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Autore: JEANPAGET    04/09/2018    1 recensioni
Mi sono consegnato. E’ stata una mia scelta. Per salvare la mia famiglia, la mia citta’, i miei amici. Forse ho sbagliato. Mia luce, dove sei?
Ti sei consegnato. E’ stata una tua scelta. Io e William siamo lontani da te. Sono cambiata. Tu riuscirai a cambiare?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Nuovo personaggio, Oliver Queen, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Sono qui, al lavoro. Al mio nuovo lavoro. Sto pestando sui tasti con tanta di quella forza e rapidita’ che fra un po’ la tastiera del PC fumera’, ne sono quasi sicura.

Il mio sguardo passa da un monitor all’altro, da una videata all’altra con altrettanta velocita’. Non devo perdermi nessun dettaglio. Come ho sempre fatto. Come devo fare. E’ troppo importante .

I miei occhi volano dal monitor di destra a quello di sinistra, da sinistra a destra, di nuovo da destra a sinistra. Processo informazioni e agisco subito. Vedo. Processo. Nessuna esitazione. L’esitazione e’ per i deboli. E nel mondo degli hacker non c’e’ posto per la debolezza. La mia mente e’ iperattiva, ogni cosa deve essere esaminata, considerata da ogni angolo, sezionata come con un laser e incasellata al suo posto. Non sono permessi sbagli. O forse e’ una scusa per far tacere il fragore che sento nel cervello? Quel turbinio di pensieri che che non mi abbandona mai?

Ho finito il programma al cui sto lavorando da tempo,  sta girando adesso. Devo controllarne solo l’esito positivo. Il sistema in cui mi devo infiltrarmi e’ il non plus ultra della modernita’ e della sicurezza. Non devo sbagliare.

E come al solito quando la mia mente non e’ impegnata sul lavoro mi assale la malinconia. La tristezza. Non c’e’ quasi piu’ rabbia in me. C’e’ il vuoto. Il vuoto desolante della delusione.

Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto accorgermene. Tutti quei colloqui a bassa voce a quattro occhi, lontani da me, quel parlottare. John. Dinah. Rene’. A me hai solo detto che ne avremmo riparlato. E io mi sono fidata. Ancora una volta. Nonostante le apparenze. Nonostante il mio sesto senso mi dicesse che c’era qualcosa che non andava. Mi dicevo mi ha promesso niente piu’ bugie. Siamo sposati. Non c’e’ piu’ fare da solo. Essere da solo.  Sei mio marito, l’uomo che amo. Ti conosco. Ti conosco meglio di te stesso. E invece. Invece ho capito solo quando la Watson si e’ presentata in ospedale a prenderti.

Non c’e’ stato tempo per spiegare la cosa a tutti, hai detto. Ma se hai parlato con tutti. Tranne che con me. Tua moglie. La tua partner. La donna a cui hai detto quelle due parole tanto importanti. La donna che ti sei incaponito a voler proteggere, a voler estromettere dalla tua lotta come Green Arrow. Io che sono stata con te fin dal giorno in cui sei strisciato nella mia Mini supplicandomi di aiutarti.

Mi hai messo da parte. Non mi hai detto niente, solo quel To be continued. Come quella frase che mettono nei telefilm alla fine di una stagione quando l’episodio termina sul piu’ bello.

Mi hai escluso. Di nuovo.

Mi fa male solo ricordarlo. Mi sei passato davanti, mi sono alzata cercando di prenderti la mano

“Non c’e stato tempo per spiegare cosa?”  Ti ho chiesto

Ma tu non hai risposto e hai lasciato andare la mano, quasi scansando la mia. Un gesto quasi impercettibile. Sono sicura che gli altri in quel corridoio nemmeno se ne sono accorti. Ma io si, l’ho sentito. Solo allora ho sentito che ti stavo perdendo.

La Watson che dice che tutti noi abbiamo l’immunita’ solo perche tu ti sei consegnato. Tu che respiri a fondo, mi guardi dolente e dici che non c’era altro modo.

