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Autore: Crissglasses    03/09/2018    0 recensioni
Questa raccolta è un regalo per una persona speciale.
Non sono brava con gli oggetti utili, quindi solitamente regalo parole.
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Ogni capitolo è una storia. Un racconto autoconclusivo. Uno sprazzo nella vita di un personaggio qualunque in un universo di vite qualunque. Incontri, scelte, promesse, addii. La vita che si ferma e quella che va avanti.
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Un giorno, in un villaggio sui monti, uno sconosciuto le regala un fiore. E lei decide di restare.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo primo
 
Lasciarsi andare
 

 
Molte hanno nomi di donne, alcune di città o isole lontane, ma tutte raccontano una storia.
La sera, quando stanche tornano al porto e lo riempiono di voci scomposte, narrano le loro avventure sul mare. Si accompagnano ad una bottiglia e gridano sbattendo le mani sui tavoli.
«Eravamo nel bel mezzo dell’oceano.» inizia una voce forte, che traballa un po’ per via dell’alcol, e un uomo di mezza età con il volto segnato dal vento si alza in piedi «Picchiava il sole come fossimo all’inferno, intorno a noi una piatta distesa di sale. E ad un tratto, cosa fa quella bestiaccia di Gilbert? Comincia a fischiare.» risa e proteste si alzano da ogni angolo della piccola stanza «Giuro sulla mia santa madre, signori miei, quella canaglia sfida Eolo in persona. E ve lo dico con il cuore in mano, questi occhi» fa puntandosi un tozzo dito verso il volto «questi occhi non vedranno mai più un mare così piatto.»
«Oh smettila di parlare come un naufrago, Maurice! Se foste morti la tua boccaccia sarebbe muta sul fondo del Pacifico, e non qui, sporca di gin a raccontare menzogne.» un boccale sbatte su un tavolo vicino e la sala si riempie di nuovo di risa, stavolta di scherno e rivolte al narratore, che fissa sconcertato la ragazza che ha osato dargli del bugiardo.
La sua bocca si apre appena per mostrare un dente di legno, e la smorfia che riesce a fare somiglia vagamente ad un sorriso «E anche il nostro bel capitano dormirebbe con me e con i pesci, mia cara Anne.» è la sua risposta, dopodiché rivolge nuovamente la sua attenzione alle orecchie che lo stavano a sentire «Ma il signore ha buttato gli occhi sulla nostra stramaledetta nave senza nome e quella testa calda di Gilbert deve avergli fatto tenerezza, perché al calare del sole le vele si son gonfiate come le tette di una nuova madre, e le stelle erano così luminose che pareva essersi fatto giorno un’altra volta ancora. Lo stesso mare che sembrava volerci morti si è agitato furiosamente sotto di noi fino a riportarci dritti dritti fra le braccia delle nostre donne.» conclude prendendo una gran sorsata dal proprio boccale per poi sbatterlo sul tavolo violentemente, evocando così le grida dei presenti, alcuni entusiasti per il racconto, altri troppo sbronzi per rendersi conto di cosa stesse accadendo intorno a loro. Perfino la ragazza che l’aveva criticato in precedenza schiude le labbra in un flebile sorriso.
La locanda torna dunque a riempirsi di voci confuse, che di quando in quando esplodono in risate fragorose o in commenti osceni. Anne serve ai tavoli e intrattiene i marinai appena tornati e i pescatori che fra poco partiranno e, alle prime luci dell’alba, dopo aver accompagnato suo padre nella sua stanza, riordina il piccolo locale preparandosi ad accogliere un’altra flotta il giorno successivo.
«È andata veramente così, sai.» l’ultima voce ad uscire dalla locanda, stasera, è quella del bel capitano della nave senza nome, seduto in un angolo buio, intento a fumare del tabacco del nuovo mondo «La storia che raccontava prima Maurice, intendo. L’ha abbellita con tutte le sue frottole su nostro Signore e la sua santa madre, ma ogni altra parola era la verità.»
Anne annuisce con disinteresse «Se dovessi contare tutte le volte che avete rischiato la morte in una delle vostre traversate e ogni volta che Gilbert ha sfidato il vento, mi troveresti sul ciglio della strada insieme alla vecchia Sophie a sputare numeri.»
Il capitano ride leggermente, prende un sorso della sua birra, e torna a guardare in silenzio la ragazza che ripone delicatamente i bicchieri luridi sulle mensole. Il suo vestito è sporco e logoro, i capelli arruffati e raccolti sopra la testa, le guance rosse e gli occhi stanchi, eppure le sue labbra si aprono di nuovo e, in un sussurro, come sempre apostrofa il ragazzo «Dovresti veramente dargli un nome a quella barca, Louis.»
«Sai che non credo nelle superstizioni.» fa allungandosi sulla sedia «Per quel che mi riguarda, infatti, Gilbert può fischiare quanto gli pare.»
La ragazza poggia l’ultimo bicchiere sulla mensola e rimane a fissare la parete per qualche secondo. Quando si volta, l’espressione sul suo viso cerca di trattenere la rabbia che le cresce in petto «Scegli un qualsiasi nome, non potrà mai essere così difficile.» sbotta dirigendosi verso il tavolo e prendendo bruscamente il boccale che si trova davanti agli occhi di lui «S’è vero che hai donne in ogni porto scegli un nome fra i tanti e incidilo su quel pezzo di legno!» la voce trasformata da bisbiglio a grido.
«Anne,» il capitano allunga una mano per raggiungere quella della ragazza e tentare di calmarla «non sarà certo un nome a salvarci tutti quando un giorno il mare deciderà d’inghiottirci.»
«Eppure un nome renderebbe il mio cuore più leggero.» insiste la ragazza accarezzando dolcemente la mano del ragazzo.
«E il mio diventerebbe più pesante.» ribatte lui «Difatti, così pesante che una volta salito a bordo potrebbe farci affondare tutti.» rivolge gli occhi verso quelli dei lei e nota che sta timidamente sorridendo «Ascoltami Anne, non ho intenzione di morire così giovane. A dirla tutta, non ho intenzione di morire affatto, ho stretto un patto con il diavolo in persona e giuro vi seppellirò tutti.»
Dopo un sorriso, sopraggiunge un sospiro «Va’ a dormire, Louis.» risponde Anne, voltandosi per rimettere a posto anche l’ultimo boccale.
«Andiamo al faro, Anne.» propone frettolosamente lui, alzandosi e sbattendo sul tavolino.
«Al faro?» una risata «È da quando siamo bambini che non andiamo più al faro.»
Louis non risponde, si dirige verso la porta, la apre appena facendo entrare i primi dolci raggi del sole, e rimane immobile. La sua mano si tende impercettibilmente verso Anne, un incoraggiamento taciuto.
La ragazza guarda per un attimo la locanda, spenge le ultime lampade ancora accese, e segue il ragazzo.
 
