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Autore: vali_    05/09/2018    4 recensioni
[Seguito di "Wash Away"]
Sam, dopo aver perso Jessica, è tornato a cacciare con suo fratello, nonostante continui a credere che la sua vita potrebbe essere molto di più che inseguire mostri e un incubo infinito. Dean si sente meglio ora che ha nuovamente suo fratello al suo fianco, ma Ellie gli manca più di quanto voglia ammettere e, quando una persona a lui cara lo cerca per chiedergli di occuparsi di un problema che la riguarda, non esita un istante a prendere l’Impala e correre da lei.
… “«Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo guarda intensamente; non ha voglia di discutere, ma almeno deve dargli qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque
”…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima stagione, Seconda stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Storia scritta senza scopo di lucro. Tutti i diritti di Supernatural e dei suoi personaggi descritti in questo racconto sono di proprietà di CW e Warner Bros. L'immagine utilizzata come banner è una fotografia trovata in internet, perciò appartiene ai rispettivi proprietari. 

 
Make your own kind of music


 
Capitolo 1: Wish you were here
 
How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year,
running over the same old ground. 
What have we found? The same old fears.
Wish you were here.

 
(Wish you were here – Pink Floyd)
 
 
Ascolta il ticchettio lento dell’orologio, un rumore continuo e costante in quella piccola stanza di motel, scricchiolante e uguale a tante altre di cui per un bel po’ di tempo aveva voluto rimuovere dalla mente i colori e soprattutto gli odori: quello della moquette maleodorante che è come fango sotto i piedi, talvolta, quando le cameriere non passano a pulire da un bel po’; quello di sigarette e di sesso fatto male e alla svelta; quello di cibo stantio – che forse è il peggiore di tutti – che aleggia spesso dal frigorifero che chissà che diavolo ci ha messo l’inquilino – se così si può definire – precedente per lasciare un tale tanfo.
 
Sam Winchester è sdraiato sul letto – cigolante e con un paio di molle proprio all’altezza della schiena che cerca sempre di evitare perché gli danno fastidio quando si gira e si mette a pancia in su –, gli occhi spalancati e fissi al soffitto ricoperto di crepe, una mano sopra la fronte e l’orecchio teso e attento a quel piccolo rumore proveniente dall’orologio che porta al polso sinistro che scandisce il tempo con dedizione, quasi fosse una condanna.
 
Non è la prima notte che si ritrova in questa posizione, ad ascoltare suo fratello russare e il tempo scorrere, mentre lui non riesce a chiudere occhio, la testa piena di pensieri scomodi e assordanti.
 
Spesso non ce la fa proprio a dormire, schiavo dei ricordi e dei sensi di colpa. Inevitabilmente, la sua mente va agli ultimi due anni, ai momenti in cui, nonostante la lontananza dai suoi cari, era felice. Anzi, forse lo era proprio per questo, perché Sam e suo padre non si sono mai capiti e Dean, per quanto Sam gli voglia bene, era diventato una presenza fastidiosa, pesante. Non tanto perché era sempre intorno ai suoi piedi, ma piuttosto perché era troppo ligio alla legge di John Winchester, troppo sicuro di voler inseguire la stessa via e cacciare lo stesso mostro, condannando a morte tutti quelli che nel frattempo incrociavano la loro strada. Oltretutto, non c’era verso di parlargli e lamentarsi di suo padre senza che lui non si mettesse a difenderlo, e questa cosa lo aveva esasperato così tanto da farlo allontanare anche da lui che era stato la sua unica vera guida fino a quel momento.
 
Sam era troppo stanco di tutto questo, troppo stufo della regola immutabile imposta da suo padre e di quest’infinita crociata contro mulini a vento [1] perché più passavano gli anni, più la cosa che aveva ucciso sua madre – di cui lui non ricorda neanche il volto – era più simile a un miraggio che a un’entità concreta da distruggere e Sam ne aveva abbastanza di maneggiare armi e portare la guerra nel cuore. Voleva studiare, costruirsi un futuro vero e solido, fatto di certezze, le stesse che invece gli sono state strappate via quando, insieme a un sacchetto di biscotti e un bigliettino pieno di parole dolci appoggiato sul ripiano della cucina del loro appartamento [2], ha trovato la sua ragazza che prendeva fuoco sul soffitto.
 
Non sa neanche dire cos’ha provato in quel momento, mentre le fiamme divoravano il volto della sua bella fidanzata, la persona che avrebbe desiderato sposare per mettere su famiglia e avere una vita sicura.
Sam non aveva mai bramato niente di meglio, niente di più che un tetto sopra la testa e un’esistenza serena, fatta di piccole certezze quotidiane e del sorriso caldo di Jessica.
 
La vita con lei era molto diversa da quella che aveva sempre avuto sulla strada, ma non per questo, a volte, poteva considerarla semplice. Finalmente poteva festeggiare le feste comandate, mangiare un enorme e profumato tacchino il giorno del Ringraziamento e rendere grazie non per essere vivo come faceva quando andava a caccia con suo padre e suo fratello, ma per le piccole cose che aveva conquistato con fatica, dei piccoli successi quotidiani. Poi c’era l’università, che era faticosa e snervante qualche volta, ma così soddisfacente e appagante, qualcosa dove Sam riusciva bene perché era sempre stato il suo sogno, quella che considera la sua vera attitudine. I primi tempi, gli sembrava quasi irreale leggere e studiare libri privi di illustrazioni spaventose, volumi che non parlassero di mostri e creature da uccidere e aveva così tanta voglia di imparare cose nuove, di apprendere il più possibile per raggiungere il suo obiettivo e iscriversi a legge per poi diventare un avvocato.
 
