Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Sanae77    06/09/2018    11 recensioni
Tutti pronti per i mondiali del 2018?
No?
I nostri campioni invece lo sono, o lo saranno (si spera).
Prima dovranno andare in ritiro e il capitano, purtroppo, non è molto in forma.
Insieme scopriremo che cosa lo disturba. ;-)
Ho il piacere di annunciare che la storia è stata tradotta da Lyra Nym in spagnolo
https://www.fanfiction.net/s/13826347/1/Rusia-2018-Entre-sue%C3%B1o-y-realidad
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Azumi Hayakawa, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
… nove mesi dopo
 

“Quando pensi di rientrare?” Chiese la sua ex moglie con la figlia tra le braccia.
“Lunedì nel pomeriggio passo a prendere Desirée” specificò il numero undici, afferrando il borsone e mettendolo in spalla.
Azumi non aveva finito, e lo capì quando invitò la figlia ad andare in cucina e attenderla per la merenda.
“Questa finale di Champions contro il Barcellona cade proprio a pennello, vero?”
Taro abbassò gli occhiali da sole per fissarla senza filtri. Lui continuava a spiegare e lei continuava a punzecchiarlo, ogni volta che ne aveva l’occasione: nonostante i mesi trascorsi, Azumi la questione non l’aveva proprio digerita.
“Ti ho già detto che giochiamo di sera e che restiamo a dormire lì.” Puntualizzò Misaki con tono neutro, non aveva voglia di litigare anche se la figlia non era presente. La situazione era definita oramai, stavano in case separate e avevano avviato tutte le pratiche per la separazione, che avrebbero portato al futuro divorzio. Non riusciva a capire perché la moglie, ex oramai almeno nella realtà, gli facesse sempre tante paranoie ogni volta che doveva andare via. La donna non si era ancora arresa a quella nuova quotidianità.
“Scommetto che andrai nell’appartamento del capitano. Quello nuovo, intendo…”
“E anche se fosse?” il tono gli era uscito troppo sarcastico, ma era stato inevitabile.
“Pensavo che ti fosse bastata la nostra vita sputtanata su tutti i giornali, Taro!” la voce Azumi si era alzata di un tono, involontariamente. Era più forte di lei, non riusciva a capacitarsi di tutta quella confusione, senza considerare quella che sarebbe scaturita se avessero scoperto il segreto della Golden Combi.
“Stavi con un calciatore professionista, Azumi, se ancora tu non te ne fossi resa conto; ci contavano anche quante volte andava al cesso Desirée.” Il borsone gli cadde a terra nel momento in cui le braccia furono sollevate al cielo, impegnate della discussione.
“Quindi rischiare di essere beccato a casa di Ozora e alimentare ancora di più le chiacchiere ti sembra normale?!”
Misaki scosse la testa e afferrò nuovamente il bagaglio. Era consapevole del rischio che stavano correndo. Con Tsubasa erano sempre stati attentissimi le rare volte che si erano incontrati. Ma quel weekend avevano deciso di osare, dopotutto che male ci sarebbe stato se li vedevano insieme? Giocavano nella stessa nazionale, che male c’era se Ozora lo ospitava a casa sua? Dovevano solo stare attenti a non farsi scoprire nel nuovo appartamento, preso dal capitano, del quale anche lui aveva una copia delle chiavi.
“Tanto, presto o tardi, dovrà accadere.” Sentenziò imboccando il vialetto e chiudendo il cancello, il volo non avrebbe certo aspettato lui, quindi decise di troncare lì l’ennesima discussione.
Azumi, infastidita, sbatté la porta sui suoi passi. Era perfettamente consapevole del fatto che prima o poi la storia sarebbe uscita fuori, ma non capiva tutta questa fretta. Volevano rovinarsi anche la carriera, dopo aver rovinato due famiglie?
Mentre saliva sul Taxi, Taro inviò un messaggio a Tsubasa per avvisarlo dell’orario d’arrivo.
 
Avevano di fronte a loro un weekend molto lungo. Il mister aveva acconsentito che dormisse per i fatti propri. Sapeva, ovviamente, che era ospite di Ozora, come era già accaduto tante volte nel corso degli anni, ma si fidava ciecamente dei due ragazzi: nessuno dei due aveva mai rivelato le rispettive tattiche di gioco. Erano due professionisti seri, nonostante la profonda amicizia che li legava.
 
