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Autore: pandafiore    05/09/2018    1 recensioni
[one-shot – Peeta center]
Una storia incentrata sugli incubi, sul dolore, sulla sofferenza e sulla rinascita. Menti, anime, corpi: totalmente devastati, ma con tanta voglia e forza di ricominciare.
Una storia un po' diversa dal solito.
Buona lettura ♥
Dal testo:
“Mi abbraccia forte ed io inspiro i suoi capelli di grano, raccolti in una lunga treccia bionda.
«Finalmente sei tornato!» Esclama lei, entusiasta.
«Già, Primrose. Finalmente.» E mentre sussurro queste parole scorgo la sorella maggiore appoggiata sullo stipite della porta, intenta ad osservarci. Abbozzo un sorriso in sua direzione, ma il suo sguardo enigmatico non muta minimamente. Mi sento turbato dai suoi occhi, così vuoti e tristi, nonostante il mio gesto appena concluso... decido così di affrontare la questione.
[...]
La inseguo, chiamo il suo nome, ma vengo bloccato da un giramento. Mi sorreggo contro una parete, però inaspettatamente una forza più potente di me mi afferra le caviglie e pianta i suoi aguzzi artigli nella mia carne. Provo un dolore straziante e non riesco a reagire minimamente, indifeso contro l'ignoto. Una rabbia devastante inizia a montare nei miei polmoni e percepisco le narici infiammarsi.
Mi risveglio urlando e con una gran voglia di uccidere di Katniss Everdeen.”
Genere: Angst, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottor Aurelius, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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oneshot

 
Yellow primroses



La terra, umida e grezza, mi scivola lentamente tra le dita. È piacevole al tatto, così scura e morbida; si fa plasmare dalle mie mani.
Sollevo con delicatezza una delle piantine che ho raccolto nel bosco non appena arrivato ed inserisco le sue tenere radici nel buco che ho appena creato. Cerco di proteggere al meglio il suo stelo sottile coprendolo con dell'altro terreno; alzo lo sguardo e noto il cielo plumbeo: sta per arrivare un temporale e, con lui, l'inverno. Ma non mi lascio intimidire dal freddo incombente, termino anzi di piantare questi piccoli fiori gialli, meravigliosi come la ragazzina che porta il loro nome.

Mi sto alzando, pulendomi i palmi infangati sui pantaloni, sporcandoli senza che mi interessi più di tanto, quando la porta d'ingresso che mi sta di fronte si apre ed intravedo una ormai piccola donna corrermi incontro. Mi abbraccia forte ed io inspiro i suoi capelli di grano, raccolti in una lunga treccia bionda.
«Finalmente sei tornato!» Esclama lei, entusiasta.
«Già, Primrose. Finalmente.» E mentre sussurro queste parole scorgo la sorella maggiore appoggiata sullo stipite della porta, intenta ad osservarci. Abbozzo un sorriso in sua direzione, ma il suo sguardo enigmatico non muta minimamente. Mi sento turbato dai suoi occhi, così vuoti e tristi, nonostante il mio gesto appena concluso... decido così di affrontare la questione.
«Spero tanto che ti piacciano queste primule, Prim,» le sorrido con gentilezza, beandomi della sua espressione gioiosa e la saluto con una carezza sul capo, per dirigermi verso Katniss.

È come passare dal giorno alla notte: l'oro dei capelli di Prim mi abbagliava e mi rasserenava, l'oscurità della figura di Katniss mi intimorisce, mi sento indifeso. Mi fissa.
«Ei, ciao... mi sembra che la sorpresa sia piaciuta a tua sorella,» accenno, mantenendo le distanze dal suo corpo così rigido e immobile.
«Mi sembra di sì.»
«Ti infastidisce?»
«No, no...» il suo viso algido si addolcisce appena e sposta lo sguardo sulle assi di legno su cui poggiano i nostri piedi; «solo che all'inizio mi sembravano rose. Sai, come quelle di Snow.»
«Non potrei mai!» Mi ritraggo inorridito anche al solo pensiero.
«Lo so, Peeta. Ho visto che sono prime rose. Primule. Ho capito.» Sorride a malapena e io cerco qualcosa da dire per non far cadere la conversazione:
«Sono tornato, hai visto? Aurelius mi ha detto che sto piuttosto bene ora.»
«Sì.» Nuovamente quei suoi occhi svuotati e ombrosi, che tornano nei miei, frizzanti dopo la lunga attesa per rivederla.
«Mi dispiace per...»
«Per aver tentato di ammazzarmi ben più di una volta?» Il suo sguardo cambia, si incendia e diventa letale, spiazzandomi. Percepisco la sua furia trapassarmi come una lancia diretta al centro del torace, sotto lo sterno... ma come può non capire, non capirmi?
«Sí, beh... non...»
«Peeta, lascia perdere.» Svogliata, si stringe nel suo maglione incolore e torna a rifugiarsi dentro casa. È tutto così strano.
La inseguo, chiamo il suo nome, ma vengo bloccato da un giramento. Mi sorreggo contro una parete, però inaspettatamente una forza più potente di me mi afferra le caviglie e pianta i suoi aguzzi artigli nella mia carne. Provo un dolore straziante e non riesco a reagire minimamente, indifeso contro l'ignoto. Una rabbia devastante inizia a montare nei miei polmoni e percepisco le narici infiammarsi.

Mi risveglio urlando e con una gran voglia di uccidere Katniss Everdeen.