Aveva in tasca la chiave per realizzare tutti i propri sogni fin quando quel terribile incendio ha spazzato via ogni sua certezza, catapultandolo nuovamente nella vita da cui aveva sempre voluto fuggire. Quelle fiamme – alte e imponenti, un mostro impossibile da sconfiggere – che avvolgevano Jessica hanno portato a galla un nuovo desiderio di vendetta contro chi ha ucciso lei e la sua gioia. Perciò tornare a caccia con Dean gli è sembrata l’unica soluzione praticabile.
 
Certo, ogni tanto – più di quanto volesse, in realtà – pensava alla sua famiglia, a come potevano cavarsela e se stavano bene, ma era un pensiero scomodo, ingombrante.
A volte aveva la tentazione di chiamare Dean, che con suo padre non voleva parlarci neanche per telefono – perché è testardo e ammettere di aver esagerato quella notte in cui se n’è andato faceva troppo male –, ma alla fine trovava qualcosa per distrarsi e tornava allo studio o alle sue cose, scacciando ancora una volta il pensiero di suo fratello dalla mente. Non riusciva a parlarci non tanto perché ce l’avesse con lui, ma perché sicuramente Dean gli avrebbe chiesto di tornare, anche solo per fare una chiacchierata innocente e Sam non voleva niente di tutto questo. Voleva stare da solo, circondato solo dai suoi nuovi amici normali e dalle nuove certezze che stava conquistando con tanta fatica giorno dopo giorno.
 
Di certo è stata una sorpresa ritrovarsi nuovamente faccia a faccia con suo fratello quella notte di fine ottobre [3], quando si è intrufolato nel suo appartamento a Palo Alto come un ladro. Non si aspettava di vederlo e i giorni successivi che hanno passato insieme… beh, non sono stati tanto male. Ne sono venuti di peggiori.
 
Ormai è maggio inoltrato, quindi sono quasi sette mesi che viaggiano insieme e Dean, in fondo, non è cambiato. È sempre il solito, gli piacciono le stesse cose – la sua macchina, l’alcol, le donne, la caccia, forse non esattamente in quest’ordine –, ascolta la stessa musica – Sam gli ha anche detto di aggiornarsi, ma non c’è verso – e ha le stesse idee di sempre. Perciò no, non è cambiato affatto, e forse Sam lo sapeva fin dal principio e, in un certo senso, è qualcosa di rassicurante per lui. Anzi, forse è l’unica cosa davvero bella di tutta questa storia. Anche se in certe cose proprio non si trovano, ma in fondo è sempre stato così.
 
Osserva il letto vuoto al suo fianco, guardando l’orologio: è già l’una passata e Dean non è ancora rientrato. È voluto rimanere al bar in cui avevano cenato a tutti i costi, sfottendo Sam perché era stanco e voleva andare a dormire – sì, anche in questo è sempre lo stesso e cerca sempre di trovare un modo per prenderlo in giro –, e ha detto di volersi prendere un’altra birra, ma Sam ha fiutato l’inganno e ha deciso di lasciarlo a fare il comodo suo, pensando che sicuramente avrebbe voluto rimorchiare qualcuna come fa di solito in queste occasioni. Infatti, è tardi e ancora non si vede, perciò sarà sicuramente in dolce compagnia.
 
Sam – o almeno una piccola parte di lui – un po’ invidia questa sua capacità di svagarsi in ogni occasione, di trovare un modo per scrollare di dosso i pensieri. Sa che anche i suoi sono pesanti – sono già passati tanti mesi da quando papà è sparito e ancora non ne hanno trovato neanche l’ombra da nessuna parte perciò è preoccupato, anche se cerca di non darlo a vedere –, ma nonostante tutto riesce, in qualche modo, ad affievolirli, a renderli meno pesanti. È vero che questo processo generalmente comprende litri di alcol e belle gambe di donna che lo invitano a buttarsi là in mezzo se quel che vuole è un po’ di consolazione, ma sono entrambe cose che a Sam, almeno adesso, non interessano. Soprattutto la seconda, perché il ricordo di Jess è troppo fresco per poterlo sporcare, per potersi legare a qualcun’altra, anche solo per una misera e fugace notte.
 
Sospira forte, passandosi una mano su tutto il viso e sbatte le palpebre un paio di volte, tentando di scacciare quei pensieri.
Le ultime settimane sono state abbastanza pesanti, la strada da percorrere sempre infinita e Sam non era più abituato a questi viaggi lunghi, alle ore di sonno buttate al vento per inseguire una creatura malvagia nella notte scura, al tormento e alle immagini raccapriccianti che gli schizzano nella testa quando pensa alle sue vittime, ai mostri di ogni razza e specie che è costretto a macinare per sopravvivere. Negli ultimi due anni, i mostri più grossi che poteva affrontare erano gli esami e i professori, e quelli, se studiava, non facevano poi tanta paura.
 
Si accomoda meglio tra le lenzuola, mettendosi di lato e appoggiando la testa sul cuscino, ritrovando una delle due molle che gli punzecchia il fianco. Si sposta un po’, cercando di schivarla e sospira, chiudendo gli occhi. Vorrebbe cancellare l’immagine che riemerge dalla sua mente ogni volta che lo fa, quella nuvola di fuoco e sangue che esplode sopra la sua testa, mandando in fiamme la sua casa e la sua ragazza.
 
Si dice che il tempo riesca a curare le ferite, a lavarle via e a portarsi il dolore con sé, ma sono passati mesi e Sam sta sempre nello stesso modo e cova così tanta rabbia che a volte pensa che finirà per scoppiare. E la ricerca di quel maledetto che gli ha portato via la mamma e la ragazza non gli era mai sembrata più interessante, più importante. Forse è l’unica cosa che lo tiene vivo.
 