Appena uscito dagli allenamenti, Tsubasa era corso a prendere i figli al campo vicino e si era diretto all’aeroporto. Fermi al Gate d’uscita tutti e tre aspettavano Misaki nella sala d’attesa. I gemelli, palla al piede, si scambiavano passaggi millimetrici senza disturbare nessuno. Eppure, il padre li riprese affinché la smettessero.
Quando voltò la testa, la figura dell’amante gli fece perdere un battito. Sorridendo gli andò incontro, seguito dai bambini.
Arrivati l’uno di fronte all’altro si salutarono con calorose pacche sulle spalle, mentre i gemelli saltellavano intorno alla Golden Combi.
“Andiamo a fare due tiri a casa? Eh, papà?” chiesero all’unisono i bambini.
Tsubasa osservò il compagno e poi sollevò le spalle, arreso: “Che ne dici, Taro? Ti vanno due tiri?”
“Due tiri non si rifiutano a nessuno.” Disse scompigliando le testoline fotocopia del padre.
Tutti si voltarono nello stesso istante in cui quel CLICK sospetto attirò la loro attenzione.
Tsubasa posò le mani sulle spalle dei figli e li sospinse verso l’uscita. Sapeva perfettamente che all’aeroporto i giornalisti erano sempre in agguato, per quello codardamente aveva portato i figli con sé.
Non avrebbe fatto comunque in tempo a passare da casa per lasciarli a Sanae ma, nello stesso momento, non gli era neppure dispiaciuto portarseli dietro per non destare sospetti.
Azumi aveva letto da qualche parte, su Facebook, di strane frasi e insinuazioni su loro due. Inoltre, da quando era comparsa la notizia della separazione del numero undici i riflettori, su di loro, erano aumentati a dismisura.
Saliti in auto, i due campioni si rilassarono contro i rispettivi schienali.
“Non ti danno tregua, vero?” chiese il capitano, afferrando le chiavi e inserendole nel cruscotto.
“No, - rispose Taro, agguantando la cintura e allacciandola – da quando è uscita la notizia del mio fallimento matrimoniale non abbiamo pace.”
“Taro, perché tu e Azumi non state più insieme? Desirée come l’ha presa?” Hayate, da dietro, si era sporto tra i due sedili e lo aveva investito di domande.
Misaki guardò un secondo l’amante prima di rispondere il più coerentemente possibile: “Io e Azumi non ci amiamo più, per quello ci siamo lasciati. Desirée sta bene, è piccola e non si rende conto ancora della situazione.”
“Ma sei innamorato di un'altra donna?” Daibu lo chiese con un’innocenza tale che lo spiazzò, ma nel contempo decise di approfittarne.
“Per ora no, ma chi dice che debbo per forza innamorarmi di una donna?” la buttò lì per vedere la reazione dei bambini, non era la prima volta che affrontavano l’argomento, con Ozora avevano deciso di introdurre l’omosessualità un poco alla volta.
“È vero, Daibu. Hai visto Pablo, quello della 5F, lui ha due padri.”
“Vero, anche nella classe di Desirée, una sua amichetta ha due madri.” Misaki prontamente ne aveva approfittato per estendere ancora di più il ragionamento.
“Oddio, Hayate, - Daibu era scandalizzato, aveva afferrato il gemello e lo aveva tirato indietro - t’immagini due come la mamma? Io non ce la potrei fare a reggere.”
La Golden Combi scoppiò a ridere, dopo essersi scambiati un occhiolino complice, voltandosi verso il parabrezza e lasciando i bambini alle loro elucubrazioni mentali.
 
Sanae era alla finestra della cucina quando sentì entrare l’auto nel vialetto. Vide i figli scendere di corsa e andare verso il campo da calcio. Immaginò che la sfida fosse stata lanciata nel mentre che il carrello dell’aereo scivolava sulla pista. Non sarebbero mai cambiati, ne era certa.
Sapeva perfettamente che Tsubasa sarebbe uscito a cena con Misaki, si volse verso il tavolo già apparecchiato per loro tre, un velo di tristezza le attraversò lo sguardo.
Era difficilissima quella convivenza forzata. I bambini erano già rimasti sconvolti dalla separazione dei coniugi Misaki, avevano fatto milioni di domande e loro avevano risposto pazientemente a tutte; puntualizzando, ogni volta, che ogni famiglia poteva essere a rischio rottura da un momento all’altro.
Molto spesso si ritrovavano ad affrontare l’argomento per abituarli all’idea. Avevano anche iniziato a passare del tempo separati. Piano piano la famiglia Ozora non sarebbe più esistita nella totalità dei suoi quattro membri; era triste, ma era anche la futura realtà.
Quando i due fuoriclasse varcarono la soglia di casa, Sanae li accolse con un semplice ciao. Chiese a Misaki se avesse bisogno di qualcosa e poi si dileguò nella serra dietro casa. Prediligeva evitare imbarazzanti chiacchierate senza senso, già era difficile fingere di fronte ai bambini, quando erano soli preferiva evitare. Quindi di comune accordo si rispettavano in questi brevi convenevoli.
L’amicizia che c’era stata prima era inevitabilmente cessata.  Non puoi andare d’accordo con l’amante di tuo marito, anche se questo era stato in precedenza uno dei tuoi amici; forse con il tempo, ma non era una cosa certa.
I due uomini si misero comodi e raggiunsero i bambini per la partita promessa in aeroporto, all’attico sarebbero andati dopo cena e separati.
 
