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Autore: AThousandSuns    06/09/2018    1 recensioni
One shot Sam/Bucky. Crime!AU
★ Iniziativa: Questa storia partecipa al “Back to Office” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 3328
★ Prompt/Traccia: A accompagna sempre in macchina B al lavoro. B per ricambiare, gli prepara ogni giorno il pranzo. Fra una chiacchiera e un portapranzo, i due cominciano a capire che oltre al rapporto professionale c’è di più.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Sam Wilson/Falcon
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Ma guarda un po’ chi ha deciso di farsi vedere oggi.»

Bucky gli scrocca un’occhiata torva prima di afflosciarsi sulla sua sedia e si prende qualche momento per riordinare le idee. La scrivania di Sam, di fronte a lui, è immacolata; non può far a meno di gettare un’occhiata alla confusione che regna sulla sua. Se dovesse smarrire un documento importante Steve gli farà il culo a strisce e immagina già Wilson sghignazzare sotto i baffi alla scena.

«La metro ha fatto di nuovo ritardo, uh?» Sam continua e per una volta mette da parte ogni provocazione, ma il tono rimane casuale.

«Troppo affollata per i miei gusti» bofonchia l’altro. Fino a quando non avrà bevuto un bel caffè amaro non sarà in vena di conversare.

Il suo partner questo lo sa, eppure continua a parlare e Bucky si chiede se lo faccia tanto per far passare il tempo o se gli piaccia irritarlo allo stremo. Conoscendolo, la seconda opzione è assai più probabile.

La centrale già brulica di personale e civili con le loro chiacchiere e le lamentele; Bucky si volta verso le scrivanie vuote dei detective Barton e Romanoff, è probabile che siano stati chiamati per un caso. L’ufficio di Steve ha la porta chiusa: forse è fuori anche lui. No, si sbaglia. La porta si apre e ne esce uno Stark dall’espressione sorniona. Negli ultimi tempi gli Affari Interni se ne stanno con il fiato sul collo di Rogers e dubita che la cosa renda felice il Capitano. Che abbiano qualche problema con la sua gestione del Distretto? Il mondo di Bucky sta finalmente riacquistando una parvenza di normalità dopo la guerra, non vuole davvero affrontare l’ennesimo sconvolgimento.

«Hai mai pensato di sfilarti la protesi e usarla per scacciare le persone? Io lo farei.» Sam mira al suo punto più debole e ridacchia, ma non di lui. Con lui. Non ha paura di tirare in ballo l’argomento come gli altri colleghi: è un tentativo di sollevargli l’umore e Bucky deve ammettere che sta funzionando mentre immagina l’assurdità della scena.

Tutti in centrale lo trattano come fosse fatto di cristallo: si muovono in punta di piedi intorno a lui, bisbigliano tra loro e lo guardano sottecchi quando credono che non se ne accorga. Però se ne accorge eccome ed è stufo di quelle premure non richieste: desidera solo essere trattato come tutti gli altri. Desidera essere considerato al pari degli altri detective ma quando le persone lo guardano riescono a vedere solo il suo handicap, solo quella dannata protesi al braccio.

E poi c’è Steve. L’uomo che ora è a capo di un intero Distretto di polizia, l’uomo che rivuole indietro il suo migliore amico. Ma Bucky non è più il ragazzino che si è arruolato nell’esercito per inseguire un sogno e non è più il soldato che ha eseguito ciecamente ogni ordine. Bucky non ha idea di chi sia diventato, ma è certo che non tornerà a essere l’uomo che era prima della guerra, prima dell’imboscata che gli ha portato via il braccio. Non è facile sostenere lo sguardo speranzoso di Steve e deludere le sue aspettative giorno dopo giorno, ma Bucky non può tornare indietro, neanche se lo volesse. E forse non vuole, non vuole perché sta cominciando ad accettare la sua inaspettata situazione e tutti i cambiamenti che porta nella sua vita.

Forse sta conquistando una sorta di pace nel suo cuore ed è anche merito di Sam. Il suo partner scherza spesso riguardo alla sua protesi ma mai alle sue spalle e mai nell’intento di schernirlo; quand’è in difficoltà si rifiuta di aiutarlo e lascia che se la sbrighi da solo; non lo guarda di sottecchi, ma dritto negli occhi.

Per tutte queste ragioni, Bucky si sforza di comportarsi in maniera civile anche senza aver bevuto il suo caffè.

«La prossima volta lo farò.»

