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Autore: Glenda    10/07/2009    1 recensioni
Finita! ^_^ Magari un giorno inventerò un'altra avventura per l'Unità Culti e Crimini rituali... ------------------------------ Premessa: Questa storia attinge all'ambientazione di un bellissimo gioco di ruolo, "Esoterroristi", pubblicato in Italia dalla Janus Design (http://janus-design.it/). Lo sfondo è quindi quello del gioco, ma il contenuto della storia è completamente originale, poiché nato dalle sessioni di gioco del mio gruppo. I protagonisti della vicenda sono agenti di una sorta di società segreta chiamata "Ordo Veritatis", il cui scopo è cercare di fermare una rete di terrorismo altrettanto segreta che utilizza conoscenze esoteriche e rituali (motivo per cui vengono denominati "esoterroristi") per destabilizzare la realtà. Loro scopo è infatti distruggere il tessuto "oggettivo" del mondo, facendo irrompere in esso elementi del soprannaturale appartenenti all'inconscio collettivo e agli incubi individuali. Attraverso complicati rituali, sono infatti capaci di evocare veri e propri mostri, spiriti, demoni, creature dell'incubo. Compito degli agenti dell'Ordo Veritatis è fermarli...ma, soprattutto, insabbiare le prove della loro esistenza: quanto più, infatti, la gente assisterà ad eventi soprannaturali e li vedrà entrare a far parte della realtà "oggettiva", tanto più gli esoterroristi diverranno potenti. Ma i protagonisti non hanno solo le proprie missioni a cui far fronte, bensì le proprie angosce, le ansie e i problemi nati dal loro continuo contatto con il soprannaturale e con la morte. E devono fare i conti con la propria solitudine, perché essere un agente dell'Ordo Veritatis significa spesso dover rinunciare ad avere dei legami...
Genere: Thriller, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

L’unità culti e crimini rituali

 

"Questo è ciò che abbiamo" disse l’agente Darren Johnson con una sufficienza spiazzante, subito rivolto a fare qualcosa che era, evidentemente, molto più importante che ragguagliarlo sul caso a cui avrebbe dovuto lavorare "Fatti un’idea e dicci che ci vedi"

“Dicci che ci vedi” pensò Spencer, sfogliando, una dietro l’altra, le foto del cadavere di un poveretto che certamente non era morto sognando farfalle “Come se bastasse guardare...”

 

Chissà se la persona di cui aveva preso il posto lavorava effettivamente così: se gli bastavano due foto scattate sulla scena per farsi un’idea della persona con cui avevano a che fare.

Di lui non sapeva molto, né poteva pretendere di sapere tanto di più: nell’ordine funzionava così. Martin, però, gli aveva fornito qualche istruzione non compresa nel pacchetto, ad esempio il fatto che Truman Connely fosse nell’Ordo Veritatis da vent’anni, che fosse un criminologo specializzato in psicopatici con desiderio di onnipotenza, e che avesse all’attivo l’eliminazione di otto importanti cellule di esoterroristi sul territorio statunitense, nonché una decina di casi isolati risolti, e consulenze in mezzo globo.

Ma questo non gli importava poi troppo.

Che la sua non fosse un’eredità facile da raccogliere, lo aveva già calcolato, e non era il rischio peggiore. Più d’uno - Martin compreso - gli aveva fatto presente che voler lavorare sul campo non era una buona idea, e che, con la sua predisposizione e il suo curriculum, avrebbe reso meglio come terapeuta nelle strutture di cure dell’ordine, ad occuparsi di chi aveva avuto la sfortuna di guardare al di là della membrana, anziché rischiare di trovarsi a vivere la stessa esperienza in prima persona.

Ma Spencer era veramente convinto che quella strada fosse la migliore per lui.

Per lo meno, sperava che la tensione del trovarsi in prima linea lo facesse ricominciare a dormire. L’idea di stendersi con l’intento di addormentarsi, dopo aver ascoltato i deliri altrui per un giorno intero, lo paralizzava: era decisamente meglio crollare sfiniti per aver passato notti insonni dietro ad un caso. E poi, doveva davvero darci un taglio con tutto: con le sue ossessioni, con la sua dipendenza da Martin, con le terapie di Lois Darmh e anche col suo letto, che aveva finito per diventare l‘ennesima relazione distorta della sua vita.