 
Avevano scelto un ristorante sconosciuto, ma questo non era bastato e un giornalista li aveva comunque raggiunti. Era stato solo grazie all’intervento del padrone del locale che erano riusciti a entrare, mentre lo scocciatore era rimasto fuori. Tanto sapevano perfettamente che all’uscita lo avrebbero trovato ugualmente in attesa delle sue vittime.
Una volta seduti, e certi di essere lontani da orecchie indiscrete, Tsubasa si lasciò cadere affranto sulla sedia. La mano passata tra i capelli ne dimostrò la palese preoccupazione che lo attanagliava.
Posando i gomiti sul tavolo si sporse verso il suo interlocutore, che ne copiò il gesto avvicinandosi per ascoltare.
“Taro, la situazione ci sta sfuggendo di mano.”
“Sono solo interessati alla mia situazione sentimentale, rilassati.”
“Ci sono foto dove spesso ci ritraggono insieme.”
“Tsubasa, c’erano anche prima, solo che ora ci facciamo caso.”
“Pensi che stasera non ci faranno delle foto e che non usciranno sui giornali?” il tono basso e preoccupato fece tenerezza al numero undici. Avrebbe voluto prendergli la mano e stringerla nella sua. Un gesto semplice concesso a tutti e negato a loro, sapevano che sarebbe stato difficile, ma allo stesso tempo non avevano calcolato quanto in realtà lo fosse davvero.
“Quando usciremo, rilascerò una breve intervista, non ti preoccupare. L’unico problema è che dobbiamo andare alla casa separati, ma per il giornalista sarà strano che non andiamo a casa tua. Non so se ci conviene fingere di andare a casa e spostarci dopo.” Taro portò una mano al mento con fare pensieroso. Se fossero andati direttamente alla nuova dimora, era sicuro che avrebbero guadagnato una prima pagina di giornale di quelle epocali.
“È snervante questa situazione, inizio a odiare la nostra notorietà.” Il capitano sollevò entrambe le mani, passando le dita tra i crini neri.
Taro lo guardò preoccupato, quindi, spostando un piede, l’avvicinò a quello del compagno. Aveva scelto ovviamente il lato verso il muro dove nessuno poteva accorgersi del gesto.
“Ehi” disse, regalandogli un sorriso pacato e rassicurante al tempo stesso.
“Scusa” rispose mortificato il numero dieci.
“Senti facciamo così, mangiamo in fretta, ci liberiamo del giornalista e andiamo a vederci il dvd che Genzo c’ha mandato della finale dei mondiali, eh? Che ne dici?”
Durante la risata liberatoria e riservata che Tsubasa gli regalò, il cuore duplicò il battito. Adorava vederlo tranquillo, adorava vederlo felice, adorava passare del tempo con lui. Tempo che si era drasticamente ridotto a causa della loro clandestinità.
“Dico che hai sempre delle ottime idee, Misaki!” esclamò, scuotendo la testa. Il suo compagno lo conosceva nel profondo, non c’era nulla che si potesse fare. Quel legame indissolubile, che si era creato tanti anni prima, adesso era soltanto modificato, evoluto, ma sicuramente rafforzato.
Avevano mangiato in fretta e poi erano usciti dal ristorante; fuori, come immaginato, avevano trovato il giornalista scocciatore in trepidante attesa.
Misaki non si sottrasse e una volta che l’uomo lo aveva avvicinato aveva fatto buon viso a cattivo gioco, sperando che dopo li avrebbe lasciati in pace.
 
“Misaki, mi conceda un paio di domande, grazie.” Aveva iniziato l’uomo, azionando il registratore. Taro aveva annuito e si era fermato con il capitano al suo fianco.
“Domani sera disputerete una partita molto importante nella quale sarete avversari, giusto?”
Il numero undici lo guardò perplesso, era tanto che non impostavano un’intervista sullo sport.
“Sì, domani saremo avversari, e non vedo l’ora di sfidare il mio collega sul campo da calcio; sono rare le occasioni in cui ci scontriamo, solitamente giochiamo nella medesima squadra.”
“Queste cene prepartita vi servono per accordarvi sul risultato?”
Il numero dieci scattò di fronte al compagno e tolse di mano al giornalista il registratore.
“L’intervista è finita e con questo – disse, mostrando l’apparecchio incriminato tra le sue dita – domani riceverà una lettera dai nostri avvocati per una querela. Siamo professionisti e la nostra amicizia non implica accordi di alcunché.”
Voltandosi e afferrando Taro per un braccio lo spinse via. Arrivati all’auto sentirono correre dietro di loro il giornalista.
Tsubasa azionò il telecomando e le frecce dell’auto lampeggiarono, Taro dal lato passeggero stava per aprire lo sportello quando l’uomo lo raggiunse.
“Sa, ho pensato che dovendo mantenere sua moglie e sua figlia due soldi in più non avrebbero guastato.”
 