Sam ha convissuto con il ricordo di sua madre per tutta la vita, ma non ne ha uno davvero suo. Era troppo piccolo per poterla solo mettere a fuoco, per cui non ha nessuna memoria di lei, neanche un’immagine sfocata del suo sorriso. Gli unici che ha sono legati ad aneddoti che gli ha raccontato Dean – molto raramente e con non poca fatica –, che ha vissuto Dean, perciò non gli appartengono, come non gli appartiene la mamma. O almeno era così fino a qualche mese fa, prima di riprendere il sentiero della caccia al soprannaturale, quando tutto questo gli sembrava distante, quasi privo di significato.
 
Ce l’ha tanto con se stesso perché se avesse dato retta a quegli incubi che aveva ogni tanto, a quella sequenza di immagini che venivano a disturbarlo quando dormiva, forse non sarebbe successo nulla a Jessica, ma pensava che non fosse niente di importante, che fossero solo strascichi della sua vita passata. In fondo, non era mica la prima volta che sognava di cacciare qualcosa, che i mostri gli invadevano i pensieri e disturbavano il suo sonno, perciò poteva semplicemente essere la sua mente che collegava le sue “due vite” o qualcosa del genere. Non ci aveva creduto perché gli sembrava assurdo, invece avrebbe dovuto e Jessica sarebbe ancora viva, con quel calore che emanava il suo sguardo e tutte le attenzioni che aveva per lui, tutta la sua bontà. Lo guarderebbe ancora con quegli occhi limpidi e quel sorriso sicuro dentro il quale Sam si perdeva certe volte.
 
Era una ragazza semplice, gioiosa, una tisana calda nella vita fredda e costellata di ricordi dolorosi di Sam. Si è innamorato del suo sorriso la prima volta che l’ha vista, quando il suo amico Brady [4] ha pensato bene di fargliela conoscere, perché – parole sue – “ti ha notato a mensa qualche giorno fa ed è sicuro che andrete d’accordo”. Sam era un po’ incerto all’inizio, ancora schiavo delle parole di suo padre – “non ti sono permesse distrazioni: niente amici, niente affetti, puoi contare solo sulla tua famiglia” – o forse perché era semplicemente diffidente, ma Jess era riuscita a conquistarlo, in qualche modo. Da quella festa dove si erano conosciuti ad uscire da soli il passo è stato breve, perché Sam si era reso conto di stare davvero bene con lei, che gli piaceva farla sorridere e starle a fianco e dopo un anno e mezzo insieme era tutto come le prime volte e Sam s’incantava ad osservarla, in certi momenti, mentre si faceva bella per lui nel bagno del loro piccolo appartamento o quando lo prendeva in giro, sgridandolo in modo affettuoso perché non gli piaceva molto stare in mezzo a tante persone. L’ha fatto anche l’ultima sera che sono andati a dormire nello stesso letto, quando c’era da festeggiare – si fa per dire, perché per Sam non è mai stata una vera festa, o perlomeno non una bella – Halloween. [5]
 
Tira su col naso e si passa le dita sugli occhi stanchi, stringendosi di più sotto le coperte. Questi ricordi gli fanno male, soprattutto adesso che è da solo e che non ha modo di distrarsi e fare qualcosa, perciò chiude gli occhi disposto a provare tutti i modi possibili per farsi un bel sonno, anche contare le pecore se necessario.
 
*
 
Siede accanto a un tavolo isolato in un pub piuttosto anonimo ma forse messo un po’ meglio di altri che ha visitato in precedenza: i tavolini ben disposti e non troppo distanziati l’uno dall’altro, il bancone in legno, gli scaffali per le bibite ordinati e tirati a lucido, precisi, dove non sembra esserci neanche un granello di polvere tra le bottiglie di vetro riposte lì sopra.
 
Dean sorseggia piano dal suo bicchiere il whiskey rimasto, osservando la poca gente intorno a lui e riflettendo se farsi portare l’intera bottiglia oppure no. Stasera sente di averne quasi bisogno.
 
Ha avuto delle settimane pressoché terribili. Tutto è cominciato quasi un mese fa, quando una caccia finita male – per lui sicuramente, ma almeno il fottuto Rawhead che l’ha fatto quasi uccidere è sparito dalla circolazione – gli ha fatto passare tre giorni in ospedale per colpa di un grosso infarto; il medico ha detto a Sam che Dean aveva rimasto sì e no due settimane di vita, un mese ad essere ottimisti e per un attimo Dean ha pensato che andasse bene così, che era… giusto per uno come lui morire in una pozza d’acqua nell’angolo più brutto e buio di un vecchio magazzino, freddato da una potente scarica elettrica. [6]
 
Ha provato a dire a Sam di lasciarlo morire in pace, ma quel cocciuto d’un fratello non ha voluto sentire ragioni e, quando l’ha lasciato da solo per cercare un modo per salvarlo – perché i medici non sanno quello che sappiamo noi [7] –, Dean ha spento la tv posizionata sopra un ripiano fissato e collegato al muro tramite un’asta di metallo e sospesa a qualche decina di centimetri dalla sua testa e si è ritrovato a pensare, a riflettere sulla sua vita e sulle sue scelte.
 
Cosa avrebbe lasciato a parte una macchina? Niente, perché non c’è altro che Dean possieda da poter passare a qualcuno di caro quando esalerà l’ultimo respiro e quel pensiero aveva scavato molto a fondo nel suo animo, lasciando una traccia troppo amara e la sua mente era volata lontano, in cerca di tutti i momenti positivi della sua vita. Erano rari, ma c’erano, ed avevano a che fare con tre persone, quattro al massimo.
 
