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Autore: AdhoMu    06/09/2018    5 recensioni
["Aussie" Spinnet / Bastian Macnair (OC)]
Alicia sgattaiola giù dalla Torre del Grifondoro per passare la notte col fidanzato.
Nella stanza di un pozionista, però, si può trovare di tutto: anche un intruglio che ti trasporta nella mente di colui che lo ha preparato.
*
Aussie/Basteen/AusscottieVerse
*
CarrollVerse
*
Bonus Track de "L'Assistente di Pozioni", credo incomprensibile senza la previa lettura di questa.
Genere: Commedia, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alicia Spinnet, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto, II guerra magica/Libri 5-7
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Alicia in (Mac)WonderNair.

Toc toc.
Il giovane alto e nerovestito si diresse verso la porta. Afferrata la maniglia la ruotò, aprì uno spiraglio e guardò fuori. La lama di luce proveniente dalla stanza fendette il corridoio buio e s'infranse nel nulla.
Il giovane spostò gli occhi chiari verso un punto più o meno davanti a lui, un pochino più in basso rispetto al suo viso e, senza alcuna logica apparente (visto che nel corridoio non c'era nessuno), bisbigliò:
- Ciao.
Lo spiraglio fu ampliato e qualcosa passò davanti a lui, pestandogli il piede destro (Salazar Porco, aveva appena lucidato le scarpe!) e introducendosi (non troppo) furtivamente nella stanza.
Saltellando su un piede solo e strempiando sottovoce, il ragazzo chiuse quindi la porta sulla quale, agitando appena la lucida bacchetta nera, appose un rapido incantesimo protettivo. Dopodiché, si girò lentamente verso il centro della stanza.
Davanti a lui, una ragazza bionda e bella come una spiga di grano aveva appena fatto capolino da sotto un mantello disilluso e lo guardava sorridendo.
Col calore di fine aprile e i conseguenti calzoncini corti, constatatò compiaciuto lui, quelle belle gambe abbronzate dal sole d'oltremare erano completamente visibili; una vera gioia per gli occhi, soprattutto alla luce dei piccoli graffi da rametto di saggina che gli riportavano alla mente l'immagine di lei a cavallo di una scopa - il che per lui, oh Salazar Furbetto, costituiva da sempre il più potente degli afrodisiaci.
Vera gioia per gli occhi, si diceva, ma chiaramente mai, mai quanto il fulgido manto di capelli dorati che le ricadevano sulle spalle come una cascata di oro fuso e nel quale lui affondò le punte delle dita una volta che l'ebbe raggiunta a passi lenti, intercalati da occhiate così intense da far potenzialmente arrossire lo zoccolo duro dei magimaniaci rinchiusi ad Azkaban.
- Benarrivata, mia bionda ed evanescente Aussie - soffiò dunque il giovane sulle labbra della ragazza, prima di chinarsi per carezzarle dolcemente con le sue.
- G'Nite, Basteen! - lo salutò lei, accostando la fronte alla sua; sentendolo rabbrividire al tocco morbido del suo respiro, tese la mano per giocherellare con i bottoni di madreperla della sua camicia perfettamente stirata.
Bastian si staccò da lei con un fin troppo evidente sforzo di volontà; poi, stringendo appena gli occhi chiari come l'acqua per osservarla meglio, le disse:
- Devo finire di correggere i (tremendi) temi della scorsa settimana.
- Di che classe?
- La tua. C'è gente che scrive utilizzando segni grafici indecifrabili, sai - rispose lui, guardandola con espressione eloquente. La grafia di Alicia Spinnet era una delle peggiori sulle quali gli fosse mai capitato di mettere occhio.
- Ma non li puoi correggere domani?
- Domani mi aspettano quelli del sesto anno - replicò lui, con un sospiro. Ovviamente moriva dalla voglia di piantare lì tutto e di saltarle (letteralmente) addosso. - Ma ho quasi finito, mi mancano solo la metà del tuo e quello di Warrington (al quale comunque, per principio, non do più di D). Dopodiché - aggiunse, facendo scivolare le braccia intorno alla sua vita sottile e stringendola con una vigorosa delicatezza carica di significati - sono tutto tuo. Promesso. Tu mettiti pure comoda, intanto - le disse, indicando il letto con un cenno del capo.