Voleva solo fare qualcosa di concreto: essere utile per l’Ordine così come l’Ordine lo era stato per lui, difendere il confine che rendeva la realtà quella che era, fare sì che le figure che popolavano i suoi incubi potessero restare sempre, soltanto lì: nella sua testa.

Così, aveva richiesto di essere spostato in una cellula operativa, senza preferenze di incarico o di sede: all’inizio c’erano state delle perplessità, dovute al fatto che, data la sua posizione nell’Ordo Veritatis, si trovava a conoscenza di volti e nomi di cui un’agente sul campo avrebbe dovuto essere all’oscuro. Ma fortunatamente, le alte sfere dovevano aver pensato che 15 anni di permanenza affidabile costituissero una buona garanzia.

Del resto, i membri operativi avevano aspettative di vita spesso tristemente brevi, e dovevano essere costantemente rimpiazzati: Truman Connely era morto pochi mesi prima che lui presentasse la sua domanda, e, con i suoi studi di analisi comportamentale svolti a Quantico e la specializzazione in riabilitazione psicologica all’interno dell’Ordine, era la persona più quotata per sostituirlo.

Così, quando era stato aperto il primo nuovo caso in sospetto di esoterrorismo, era stato inserito senza troppi convenevoli nell’Unità Culti e Crimini rituali dell’FBI di Washington D.C, orfana del suo criminologo.

E adesso era lì.

 

Il supervisore Johnson non era tagliato per le formalità: appena si era presentato, gli aveva sbattutto in mano le foto della scena del crimine. Spencer aveva avvertito subito una diffidenza che si tagliava a fette, ma non se la sentiva di biasimare; lui piombava lì dal nulla, senza tanti preavvisi e con un fascicolo pieno di omissioni, e a Darren non era stato concesso nemmeno il lusso di valutarlo. Qualunque capo si sarebbe sentito scavalcato, specie quando si è perso da pochi mesi il compagno con cui si lavorava da anni. Tuttavia, a Spencer parve di cogliere anche un tipo di distacco diverso, una sorta di sottinteso: “non mi sembri all’altezza” che lo infastidì.

Le foto, alla prima occhiata, gli dicevano una sola cosa: che chi aveva ridotto così quell’uomo, aveva tempo da perdere e tranquillità. Non c’erano simboli occulti o segni di pratiche rituali sul cadavere, c’era solo la presenza di un evidente e prolungato sadismo: lo aveva torturato, probabilmente con diversi strumenti, e la vittima era stata per lo più cosciente, con nello sguardo lo stesso terrore che vi era rimasto impresso da morto.

Quando si trovò tra le mani l’inquadratura del volto del cadavere, con gli occhi vitrei sbarrati e le pupille dilatate, deglutì visibilmente.

"Bella foto, eh?" fece una voce alle sue spalle "La luce dell’alba ha fatto effetto filtro; sembra quasi ritoccata in studio, invece è tutto naturale. E’ un peccato che faccia parte delle prove, ha un che di...artistico!"

Spencer voltò la testa e si trovò di fronte un uomo alto, spalle larghe il doppio delle sue, capelli biondi raccolti in una coda e uno stile che gli fece pensare ad un avventuriero di Jules Verne, o ad un tuttofare dal sapore stempunk. Al collo portava la macchina fotografica e il taschino della sua camicia era pieno di oggettistica tecnologica di cui non avrebbe saputo stabilire la funzione.

" Ti manca l’abitudine ai cadaveri? " chiese, con un sorriso irriverente.

Spencer appoggiò la foto sul tavolo e si alzò in piedi.

" Mi manca l’abitudine al primo piano dello sguardo di un cadavere, per esser precisi " rispose, con distacco " Ai cadaveri che ho visto, qualcuno aveva già pensato di chiudere gli occhi "

" Beh, l’ultimo che abbiamo trovato noi, invece, non li aveva proprio. Bruciati dentro ad un pentacolo insieme alle budella. Sgradevole " gli tese la mano " agente John Doe"

Spencer alzò il sopracciglio.