Riordina le scartoffie sparpagliate sulla sua scrivania e aspetta invano una replica. Riceve solo silenzio e per un attimo si lascia distrarre dal lavoro; hanno due casi in sospeso e ci sono dei documenti da protocollare, firme da apporre e un interrogatorio da validare. Il tutto slitterà se saranno chiamati per un’emergenza, e in quel quartiere le emergenze non mancano. Si passa la mano buona tra i capelli e si rassegna ad una lunga giornata.

Sam rimane taciturno per qualche minuto: non è da lui. Gli risponde solo quando il collega alza lo sguardo: «Abiti ancora a Murray Hill?» gli chiede.

«Sì.» Bucky aggrotta la fronte. «Perché?»

Sam zucchera il suo caffè prima di berne un sorso. «Ci passo per venire qui: potrei accompagnarti.»

La sua voce è gentile ma ferma, una semplice offerta.

Il primo, istintivo pensiero di Bucky è di rifiutare la proposta: odia dover chiedere aiuto e odia non poter più guidare con quella protesi. Ma odia anche la metro affollata e quel suo tanfo di sudore e orina al mattino. E alla sera. Non lo sopporta più: non è impazzito per aver perso un braccio, ma rischia di diventar matto se continuerà a prendere i mezzi pubblici.

La verità è che l’offerta non gli spiace, anche se si sforza di nasconderlo, però non può accettare.

«Sei gentile, ma non ne ho bisogno.»

Sam appoggia la schiena contro la propria sedia. «Oh, non lo faccio per gentilezza.»

D’accordo, ora è confuso. «Cosa intendi?»

«Siamo partner: se arrivi in ritardo, o assonnato, o irritato, rallenti anche il mio lavoro. E poi quando siamo di ronda ti scarrozzo in ogni caso, ormai ci ho fatto il callo» gli dice prima di lanciare il bicchiere vuoto nel cestino, che fa centro.

È sempre stato così Sam: gli sbatte in faccia la verità senza addolcire la pillola e non si preoccupa di offenderlo perché sa quanto sia improbabile che accada. In più, riesce quasi sempre ad avere l’ultima parola nelle discussioni e la cosa fa imbestialire Bucky. Solo dopo aver lavorato insieme per settimane ha scoperto che Sam nel tempo libero fa volontariato agli Affari dei Veterani: è abituato a gestire gli ex soldati burberi e scontrosi; probabilmente è per questo che Steve li ha resi partner. Bucky sa che non riuscirà ad avere la meglio oggi.

«Non mollerai l’osso tanto facilmente, vero?»

Sam allarga le braccia. «Dico solo che è stupido usare la metro quando io faccio quasi la stessa strada. Ma ehi, se guido davvero così male…»

«Falla finita, Wilson» borbotta mentre alza gli occhi al cielo.

«È un sì quello?»

Bucky sospira e si alza con l’intenzione di prendersi un caffè al distributore. «Vuoi proprio sentirmelo dire?»

«Passo alle otto in punto domattina, non fare tardi» chiarisce puntandogli contro l’indice. «Mi porti un caffè?» grida alle spalle di Bucky che alza il dito medio senza voltarsi. Immagina il ghigno di Sam mentre dice: «Non dimenticare lo zucchero!»

 

Bucky lascia il contenitore di plastica sulla scrivania del partner prima di accomodarsi sulla propria sedia. La centrale si è mezza svuotata per pranzo e finalmente regna una parvenza di pace in ufficio. Clint ha gli occhi chiusi e la testa reclinata contro la propria sedia, ma Bucky dubita che stia dormendo davvero: si sta solo godendo il silenzio che lo circonda quando non indossa l’apparecchio acustico, abbandonato sulla scrivania. Non ha idea di dove sia Natasha ma non se ne preoccupa, quella donna è perfettamente capace di badare a sé stessa. Lucky, accucciato sotto la scrivania del padrone, lo guarda con la lingua penzoloni.

«E questo cos’è?» chiede Sam perplesso quando distoglie lo sguardo dal suo pc.

«Il tuo pranzo.»

Il collega lo squadra con occhi sorpresi e una piccola ruga si forma sulla sua fronte.

«Mi hai preparato il pranzo?»

Bucky non risponde subito: si prende del tempo per fare un po’ di spazio sulla propria scrivania e tirar fuori dal cassetto un portapranzo simile a quello che ha appena consegnato a Sam.