 
Quando erano bambini, Louis aveva paura del faro.
Ogni giorno, dopo essere uscito in mare col padre, seguiva con riluttanza Anne su per la collina e si fermava qualche passo prima di lei, gridandole di fare attenzione. La bambina, al contrario, raggiungeva il limite della scogliera e guardava verso il basso, dove le onde si infrangevano sulle rocce facendo gorgogliare la propria schiuma. Ogni giorno, con il volto rivolto verso l’orizzonte, apriva le braccia e chiudeva gli occhi, ispirava a pieni polmoni l’odore di salsedine e sorrideva mentre gli ultimi raggi del sole le accarezzavano il viso.
«Anne! È pericoloso, torna indietro!» la voce di Louis arrivava sempre, ad un certo punto. Confusa nel rumore del vento, ma abbastanza potente perché lei potesse sentirla. Prima di voltarsi e raggiungerlo, guardava per un’ultima volta l’orizzonte, sperando di intravedere qualcosa in lontananza. Qualcosa che portasse buone notizie, o una luce di speranza.
Un giorno, dopo esser cresciuti, aveva smesso di guardare due volte prima di voltarsi.
«Ancora il tuo vecchio non ha trovato un partito da farti maritare?» Louis sta tirando dei sassi verso il mare, il suo sguardo concentrato sull’orizzonte. Dopo anni, è lui quello al limite della scogliera e ogni volta che si muove sembra in procinto di cadere verso il vuoto. Anne è distante qualche passo, seduta sull’erba, ma non guarda il mare.
«Non ho nessuna intenzione di trovar marito, e questo mio padre lo sa benissimo. E lo sai benissimo anche tu, Louis.»
Una risata si disperde nel mattino, Louis abbandona le ultime pietre che gli sono rimaste in mano e si lascia cadere vicino ad Anne.
«Sposata alla locanda o sposata a qualche uomo senza che lui lo sappia?» domanda ancora con un mezzo sorriso.
«Sposata con me stessa e nessun’altro. La locanda chiuderà appena mio padre lascerà questo mondo e io partirò una volta che più niente mi legherà a questa città.» la voce ferma e seria di Anne colpisce dolcemente Louis, e come una piuma le sue parole raggiungono lentamente le sue orecchie.
La voce che rompe il silenzio non è più sicura e scherzosa, ma sorpresa «Hai intenzione di partire?»
«Non subito.» Anne si gira per guardarlo in viso «Non adesso, ma un giorno. Mia madre non è più qui, e mio padre non resterà per sempre. Non ho più niente da dare a questo posto, non ho più ragioni per restare.»
Le parole rimangono nell’aria. Louis non guarda più Anne, ma guarda il mare, stringendo i denti per non rischiare di dire qualcosa di cui si pentirebbe. Anne ha ragione, questa città li ha fatti nascere e visti crescere, ma non ha più niente per loro. Lui ha già attraversato l’oceano più di una volta, ha visto nuove terre, conosciuto nuovi volti, esplorato nuovi mondi, ma è sempre stata Anne quella che guardava lontano. Lui si fermava qualche passo dietro di lei, a osservala in silenzio, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto dopo. Se sarebbe tornata da lui.
«Io sono qui.» dice in un sussurro.
La ragazza soffoca una risata «Sarai per mare.» lo corregge «Tornerai per qualche giorno, e dopo partirai ancora una volta, e io non posso passare tutta la vita ad aspettarti.»
Louis non risponde, perché Anne ha ragione. Non può chiederle così tanto, non può negarle una vita solo perché ha paura che senza di lei si svuoterebbe la sua.
Lo sa, e lo sa benissimo, che nessuno resta in un porto. Che il mare ti spinge a partire. Eppure non può fare a meno di pensare che non è così che si era immaginato questa storia.