Primo fra tutti Sammy, che ha ritrovato da qualche mese ormai. Alla fine aveva fatto bene a fidarsi di Ellie e ad andarlo a prendere. Sicuramente avrebbe preferito che restasse con lui per motivi un po’ più solidi ma soprattutto più spontanei del desiderio di vendetta per la morte della sua ragazza, ma per ora sa di doversi accontentare. Per Sam, poi, è stata davvero una botta tremenda e Dean, mai come adesso, crede di poterlo capire, perché se fosse successo qualcosa di simile a Ellie probabilmente sarebbe impazzito. Anzi, c’è da dire che Sam la sta affrontando piuttosto bene e Dean non aveva tanti dubbi a riguardo, perché sa meglio di chiunque quanto è forte suo fratello.
A parte ciò, tra di loro non è proprio tutto come una volta, ma a Dean va bene così, perché in fondo, dopo aver passato due anni a rivolerlo indietro, quello che gli importa adesso è di averlo accanto.
 
Il pensiero di aver perso Jessica dovrebbe ancora torturarlo nel sonno, così come l’idea di averla lasciata da sola per andare con lui a cercare papà. Senza contare che aveva avuto una specie di visione a riguardo e non ci aveva prestato attenzione più di tanto – sì, perché a quanto pare Sammy è una specie di sensitivo e ogni tanto ha incubi che diventano realtà e Dean sta facendo di tutto per non preoccuparsi, o almeno per non dargli a vedere che non è così tranquillo per quanto riguarda questa faccenda. Anche se ultimamente sono parecchie le cose che lo impensieriscono.
 
Comunque sia, le cose vanno bene tra loro, per lo più. A parte quando Sam è praticamente scappato per andare a cercare papà da solo [8], ma poi tutto è tornato alla normalità.
Come un tempo, vedono parecchie cose in modo molto diverso: Dean è per uccidere tutto ciò che è malvagio, mentre Sam è più compassionevole, ma per il resto va tutto alla grande. Sicuramente meglio di quando non c’era, almeno per Dean.

Poi, nella sua lista immaginaria delle persone importanti, c’è John che sparisce lasciandoli da soli da quando Dean era un bambino, ma non era mai stato via tanto a lungo. Un paio di settimane al massimo, ma mai mesi.
 
Non ci sono state grosse novità su quel fronte da quando Sam è tornato. Papà ha chiamato una sola volta chiedendogli di smettere di cercarlo ed è stato poco dopo che Sammy ha dato di matto, partendo verso la California per cercarlo.
Dean ha pensato a lui così tanto, a tutto quello che ha fatto in tutta la sua vita e a quanto poco abbia ottenuto in cambio, a parte schiaffi e ordini, a quanto poco affetto e quanta solitudine ha ricevuto da lui, ma non lo ammetterà mai ad alta voce perché per lui John è un eroe, una specie di Batman con un pick–up per Batmobile che uccide mostri girando gli Stati Uniti e gli vuole un gran bene, anche se forse come padre poteva fare di meglio, almeno con lui.

Ha pensato anche a Bobby, colui che l’ha praticamente cresciuto e che non sente da più di un anno perché suo padre ci ha discusso pesantemente. Dean non ha mai saputo il perché, non glielo ha mai chiesto, e semplicemente non ha più chiamato quel burbero cacciatore. A volte pensa che dovrebbe farlo, ma di certo non in punto di morte; gli avrebbe solo dato un dispiacere.

E infine, ma non per ordine di importanza, c’era Ellie. Dean ha pensato al suo sorriso, ai suoi occhi blu sempre limpidi e sinceri, alla sua spensieratezza e al suo modo di bizzarro di affrontare la sua altrettanto bizzarra esistenza fatta di mostri e incubi ricorrenti. Ha pensato alle sue labbra morbide e a quanto avrebbe voluto stringerla un’ultima volta prima di andare all’Inferno – che ai piani alti non c’è posto per quelli come lui –, a quando l’ha vista sparire all’orizzonte.
Stavolta, però, Dean ha imparato la lezione, e negli ultimi mesi si sono sentiti parecchio.
 
Ricorda perfettamente la prima volta che le ha telefonato. Era in viaggio per Stanford ed era appena stato a cena in una tavola calda nei pressi di Carlsbad, New Mexico; c’era una cameriera bassina, i capelli castani e qualche lentiggine sparsa sugli zigomi che, per qualche strano motivo, gli aveva ricordato Ellie e si era ritrovato ad immaginarla col grembiule e la divisa a servire a un tavolo simile al suo in una tavola calda distante qualche miglio da lì. E forse era solo il pretesto che voleva usare per chiamarla, perché per tutto il giorno aveva pensato a lei, a quello che aveva fatto pur di ricondurlo dalla sua famiglia. Ha premuto il tasto verde dopo aver selezionato il suo numero dalla rubrica e gli si è scaldato il cuore a risentire quella voce allegra e squillante, un suono così armonioso e caldo.
«Ho pensato di usare quella cosa chiamata telefono per sapere come stai e dove sei, spero ti faccia piacere» aveva sentito Ellie sorridere a quelle parole e quello che proveniva da quell’apparecchio arrugginito era un suono così gioioso da allargare il cuore di Dean ancora di più, così tanto che la voglia di abbandonare capre e cavoli e raggiungerla era stata tanta, una tentazione pericolosa a cui negli ultimi mesi Dean ha faticato molte volte a resistere.
 
Si sentono abbastanza spesso, almeno un paio di volte a settimana, se è fortunato anche tre. Ogni volta Dean sente il cuore più leggero ad ascoltare quella voce che gli racconta le sue giornate e come passa il tempo ed è una sensazione strana per lui, qualcosa a cui non sa dare un nome – o forse non vuole – che però lo fa stare bene per qualche minuto.
Si chiamano negli orari più assurdi, principalmente di notte o comunque quando Sam non può ascoltarli, perché Dean non gli ha mai parlato di lei. Non per una ragione particolare, semplicemente non vuole farlo. È qualcosa di suo ciò che vive con Ellie, qualsiasi cosa sia.
 