Il capitano guardò gli occhi sconvolti del compagno e, resosi conto del pericolo imminente, con un balzo fu sul cofano per scivolare dall’altro lato il più velocemente possibile. Taro infatti aveva già afferrato il colletto dell’uomo e lo stava strattonando.
“Se ne vada” intimò il fantasista nipponico, allontanando malamente lo scocciatore, e aprendo lo sportello dell’auto, affinché il compagno entrasse immediatamente per non compromettersi.
Una volta certo del pericolo passato, fece il giro e andò al posto di guida.
Allontanatosi da lì, si fermò in un parcheggio poco distante, dovevano riprendere fiato.
“Che diavolo ti è saltato in testa, Taro? Vuoi essere su ogni giornale?”
Il numero undici, fisso verso il finestrino, restava in profondo silenzio. Consapevole del mutismo che lo avrebbe accompagnato per il resto del viaggio, Tsubasa non si dilungò in altri rimproveri e, accendendo nuovamente la macchina, iniziò a compiere dei giri a vuoto nella periferia di Barcellona.
Dopo mezz’ora, e certo di non esser seguito, prese una decisione incauta puntando verso la nuova casa.
“Sei sicuro di quello che stai facendo?” chiese Misaki, spezzando il mutismo in cui era caduto.
“Allora sei con me.” Ironizzò Ozora, osservando di sfuggita il suo profilo.
“Ti rendi conto di cosa ha detto quello? Ha messo in dubbio la nostra moralità, tirando in ballo la mia famiglia: che infame!”
“Sono giornalisti, Taro, sappiamo che vivono di gossip. Lo sappiamo da sempre. Il problema è che quando va tutto bene un articolo non ti scalfisce, mentre adesso che abbiamo un segreto da nascondere siamo vulnerabili. Dobbiamo stare attenti.”
“Facciamo coming out e togliamoci il pensiero, così ne parleranno per un periodo e dopo ci lasceranno in pace.” Misaki aveva alzato il tono di voce, muovendo animatamente le mani.
Il capitano aveva sospirato, ma non risposto. Arrivati a destinazione piazzò l’auto nel posto, del parcheggio sotterraneo, a lui riservato. Quando scesero dal mezzo, le macchine silenziose li accolsero in attesa dei loro proprietari. Le luci ocra li accompagnarono fino all’ascensore.
Una volta entrati, Tsubasa infilò la chiavetta per accedere al piano dell’attico riservato. Non a caso aveva scelto quell’appartamento, la privacy era pressoché totale: dal sotterraneo nessuno del palazzo poteva vedere chi sarebbe entrato in casa.
“Quando sarà il momento, rilasceremo una dichiarazione ufficiale, non temere.”
Aveva ripreso così il discorso, come se non fosse passato tutto quel tempo. Il capitano osservava il display scorrere lentamente. Per arrivare al decimo piano serviva qualche minuto.
“Quando sarà il momento?”
“Non adesso, devo prima preparare i gemelli, Taro! Devo prima separarmi da Sanae e trovare una stabilità familiare; per non pensare allo scandalo calcistico – le mani tornarono a tuffarsi, preoccupate, nei capelli – è l’ultima cosa che m’interessa in tutto questo, ma non possiamo certo ignorarla.”
Il suono dell’ascensore li distrasse dai pensieri. Aperta la porta metallica l’appartamento li accolse nella penombra.
Taro tolse la felpa, riponendola nell’armadio dell’ingresso, dopo trascinò il trolley fino alla loro camera. Il capitano invece buttò tutto sulla sedia alla rinfusa. L’altro se ne accorse, sbuffando un sorriso. Nel pensare a una convivenza con Ozora immaginava i continui bisticci per la sua mancata precisione.
“Prendo due birre e metto il DVD, ok?” s’informo il capitano mentre apriva il frigo della grande cucina a vista sulla sala. Voltatosi verso la vetrata, Barcellona gli apparve magnifica nello scintillio delle luci notturne. Abbandonando anche i pantaloni sul pianale della cucina, e afferrate due birre gelate, si buttò sul divano in attesa dell’amante. Era stanco, e rilassarsi era diventata una priorità.