Decide di non dargli una risposta diretta. «Se ti vedo di nuovo con un panino di Subway mi si tapperà un’arteria» Alza gli occhi su di lui prima di continuare: «Stai forse cercando di farti venire un infarto prima dei cinquant’anni? Complimenti, sei sulla buona strada.»

L’altro abbassa lo sguardo e si accarezza l’addome. «Faccio jogging ogni mattina e smaltisco tutto il grasso.»

«Non funziona proprio così» gli fa notare, ma Sam preferisce ignorarlo.

«Lo vedi anche tu che sono in ottima forma.»

Quella frase lo coglie di sorpresa, o meglio, è il tono di Sam a spiazzarlo. C’è una nota nella sua voce che Bucky ha avuto occasione di sentire poche volte, ad esempio quando parla con la ragazza carina dell’archivio. No, quando flirta con la ragazza carina dell’archivio.

Ma cosa va a pensare? Quello è il suo partner. E sta aspettando una risposta. «Non significa che i tuoi trigliceridi siano messi bene.»

Sam l’osserva recuperare una forchetta e un tovagliolo di carta. «Potrei sottopormi agli esami del sangue solo per smentirti, peccato che io non li faccia mai.»

Bucky lo guarda sconcertato da quelle parole. «Lo sai che questo non migliora affatto la tua posizione, vero?»

«Disse Mister “mi fumo una sigaretta quando penso che nessuno mi veda”.»

Vorrebbe chiedergli come fa a saperlo, credeva di essere stato attento a non farsi beccare: evita di fumare quand’è alla centrale, ma se proprio non riesce a farne a meno si rintana in bagno o sulla scala antincendio. D’altra parte è circondato da detective e agenti di polizia, davvero s’illudeva di farla franca? È probabile che non l’abbia nemmeno visto e che l’abbia dedotto dal lieve odore di fumo che Bucky non riesce a scrollare dai propri vestiti, dopotutto negli ultimi giorni passano molto tempo rinchiusi in un’auto, nel bene e nel male.

Il fatto è che non vuole dargliela vinta, in più le abitudini alimentari di Sam lo spaventano sul serio: l’ha visto fare colazione più di una volta con pancake salati, uova e pancetta. Ha i brividi solo a ripensarci, deve fare qualcosa e sa esattamente come farlo cadere in trappola.

«Facciamo una scommessa: vediamo chi resiste più tempo, tu senza i panini di Subway o io senza sigarette.»

Gli basta uno sguardo al viso del collega per capire che ce l’ha in pugno.

«Sai che ti dico, Barnes? Ci sto. Dato che ormai mi hai portato il pranzo, direi di iniziare da oggi.»

«Perfetto» replica senza esitare.

Sam fa una pausa e Bucky quasi teme che voglia rimangiarsi la parola ora che sta riflettendo meglio sulle implicazioni di quella scommessa. Invece l’uomo gli rivolge un sorriso sornione, dev’essere convinto che vincerà.

«Vuoi fumarti un’ultima sigaretta? Te la concedo.»

Bucky si ritrova a fumare solo quando è molto stressato ed è sicuro di poter tenere sotto controllo il proprio vizio più di Sam con la sua ossessione per panini decisamente poco salutari.

«Sto benissimo» risponde Bucky mentre comincia a mangiare.

Vedendolo, Sam deve ricordarsi che anche lui ha il proprio pranzo; dalla scrivania di fronte gli lancia un ultimo sguardo diffidente prima di aprire il contenitore. Bucky nasconde il proprio sorriso dietro la forchetta.

«Ho quasi paura di sapere cos’è questa roba.»

Sam osserva il suo pranzo con un’espressione che palesa disgusto misto a dubbio.

Bucky non si lascia sfugire quell’occasione per provocarlo. «Si chiamano verdure, Wilson. Sai, quella cosa verde nel tuo panino che scansi sempre.»

«Divertente» ribatte il partner con voce piatta. «E questo?» chiede mostrandogli la forchetta.

«Farro: è più proteico e leggero del riso. E dei panini Subway.»

Sam pare quasi offeso da quell’affermazione e Bucky deve fare del suo meglio per trattenere una risata. Più passano i secondi più è sicuro che vincerà quella scommessa, deve solo assicurarsi che Sam non trovi il modo di barare.

«Ma sei serio?» gli chiede l’altro costernato.

Bucky mastica lentamente il proprio pranzo: non è mai stato schizzinoso in fatto di cibo e dopo aver mangiato le razioni di cibo liofilizzato dell’esercito ci sono davvero poche cose che giudica non commestibili.

«Assaggia prima di criticare.»