" Mi manca l’abitudine anche allo spirito macabro, se le interessa " sentenziò con un certo fastidio nella voce.

“John Doe. Ma per chi mi ha preso?”

L’uomo frugò nella tasca dei Jeans.

" Sì, sì...reagiscono tutti così " e gli sventolò davanti il distintivo.

Agente Jhon Doe: unità Culti e Crimini Rituali.

Spencer si sentì arrossire.

“Cristo! Ma che cattivo gusto!”

" Emh...Non trova di portare un nome un po‘...malaugurante? "

L’uomo gli battè una pacca sulla spalla.

" Non se lavori nell’Ordo Veritatis, novellino! Quante probabilità ci sono di rintracciare un Jhon Doe? Sicuramente meno che rintracciare uno..."

Puntò l’indice al centro del suo petto, in un gesto eloquente.

" Spencer Dwight"

" Ecco. Uno Spencer Dwight. Meglio avere volti e nomi chi si dimenticano, qui, ragazzo. Bisogna imparare presto a passare inosservati, e tu, con l’aria che hai, oggi non ci passi affatto. Non si fa quella faccia davanti ad un morto. Non sei un agente dell‘FBI. Far trasparire le emozioni è il modo migliore per rimanere impresso a qualcuno. Che farai quando incontrerai il primo mostro?"

Spencer si sentiva innervosito. Darren lo aveva accolto con una gelida sufficienza, e adesso questo tizio dallo spirito fuori luogo lo trattava come uno scolaretto e gli diceva apertamente quel che l’altro aveva solo lasciato intuire: che era nel posto sbagliato al momento sbagliato.

" I mostri, li incontro tutte le notti nei miei sogni"  sentenziò "e li conosco bene quanto lei. Con la differenza che io so anche dirle in che modo sono stati evocati, quanto è alta la predisposizione di un individuo a cimentarsi con un tipo o un altro di creatura, e so risalire da un rituale ad un potenziale profilo e viceversa. Vuole che le dica per che genere di culti è predisposto lei, signor Doe? "

"Noi non siamo predisposti per nessun culto"

La voce decisa di Darren interruppe quella conversazione

"Noi siamo predisposti per la realtà. Punto e basta" fissò Spencer con lo sguardo di chi non ammetteva repliche "Allora" prese di nuovo in mano le foto e le sventolò sotto il suo naso "Che idea ti sei fatto, Dwight?"

Il ragazzo fece un profondo respiro, e ringraziò di essere stato dotato di un buon autocontrollo. L’atteggiamento di quei due gli ricordava certi professori ai tempi dell’università che non aspettavano altro che lo studente sbagliasse per dimostrare che l’umanità è fatta di una massa di ignoranti.

"Se mi si richiede un parere di analista comportamentale, l’impressione che ho avuto è che l’assassino sia un sadico, forse a sfondo sessuale, che si eccita nell’atto della tortura. Non

è la morte della vittima che gli interessa, quanto il tempo della sofferenza. A dargli piacere probabilmente è la reazione della vittima: la paura, forse, più che il dolore...Credo che desiderasse essere guardato " mostrò loro di nuovo il primo piano del volto "L’autopsia forse ci darà dati più precisi, ma vedete questi segni?" indicò delle piccole lesioni sulla fronte e le tempie "mi fanno pensare che l’assassino gli abbia immobilizzato la testa, per costringerlo a guardarlo mentre lo uccideva..."

Ripose la foto nel mazzo, e le fece scorrere di nuovo tra le dita una dietro l’altra.

"Ma se quello che volete sentire è un parere da studioso di occulto, beh, non ci vedo niente. Nulla che possa far pensare a un rituale esoterrorista: nemmeno ad un gesto isolato di un fanatico. Sempre che non ci sia qualcosa che non mi avete mostrato"

Darren sorrise con un solo lato della bocca.