Fu così che lo trovò Misaki poco dopo, anche lui aveva indossato una maglietta e dei pantaloncini per comodità. Tsubasa in boxer e maglietta con le gambe accavallate e la birra tra le dita, lo invitò a prendere la sua sul tavolinetto di fronte.
Afferrata la bottiglia, grondante di goccioline di condensa, propose un brindisi al compagno, prima di regalarsi una profonda sorsata.
“Ah, ci voleva proprio questo relax totale.” Disse Taro sprofondando vicino a Ozora.
“Già, doveroso direi, è stata una serata pesante.”
“Per colpa di un’idiota… – puntualizzò, per poi proseguire – Ripensavo a quanto hai detto e ora, a mente lucida, riconosco che hai ragione.”
Il capitano strizzò l’occhio al compagno in segno di complicità. Poi afferrò il telecomando e dette play al DVD. Le immagini di loro in tv e la musica dell’inno nazionale risuonarono per la stanza. Il segno di assenso che Taro gli riservò gli fece capire che per quel weekend non ne avrebbero più parlato. Si vedevano poco e non era plausibile rovinarsi così il tempo rubato.
Risero delle molte azioni fatte e di come Genzo fosse alla fine più fissato di loro: nonostante tutti i video che erano girati per la rete, lui aveva assunto un cameramen professionista e aveva ripreso tutti i mondiali. E ora, che avevano finalmente potuto guardare insieme tale capolavoro, constatarono che ne era davvero valsa la pena.
Un peso sulla spalla destra fece girare il volto di Tsubasa: Taro si era addormentato così, appoggiato a lui. Delicatamente gli sfilò la birra dalle mani e la mise sul bracciolo del divano. Capì la stanchezza sia fisica, per il viaggio aereo, che quella mentale per la complessa situazione familiare.
Si mosse piano affinché il compagno riuscisse a scivolare giù e farlo star più comodo tra le sue gambe. Infatti, nonostante stesse dormendo, le sollevò per distenderle sul divano e scambiare le sue per un comodo cuscino.
Era quello che mancava a entrambi: la quotidianità.
La consapevolezza di non poter avere una vita equilibrata, indipendentemente dalle loro famiglie, lo colpì in pieno nel momento in cui le dita scivolarono tra i capelli castani del numero undici.
Si deliziò del sorriso soddisfatto impresso sulle labbra del compagno, mentre cadenzate carezze continuavano senza sosta. Adorava percorrere con i polpastrelli quel profilo tanto amato, mentre ogni tocco faceva distendere le rughe d’espressione in un volto più rilassato. Evidentemente stava apprezzando. La partita in tv perse tutta l’importanza che avrebbe avuto un tempo.
No, non era mai stato innamorato così di Sanae, tanto innamorato da preferire il profilo del suo uomo alla partita. Sorrise del pensiero avuto e dette voce a una piccola confessione.
“Tu non lo sai... ma c’è qualcuno che appena apre gli occhi la mattina ti ha già nei suoi pensieri e rimani lì fino a sera, fin quando i suoi occhi non si richiudono.”
Taro sorrise facendo sentire Tsubasa come un bambino beccato con le mani nella marmellata.
“Non ti facevo così romantico, Ozora.”
“E io non ti facevo così bugiardo tanto da fingere di dormire.”
Misaki si sollevò, restando a fissarlo negli occhi, scioccato: “Aspetta, sarei io quello che finge di dormire quando al ritiro non hai fatto altro per giorni?”
“Era una situazione diversa” si giustificò.
“Era pur sempre una bugia.”
“Dettagli!” esclamò, iniziando a insinuare le dita sotto la maglia del compagno e tormentando le costole con il solletico.
Taro si contorse sui cuscini, ridendo come un matto.
“Però non vale che tutte le volte mi atterri con il solletico.” Gli urlò dietro mentre il capitano si rifugiava in camera.
 