- Molto bene! - esclamò Alicia, ignorando bellamente l'invito. - Ti aspetto e, nel frattempo, ficco il naso. - (adorava curiosare fra le centinaia e centinaia di oggetti, quasi tutti bizzarri ed inutili, stipati fra quelle quattro pareti).
- Oh. Va... va bene - rispose lui, leggermente preoccupato all'idea dell'uragano-Spinnet all'opera fra le sue cose.
Scalciate via le scarpette rosse da Quidditch (ehi, era per caso fango, quello?!), la ragazza si mise quindi a gironzolare per la stanza, mentre Bastian sedeva alla scrivania per riprendere la lettura dei temi.
Negli alloggi di un pozionista si può veramente trovare di tutto, osservò Alicia, curiosa. Mentre li afferrava per osservarli da vicino, tentava di non spostare troppo gli oggetti dalla loro posizione originale perché sapeva quanto lui ci tenesse all'ordine maniacale con cui aveva disposto le sue cose. Ben presto, però, un libro raro della sezione Intingoli spuntò nel mezzo degli alambicchi di vetro di Murano, un mestolo di rame lucidissimo fu visto conficcato in un vaso di Pimpinella e una scarpetta rossa da Quidditch fece la sua comparsa, non si sa come, sulla ribaltina intarsiata, proprio accanto alla fotografia di una strega corpulenta e scarmigliata che puntava l'indice verso l'osservatore, e sotto alla quale c'era scritto: "Mi raccomando, mangia! Con amore, Sharon."
Alicia sbirciò Bastian di sottecchi. Immerso nella lettura, non si era accorto di nulla. Menomale. La ragazza stava per fare un altro rapido giro della stanza per poi andare a sedere sul letto quando un borbottio sommesso richiamò la sua attenzione. Alicia si avvicinò di soppiatto: nell'antibagno, un calderone di peltro lucente sobbolliva pigramente. Al suo interno, un liquido marrone e molto denso spandeva un irresistibile aroma di cioccolata calda.
"Oh, ma che tesoro" pensò lei, con un moto di tenerezza. "Sta già preparando la colazione per domattina..."
Ingolosita, Alicia estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloncini e ne trasfigurò la punta, trasformandola in un mestolino con il quale pescò una bella cucchiaiata di cioccolata dalla superficie del calderone.
Giusto mentre se lo stava infilando in bocca, le giunse la voce di Bastian che, dalla scrivania, l'avvertiva: - Non toccare la pozione, va bene Aussie? È ancora in fase sperimentale...
Troppo tardi.
Alicia aveva già inghiottito il contenuto del cucchiaio e il sapore del preparato, in effetti, non aveva proprio nulla a che vedere con quello del cioccolato. Aveva un retrogusto amaro, una parvenza di piccante e, al tempo stesso, un nonsoché di fungino. Una volta deglutito, lasciava in bocca un gusto estremamente... acido.
La ragazza barcollò per qualche secondo, in preda alla nausea.
"Oh, ma per Godric beone..."
Sbam.

Sbam.
Angelina Johnson fu svegliata dal rumore del coperchio del baule di Alicia che sbatteva e dalla voce della compagna che strillava:
- Oh, damn it! Il mio coniglio!
Un batuffolo bianco e vaporoso, che la ragazza avrebbe dovuto usare quella mattina a lezione di Incantesimi, si allontanò a balzelli veloci e guadagnò la porta del dormitorio femminile rincorso da Alicia che, ancora un po'assonnata, tentava invano di appellarlo.
Precipitatosi giù lungo i gradini scivolosi della scala a chiocciola, sempre tallonato da lei (infilata in quell'esigua camicetta da notte azzurra assolutamente impresentabile) che lo inseguiva intimandogli a gran voce e con gran profusione di slang australiano di fermarsi, il peloso roditore attraversò la Sala Comune del Grifondoro (ancora deserta) e si lanciò attraverso il Ritratto della Signora Grassa.
Raggiunto il buco che si apriva sulla parete, Alicia si fermò.
- Ed ora che faccio? - chiese ad Uluru, che aveva trascorso la notte stravaccato sui cuscini color oro e cremisi della Sala Comune. L'ornitorinco le strizzò l'occhio come a dirle: "Ma guarda come sei (s)vestita. Lascia perdere".