Odio quelle parole. Le odio. In quel momento credo di aver odiato anche te. Che diamine, quello non era l’unico modo! Ce n’erano milioni di altri modi. Se solo tu me ne avessi parlato.

Se solo..

Ma no, eccoti ritornato il supereroe da solo, che porta il peso del mondo sulle spalle, schiacciato da tutte le sue responsabilita’ nei confronti della citta’.

Maledetto stupido testone testardo! Ho pensato questo, lo ammetto. Avrei quasi voluto picchiarti, schiaffeggiarti. Dentro di me era montata la rabbia. Ma poi era arrivata Sarah. La notizia della morte di Quentin. Il dolore ci ha assalito all’improvviso. E io sono rimasta quasi inerte. E tutto e’ precipitato.

Mi sono ripresa quel tanto che serviva per chiamare Raisa e far portare la’ William perche’ ti vedesse. Sei suo padre. E volevo affrontarti da solo nella stanzetta in cui aspettavi di essere prelevato.

Sono partita in quarta dicendoti del piano mio e di John per farti evadere dalla prigione ma mi hai subito bloccato. Volevo smuoverti. E invece non ti sei mosso. Mi ha parlato con quel tono basso e rassegnato. Mi rifiutavo di accettare quel che stava succedendo. Quando hai parlato di custodia protettiva sono crollata. Avrei dovuto combattere di piu’ e invece mi sono arresa. Mi sono messa a piangere. E vedevo che stavi crollando pure tu. Ti ho stretto le mani forte. Piu’ forte che potevo per farti sentire che ero li con te. Ma tu Mi hai detto di chiamare William. Hai salutato e spiegato a tuo figlio quel che non hai voluto dire e spiegare a me. Piangevo mentre ascoltavo quello che gli dicevi. Dentro di me solo una domanda Perche’?

Non mi hai baciato. Non mi hai abbracciato. Niente. Allora lo desideravo tanto. Abbracciarti un’ultima volta prima di vederti andare via, sentire la forza delle tue braccia attorno a me, sentirmi amata e al sicuro. Ma forse e’ stato meglio cosi’. Non sono sicura che ti avrei lasciato andare via come sei andato. Ammanettato, tra quelle guardie, scortato dalla Watson che non ti mollava un solo secondo, come se avesse paura che saresti svanito se ti avesse perso di vista.  Rassegnato ma non domo. Fiero e a testa alta. Hai combattuto per questa citta’. Hai detto chi sei. Hai scagionato Roy. E hai chiesto a noi tuoi amici e partner di continuare la lotta per salvare la citta’ da Diaz.

Non ti ho guardato salire sul furgone che ti portava in prigione. Riuscivo solo a  pensare Perche’. Perche’ non me l’hai detto? Perche’ non ha voluto appoggiarti a me? perche’ non ti fidi ancora di me? per te amare significa proteggere e sacrificarti. Perche’ non hai ancora capito che non e’ questo il modo in cui voglio che tu mi ami. Lo capisco e lo posso anche apprezzare, ma non lo condivido. E’ questa la chiave, quel che ho sempre cercato di farti capire. Amare significa condividere.  Io ho condiviso tutto con te. Quando ti ho detto di si, dopo aver tentennato, dopo aver pensato che non volevo di nuovo sfidare il destino che tanto ci aveva fatto soffrire. Ma dopo aver rischiato di perderti ho capito che il nostro amore valeva la pena. E mi sono data a te, per intero. Mi sono impegnata con te. Anche se la mia paura piu’ grande rimaneva : perderti. Tanto tempo fa mi avevi detto che non ti avrei perso mai. E me l’hai ripromesso, che saresti sempre tornato da me. La mia paura e’ diventata realta’. Ti ho perso. Non perche’ sei rinchiuso a vita in una prigione di massima sicurezza. Il nostro amore potrebbe resistere a di peggio. Ma perche’ mi hai allontanata, hai deciso tu per me, hai deciso tu per William, per il team, per la citta’.

Mi hai ferita, di nuovo. Mi hai esclusa, di nuovo. Fa troppo male. Troppo. Siamo divisi non tanto nel corpo e nello spazio, ma ora anche nel cuore.