"Infatti c‘è qualcosa" disse, e gli mostrò un sacchetto trasparente sigillato e repertato "Infila un paio di guanti e dagli un’occhiata"

Prontamente John tirò fuori un kit della scientifica, e porse a Spencer guanti e lenti di vario tipo. Lui estrasse con cautela l’oggetto dalla busta e se lo rigirò tra le dita.

" Il materiale sembra rame..." commentò a voce alta " Lo si usa come catalizzatore energetico in diverse pratiche...dalla medicina olistica all‘esoterrorismo. Forse è mescolato con qualcos’altro. Due spirali intrecciate..." avvicinò la lente alla superficie " ...e inciso nel mezzo un simbolo...Non so...mi sembra un vevè, uno dei simboli voodo per evocare i Loa. A occhio direi che è un amuleto rituale che serve a catturare energia. "

Darren annuì.

"E’ la stessa idea che mi sono fatto io" disse "Lo abbiamo trovato nel corpo della vittima, infilato sotto la carne, in una ferita all’altezza del cuore. Appena l’ho visto, ho subito pensato a questo..."

Prese un libro dalla sua scrivania e glielo porse: Spencer si sorprese. Era un testo che veniva usato per gli studi occulti dell’Ordo Veritatis, ma era una pubblicazione rara, non alla portata di tutti. Martin aveva fatto qualche ricerca e gli aveva rivelato che, per quanto fosse un agente dell‘FBI da molto tempo, e con un turbolento passato di uomo d’azione,  Johnson era anche uno studioso di un buon livello, con svariate pubblicazioni all’attivo, ed era un esperto dei culti e delle credenze più disparate che l’umanità avesse abbracciato nel corso della storia.

" Si chiama Talisha, o Taliska..." gli mostrò la foto di un’incisione su pietra che riproduceva un’immagine piuttosto simile " Veniva usato presso alcune tribù precolombiane misconosciute per incanalare l’energia vitale della vittima durante un sacrificio, umano o animale, agli dei. Pare che lo si incidesse sul corpo del sacrificato, e sul luogo o sulla pelle dell’individuo che, attraverso il sacrificio, si intendeva rafforzare, o proteggere. La doppia spirale costituirebbe un legame tra chi perde e chi riceve. Ma eccoci al particolare che ci interessa: la massima funzionalità del rito si ottiene quando vittima e beneficiario sono consenzienti...e non credo siamo nel nostro caso..."

" Già. Non con uno sguardo simile..." rifletté Spencer, gettando un ennesima occhiata alla foto del morto.

"Dunque..." fece Jhon "Tu pensi che chi ha compiuto il rituale sia andato incontro ad un fallimento?"

"Almeno ad un fallimento parziale" confermò il capo "il che equivale a dire che per il momento non dovrebbe esserci una creatura soprannaturale pronta ad essere sguinzagliata per la città. Questo ci garantisce un certo vantaggio"

Riprese il suo libro e lo ripose accuratamente in un cassetto dal doppio fondo.

"Vado in sala autopsie. Spero che Jeanine sia riuscita a trovare qualcosa che ci faccia risalire all’identità del nostro cadavere... " e sparì a passo veloce dietro la porta.

Jhon andò a sedersi alla sua scrivania, ed accese il computer.

"Bene bene, novellino... " disse "ora ti faccio vedere come, in quattro e quattr’otto, ti trovo dove potrebbe essere stato fabbricato un oggetto del genere!"

Inforcò gli occhiali e si perse completamente nella schermata.

Spencer lo osservò per qualche attimo, incuriosito: lui doveva essere l’hacker della squadra...ce ne era sempre uno. Ormai non si poteva sperare di venire a capo di un’indagine senza sapersi muovere bene nel mondo parallelo della rete.

"Passato lo shock da occhi-di-morto?" lo prese in giro, riemergendo un attimo dalla trance in cui sembrava essere sprofondato, e agitando con la mano un pacchetto di sigarette in segno di offerta.

"Sì" fece Spencer "e, a proposito...quello era un PreMorte..."