Osserva Sam portarsi la forchetta alla bocca, incerto, per poi masticare a occhi chiusi. A questo punto non gli importa delle critiche, non s’immaginava che la questione avrebbe preso una piega così divertente: la faccia di Sam è impagabile.

L’uomo deglutisce a fatica e prende un sorso d’acqua. «Va bene, non è la cosa peggiore che io abbia mai mangiato… ma ci si avvicina.»

Bucky alza gli occhi al cielo. «Pensavo mi avresti ringraziato per il pensiero.»

L’altro allarga le braccia come a scusarsi. «Dico sul serio: non ha sapore!»

«Per forza, sei abituato al sale e ai grassi.»

Una risata amara sfugge dalle labbra di Sam. «E chiaramente qui dentro mancano entrambi.»

Bucky si aspettava quella reazione perciò non ne è sorpreso e gli punta contro l’indice. «Sto facendo un favore al tuo cuore, tienilo a mente.» Ripone il suo portapranzo vuoto nel cassetto della scrivania e reclina il busto contro la sedia. «E poi ora c’è una scommessa in ballo, vuoi per caso tirarti fuori?»

Sam esita, è probabile che stia considerando quella possibilità, ma poi rinuncia. «No.» Si fa coraggio e mangia un altro boccone. «È come mangiare segatura, ma è carino che ti preoccupi del mio cuore.»

Eccolo di nuovo, quel tono. Bucky non vorrebbe davvero farsi idee strane, ma come può riuscirci se Sam parla con quella voce e lo guarda in quel modo. Si scrolla di dosso quelle assurde paranoie e l’insolita sensazione che si è impadronita del suo petto.

«Non voglio che tu abbia un infarto mentre mi scarrozzi in giro.» Riesce perfino a farlo ridacchiare, così prosegue: «Dai, domani ci metto un po’ di formaggio.»

Il suo partner lo guarda con una flebile speranza negli occhi scuri. «Cheddar?»

Bucky fa del suo meglio per trattenere una risata ma fallisce miseramente. «Spalmabile. Magro.»

«Ti odio.»

 

Sono appostati in auto da almeno due ore in attesa di veder riapparire il teppistello che stanno pedinando per un’indagine antidroga; il sospettato è un pesce piccolo della malavita locale, ma se lo prendono con le mani nel sacco ci sono buone probabilità che parli pur di evitare la galera. Sam riconosce subito i deboli che fanno la spia e l’idiota che stanno braccando è uno di quelli, potrebbe scommetterci il distintivo.

In auto, la radio è spenta e l’unica cosa che disturba il silenzio è il ticchettio lieve della pioggerella che cade, ma a Sam va bene così.

«Oggi sei piuttosto silenzioso. Il pranzo era davvero così pessimo?»

Il suo partner prova di nuovo a iniziare una conversazione ma Sam quel giorno non ha davvero voglia di starsene a parlare.

«A quello mi sono abituato» replica piatto e spera che il suo tono basti a zittire l’altro.

Forse quello non è un comportamento corretto, o maturo, ma Sam non riesce a impedirselo. Non è arrabbiato, piuttosto… infastidito, anche se non vuole ammetterne la ragione.

«D’accordo, vado dritto al punto: ho fatto qualcosa?»

Sam non riesce a guardarlo in viso quindi mantiene lo sguardo fisso davanti a sé. «No.»

«Perché sembra di sì» insiste l’altro.

Sa che Bucky non si darà per vinto finché non avrà scoperto la verità, perciò Sam può solo rassicurarlo sperando che basti. «Non ce l’ho con te.»

Infatti il collega non molla la presa. «E con chi ce l’hai allora?» Di fronte al suo silenzio, continua imperterrito: «Quando abbiamo iniziato il turno non avevi il broncio, perciò dev’essere successo qualcosa in centrale prima che uscissimo. Ha qualcosa a che fare con Rumlow per caso? So che non hai una buona opinione di lui.»

Gli sfugge una risata sarcastica. «Perché, c’è qualcuno che ha una buona opinione di lui? A parte te.»

«Che differenza fa cosa penso di lui?»

Sam osserva la confusione dipinta sul volto di Bucky e il senso di colpa comincia a montare dentro di sé. «Non capisco come faccia a piacerti quel lecchino, tutto qui.»

«Ma chi l’ha detto che mi piace?» Ora è Bucky quello infastidito. «Non lo sopporto, come tutto il resto del Distretto. Diamine, nemmeno i suoi colleghi di unità ai Crimini Maggiori lo sopportano.»