Adesso, dopo tanti mesi lontana da te, quasi non mi chiedo piu’ perche’ tu ti sia comportato di nuovo in questo modo. Non credo mi interessi neanche piu’ di tanto. O forse me lo dico per autoconvincermi? Ma adesso ho qualcos’altro nella mia vita, un altro impegno, un nuovo progetto. Un impegno al quale ho deciso di dare la massima priorita’. Eppure… so di amarti ancora.  Nel mio cuore ci sei ancora. Il tuo nome risuona ancora nella mia mente, il tuo volto mi appare nei miei sogni agitati. Di notte risento la forza delle tue braccia, la delicatezza delle tue mani, vedo i tuoi occhi azzurri che mi scavano nell’anima a ogni tuo sguardo. Il tuo sorriso. Rivivo situazioni, sogno di stare ancora nelle tue braccia mentre facciamo l’amore, occhi negli occhi, e che mi porti sulle vette piu’ alte dell’estasi. Le nostre discussioni. I nostri colloqui. La tua preoccupazione di crescere bene William. Il bene della citta’. Gli screzi con i vari componenti del team. E io che penso amaramente che ti avevo detto avrai sempre me, non vado da nessuna parte. Quello che se n’e’ andato sei stato tu, immolandoti sull’altare di quel che sembra abnegazione, sacrificio. nonostante tutto non riesco a non pensarti rinchiuso a vita in quella fortezza, lontano da me, dalla tua famiglia, dai tuoi amici. In una cella, privo della liberta’. Una liberta’ di cui tu da solo hai deciso di privarti.

Sai a cosa penso? Penso che quel che tu hai fatto per abnegazione, sacrificio, per proteggerci e’ solo egoismo. Puro egoismo. Hai pensato a cosa voleva dire per me e per William stare lontani da te? Alle conseguenze della tua scelta di consegnarti per me, per tuo figlio, per la mia vita, per la nostra vita? Alle responsabilita’ che hai caricato sulle mie spalle, dando tutto per scontato, tanto io al tuo fianco ci sono e ci sono sempre stata?  Ci hai pensato? E se ci hai pensato, perche’ una citta’ ingrata come Star City e’ piu’ importante per te della tua famiglia? Che fine ha fatto la tua volonta’ di non divulgare la tua identita’ perche’ volevi una vita normale dopo Green Arrow?

Io ho mentito per te. E lo rifarei. Non una, non dieci, ma mille volte. Non mi sono fermata quasi davanti a niente per poter stare con te. Solo tu mi hai allontanato. Per il mio bene dicevi. Fin dall’inizio cercavi di allontanarmi. Ma non potevamo stare lontani. Eri tu ad avere paura dei sentimenti. Di stare con qualcuno a cui potevi tenere veramente. Di quello che c’era tra noi. Ma ci amavamo troppo.

A volte mi sveglio, pensando che e’ stato tutto solo un’incubo, che sei nel letto a fianco a me, che dormi vicino a me. E vorrei solo girarmi ed abbracciarti e sentire che mi stringi e sentirti dire che ti dispiace. E invece mi volto e trovo solo il vuoto dall’altra parte del letto.

Allora mi stringo nella copertina verde, quella che avevamo sul letto a Ivy Town, quella che avevamo nel letto al loft, quella che ho recuperato dal nostro appartamento distrutto dagli sgherri di Diaz. L’unica cosa che ho portato via con me, assieme a poche altre. E che ho messo anche nel letto dove dormo adesso, da sola.  Perche’ era simbolo di noi. Di quel che eravamo. Di quello che ho creduto potessimo sempre essere. Noi. Non piu’ me. Non piu’ te. Noi.

Beh sai che ti dico Oliver Queen? Non e’ vero che non sono piu’ arrabbiata con te. Sono arrabbiata. Sono molto, molto arrabbiata! E vai al diavolo! Ti amo disperatamente, accidenti a te. Non mai amato nessuno come te. E non amero’ mai nessun altro come amo te. Ma vai al diavolo lo stesso!