"Cosa...?" girò appena la testa Jhon

"La creatura evocata con occhi e viscere bruciati in un pentacolo. Lo chiamano PreMorte, ovvero la “materializzazione” di ciò che l’occhio vede prima di morire. Beh, così credono loro. Ma voi non lo avete mai incontrato, perché questo rituale ha una probabilità talmente alta di fallimento, che, a quel che ne so, non ne è mai stato evocato uno completo "

Jhon sbattè le ciglia, in un attimo di esitazione: poi, d’un tratto, diede in una fragorosa risata.

"Ok, Dottore, ok! Sai il fatto tuo. Va bene? Ora però, fine della dimostrazione"

 

A giudicare dalla prossemica, la dottoressa Sigrist aveva un temperamento meno prevenuto dei due colleghi. Il suo modo di tenere le distanze era professionale ma non diffidente: a un primo tentativo di profiling, l’avrebbe detta una persona bendisposta verso la diversità, ma solo più tardi avrebbe saputo che, con i suoi studi di antropologia, aveva girato praticamente il mondo intero, dagli igloo eschimesi alle tribù della foresta equatoriale.

"La vittima si chiamava Osvald Samerson. Sono riuscita a identificarlo grazie ad una protesi dentaria installata l’anno scorso. Aveva 54 anni, scapolo, impiegato in un ufficio vendite di una ditta di pneumatici. Ho già chiamato chi di dovere: mancava dal lavoro da 5 giorni, ma nessuno si era domandato niente, perché aveva chiesto una settimana di ferie"

Jeanine si spinse su gli occhiali, dando un’occhiata in tralice a Spencer, che Darren non aveva ancora avuto il buon gusto di presentare.

"La morte risale a ieri pomeriggio, tra le quattro e le sei. E’ stato lungamente torturato, per un arco di tempo che può variare dalle 24 alle 36 ore. Sono stati utilizzati diversi strumenti per infliggere le torture: armi da taglio e oggetti contundenti di diverse dimensioni. Con più calma saprò effettuare dei riscontri e elencarvi una lista di oggetti compatibili. Sono presenti segni di bruciature e di scosse elettriche. Le unghie sono state asportate, e le dita delle mani sono fratturate. Tuttavia, non sono state le ferite la causa del decesso... "

Porse a Darren i risultati dell’autopsia.

" ...bensì un attacco cardiaco "

"E’ morto di infarto?" Jhon si grattò la testa "questo non fa molto esoterrorista!"

"Detto così, no. Ma una serie di fattori, come il ph del sangue, la forte presenza di adrenalina, la disidratazione, mi fanno pensare che  la vittima sia stata colpita un attacco di panico. O più di uno. Il cuore potrebbe non aver retto... "

"Morto di paura... " mormorò Spencer, ripensando agli occhi del poveretto "la peggior morte che ci si possa augurare. Ma la domanda a questo punto è: volevano ucciderlo?"

Darren lo guardò di sbieco.

"Se un esoterrorista ti tortura, stai certo che non andrai in giro a raccontarlo"

"Non intendevo questo. Mi chiedevo...se ad essere funzionale al rituale fosse la morte o la tortura... "

"...o entrambe!" intervenne Jhon.

"Per il momento, non abbiamo nemmeno la certezza che si tratti di un rituale, e che l’eventuale rituale ci riguardi. Innanzi tutto, è necessario accertarsi della presenza di un’attività esoterrorista. Jeanine, che ci dici del “ritrovamento”?"

La donna fece scorrere rapidamente le dita fra le sue carte, ed estrasse una fotografia che mostrava l’oggetto di rame ancora all’interno della carne.

" Si tratta di una delle ferite più antiche: è stato impiantato nel corpo della vittima prima dell’inizio delle torture...o comunque, è stata la prima forma di tortura che gli hanno inflitto. L’incisione non è profonda, ed è fatta da mani inesperte. Tuttavia, deve essere stato usato un bisturi, o comunque un coltello molto piccolo e tagliente"

Lo sguardo di Darren passò rapidamente da lei e Jhon

"E la tua ricerca?"