- Ma il professor Vitious si arrabbierà moltissimo... È già la seconda volta che deve rimandare questa lezione causa fughe di roditori - argomentò lei, un po' agitata.
Quindi, risoluta, si lanciò a sua volta attraverso il buco del ritratto.
- Devo assolutamente recuperarlo! - disse ad Uluru, senza preoccuparsi di guardare in avanti. - Questi conigli sono davvero causa di guai... aaah!
Con sua enorme sorpresa (e anche una buona dose di sgomento), invece di toccare il pianerottolo esterno, le sue mani annasparono nel vuoto. Incapace di fermarsi, la ragazza rimase in bilico per un nanosecondo sull'orlo del baratro, agitò le braccia e... precipitò.
Guardando in su, vide Uluru che la guardava dall'alto agitando una zampetta palmata.
- Addio, Uluru, addio!... Cadoooooo...

Alicia precipitava a tutta velocità attraverso la tromba delle scale della Torre del Grifondoro. La sensazione familiare dell'aria che le sferzava il viso, invece di rassicurarla, la terrorizzò. Dato che non era mai caduta da una scopa in vita sua, non aveva mai corso il richio di spiaccicarsi al suolo.
- Oh, per Godric. Se almeno avessi qui la mia Comet - gemette, sapendo che l'impatto con il duro pavimento di pietra non sarebbe stato per nulla piacevole. Tutt'intorno, i ritratti appesi alle pareti si sporgevano dalle loro cornici per vederla passare; alcuni, addirittura, accompagnarono la sua caduta con inquietanti urla di incitamento.
Tuttavia mentre, veloce come un meteorite, transitava davanti ad una finestra decorata da una graziosa vetrata, qualcosa frenò bruscamente la sua caduta.
- Levicorpus!
Una voce maschile dal timbro basso e graffiante aveva pronunciato la formula dell'Incantesimo di Levitazione e la camicia da notte azzurrina si era provvidenzialmente gonfiata come un paracadute.
La discesa procedeva ora con rassicurante lentezza; Alicia passò piano piano davanti al ritratto di un giovane mago attraente con una gorgiera bianca inamidata, che aveva seguito la sua traiettoria fissando le iridi celesti sotto l'orlo della sua gonna e che le disse:
- Biancheria intima ampiamente migliorabile, ma... sì, dai, tutto sommato soddisfacente, visto il contenuto.
- Ma che discorsi sono mai questi!? - ribattè Alicia, fra l'imbarazzato e lo scandalizzato, tirando giù l'orlo della camicia da notte.
L'effetto fu immediato: una volta venuto meno il paracadute, la ragazza venne nuovamente risucchiata nella voragine, in caduta libera nell'oscurità. E già si stava rassegnando a schiantarsi al suolo, quando i suoi piedi rimasero impigliati in un provvidenziale oggetto che frenò la sua apparentemente inarrestabile deriva.
Era un enorme anello metallico, di quelli solitamente posizionati alle estremità dei campi di Quidditch. Alicia sospirò sollevata; tirandosi su con la forza delle braccia, strinse le cosce intorno allo spessore dell'anello e scivolò verso il basso come un pompiere sul palo, raggiungendo finalmente il freddo pavimento.
Mentre scendeva avvinghiata al palo, Alicia ebbe la sensazione di percepire tutto intorno a sé una sorta di intimo compiacimento, un lampo di cupidigia che la percorse per intero come una scarica elettrica, da parte di qualcuno che si trovava lì vicino, ma che lei non riusciva a vedere.

Alicia avanzò sul pavimento, che era suddiviso in grandi piastrelloni bianchi e neri. A giudicare dalla caduta, doveva trovarsi diversi metri al di sotto del livello del Lago Nero e dei sotterranei del Castello, in un salone gigantesco il cui soffitto si perdeva in alto, nell'oscurità. Guardando bene nella penombra verdognola e tremolante che permeava l'ambiente, Alicia intravide pedoni, cavalli, torri, alfieri, re e regine: erano enormi Scacchi Magici addossati lungo le pareti. Seriamente intimorita la ragazza affrettò il passo, ma nessun pezzo si mosse né la minacciò.
In fondo al salone c'era una porticina verde con il batacchio d’argento a forma di serpente che si mosse non appena lei l’ebbe raggiunto.