Quando erano bambini si era convinto che, nonostante tutto cambiasse lentamente intorno a lui, Anne sarebbe restata. Avrebbero continuato a venire al faro al tramonto, al mattino sarebbero scesi in piazza e avrebbero corso fra le bancarelle che vendono il pesce e nulla sarebbe cambiato. Invece Louis è diventato più alto, Anne adesso ha le curve di una donna, e si incontrano soprattutto alla locanda, quando i suoi uomini lo convincono a bere dopo essere tornati a casa da una lunga traversata. Quelle sere beve poco, in realtà. Passa la maggior parte del tempo a guardare Anne servire, ascolta distrattamente le storie che vengono raccontate, e rifiuta le donne che cercano di attirare qualche marinaio per la notte. Resta fino a che non se ne sono andati tutti, e quando rimane solo con lei non dice molto, qualche storia sul viaggio, qualche domanda, mai le parole giuste.
Anne, al contrario, fin da bambina sapeva che non sarebbe rimasta. Ogni notte quando chiudeva gli occhi si immaginava in un luogo diverso: una grande e rumorosa città, una foresta che brillava nella luce del mattino, oppure in mezzo all’oceano con il vento che le accarezzava dolcemente il viso.
Non voleva restare, ma non pensava neanche di dover partire da sola.
Spesso si sogna per conto proprio e si costruiscono castelli in aria che nessuno ha la forza di distruggere. Quando si sogna in due, però, bisogna star attenti e assicurarsi che si stia facendo lo stesso sogno.
«Allora, dimmi, perché il cielo è azzurro?» chiede ad un tratto Louis.
La domanda è inaspettata, ma viene accolta con un sorriso quasi complice. Sembra il gioco di un bambino, innocente, ma allo stesso tempo intriso di significato ed aspettativa.
«Perché una volta il cielo ed il mare erano uniti.» racconta Anne «Ma non si appartenevano, e furono costretti a separarsi.»
Louis fa una smorfia, contrariato, ma Anne continua «Così decisero di avere lo stesso colore per mantenere vivo il ricordo di quello che era stato.» fa un profondo sospiro «Eppure la linea dell’orizzonte è ancora una promessa, e il cielo dona al mare il suo calore ogni sera.»
«Si mancano?» domanda Louis in un sussurro.
Anne pensa per un attimo, «Non più.»
«Come possono non farlo quando sono costretti a vivere l’uno di fronte all’altro?» incalza nuovamente lui.
«Perché davanti a loro non vedono più l’altro, ma loro stessi.» la voce di Anne è decisa, ma dolce «E non può mancarti ciò che è parte di te.»
Louis vorrebbe dirle che lui sentirà la sua mancanza. Che non possono lasciarsi perché le loro vite sono così profondamente legate che si sgretolerebbero con l’assenza. Vorrebbe dirle che lasciarsi andare non è dimenticarsi, e non essersi mai avuti non vuol dire non appartenersi.
Louis vorrebbe dirle che per anni l’oceano gli ha ricordato il castano dei suoi occhi, e nel vento era convinto di sentire la sua voce. Vorrebbe dirle che non è in grado di andarsene se sa che non la troverà al suo ritorno.
Louis vorrebbe dirle vieni con me, ma le parole gli si fermano in gola, preoccupato che possa sembrare una richiesta assurda, che non spetta a lui fare.
«Resta ancora un po’.» dice invece, e lentamente fa scivolare la sua mano su quella di Anne.
Lei sentendo il contatto porta gli occhi sulle loro mani, e le unisce. Poi guarda lui e sorride.
In qualche attimo si scambiano le frasi che hanno taciuto per una vita. Forse senza comprenderle veramente, o forse ignorandole per perdersi nel momento senza pensare, per una volta, al futuro.
«Resto ancora un po’.»
 
