia pagina Facebook.
Rating arancione perché altrimenti chi non è iscritto non può visualizzare (grazie EFP, geniale, i miei lettori vengono tutti da Facebook), ma fate conto che sia rosso per una scena di sesso mediamente descrittivo, ma fra adulti consenzienti.
Genere: Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1318 DR: “Casa” è il luogo dove risiede l’amore


L’aria era calda e immobile in quel giorno di Kythorn, sulle rive del fiume di Lance. Nemmeno un filo di brezza spirava dal mare, né dai monti. La terra era secca e arida sotto i piedi nudi di Sharova, un velo color paglia le copriva il capo. Un tempo doveva aver avuto dei ricami, ma ora era liso e rovinato, i punti di cucito ormai schiariti dal sole. La donna dall’aspetto povero stava attirando più di uno sguardo, ma non per i suoi abiti. Nonostante avesse l’aspetto di una ragazza del popolo, e degli strati più bassi della società, Sharova era davvero bellissima.
Certo, non avrebbe accettato di meno. Quegli abiti poveri erano già un compromesso sufficiente, per i suoi gusti.
Se quegli uomini non fossero stati così impegnati a fissarle solo il seno abbondante e sodo, o il bel viso dai tratti delicati, o le gambe lunghe e flessuose che si intravedevano in trasparenza sotto la gonna, forse qualcuno di loro sarebbe arrivato a chiedersi come facesse la ragazza a sopportare il calore della terra sotto i piedi nudi. O come mai quei deliziosi piedini abbronzati non fossero rovinati da calli e fessurazioni. Agli occhi di uno spettatore attento, Sharova sarebbe apparsa come l’inganno che era: non una ragazza povera, ma una persona che non aveva bisogno di lavorare per vivere, e che chiaramente non faceva la fame.
No, non faceva di certo la fame. Non più.
La donna incrociò lo sguardo di uno di quegli uomini, il più belloccio e vagamente passabile. Gli sorrise, e quello cadde immediatamente ai suoi piedi. Sharova continuò a sorridere e abbassò lo sguardo, fingendo modestia.
Dentro di sé si chiese brevemente se l’uomo avesse una famiglia, una moglie, dei figli, o qualcuno che dipendesse da lui per vivere. Non che le importasse: in quel caso, l’uomo avrebbe meritato tutto il suo disprezzo per la sua debolezza davanti alle lusinghe della carne. In caso contrario… oh, non sarebbe mancato a nessuno.
Lo sconosciuto era in piedi a una decina di passi da lei, in mezzo alla folla che si era accalcata nei pressi del fiume. Sharova notò che lui stava iniziando ad avvicinarsi, con manovre all’apparenza casuali, come se dovesse evitare di farsi vedere da qualcuno.
Sì, probabilmente ha una moglie.
La donna attese con pazienza. Aspettare non era mai stato un problema. Diciannove millenni di prigionia avevano temprato il suo carattere.

Tutto il popolo guardava verso il fiume, in attesa della barca dorata che avrebbe portato i cultisti di Osiris dalla cittadina di Mishtan fino alle aperte pianure della Grande Valle. Forse ci sarebbe voluto più tempo del solito; il fiume era molto basso. Forse per certi tratti era quasi in secca. Sharova però non lo sapeva, perché non era del posto, e nemmeno se ne curava.
L’uomo alla fine era riuscito ad avvicinarsi con discrezione. Lei gli rivolse un altro sorriso luminoso, innocente ma ardito.
Presto finirono appartati dietro a una grossa roccia sulla riva del fiume.

“Sei così bella.” Sussurrò lui, accarezzandole una guancia e sfiorandole le labbra con il pollice. “Voglio baciarti ancora.”
Si sporse con prepotenza verso di lei, ma lei all’ultimo voltò il capo, negandogli le sue labbra. Lui non si scoraggiò; cominciò a baciarle il collo delicato, scendendo verso la spalla. Lei lo lasciò fare, fissando lo sguardo sul riflesso del sole sull’acqua per estraniarsi un attimo e recuperare la calma. Il loro primo bacio era stato come riprendere a respirare dopo una lunga apnea. Risucchiare la sua energia vitale attraverso le sue labbra avide… sentirlo così pronto e disponibile a cederle la sua stessa vita… per tutti gli infiniti strati dell’Abisso, quanto le era mancata questa sensazione! Il potere di vita e di morte!
Se lui l’avesse baciata di nuovo, lei sapeva che non avrebbe saputo resistere. Gli avrebbe succhiato via quel che restava della sua energia vitale. L’estasi del banchetto era troppo invitante, e lei non voleva, non subito. Era già un miracolo che lui non fosse morto al primo bacio. La succube non voleva che tutto finisse così presto.
Prima lui avrebbe dovuto scoparla a dovere.