Non aveva avuto modo di rincontrarla e le speranze di farlo si stavano esaurendo insieme a lui in quel misero letto di ospedale. Si era immaginato come sarebbe stato averla lì accanto e gli era quasi sembrato di vederla, gli occhi grandi e lucidi e la mano gentile e delicata sopra il suo cuore debole, un semplice gesto che le aveva visto fare altre volte, quando stretti l’uno all’altra provavano a dimostrarsi quello che non sapevano dirsi a parole, e, quando Dean si era accorto che tutti quei pensieri stavano quasi per farlo scoppiare a piangere come una dannata ragazzina, si è alzato dal letto, ha firmato i fogli di dimissione ed è uscito dall’ospedale, per passare almeno gli ultimi giorni che gli erano rimasti da vivere con l’unica persona che aveva accanto.
 
Ha deciso di non dire nulla a Ellie di quella storia, che telefonarle e comunicarle che stava per morire gli sembrava qualcosa di poco allettante e poi lei si sarebbe precipitata e non voleva che la sua morte imminente diventasse un pretesto per rivederla.
 
Quando ha raggiunto Sam nella stanza di motel che si erano presi per quel periodo, quello zuccone l’ha portato da un dannatissimo guaritore che era anche peggio di un santone, o meglio, sua moglie lo era. Lui, Roy Le Grange, un povero cieco che credeva di saper fare miracoli, non era altro che un disgraziato che non aveva nessun potere curativo di alcun tipo; non era Dio a guidarlo, solo sua moglie Sue Anne che, attraverso un incantesimo, era riuscita a mettere al guinzaglio un mietitore. Quest’ultimo ridava la vita a chi Roy decideva di curare e la toglieva ad una persona qualsiasi, qualcuno che non c’entrava assolutamente nulla con tutto questo ed è così che Dean si è salvato, perché Roy l’aveva scelto e, quando ha scoperto che un altro ragazzo è morto al posto suo, si è sentito così in colpa da voler morire davvero.
 
Chi è lui per meritare la vita più di altri? Più di quel tipo, o più di Layla, una ragazza malata di cancro che aspettava un aiuto divino da mesi? Ed è questo il pensiero che tortura Dean adesso, così a fondo da non riuscire a farlo dormire talvolta, da tenerlo lontano dalla stanza in cui probabilmente suo fratello sta fissando il soffitto, proprio come farebbe lui se ci tornasse, o sta ronfando beato, anche se Dean crede che sia più la prima opzione ad essere vera, perché più volte ha beccato Sammy a guardare la televisione in piena notte perché non riusciva a chiudere occhio.
 
Rigira il liquido nel bicchiere e beve l’ultimo sorso, prima di rendersi conto che la cameriera – mora, slanciata, una scollatura promettente e un paio di occhi da cerbiatta – è in piedi accanto al suo tavolo e lo fissa con un sorriso sornione.
«Scusa se interrompo la tua bevuta solitaria, ma stiamo per chiudere».
Dean si guarda intorno e nota che il locale è completamente deserto. Chissà quanto tempo è passato dall’ultima volta che ha dato un’occhiata in giro; la guarda piegando solo un angolo delle labbra «Ok, allora tolgo il disturbo».
Fa per alzarsi, ma la ragazza gli si avvicina un po’, piegandosi in avanti mettendo in evidenza tutto il ben di Dio che sembra voler esplodere fuori dalla maglietta nera scollata e allungando una mano per accarezzargli il braccio destro in modo molto sensuale «Se vuoi, però, ho una scorta di quel whiskey a casa mia. Così potrai passare un po’ di tempo in compagnia».
Dean allarga il sorriso, stringendo il vetro del bicchiere; un po’ di tempo fa, avrebbe accettato un’offerta simile senza neanche pensarci. «Un’altra volta, mmh? Per stasera ho bevuto abbastanza».
 
Sfila un paio di banconote dal portafogli e le appoggia sul tavolo per poi sorridere alla cameriera che, dall’espressione moscia che ha sulla faccia, sembra tutto fuorché entusiasta del suo atteggiamento.
 
Dean esce fuori dal locale e l’aria fresca di maggio gli accarezza la pelle del viso, facendolo rabbrividire appena. È notte fonda e fa un po’ freddo, così si incammina verso la sua macchina stringendosi nella sua giacca e si siede sul posto di guida mentre un mezzo sorriso si staglia prepotente sul suo viso.
 
Non è la prima volta che riceve avances in un locale come quello che ha appena lasciato o che lui stesso ci prova con una qualche ragazza o cameriera più o meno attraente e, se una volta posti simili erano i suoi preferiti per trascorrere una serata e rimorchiare, adesso è qualcosa che non gli interessa. Non come prima, almeno. Come stasera, ad esempio, che si è rifugiato lì solo per bere un po’ in solitudine, senza nessuna intenzione di uscirne accompagnato da una qualche sconosciuta da scoparsi.
 
Qualcosa gli dice che Sam ha questa convinzione, che quando sparisce così è per cercare compagnia e probabilmente continuerà a farglielo credere, ma in realtà non è stato con nessuna dopo l’ultima volta che l’ha fatto con Ellie. È consapevole del fatto che non stanno insieme, ma gli sembrerebbe di tradirla, in un certo senso. Sì, il sesso gli manca, ma di astinenza non è mai morto nessuno e attende di ritrovarla per… recuperare.
 
Scuote appena la testa, divertito da quello strano pensiero e, anziché mettere in moto, sfila dalla tasca della giacca – quella di pelle di suo padre – il suo telefono, fissandone il display e scorrendone la rubrica fino ad arrivare alla lettera E.
 