 
Louis parte tre giorni dopo. È un lungo viaggio che non lo porterà più indietro. Lui non lo sa, Anne lo vede scritto nei suoi occhi.
Si salutano al porto, come sempre, lei con un cestino in mano, pronta a comperare qualcosa per la locanda dopo avergli detto addio un’altra volta. Lui non si scompone, e ridendo promette che si rivedranno quella sera stessa.
Dopo la partenza, Anne rimane a guardare la nave che si allontana lentamente, e si accovaccia sulla banchina, sperando che le sue lacrime si confondano con il mare. Quando arriva al mercato, più tardi, le sue labbra sanno ancora di sale.
 
 
Lei parte dopo due anni.
Suo padre la lascia in una calda mattina d’estate, e l’autunno la porta via insieme al sole.
Viaggia a lungo, senza fermarsi. Decide di non legarsi a nessuna città, ma passa molto tempo nei porti, e al tramonto guarda verso l’orizzonte.
Un giorno, in un villaggio sui monti, uno sconosciuto le regala un fiore, e lei decide di restare. Non è molto, ma è stanca, e per un po’ smette di camminare.
Da lì non si vede il mare. Bisogna salire sul picco più alto nei giorni sereni, e in lontananza si riesce a scrutare una piccola striscia azzurra che si distende verso il cielo.
Qualche giorno sale sulla montagna e guarda lontano, è una lunga camminata, ma non è quella che le fa bruciare il petto una volta arrivata in cima.
 
 
Louis si ferma su una spiaggia bianca che gli ricorda la neve.
L’ha vista poche volte da bambino e cerca di convincersi che da adulto potrà finalmente rifarsi del tempo perduto, ma la sabbia è calda nonostante lui senta freddo.
La sua nave rimane ancorata per molto tempo. Gli abitanti della cittadina iniziano a raccontare storie, dicono che sia maledetta, per questo motivo non lascia mai il porto. In realtà, il suo capitano si è solo stancato del mare.
Verso sera, però, si ferma spesso a guardarla, come se fosse una vecchia amica. Si toglie il cappello e ammira ogni piccolo dettaglio, e per qualche attimo vive nuovamente una realtà che ha perso.
A volte qualche bambino curioso si ferma accanto a lui e con voce allegra e squillante gli chiede di raccontare la storia dietro al nome della sua barca.
Louis ripassa con lo sguardo le lettere dorate che illuminano il fianco della prua, poi abbassa gli occhi verso il bambino e sorride.
Le sue parole sono sempre le stesse, ripetute religiosamente, come una promessa.
«Una volta, ho amato una donna.»




 
Buon salve, come va?
Mi piace parlare, quindi adesso mi inventerò qualcosa da dire. Okay, sto scherzando. In realtà, vorrei dare qualche spiegazione. Non troppe spiegazioni, altrimenti tutto quel retrogusto di mistero e fantasia se ne va, e noi vogliamo ancora degustarlo un po'. Però mi sembra che un po' di retroscena, per chi fosse interessato, sia d'obbligo.
La prima grande premessa è: ho scritto questa storia due anni fa. Adesso siamo a settembre di nuovo e io ho nostalgia di tante cose.
Secondariamente, come ho già detto, questa raccolta è un regalo per una persona speciale. Nata sotto il sogno della Vergine il 13 settembre 1960. Lei mi ha regalato il mondo e io ho deciso di fare lo stesso. In confronto i miei universi sono un po' penosi, ma hey, questo c'era dentro la mia testa.
Quando mi trovo lontano da casa per il suo compleanno, le invio una storia. Racconto di lei, racconto di me. Non dico niente, ma spero di lasciare qualcosa.
Per tante persone probabilmente queste parole non avranno significato. Magari le troverete piacevoli, ma vuote. Non ha importanza, va bene così. La vita è piena di pezzi mancanti. Ricostruite pure il puzzle come più vi piace, io sono qui solo per far partire la scintilla. Ho scritto qualcosa, lo lascio andare nel mondo. Spero riesca a diffondere un messaggio d'amore e non d'odio.
Per il resto, sono solo parole. Forse neanche quelle giuste.

(Ci risentiamo il prossimo 13 settembre? Forse, chissà. Vedremo. Non ci sperate troppo, ma allo stesso tempo abbiate fede.)

 
  
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