Dieci minuti dopo, i due amanti erano nudi e accaldati, Sharova aveva preso il controllo e stava cavalcando l’umano con l’entusiasmo di una selvaggia. Era l’unico modo; lui non era molto bravo. Era scivolato dentro di lei prendendola come si prendono le capre, senza un minimo di preliminari e senza pensare al piacere della compagna. La succube era rimasta un po’ delusa; un ragazzotto così piacente, ma così goffo.
Non le dispiacevano, gli umani. Erano meno belli degli elfi, ma avevano una fisicità più massiccia, più virile. Non aveva mai visto degli esseri umani prima di fuggire dalla sua prigione millenaria, e nemmeno prima di essevi intrappolata perché all’epoca non se ne vedevano molti in giro. Ma ora stava scoprendo che non le piaceva il loro modo di fare l’amore.
Erano tutti così: infila, spingi-spingi-spingi, sbuffa come una teiera, et voilà. Millenni prima era stata l’amante di un elfo scuro; lui sì che ci sapeva fare, diamine. Sapeva come usare le mani, la lingua, e quasi ogni altra parte del corpo. L’uomo a cui ora si era concessa, invece, aveva una buona potenza e durata, ma stava battendo sempre lo stesso chiodo. Noioso.
Dopo un po’ Sharova si era girata, l’aveva afferrato per la gola, l’aveva fatto sdraiare a terra un po’ di malagrazia e si era riappropriata del suo organo, calandogli sopra come una predatrice. A quel primo affondo le era sfuggito un mugugno, aveva gettato la testa all’indietro con abbandono. La sensazione non era molto diversa da prima, in effetti, ma… forse il semplice fatto di avere il comando, rendeva tutto più eccitante.
Cavalcò l’umano come se fosse stato un giocattolo, come lui aveva fatto con lei. Avrebbe potuto insegnargli molte cose su come soddisfare una donna, ma lui non ne valeva la pena. Era solo un umano, presto sarebbe morto, anche se non l’avesse ucciso lei. Sharova non era in cerca di un amante fisso, ma se lo fosse stata, avrebbe cercato qualcuno con una speranza di vita più lunga.
A lui comunque non sembrava dispiacere. Forse non aveva mai provato quella posizione, ma sembrava entusiasta dei grandi seni di Sharova che ondeggiavano sopra il suo viso, alla portata delle sue mani curiose.
Sharova rallentò il ritmo per tenere il suo amante sulle spine, riuscendo a strappargli un mugugno di piacere e di dispiacere. Dopo quasi un minuto a quel ritmo lento e frustrante, allargò di più le cosce e ricominciò a darsi spinte più veloci, avvolgendolo come se volesse mangiarlo. L’uomo venne all’improvviso, con un grido poco discreto.
Sharova fece scattare la lingua fra i denti, lasciando vedere la sua frustrazione; non era ancora venuta, ed evidentemente non era destino che accadesse. Il suo amante si stava rilassando sulla terra dura e secca, riprendendo fiato a pieni polmoni. Di certo era molto soddisfatto di sé stesso. Chissà se aveva una qualche nozione sull’orgasmo femminile in generale? La succube scosse la testa, pensando che forse le donne umane erano una scelta migliore rispetto agli uomini. O magari un uomo e una donna insieme? La donna per l’abilità, l’uomo per la potenza. Sì, così avrebbe potuto funzionare.
Si riscosse da quei pensieri, tornando al presente. Il pene del suo amante si stava ammosciando dentro di lei, e la cosa le dava i brividi. Si alzò dal suo trono, solo per sedersi accanto a lui. Il suo ampio torace abbronzato e sudato sembrava luccicare sotto il sole, e la succube lo accarezzò con una mano, quasi dolcemente, tradendo un’espressione dispiaciuta. Era così bello. Peccato che fosse anche così inutile.
Sharova indossò il suo solito sorriso ammaliatore, fingendo che fosse andato tutto bene, e si chinò a baciare le sue labbra già socchiuse in cerca d’aria.
Prendendosi l’unica estasi che l’uomo poteva darle.