La stanza che scopro attorno a me non appena mi riprendo è tanto bianca da essere fastidiosa. Ho la gola secca, mi bruciano le pupille e, non appena cerco di alzarmi, realizzo di essere in trappola: delle manette di cuoio marrone mi legano al letto attraverso tutti e quattro gli arti. Se tiro, mi provocano dolore e comprendo che erano loro la forza misteriosa che mi tirava i piedi.
Provo a calmarmi, come mi dicono le infermiere che entrano nella stanza con delle siringhe tra le mani, ma in breve concretizzo che non posso dire a me stesso cosa diavolo dovrei fare. Chiedo ad un'infermiera grassa e mora di Katniss, ma mi spiega che al momento non posso incontrarla. La stessa donna stringe ulteriormente le manette attorno ai miei polsi, stritolandomeli. Volevo solo avvisare Katniss di starmi lontano, perché io non riesco più a comandare il mio fottuto cervello.

Mi iniettano qualcosa nel braccio ed io crollo nuovamente sul cuscino come un peso morto. Provo ad opporre resistenza all'oblio, ma la mia faccia è improvvisamente stanca, spossata, e ricade, chiudendomi le palpebre.

La prima immagine che vedo, come un flash, non appena le mie ciglia si sono lasciate andare al carico della morfina, è tutta rossa. Con una tonalità omogenea simile all'amaranto, questo schermo vermiglio non mi lascia in pace fino a quando, all'improvviso, non inizia a colare. Letteralmente si scioglie e cade a gocce, come sangue fluente, cosicché inizio ad intravedere qualcosa. Mi strofino gli occhi – non so se sto sognando o meno – e cerco di mettere a fuoco: sono nella casa di Katniss. Tutto, dal mobilio alla nebulosa che vaga nella stanza, sfuma nelle tonalità più strane di rosso, sembra un mio dipinto, e lei è lì, seduta per terra in cucina, che arde in un incendio che coinvolge solo lei: probabilmente la sua stessa fiamma – proprio quella che l'ha resa famosa – ora la sta divorando, facendola strillare e dimenare come se fosse un animale. Improvvisamente l'intera casa inizia a bruciare, sento un forte calore addosso, forse le fiamme stanno avvolgendo anche me nel loro manto omicida, ma continuo a fissare imperterrito Katniss, provando un senso di pace profondo, viscerale, nel vederla trasformarsi lentamente in cenere; un senso di rivincita, perché è proprio lei il mostruoso, orrendo ibrido che ha dato fuoco alla mia famiglia. Ora deve solo bruciare.
Poi, nuovamente, il buio, nero come la mia esistenza.




Mentre pianto queste primule, provo un senso di déjà vu, ma so di aver semplicemente mantenuto una promessa fatta implicitamente a me stesso, durante la terapia. Mi ricordo di quel sogno, ne ho parlato tanto con Aurelius, ma ormai sembra trascorso un secolo da allora. E, soprattutto, Primrose non c'è più.
Stringo questa maledetta terra – pregna di cenere e resti di miei familiari, amici, concittadini – in un pugno, che poi scontro con violenza al suolo. Poche lacrime abbandonano i miei occhi per le ingiustizie che abbiamo dovuto subire noi tutti per colpa di un governo ingiusto, il cui unico desiderio era avere una pancia piena e tanto divertimento.

Solo quando Katniss mi vede e corre ad abbracciarmi percepisco del sollievo: sollievo nel sentire il suo corpo vivo, per quanto magro e martoriato, sotto i miei polpastrelli. Vivo, per fortuna vivo. La stringo con quanta più forza trovo tra le braccia, sebbene non sia molta a causa dell'emozione che mi fa tremare. Adoro annusare il suo profumo autunnale, di foresta, sfiorare i suoi capelli selvaggi e constatare che siano così concreti, così veri; sono estasiato all'idea di non volerle fare mai e poi mai del male, al contrario dei miei incubi.
«Sono primule,» mormoro al suo orecchio. Una piacevole brezza primaverile ci attraversa, non come nel sogno, dove l'inverno ci minacciava con le sue nubi scure.
Mi risponde qualcosa, commossa, ma recepisco solo vagamente le sue parole, perché sto pensando ai miei incubi: li ricordo tutti, dal più cruento al più recente. Fa e farà sempre male portarseli dentro, come una valigia legata indissolubilmente al polso per tutta la vita. Fa male, è vero, ma fa parte di noi: è il nostro bagaglio che, per quanto truce, ci ha permesso di essere qui, oggi. Mi ha permesso di stringere Katniss e di non volerla più lasciare andare.
Guardo le primule: dorate come la piccola scintilla di speranza che aleggia nei nostri cuori. I loro petali, così minuti, graziosi e solari sono l'ultima meraviglia che vedo, prima di chiudere le palpebre senza paura di avere un flash ed abbandonarmi totalmente alle braccia della ragazza più forte di ogni essere umano.






Buongiorno,
ho riletto mille volte questa OS, senza riuscire a trovarle una conclusione che mi rendesse soddisfatta. Poi, ho chiuso gli occhi ed ho pensato alle primule gialle. Solo a quelle, a nient'altro, e al senso di purezza e delicatezza che mi trasmettevano. Ho deciso, così, che quella sarebbe stata l'immagine conclusiva della storia, solo vista dagli occhi di Peeta.
Spero che questa oneshot venga accolta positivamente e spero di leggere dei vostri commenti, soprattutto per capire se sono riuscita a trasmettere qualcosa, magari di un po' diverso.
Un abbraccio,
pandafiore
   
 
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