E non pensare che ti scriva. Lo ha fatto William qualche giorno fa, sicuramente la sua lettera ti fara’ piacere. Ma io non ci riesco. Non e’ per vendetta. E’ che non ce la faccio proprio. Fra un po’ potrai anche ricevere visite. Non ho ancora deciso se e quando ti faro’ visita. Sempre se potro’ farlo. John ci ha detto che stai bene. Ma io non ne ero tanto sicura. Non lo sentivo. E infatti. Comunque non so. Non lo so. Non voglio pensarci. Non adesso. Non dopo quello che e’ successo. Tutto quello che non mi aspettavo.

Finisco questi amari pensieri quando il PC manda il segnale che il programma ha finito di girare. Mi rilasso un attimo sulla sedia, non mi ero accorta di essere cosi tesa.

Sento dei passi che si avvicinano, alzo lo sguardo allarmata. Sono nel bunker segreto ARGUS della localita’ dove ci hanno trasferito dopo che Oliver e’ stato incarcerato. Sono al sicuro ma… sono davvero al sicuro?

Dal buio del corridoio che si apre davanti a me vedo spuntare una figura conosciuta. Una donna. Una donna di cui conosco bene la forza e la personalita’.

“Lyla!!”

“Felicity!”

Che strano sentire il mio nome, il mio vero nome. Da mesi ormai nessuno mi chiama piu’ cosi’.

Mi alzo per farmi incontro a lei, per abbracciarla. Mi stringe tra le braccia con sicurezza, il sorriso sul volto risoluto

“Come stai?”

“Bene, compatibilmente con la situazione. Tu?”

“Sono qui come vedi.”

“John? E JJ?”

“Tutto bene con gli uomini di casa, basta solo non fare discorsi troppo complicati, rischiano di non capire.”

L’ironia di Lyla Michaels Diggle non smette mai di sorprendermi

Sorrido mio malgrado a questa sua uscita.

“E tu, come va l’ometto di casa?”

“Ometto, se continua a crescere cosi presto sara’ alto come suo padre!”

Solo molto piu’ sottile, penso dentro di me. Nessuno e’ come suo padre. Nessuno.

“Si sta adattando alla nuova vita?”

“Si comporta bene, non c’e’ dubbio. Pensavo avrebbe fatto piu’ fatica, gia’ ha perso sua madre un anno fa. Forse e’ per questo, ci e’ gia’ passato. E poi ha gia’ vissuto sotto copertura, un’altra citta’, un altro nome.”

“Beh un conto e’ una madre morta, suo padre non e’ morto.”

“Ed e’ peggio Lyla. E’ peggio.” Mormoro a bassa voce

“So che e’ dura, Felicity.” Commenta con voce comprensiva

“E’ dura non avere speranza, Lyla. Ed e’ stato Oliver a togliercela.”

Non volevo essere cosi acida. Ma e’ la verita’. Lo sguardo di Lyla si incupisce, mi mette una mano sulla spalla

“Meno male che non sono da sola, seguire degli adolescenti e’ impegnativo per una come me che non ha mai fatto la madre prima. Per fortuna c’e’ Raisa che fa da mamma a tutti e tre.”

“Gia’, adesso c’e’ anche Zoe con voi. Mi sembra una ragazzina giudiziosa ma l’ho vista una volta sola.”

“C’e’ di buono che e’ meno impulsiva di suo padre, questo si.”

Rene’ aveva chiesto la custodia protettiva Argus anche per la figlia. Non se la sentiva di lasciarla da sola. Memore di quel che e’ successo a Oliver, non vuole che la figlia rimanga senza nessuno.

E Lyla mi aveva chiesto se potevamo prenderla con noi. Io sarei stata la zia dei due ragazzi, trasferitasi per lavoro, assieme alla loro tata. Questa era la nostra copertura.