Sam si volta appena verso di lui posando il gomito sul volante. «E allora che ci faceva appoggiato alla tua scrivania stamattina? Se ne va in giro come fosse un eroe e non mi pare ti abbia dato fastidio.»

«Si chiama essere civili.» Bucky sospira e quando torna a parlare il suo tono non è affatto più pacato. «Ma lo sai che il commissario Pierce gli copre le spalle? Vorrei prenderlo a pugni tanto quanto te, ma li so scegliere i nemici. Se dovesse lamentarsi di me quanto tempo credi ci metterebbe a farmi togliere il distintivo? Con un braccio solo ho dovuto faticare il triplo rispetto agli altri per guadagnarmi il grado di detective e se per tenermi il lavoro devo occasionalmente intrattenere una conversazione con quel verme allora lo farò. Ecco quanto amo il mio lavoro.»

Quello è un aspetto che Sam non aveva affatto considerato; non ha idea di ciò che Bucky ha sacrificato per essere al suo fianco in quella auto. «Sono un idiota, scusa.»

Il suo partner gli parla dopo una piccola pausa. «Posso sapere perché ti ha dato tanto fastidio?»

Sam sospira e capisce che uscirà da quella situazione solo con la verità: non ce la fa più a mentire a sé stesso, a Bucky. Sente più che mai il bisogno di dire quelle tre parole, anche se è conscio che cambieranno tutto. «Perché mi piaci.»

Bucky apre la bocca ma non esce alcun suono, poi la richiude e aggrotta le sopracciglia. «Io?»

«Sì, tu. Certo che sei lento per essere un detective.» Sospira e poggia la testa sul sedile passandosi una mano sul volto. «Possiamo fingere che io non abbia proferito parola? Siamo partner, non voglio che la cosa si ripercuota a livello professionale: lavoriamo bene insieme, no?»

Bucky non si muove. «Onestamente, non riesco a capire come.»

«Come?» gli chiede confuso.

L’altro alza le spalle. «Come faccio a piacerti.»

Lo sta prendendo in giro? «Non dici sul serio.»

«Oh, sì. Cioè, guardami.»

Per un istante è tentato di picchiarlo ma si trattiene. «Cosa dovrei guardare? Gli occhi azzurri, o la mascella squadrata?»

Bucky alza gli occhi al cielo come fa sempre. «Non so, magari questa» dice indicando il braccio sinistro.

Sam non riesce a credere a quelle parole: è questo che Bucky pensa? Che la sua protesi abbia qualche importanza, una qualche rilevanza nell’attrazione che Sam sente?

«Come puoi pretendere che le persone non notino la tua protesi se è la prima cosa di te stesso a cui tu pensi?»

Bucky rimane interdetto per qualche momento, sembra che non sappia cosa dire e Sam considera quell’esitazione come una piccola vittoria, ma dura poco.

«È una parte piuttosto importante di me» ribatte.

«Ma non ti definisce come persona, o perlomeno non dovrebbe.»

Bucky stringe le labbra e distoglie lo sguardo dal suo viso, fissando i rivoli di pioggia che si rincorrono veloci sul parabrezza.

Avrebbe dovuto star zitto: ha rovinato tutto. Come possono lavorare insieme ora? Ma cosa gli è passato per la testa?

«Anche tu mi piaci» sussurra Bucky e a Sam si mozza il respiro perché l’eventualità che lo ricambiasse non gli ha nemmeno sfiorato il cervello e non sa davvero cosa dire.

«Sembriamo due adolescenti.»

Bucky ridacchia. «Sei geloso di Rumlow. Ti rendi conto?»

«Continuerai a ricordarmelo per l’eternità, non è vero?»

«Però è carino che tu sia geloso.»

Sam si avvicina un po’ di più la partner. «Sai cos’altro fanno gli adolescenti soli in auto?»

Gli occhi di Bucky si spostano per un istante sulle sue labbra. «Ho una mezza idea…» Poi il suo sguardo oltrepassa Sam e guarda la strada di fronte a lui. «Ma temo che dovremo rimandare: il nostro uomo è appena uscito.»

Sam si volta ed emette un gemito simile a un grugnito. «Che tempismo.» Il motore dell’auto si avvia con un rombo soffocato dallo scrosciare della pioggia, ora più forte.

Bucky gli tocca una spalla per reclamare la sua attenzione. «Ne riparliamo stasera a cena?»

«Basta che non ci sia del farro.»

 

   
 
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