- Ha visto per caso un coniglio bianco che passava di qui? – chiese Alicia al serpente.
- Oh, sì – rispose quello arrotolando le spire, puntandole addosso due occhi di ghiaccio.
- Mi farebbe passare, per piacere?
- Ma certo. La porta, però, è molto piccola. Devi chinarti ben bene e procedere carponi.
- Ma... ma la mia gonna è troppo corta, signor serpente. Mi si vedranno...
- Meglio così...
- Come dice?
- Oh, niente – il rettile tossicchiò, dandosi un tono. - Dicevo: allora dovrai berti un bel sorso di Pozione Reducto.
Alicia si guardò intorno, scoraggiata.
- E dove la trovo, qui, la Pozione Reducto?
- Sul tavolino, guarda tu stessa.
Alle spalle della ragazza si materializzò un massiccio tavolo da tè di legno scuro, dal severo disegno vittoriano. Su di esso era posata una tazza di porcellana bianca e verde ornata da filigrana d’argento; attaccato al manico, un bigliettino scritto con inchiostro nero e calligrafia impeccabile diceva: Pozione Reducto: Bevimi.
Senza pensarci due volte, Alicia si portò la tazza alle labbra e trangugiò il contenuto della tazza, che le lasciò sulla lingua un vago retrogusto di fuliggine. Nel giro di pochi secondi, si sentì formicolare le estremità... et voilá: eccola diventata piccola piccola, della misura esatta di una fatina irlandese.
Tutta soddisfatta, Alicia si avvicinò alla porta e tese la mano per afferrare la maniglia, ma la serpe-batacchio la fermò.
- Oh, che disdetta! – sibilò il rettile, non senza una certa indolenza. - La porta è chiusa a chiave!...
Alicia lo guardò costernata.
- Oh, no! E adesso?
- Devi recuperare la chiave. Guardala: è lassù che vola – le disse il serpente indicando con la punta della coda una scintillante chiave alata.
- Ma come faccio a prenderla? – gemette lei. – Mi ci vorrebbe una scopa...
- Oh, ma tu ce l’hai, la scopa. Solo che...
- ...che?
- ...temo che tu l’abbia lasciata appoggiata sul tavolo.
Guardando verso l’alto, Alicia si accorse che sul tavolo da tè si era materializzata una meravigliosa Firebolt Ocean di ultimo modello. La ragazza avrebbe potuto giurare che pochi minuti prima, quando aveva bevuto la pozione, la scopa non si trovava lassù.
- Accio Firebolt! - esclamò dunque, risoluta.
Non accadde nulla. Nello strano luogo in cui si trovava, evidentemente, gli Incantesimi d'Appello non funzionavano.
- E adesso come faccio a recuperare la scopa?
- Semplice - rispose il serpente - ci vuole un po'di Pozione Engorgio. Accanto ad Alicia comparve quindi un boccettino di cristallo trasparente, ricolmo di un bel liquido verde chiaro. Sull'etichetta, la stessa grafia elegante aveva scritto: Engorgio. Bere voluttuosamente.
La ragazza non stette a chiedersi cosa mai volesse dire, in quel contesto, l'avverbio "voluttuosamente". Afferrò l'ampollina e bevve il contenuto: lo bevve tutto, fino all'ultima goccia.
Improvvisamente, cominciò a crescere a dismisura: nel giro di pochi istanti le sue gambe si erano allungate a tal punto che la testa della ragazza sfiorava il soffitto. Con un gesto deciso, Alicia afferrò la chiave, la inserì nella toppa e fece per chinarsi.
- Oh, per Godric. Sono troppo grande, di nuovo!...
- Allora vorrà dire - sibilò il serpente, srotolandosi soddisfatto - che rimarrai per sempre qui con me!...
Sopraffatta dallo scoramento, la ragazza sedette sul pavimento e si mise a riflettere. Poco dopo però, illuminata da malsana intuizione, saltò in piedi e urlò:
- Aguamenti!
- Che cosa fai? - domandò l'argenteo batacchio, allarmato.
- Allago tutto - rispose allegramente lei, mentre l'acqua cominciava a sgorgare dal pavimento del salone. - Così potrò risalire lungo la Torre del Grifondoro a nuoto!