"Allora" Jhon voltò verso di loro la schermata del suo portatile "Quello che vi posso dire è che non è stato fabbricato negli stati uniti. Esistono due luoghi in Messico che hanno prodotto qualcosa di simile: uno è un negozio gestito da nativi che ha un giro solo tra appassionati di antiche tradizioni, l’altro è addirittura un artigiano che non vende al pubblico, ma crea monili per privati a cifre astronomiche: è una specie di santone, di guaritore...insomma, un tizio così...! Niente, però, che richiami palesemente il nostro amuleto: solo scelta degli stessi materiali e una certa somiglianza nella lavorazione, non sufficiente a dire che si tratti della medesima mano"

Spencer sollevò entrambe le sopracciglia.

"Wow... " commentò, ammirato.

"Non hai visto niente, ragazzo" si vantò lui "Entro un’oretta ti servo vita morte e miracoli di Osvald Samerson, così puoi fargli un bel profilo psicologico, contento?"

Spencer abbozzò un sorriso.

"Penso che per un profilo mi sarebbe molto più utile vedere la sua casa e il suo ufficio"

Darren colse quella frase al volo.

"Ottimo. Scegli da quale vuoi cominciare" disse.

"Ufficio" rispose prontamente Spencer "Voglio parlare con i colleghi. Gli attacchi di panico non nascono da niente, nemmeno se sei sotto tortura. E il fatto che nessuno sapesse dov’era andato in ferie mi incuriosisce. Agente Doe, se lei potesse farmi sapere da quanto lavorava lì, il suo titolo di studio e se ha svolto altri lavori prima, questo potrebbe essermi utile"

"Chiedi e ti sarà dato, “dottore“!"

"Allora" riprese Darren "Domattina, Dwhigt ed io alla “Mundial Preumatici“. Doe e Sigrist all‘appartamento. Per stasera, Jhon lavora sulla vita della vittima, io e la dottoressa facciamo un sopralluogo nella zona circostante la scena del crimine: sotto le scarpe di Samerson è stato trovato della ghiaia che non corrisponde al tipo di terreno del luogo del ritrovamento. Probabilmente il posto in cui è stato torturato e ucciso non è negli immediati dintorni, dobbiamo farci un’idea..."

Spencer non capiva se il capo si fosse dimenticato di lui o non lo avesse nominato volutamente.

"Ed io...?" azzardò.

"Tu sei libero" fece Darren "Sei stanco e disorientato, e domani mi servi lucido"

"Io...emh...cosa...?"

Ci era rimasto male: non pensava che fosse così facile leggergli in viso condizioni fisiche e mentali.

"Non ci hanno avvistato fino all’alba dell’inserimento di un nuovo agente, quindi deduco che la anche tua convocazione sia stata improvvisa. Suppongo dopo l’assegnazione del caso alla mia unità: tra le 23 e le 24. Viaggio in notturna, volo di linea. Non hai la faccia di chi dorme in aereo. Anzi, hai la faccia di chi dorme poco e non ama perdere lucidità quando si trova in un ambiente che non tiene sotto controllo..." per la prima volta fece un mezzo sorriso "li faccio anche io i profili, Dwight. Domani alle otto. Cerca di avere una faccia che non attiri l‘attenzione"

A quella frase, Jhon diede in una risatina sardonica.

Spencer non osò replicare.

 

Quando il telefono squillò, era perso in uno zapping insensato tra i canali, giusto per il gusto di perdere tempo e ritardare l’ora di addormentarsi.

"Spencer, ti ho cercato molte volte..."

La voce di Lois era la cosa che amava di più in lei: a volte aveva fatto sedute intere tenendo gli occhi chiusi, concentrato su quella voce che lo rasserenava, che gli sgombrava la mente. E tante volte si era chiesto se non avesse finito per andare a letto con la sua voce.

“Spencer, ti ho cercato molte volte”: nella sua voce non c‘era una richiesta, una nota di biasimo, un sottinteso. Lei sapeva dire le cose senza inviare nessun messaggio secondario.

Lei, semplicemente, affermava.

"Sono a Washingotn. Sono partito stanotte. Lavoro a un caso nell’unità Culti e Crimini Rituali dell’FBI."