Sono tre settimane che, per qualche strana ragione, Ellie non gli risponde e davvero non ne capisce il motivo. Di solito trova la segreteria o gli squilla a vuoto, ma poi lei lo richiama quando ha un minuto libero, perciò è tutto ancora più strano.

Non c’è una regola nel loro rapporto, nessun tacito accordo in cui uno dei due deve chiamare prima l’altro o viceversa. Si sentono quando ne hanno voglia, non importa chi sia stato l’ultimo a farlo. Non stanno insieme, sanno solo di piacersi e di provare affetto l’uno per l’altra, fine, e se non possono vedersi, non c’è motivo per cui non possano almeno telefonarsi.
 
Qualche volta ha provato a chiederle di incontrarsi, quando erano a qualche miglio di distanza l’uno dall’altra e sarebbe bastato poco per ritrovarsi in un punto di mezzo, ma Ellie sembrava sempre un po’ schiva quando glielo proponeva, un po’… scostante. All’inizio, a Dean dava fastidio, perché gli sembrava che trovasse scuse per non vederlo, poi crede di aver capito: il fatto è che Ellie ha bramato per tutta la vita un rapporto più o meno normale con il padre – che alla fine è riuscita a raggiungere –, e ora che sembra averlo trovato – sembra, però, che Dean non ne è del tutto convinto – non vuole lasciarlo da solo neanche un istante.
 
Sì, perché a quanto pare – a parte all’inizio che Ellie sviava sempre l’argomento e rispondeva “bene” a mezza bocca quando Dean le chiedeva come stavano andando le cose tra lei e Jim – negli ultimi tempi sembrava più convinta, quel “bene” lo pronunciava con un tono più risoluto, e Dean aveva deciso di crederci, perché magari le cose stavano cambiando davvero e di certo era quello che le augurava.

Ricorda quando le ha telefonato dopo aver ritrovato Sam, qualche giorno dopo la morte di Jessica. Suo fratello era distrutto, non dormiva e se lo faceva era per poco e non c’era verso di fargli lasciare Stanford. Dean era nervoso e cercava di contenersi solo per aiutare Sammy che era in seria difficoltà e, in un modo o nell’altro, voleva davvero dargli una mano. Hanno cercato la cosa che ha ucciso quella povera ragazza per una settimana intera [9] e una sera, la prima in cui Sam era davvero riuscito a chiudere occhio, Dean ha preso il cellulare e le ha telefonato. Erano le due del mattino, ma cercava conforto e sostegno da una voce amica ed Ellie aveva risposto quasi subito e se l’era immaginata sdraiata sul letto con i capelli sciolti e la sua buffa maglietta con l’elefante con gli occhiali a rispondergli con la voce assonnata. Dean si è ritrovato a chiacchierare con lei per qualcosa come un’ora, a raccontarle quello che era successo e a parlare di qualsiasi cosa gli passasse per la testa e, nonostante tutto, si era sentito un po’ più leggero.
 
Ripensa anche all’ultima volta che Ellie gli ha risposto; era la notte tra il primo e il due maggio.
«Che bello, quest’anno ci sarai per il compleanno di tuo fratello! Avete intenzione di festeggiare?»
«Non credo. Da un po’ di anni a questa parte non lo facciamo mai e poi abbiamo un caso».
Ellie aveva atteso qualche istante prima di rispondere di nuovo. «Ma come? Nemmeno un dolce?»
«Sam non è amante dei dolci».
«E allora? Su, Dean, non fare l’orso e compragli una bella torta. O almeno una fetta. Mi raccomando, una di quelle buone con la panna e tanta crema. Non prendergli una crostata perché quello sarebbe un regalo per te, non per lui».
 
Dean aveva riso e aveva finito col rifletterci su. Non che non ci avesse pensato prima, ma effettivamente non sapeva come comportarsi perché Sammy è tutto fuorché un fanatico dei dolci; il giorno del compleanno, poi, è capitato casualmente – si fa per dire – in una pasticceria e ha comprato davvero due fette di una torta con della crema ai mirtilli e tanta panna. Quando è tornato al motel, Sam l’ha guardato perplesso, quasi non riuscisse a credere a quello che gli aveva portato suo fratello, ma ha mangiato tutto con gli occhi luccicanti.
 
Era una cosa che facevano da piccoli, in realtà. Dean per il compleanno del suo fratellino a volte gli comprava una torta e Sam in cambio, quando arrivava gennaio, gli saltava addosso come una scimmia per tirargli le orecchie e fargli gli auguri. Poi, però, sono diventati grandi e quell’abitudine è volata via; Sam è cresciuto e la panna la preferiva biologica se proprio doveva mangiarla – il tutto perché è uno scassa cazzo salutista – e poi c’è stato Stanford e il tempo delle torte era passato del tutto. Non che ora volesse riportare in vita quella tradizione, ma in fin dei conti l’ha visto come un modo per sciogliere il ghiaccio che a volte è ancora presente tra lui e suo fratello.
 
Ovviamente l’ha trovato cambiato, gli sembra diverso e non solo perché ha fatto crescere la frangia come una checca e ha le spalle più grosse di come se le ricordava. È cambiato il suo modo di vedere le cose, il suo stile di vita e Dean non sa se si riabituerà mai a quella che, invece, lui non ha mai smesso di condurre. Forse lo vedrà fuggire di nuovo, a un certo punto, sgattaiolare via e riprendere la strada che aveva cominciato a intraprendere da solo. A Dean non va molto a genio l’idea – anzi, è qualcosa che lo spaventa a morte – ma spera che almeno stavolta, in caso dovesse farlo, gli telefonerebbe ogni tanto.
 