 
Dormire vicini, abbracciati, era tutto quello di cui avevano bisogno. Sentì il respiro del capitano infrangersi sotto l’attaccatura dei capelli alla base della nuca; il petto nudo che, pacato e tranquillo, si alzava e abbassava contro la sua schiena. Si erano addormentati così, stremati dopo aver scherzato per allentare la tensione della giornata. Il braccio del compagno gli pesava sulle costole, mentre le dita intrecciate alla mano davano segno di sofferenza dovuta alla troppa immobilità. Tentando di non svegliarlo, riuscì a divincolarsi dalla presa. Erano le sei di mattina e dovevano andare ad allenarsi con le rispettive squadre. Sarebbe stato più uno stretching in vista della finale serale, non era previsto un vero e proprio allenamento, la paura di affaticarsi troppo si era palesata in entrambe, per quello avevano optato per riunione e rilassamento delle tensioni muscolari.
 
Svegliandosi, Tsubasa allungò un braccio trovando il letto vuoto. Con il dorso della mano stropicciò l’occhio per tentare di mettere meglio a fuoco la stanza. Tuffò la testa nel cuscino per inspirare ancora l’odore di Taro. Adorava svegliarsi con il suo profumo nelle narici. Alzandosi, afferrò i pantaloncini e, facendo l’equilibrista per tutta la camera, riuscì finalmente nell’impresa di indossarli. A piedi nudi attraversò il corridoio e arrivò nel reparto giorno, dove un invitante odorino di omelette e zuppa di miso lo ricevé.
La luce rosata dell’alba, dalle sfumature indaco, l’accolse quando arrivò alla penisola della cucina. La vetrata su Barcellona, che si stava svegliando anch’essa, lo attirò strappandogli un sorriso; era davvero bellissima.
“Buongiorno, ti ho svegliato?” Misaki, intento a rovesciare le omelette nella padella, ballettava a ritmo della leggera musica in sottofondo diffusa dallo stereo.
“Che prepari di buono?” chiese Ozora, afferrandolo da dietro e posando il mento sul trapezio. I leggeri baci da sotto l’orecchio fino alla spalla lo fecero rabbrividire, mentre il capitano sogghignava soddisfatto.
Misaki sorrise, scuotendo le spalle, ma quando vide la mano del compagno tentare di trafugare un toast la colpì con il mestolo.
“Queste tecniche scorrette di seduzione per rubare del cibo non funzionano.”
“Ahi!” esclamò il numero dieci, facendo un balzo indietro e portandosi due dita alla bocca.
Frizzavano, cavolo!
Quando Taro si voltò trovò uno Tsubasa imbronciato, come un bambino di due anni, intento a succhiarsi le dita.
“È scorretto anche essere così sensuali succhiandosi le dita” lo apostrofò, minacciandolo con il cucchiaio di legno.
Ozora arrossì dalla punta dei piedi a quella dei capelli, e nascondendo un sorriso vicino alla propria spalla lo spinse via superandolo. Taro lo bloccò, rubandogli un bacio a fior di labbra e indicando con un gesto della testa il tavolo lo invitò: “Apparecchia ché tra poco è pronto.”
Il capitano obbedì e poi si sedette in attesa del compagno. Una volta preparata la tavola, anche Taro si rilassò sulla sedia, addentando un toast.
Tsubasa osservò la quantità di pietanze con cui era imbandita la succulenta colazione, poi iniziò a ridacchiare: “Cos’è, una tattica per non farmi fare la rovesciata stasera?”
“Credi davvero che ti permetterei di arrivare a tanto, Ozora?” indagò il numero undici, sollevando un sopracciglio; intanto la marmellata abbondava sulla fetta dorata dal fuoco.
“Sai che ho le mie risorse.” Il tono di sfida non cadde nel vuoto, mentre afferrava l’appetitosa omelette dalla padella. A fianco la zuppa di miso era in attesa di essere divorata.
“Risorse che conosco alla perfezione, capitano.”
“Mh, ti sfido: stasera ho intenzione di fare un goal di rovesciata, prova a fermarmi, se ci riesci.”
 
E c’era riuscito, la discesa in campo dei due campioni aveva fatto tremare lo stadio. Quando più volte il numero dieci era stato fermato dal compagno le ovazioni si erano sprecate.
Tsubasa era felice, la sua gioia nel trovare qualcuno che potesse tenergli testa, e che conoscesse tutte le sue mosse e più impensabili trucchetti lo aveva caricato al massimo, regalando al pubblico perle incredibili. La partita era finita con uno zero a zero meritato da entrambe le parti, ma essendo la finale di Champions il risultato era inaccettabile così vennero giocati anche i tempi supplementari e successivamente i calci di rigore.
Il Barcellona vinse con un goal di scarto, aggiudicandosi la coppa.
Allo scambio di saluti, Tsubasa attirò a sé il compagno abbracciandolo con fare consolatorio. Nessuno avrebbe mai sospettato alcunché. Anzi, avrebbero intitolato i giornali a caratteri cubitali sulla grande sportività dei due connazionali.
 
 
E la ragione gli brillò negli occhi quando trovò Taro al tavolo intento a sorseggiare un caffè mentre leggeva il giornale, soddisfatto. Lui era uscito con la squadra a festeggiare; se non avesse partecipato ai festeggiamenti si sarebbero sicuramente insospettiti.
Misaki aveva deciso di aspettarlo a casa, ma si era addormentato prima del suo rientro e non lo aveva sentito. Solo quando la mattina si era svegliato, aveva trovato Tsubasa con sorriso sulle labbra, beatamente addormentato.
Sicuro che stesse rivivendo lo splendido goal, che aveva decretato la fine dell’incontro, si arrese, con uno sbuffo, e si alzò. Ozora aveva battuto un rigore da manuale, imprendibile al sette. Il portiere nulla aveva potuto.
Quindi, ancora di pessimo umore per la sconfitta, era uscito a prendere il giornale e a comprare due brioches. Aveva fatto il giro di tre isolati prima di rientrare, accertandosi di non avere molesti inseguitori.
Poi si era seduto al tavolo e, sorseggiando il caffè, aveva letto il titolo a caratteri cubitali.
 