Dall’altro lato della cornetta ci fu un momento di silenzio.

"Non pensavo che avresti deciso così in fretta"

"Nemmeno io. Ma va bene così. Ho bisogno di questo"

"Non hai bisogno di questo. Hai bisogno di convincerti che è così. Non è dando la caccia a creature soprannaturali che farai tabula rasa di qualcosa che la tua mente ha rimosso. Né lo farai riemergere. Il percorso che dovresti... "

"Non c’è un percorso, Lois" la interruppe "sai come la penso. Il lavoro fatto con te mi ha aiutato...tu mi hai aiutato: ma non è facendo psicoterapia per una vita che arriverò da qualche parte: anche io curo la gente...ho visto come funziona. Quando incontri certe cose, non puoi pensare di farne “tabula rasa“. Non me lo sogno nemmeno, e non sono qui per questo. Voglio soltanto...impedire che ad altre persone capiti la stessa cosa. Non voglio essere più lì per mettere toppe, per cercare di salvare il salvabile. Voglio esserci prima..."

"Sei consapevole di non essere psicologicamente pronto per questo"

Ecco, “affermava” di nuovo, senza aspettarsi una risposta, senza rimproverargli nulla. Gli sarebbe mancata quella limpida capacità di dare alle parole una loro saldezza, una loro lucida essenza.

"Ti mancherò?" chiese

"Certo. E ho paura per te. Ho paura che tu abbia bisogno del mio aiuto, e che io non possa essere lì... "

"Però non mi ami..."

Lasciò cadere quella frase fatta così, e poi la immaginò sorridere e scuotere lentamente la testa.

"Nemmeno tu mi ami, Spencer. Tu ami il fatto che so tutto di te, e che con me non devi svelare o nascondere niente, non devi metterti in gioco..."

"Non ti illudi di conoscermi troppo bene?"

"Andiamo, piccolo. Sono la tua terapeuta da quasi dieci anni"

Spencer affondò la testa sul cuscino, e pensò che dopo quella frase gli sarebbe piaciuto essere accarezzato.

"Ho paura di dormire, stanotte..." disse, con un candore disarmante.

"Ti ho insegnato tante strategie...è il momento di metterle in pratica: non puoi sbadigliare mentre lavori sul campo. E per cominciare, smetti di fare zapping compulsivo..."

Il ragazzo sbattè le ciglia, rigirandosi il telecomando tra le mani

"Non stavo..."

Menzogna inutile.

"Buonanotte, Spencer..."

Buonanotte. Una parola che si diceva con tanta naturalezza, una di quelle parole che si sprecano senza conoscerne il significato.

Spencer Dwight dall’età di 15 anni avrebbe pagato per trascorrere, per una volta almeno, una vera “buona notte”. I suoi sonni erano solo un’interruzione della fatica fisica, ma se voleva spegnere qualche volta la mente e permetterle di avere pace, lo doveva fare da sveglio, guidato da un terapista dei disturbi del sonno, sottoponendosi a sedute di ipnosi o con sessioni di meditazione e training autogeno. Nessuna di esse funziona a lungo, ma almeno permettevano al suo mondo interiore di prendere respiro.

La notte, invece, era un momento di lotta e di sforzo: a meno di non piombare sfinito o ubriaco in un sonno buio, di quelli da cui ci si sveglia storditi, con la testa pesante, tutti i suoi riposi erano accompagnati dai “mostri”. Mostri che conosceva, o che non aveva mai visto, e voci, e suoni, e simboli...insomma, immagini...flashes distorti e confusi di un mondo che per l’Ordo Veritatis aveva una definizione e un nome: realtà soggettiva.

Gli esoterroristi si adoperavano per spezzare quella membrana che separava tale realtà da quella quotidiana, palpabile, visibile ogni giorno, e miravano all’irrompere dei fantasmi dell’inconscio sul mondo reale.

Loro erano lì per impedirlo.

Ma quanto e come - prima di essere salvato e “adottato” dall’Ordine - Spencer avesse visto di quella realtà soprannaturale, lui stesso non lo ricordava...

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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