Alcuni giorni più tardi il fiume di Lance era esondato, i lavori agricoli temporaneamente in stallo, e la gente non aveva niente da fare. Una condizione rara e beata per i contadini del Mulhorand. Di norma avrebbero organizzato sagre e festeggiamenti in tutto il Paese, ma dopo una primavera di siccità non era rimasto nulla con cui festeggiare.
Sharova ne era un po’ infastidita; sarebbe stato così semplice far sparire qualcuno durante una festa di paese, in mezzo alla confusione. Invece, doveva accontentarsi di appostarsi in una chiassosa taverna per puntare gli ubriachi che si avviavano verso casa su gambe poco stabili. Che abilità amatorie potevano mai avere? Nessuna, Sharova li usava solo per risucchiare la loro energia vitale, abbandonandoli nei campi allagati, come spazzatura.
Stava proprio “gentilmente accompagnando a casa” uno di quei relitti umani, un tizio che sarebbe stato generoso definire “di mezza età”, quando una voce femminile attirò la sua attenzione con un discreto richiamo.
“Signorina…”
Sharova si voltò. Spalancò gli occhi per lo stupore.
Calò un momento di silenzio innaturale, mentre la succube in forma umana e la sacerdotessa di Nephthys si guardavano come a volersi valutare a vicenda.
Sharova decise di fingere ingenuità.
“Sì? Come posso assistervi, padrona?” La succube aveva appreso che il Mulhorand era una teocrazia, e che tutti i chierici godevano del massimo rispetto, perfino le donne.
“Non fingete con me. Ho capito che cosa siete.”
Altro silenzio.
“E quindi siete qui per distruggermi?” Sharova sorrise con arroganza, studiando l’altra donna con sguardo critico.
“Sono l’unica sacerdotessa di questo villaggio, e questo villaggio è una mia responsabilità.”
“Siete solo la sacerdotessa di un misero villaggio.” La corresse Sharova. “Se mi muovete guerra, userò la vostra anima per pulirmi i piedi.”
“E ne sono consapevole.”
La tranquillità con cui la donna ammise i propri limiti, per un momento lasciò la demonessa senza parole. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere, nella sua esperienza. Nessun demone, nessun elfo scuro, e per l’Abisso, certamente nessun uomo.
“Quindi…?”
“Quindi.” La chierica si avvicinò di qualche passo, con fare tranquillo. “Da donna a donna, mi permetto di darvi un consiglio: non troverete buoni amanti qui nel Mulhorand. Gli uomini che conosco non hanno grande rispetto per le donne. Non saprebbero riconoscere la femminilità segreta di una donna nemmeno davanti ad un disegno dettagliato.”
Sharova rimase nuovamente senza parole.
“Il vostro consiglio è quindi di andare altrove?” Chiarì la succube.
“Oh, sì. Una volta sono stata nella Capitale e ho conosciuto dei mercanti dell’ovest, credo fossero dell’Impiltur. Grazie al cielo ero già vedova, perché per la miseria, è tutto un altro vivere.”
Sharova riflettè a lungo su quel consiglio.
“Posso farmi un ultimo spuntino prima di andare, o lo prendereste come un affronto personale?” Domandò, sollevando per il bavero l’ubriacone mezzo svenuto.
“Be’, sarebbe mio suocero… ma potrei voltarmi dall’altra parte, sono anche stanca delle sue molestie.” Ammise la sacerdotessa. “Se vi interessa, fra due settimane sarà il periodo di maggior flusso commerciale, nelle città costiere. Troverete certamente una nave che vi porti via da queste province.”

Sharova rimase sola con il suo ultimo spuntino mulhorandi che farfugliava discorsi da ubriaco, ma lei non gli badò. Tenne gli occhi fissi sulla donna che si allontanava, finché le tenebre della notte non offuscarono anche la sua vista soprannaturale.
Peccato che la sacerdotessa non fosse abbastanza bella, per i suoi standard. Sarebbe stata una buona compagna di giochi. Le piaceva il suo senso pratico.
   
 
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