Avevo deciso io di essere la zia, non la madre. Non me la sentivo, specialmente con William. Non volevo forzarlo a chiamarmi mamma. Oliver me l’ha affidato, gli voglio bene come se fosse davvero mio figlio, anche se non lo avrei mai creduto prima. Ma io non sono sua madre, cerco di tenerlo sempre bene a mente, anche per non offendere la memoria di Samantha.

“Zia Felicity, anzi Zia Catherine cerca di fare il suo meglio.”

Catherine Richards e’ il mio nuovo nome. William e’ diventato Nicholas e Zoe adesso si chiama Amy.

“Credimi Lyla ci sono giorni...” e mi siedo sulla mia poltroncina girevole, la schiena mi fa male. Mi tolgo gli occhiali, mi passo le mano sugli occhi quasi a volermeli schiarire.

“Lo so Felicity, lo so.”

Giorni in cui sono cosi’ stanca che quasi non riesco ad alzarmi. Gioco distrattamente con gli occhiali che ho in mano. Ho cambiato modello, per la copertura. Non sono piu’ i miei soliti occhiali neri e marrone. Questi hanno una montatura lineare trasparente, quasi invisibile, senza fronzoli, le lenti piu’ grandi e tondeggianti. Non so perche’ me ne accorgo solo adesso.

“Non ti devi strapazzare.”

“Ma questo progetto e’ troppo importante, Lyla. Non posso fermarmi adesso. Non chiedermelo ti prego. Anche se…”

“Anche se?”

“Ho fatto un errore.”

Lyla mi guarda

“Un grosso errore. Un errore che non dovevo fare.”

“Quale errore?”

“Vieni” le faccio segno di sedersi a fianco a me Lyla afferra la poltroncina all’altro desk e si siede vicino a me.

Angolo lentamente uno dei monitors verso Lyla, in modo che possa vedere meglio da dove era seduta. Schiaccio uno dei tasti della tastiera, faccio partire un video

Lyla guarda attentamente il video, le sopracciglia aggrottate. Al termine faccio sparire  le immagini dal monitor. So di avere gli occhi pieni di furia. E di dispiacere

“Capisci cosa ho fatto?”

Lyla rimane in silenzio. Passano alcuni interminabili secondi. Lyla continua a tacere, sembra che la sua mente stia ancora processando quel che ha visto e sentito in quel video.

Mi ripasso le mani sul volto, con un gesto di impotenza abbastanza inusuale in me.

“Ho sbagliato lo so, e sono pronta a pagarne le conseguenze. Vorrei non averlo mai fatto, credimi. Ma non potevo. Non potevo restare con le mani in mano. Pensavo…”

Lyla non commenta

“Non lo so a cosa pensavo. So solo che adesso e’ peggio di prima. Non sapere mi faceva stare male. Ma adesso e’ molto peggio di prima. Molto peggio. Io…” mi porto le mani alla testa, come sconfitta. Adesso ho gli occhi pieni di lacrime. Non ho piu’ pianto da quel giorno. Non me lo posso permettere, visto tutto quello  che c’e’ in ballo. Ma adesso sento che sto per crollare.

Lyla si decide a parlare, infrangendo quel pesante silenzio rotto solo dal mio sproloquio, le mie parole piene di pena

“Pensi possano risalire a te?” pratica, professionale

“No, non credo, penso di essere stata abbastanza veloce da abbandonare prima di essere tracciata.”

Lyla annuisce, l’espressione ancora impenetrabile

“Ma questo non cambia niente. Ti rendi conto, avrei potuto rovinare tutto a causa di questo mio assurdo inpulso? Non avrei dovuto, non avrei dovuto nemmeno provare a…”

“Felicity.” Lyla mi interrompe

Un altro interminabile minuto di silenzio

“Forse non e’ stato un errore.”

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Ciao SIS, buon re-inizio e buona continuazione dopo le ferie di agosto.

Scusate il ritardo. E a presto!

Citazioni:

-          Dove Felicity lavora ai computer : libro Arrow Fatal Legacies M. Guggenheim e J.R. Turck

-          “Sono molto, molto arrabiata” da Lois & Clark le nuove avventure di Superman  quando Lois scopre che Clark e’ Superman

   
 
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