Dean sospira ancora e si gratta sotto il mento, leggermente incerto sul da farsi. Può nasconderlo a tutti ma non a se stesso – non perché non voglia, ma perché non riesce più a farlo – e non sa cosa darebbe per avere Ellie con lui in questo momento. Sente la sua mancanza costantemente e più di una volta in questi mesi avrebbe voluto averla accanto anziché conversare con lei tramite una scatoletta metallica.
 
Preme il pulsante verde, porta il telefono all’orecchio ed è ancora la segreteria a rispondere per lei. Dean sbuffa ma non si trattiene e le lascia l’ennesimo messaggio. «Ellie, sono Dean. Non so più che pensare perché sei sparita e… non è che per caso ti sei cacciata in qualche casino? Non farmi stare in pensiero, chiama appena puoi».
 
Riattacca e decide di scendere dall’Impala e raggiungere il suo letto. Quando apre la porta della stanza che hanno affittato per questi giorni, trova Sam ronfare e Dean si toglie la giacca, la camicia, le scarpe e i pantaloni, cercando di fare il più piano possibile per non svegliarlo – per una volta che dorme –; si infila sotto le coperte e osserva il soffitto pieno di crepe sopra la sua testa.
 
Ripensa agli ultimi mesi, a quanto sia stata dura a volte, ma lui poteva contare sul fatto che Ellie ci fosse, sapeva che gli bastava prendere il telefono e chiamarla, per cercare un po’ di conforto o anche, più semplicemente, per fare due chiacchiere e passare il tempo. Adesso che non la sente da un po’ comincia a preoccuparsi, perché non è da lei sparire per tutto questo tempo ed è sicuro che sta succedendo qualcosa.
 
Sospira e chiude gli occhi, cercando di non pensare al peggio e si gira, avvolgendosi meglio nelle coperte. Scacciare tutta quella nuvola di pensieri non è semplice, ma alla fine ci riesce e si lascia andare alla stanchezza, addormentandosi come un sasso.
 
*

La cartina stradale è spiegazzata sopra il tettuccio nero e splendente dell’Impala e Dean osserva suo fratello tracciare con gli occhi il prossimo percorso da seguire. Le mani appoggiate lì sopra e gli occhi fissi sulla carta colorata, Sam sembra uno di quei bambini curiosi e attenti, quelli che cominciano a scoprire il mondo.
Non ha idea del perché suo fratello riesca sempre a sembrargli così infantile e adulto allo stesso tempo. Forse è perché l’ha praticamente tirato su e per lui sarà sempre un moccioso. O forse perché, dopo non averlo visto per due anni, gli fa strano pensare che sia cresciuto tanto.
 
Hanno fatto colazione da poco in una tavola calda qui vicino e Dean mugola soddisfatto mentre beve l’ultimo goccio di caffè rimasto nel suo bicchierone. Avere la pancia piena solitamente gli dà il buonumore, ma stamattina si è svegliato con un po’ di nervosismo addosso. Non c’è un motivo preciso, solo… non si sente se stesso. È un po’ teso e facilmente irritabile.
 
Hanno sostato per qualche giorno a Morrilton, Arkansas, per riposarsi un po’ e mettere a fuoco le idee per poi ripartire per andare a cercare papà.
 
Sam indica un punto preciso sulla cartina e alza gli occhi verso di lui «Allora, se facciamo questa strada possiamo arrivare prima in Pennsylvania [10]. Papà potrebbe trovarsi da quelle parti».
Dean gli ha spiegato qualche migliaio di volte che papà è affanculo per conto suo e che, se si sta comportando in questo modo, significa che non vuole essere scovato, ma la zucca di Sam è più dura del legno massello, quindi ha deciso che lo asseconderà finché non gli crolleranno i nervi. Questo ed altro per il quieto vivere.
 
Non è che lui non voglia ritrovare suo padre, ma piuttosto ha capito il gioco del suo vecchio e sa per certo che, quando vorrà farsi trovare, sarà lui a rintracciare loro e non il contrario.

Dean ascolta l’itinerario che gli sta illustrando Sam senza prestarci davvero attenzione, la testa altrove. Infila una mano nella tasca della giacca di pelle e controlla il telefono; la segreteria lo avverte che c’è un messaggio che non ha ascoltato e Dean compone il numero velocemente per poi appoggiare il cellulare all’orecchio, sperando di sentire proprio quella voce, ma rimane interdetto quanto riconosce quella di qualcun altro, una che non ascoltava da tempo.

«Ciao ragazzo. Spero che tu stia bene, è un po’ che non ti fai vivo. Non so se lo sai, ma… » il cuore di Dean perde un battito perché la pausa che segue quelle parole è troppo lunga e teme che sia davvero successo qualcosa di grave. «Jim è morto. Elisabeth è qui con me adesso, e… beh, credevo tu dovessi saperlo. Se vuoi fare un salto, sai dove trovarci».
 
Il mondo si blocca per Dean e la voce del fratello che gli parla si fa sempre più lontana, distante; non lo ha mai ascoltato davvero, ma ora passa proprio in sottofondo.
 
Gira intorno all’Impala, diretto al posto di guida «Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo fissa; non ha voglia di discutere, ma si rende conto di dovergli dare almeno qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque «Mi ha chiamato Bobby. Ora ho un problema più urgente da risolvere».
Sam stringe gli occhi e lo guarda storto «Più urgente di trovare papà?»
«Al momento sì, non farla lunga» apre lo sportello dell’Impala e si siede sul posto di guida, sporgendo poi il collo verso il finestrino opposto per guardare il fratello che è rimasto ancora impalato lì fuori come un idiota «Muovi il culo e vieni in macchina, andiamo».
 
Sam lo asseconda e sale con un muso lungo qualche chilometro, ma Dean cerca di non badarci e mette in moto, spingendo il piede sull’acceleratore e immettendosi nella carreggiata con un paio di sgommate.
 