IL CAPITANO OZORA SEMPRE AL FIANCO DEL COMPAGNO AVVERSARIO
Nonostante da anni giochino in squadre avversarie, la grande affinità della Golden Combi non ci stupisce. Nelle foto Tsubasa Ozora del Barcellona che consola il compagno di nazionale, Taro Misaki, del Paris Saint Germain.
Un’amicizia che supera le barriere della rivalità.
Tutti dovremmo prendere esempio da questo grande gesto di sportività... (segue)
 
 
Sgranò gli occhi quando un susseguirsi di immagini a scatti ravvicinati mostrarono lui, con la testa nell’incavo del collo di Tsubasa, in lacrime per la sconfitta e Ozora che con il palmo pieno della mano gli stava massaggiando le spalle con fare consolatorio.
Ma gli occhi gli uscirono dalle orbite e il caffè fu ingoiato forzatamente quando una foto li ritrasse ancora una volta in fallo. Come era accaduto per la foto scattata da Daibu in Grecia. Possibile che non si rendessero conto degli sguardi che spesso si scambiavano inconsapevolmente?
“Sembra che tu abbia appena visto un fantasma” constatò, tra uno sbadiglio e l’altro, il capitano mentre si avvicinava stancamente al compagno.
Taro sollevò lo sguardo, osservandolo ciondolare fino a lui.
“Bagordi stanotte, eh?!” ironizzò il numero undici.
“Potevi venire anche tu.”
“Sì, certo. Così la giornalata sarebbe stata ancora peggiore: Misaki tradisce il Paris Saint Germain e festeggia con il Barcellona. Ottimo davvero! Che poi – aggiunse voltando il giornale verso il compagno affinché vedesse l’articolo – forse era meglio di queste foto.”
In un primo momento il capitano sorrise per il titolo, ma quando vide le foto borbottò imprecazioni sottovoce per poi ammettere: “Io non mi rendo neppure conto di guardati così… così…”
“Con amore?” chiese dolcemente Taro, mentre lo scrutava dal basso. Tsubasa era in piedi, con i palmi sul pianale e le braccia tese a sostenere il corpo. Arrossì come una scolaretta colta a guardare il ragazzo prefissato.
“Piantala – lo redarguì, spingendolo per una spalla – siamo due pessimi attori.”
Taro l’osservò passarsi le mani nei capelli, ogni volta che era preoccupato compiva quel gesto. Gesto che lui adorava, come adorava vederlo arrossire o in imbarazzo.
“Pessimi attori innamorati. Bene, non scordarti che dobbiamo andare e vedere i gemelli.”
“Cavolo!” esclamò il capitano mentre in fretta e furia raggiungeva la camera per cambiarsi.
Aveva già scordato che Sanae avrebbe portato i gemelli alla partita, ma che a riprenderli doveva andarci lui. Fortuna che Taro era sempre attento a ogni tipo d’impegno; sostenendo che le mogli non andavano fatte arrabbiare, e doveva ringraziare soltanto lui se spesso gli aveva salvato delle litigate cosmiche con Sanae.
 
 
In fretta e furia arrivarono al campo giusto in tempo per il fischio d’inizio. I gemelli giocavano nelle giovanili del Barcellona, fin da piccoli, distinguendosi subito per il medesimo talento del padre.
“Oggi dovrebbero provare per la prima volta il tiro combinato.” Chiarì subito Tsubasa mentre osservava attentamente il gioco.
“Speriamo che il dottore sia già pronto con ago e filo per ricucire un eventuale polpaccio…”
“Ah-ah simpatico!” lo punzecchio il capitano, toccandogli il fianco con il gomito.
Per loro stare vicini e compiere certi gesti, veniva naturale. Come lo sfiorarsi o l’osservarsi di sfuggita. Taro gli cinse le spalle, attirandolo a sé, poi con la mano gli scompigliò i capelli.
“Io non ho nessun punto di sutura nei polpacci a causa tua.” Sentenziò Misaki, liberandolo dalla presa. Ozora rise ravviando i capelli, poi con fare complice si avvicinò all’amante e, cingendogli con un braccio momentaneamente la vita, sussurrò all’orecchio: “I miei figli sono gemelli mica amanti.”
Misaki con la mano coprì la risata che, fresca e divertita, uscì dalla bocca, erano pur sempre in pubblico, dopotutto. Si guardò un attimo in giro prima di spingerlo via, mimando uno Scemo a fior di labbra.
“Eh, di Golden Combi ce n’è una sola – sentenziò il capitano prima d’invitare, con un gesto della testa, il compagno a seguirlo – andiamo a vedere da vicino questi fenomeni.” Ironizzò, imboccando la porta che li avrebbe condotti sul campo. Inconsapevoli di essere osservati dagli altri genitori presenti.
 
Una delle mamme lì vicino toccò il braccio dell’amica e, una volta attirata la sua attenzione, con un gesto della testa la invitò a guardare nella direzione indicata.
“Hai visto la Golden Combi?”
L’altra annuì silenziosamente.
“Si vocifera che anche Ozora e la moglie facciano i separati in casa.”
“Davvero? Sapevo solo di Misaki che aveva chiesto la separazione.”
“No, no! Pare che la crisi sia arrivata anche per il fantasista, si vocifera anche altro in realtà.”
“Tipo?” domandò curiosa l’altra, disinteressandosi dei figli in campo.
“Guarda qua…” l’amica tirò fuori il giornale, mostrando le foto.
L’altra per tutta risposta storse la bocca, capendo immediatamente a cosa alludeva la donna.
“Che bella coppia che sono.” Concluse alla fine soddisfatta.
“Se lo dici tu.” Rispose poco convinta l’amica.
“Sono argomenti difficili, figuriamoci a certi livelli. Sono certa che sentiremo parlare ancora di loro in futuro e non solo per il calcio.” La donna chiuse l’argomento, non aveva assolutamente intenzione d’iniziare un battibecco inutile con la sua amica; le voleva bene, ma conosceva anche certi suoi pensieri e limiti.
 
 
La partita era finita con la vittoria del Barcellona A, squadra dove militavano i due campioncini in erba e dove, per la prima volta, i gemelli erano finalmente riusciti a fare il tiro incrociato, degno della Golden Combi.
All'esterno degli spogliatoi, i genitori erano in attesa dei propri figli. La donna del giornale notò ancora la coppia di uomini intenta a parlare con l’allenatore. Pochi istanti dopo i piccoli giocatori iniziarono a fluire fuori.
La donna sorrise in un modo tenero e complice a quella coppia appena scoperta. Perché per quanto sembrassero due semplici amici o compagni di squadra, il loro sfiorarsi continuo, il loro cercarsi con lo sguardo, l’inclinazione delle labbra, della testa quando si rivolgevano la parola, parlava un'altra lingua.

Una lingua a lei conosciuta.
Una lingua di complicità viscerale.
Una lingua di tensione erotica e legame profondo.


Chiunque avrebbe voluto parlare e assaporare la loro stessa lingua, che altro non era che quella dell’amore.

I gemelli Ozora si precipitarono dalla Golden Combi, iniziando un racconto concitato di quanto accaduto in campo. Misaki scompigliò la testa di uno dei due, ascoltando interessato e divertito.
Tsubasa invece mimava con le mani ipotetici consigli sull’azione svoltasi. Gli adulti tolsero i borsoni ai giovani, alleggerendone le spalle.
I quattro imboccarono l’uscita, tenendosi per mano, i bambini al centro e i due uomini a lato, come una famiglia, quale evidentemente erano.
La donna invidiò per un istante quella affinità che aveva riscontrato in poche coppie.

Già, coppie.

Come lo era lo Golden Combi ai suoi occhi e che, forse in futuro, lo sarebbe stata anche di fronte a tutto il mondo.




 
Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime
prima ancora che i corpi si vedano.
Paulo Coelho
 


 
FINE





Angoletto dell'autrice
Che dire: GRAZIE.
Grazie a chi ha lasciato una reccina, uno sclero, un messaggio.
Grazie ai lettori silenziosi a quelli casinisti e chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate.
Non mi aspettavo un seguito così per una storia yaoi.
Che dirvi se non... il sequel è in produzione, e nonostante la trama generale sia già tracciata, i capitoli si stanno moltiplicando come i pani e pesci.
Insomma, come sempre quando si scrive.
Grazie alle mie due betuzze Guiky e Melanto per sopportarmi e supportarmi con i miei dubbi. Grazie anche a Onlyhope perché, nonostante si sia tappata gli occhi, mi ha dato degli ottimi suggerimenti su Sanae e Tsubasa, (insomma certe cose vanno chieste a mamma , e lei è la mamma dei coniugi Ozora).
Un grazie speciale a Ciotolina che con i suoi magnifici disegni ha reso questa storia una piccola bomboniera.
Sono STUPENDI.
A presto con il sequel. (spero: se non ci smadonnerò troppo :-) )
Sanae77
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Sanae77