Suo fratello potrà pensare ciò che vuole, ma il suo posto, adesso, è con Ellie, perché è sicuro che non c’è nessuna persona al mondo che abbia più bisogno di lui in questo preciso momento.

[1] Riferimento a “Don Chisciotte” e le sue famigerate battaglie contro i mulini a vento.
[2] Riferimento a una delle ultime scene del “Pilot” quando, dopo i due giorni passati con Dean a cercare John, Sam torna a casa da Jessica. 
[3] Dal “Pilot”: Dean va a prendere Sam a Stanford la sera del trentuno ottobre duemilacinque. 
[4] Nell’episodio 5x20 “The devil you know” spunta questo dettaglio sul rapporto tra Sam e Jessica: il fatto che a farli conoscere sia stato Brady, il migliore amico di Sam che poi è stato posseduto da un demone complice di Azazel.
[5] Altro riferimento al “Pilot”: Jessica e Sam, nelle prime scene, partecipano a una festa di Halloween.
[6] I fatti narrati sono quelli dell’episodio 1x12 “Faith”.
[7] Citazione di Sam dall’episodio 1x12 “Faith”: quando chiama John per avvertirlo che Dean sta male usa più o meno queste parole.
[8] Riferimento all’episodio 1x11 “Scarecrow”, quando Sam decide di partire per andare a cercare il padre a Sacramento dopo aver rintracciato la sua telefonata.
[9] Nell’episodio 1x02 “Wendigo” Dean afferma che lui e Sam sono stati una settimana a Stanford dopo l’incendio che ha ucciso Jessica per cercare il mostro che l’ha uccisa.
[10] Riferimento all’episodio 1x13 “Route 666”: in una delle prime scene, Sam dice a Dean di voler andare in Pennsylvania, ma poi cambiano rotta per andare da Cassie, l’ex fiamma di Dean. Visto che la trama di questa storia riparte praticamente da lì, ho pensato di prendere quella scena e modificarla a mio uso e consumo xD



Note: … Sono tornata! :D
Lo so, lo so, l’attesa è stata lunga e vi chiedo scusa per questo, ma non è stato affatto facile completare questa storia. Ci ho lavorato su tre anni e tra impegni vari, università (che mi ha risucchiato l’anima per un sacco di tempo ç_ç balls!) e l’ispirazione che spesso e volentieri si divertiva (solo lei, però) a giocare a nascondino con me, non ce l’ho fatta prima. In più, spesso ho anche avuto l’impressione di non stare andando nella direzione giusta, che la storia stesse prendendo un andazzo che non mi piaceva e questo ha rallentato ulteriormente il tutto. Ma l’importante è che io ce l’abbia fatta :) o no?
Introduzione a parte, eccomi qui a farvi leggere il proseguo delle avventure dei fratelli Winchester in un universo dove esiste una tipa stravagante e cocciuta di nome Ellie Morgan.
Per chi non lo sapesse e si affacciasse per la prima volta a questa storia, questo non è altro che il seguito diWash away”, che potete trovare nel mio profilo. Per chi avesse voglia di recuperarla, certo, altrimenti saltate pure questo “avvertimento”! XD
Questa nuova storia, composta di trentaquattro capitoli, si svolge durante la prima e la seconda stagione di Supernatural. Precisamente, parte da dopo l’episodio 1x12 “Faith”. Riprende alcuni degli eventi principali, altri li tralascia, altri li stravolge. Sicuramente non farete fatica a notare le differenze :) che, ovviamente, spero non vi dispiacciano e non rendano la storia noiosa o troppo distante – chiaramente nel senso brutto del termine – da quella originale. Non posso negare che le parti “comuni” sono quelle che mi hanno terrorizzata di più e spero di non aver fatto pastrocchi.
Come per “Wash Away”, ogni capitolo ha per titolo una canzone o una citazione di qualche illustre personaggio che ha lasciato un’impronta nel mondo; il titolo della storia, tanto per cominciare, è lo stesso della canzone “Make your own kind of music” dei Mama Cass Elliot, che è la stessa signora di “Dream a little dream of me” che dà il titolo alla 3x10 di Supernatural. La canzone, poi, come è successo per “Wash Away”, proviene dall’universo di Lost: apre la prima puntata della seconda stagione e introduce uno dei miei personaggi preferiti della serie. Qui la scena, se siete curiosi di dare una sbirciata :)
Come per la prima storia di questa serie, pubblicherò ogni mercoledì, così da riprendere quella vecchia – e bellissima ♥ – abitudine.
Dopo aver snocciolato tutte (spero) le informazioni utili per leggere questa storia – e aver fatto un po’ di pubblicità a della bella musica e a un bel telefilm, che non guasta mai XD – vi saluto con il cuore in gola e un timido sorriso.
La prima volta che Ellie si è affacciata in questo sito, non mi ha fatto pentire di averla fatta uscire “dal cilindro”. Spero che questo seguito confermi la mia precedente impressione.
Prometto che le prossime note non saranno così lunghe, ma prima di concludere vorrei ringraziare – anche se magari non passerà da queste parti, ma non ho altro modo o posto dove poterle fare – chi ha continuato a leggere “Wash Away” dopo tanto tempo dalla fine. È un’emozione bellissima vedere il contatore delle visite crescere ancora nonostante sia passato tanto tempo. Grazie di cuore! :D
Per finire, vi abbraccio fortissimo, sperando di trovarvi tra i commenti e, naturalmente, la prossima settimana. A presto! :’D
PS: Ricordo a chi se lo fosse perso che, in questi tre annetti di assenza, ho pubblicato un piccolo intermezzo tra “Wash Away” e questa storia (che potete trovare qui) e questa raccolta di missing moment.
  
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