- Mi duole dirtelo, mia bionda e adorabile Aussie - osservò lui facendo schioccare la lingua biforcuta - ma il passaggio si è chiuso: ora affogheremo tutti e due!...
Alicia entrò in panico e si mise a correre qua e là, in cerca di un varco. Mentre si guardava intorno tutta scarmigliata, con la coda dell'occhio vide la tazza di porcellana che conteneva la Pozione Reducto: sul fondo ne rimanevano ancora alcune gocce che lei leccò disperatamente, davanti agli occhi forse un po' troppo interessati del serpente.
L'effetto non si fece attendere: la ragazza rimpicciolì di botto e cadde dentro la tazza, che cominciò a navigare come una piccola imbarcazione trascinata dalla corrente. Poco dopo Alicia, a bordo della sua barchetta smaltata, fu risucchiata nel buco della serratura e si ritrovò dall'altra perte, nel bel mezzo del Lago Nero.

Il moto ondoso era lento; la tazzina procedeva piano, sospinta da vibrazioni liquide ritmate accompagnate da uno sciabordio che aveva un che di sensuale, e che le ricordò immediatamente alcuni incontri particolarmente felici avvenuti in un letto profumato di colonia di lusso.
Alicia sedette sul fondo e incrociò le gambe, chiuse gli occhi e sospirò affannata, lasciandosi andare contro il bordo della tazzina. Aveva caldo, molto caldo; e forse, non soltanto per colpa del sole che sorgeva, baciandole la pelle.
Tutto sommato, però, la crociera improvvisata a bordo dell'opalescente scialuppa durò poco. Un paio di cavalloni ben assestati, una spintarella d'aiuto da parte del calamaro gigante e via, Alicia, ridestata dal suo torpore, approdò sul bagnasciuga cedevole di una spiaggetta di sabbia scura, sulla riva del lago più distante dal Castello.
Una volta saltata a terra si avviò di buon passo, con la camicia da notte semitrasparente incollata al corpo e i lunghi capelli biondi che grondavano acqua.
Mentre procedeva lungo il sentiero che serpeggiava fra le dune, Alicia si imbatté in una coppia di gemelli con i capelli rossi, entrambi vestiti da marinaretti e muniti di bacchetta da pesca, che le girarono intorno ed emisero un fischio di apprezzamento.
- Salute a te, bionda beltà - l'apostrofò uno, profondendosi in un inchino.
- Chi sei? - domandò l'altro, con un sorriso furbesco. - Una sirena? Una naiade?
- O forse - riprese la parola il primo - sei qui per partecipare a Miss Strega Bagnata? Il concorso è laggiù, ad Hogsmeade - concluse, additando un punto imprecisato oltre le dune.
- Fred, George, come mai siete conciati così? - volle sapere Alicia, trattenendo a stento un risolino.
- Non ci chiamiamo Fred e George, bensì Fregeorge e Georfred - rispose il più loquace dei due, Fregeorge, additando la tovaglietta da marinaretto che copriva le spalle del fratello, sulla quale era ricamato uno dei due strani nomi appena pronunciati.
- Avete per caso visto passare un coniglio? - tagliò corto Alicia, che cominciava a sentirsi confusa e affamata.
- Di conigli neanche l'ombra - rispose Georfred, con un'alzata di spalle. - Se vuoi, però, ti vendiamo si straforo la Puffola Pigmea della Capitana Libeccia.
- E chi sarebbe mai costei?
- Colei che vola con la grazia del vento. Ginny.
Alicia mise le mani avanti, rifiutando gentilmente. Poi, accomiatatasi dalla simpatica coppia di gemelli burloni, si allontanò in direzione del Castello.

Mentre camminava spedita, le parve di scorgere, con la coda dell'occhio, un'inconfondibile coda a pompom che saltellava fra gli alberi della Foresta Proibita. Senza pensarci due volte corse dietro al coniglio il quale, dopo un inseguimento da film poliziesco babbano, s'infilò con un balzo in una casa dall'aria di chi ha conosciuto tempi migliori.
Alicia, bacchetta sguainata, osservò dubbiosa la costruzione cadente, le assi fissate alle finestre e i calcinacci a vista. Quella era la Stamberga Strillante, c'era poco da ridere. Lì per lì fu tentata di andarsene; poi, però, una delle finestre del secondo piano si spalancò di scatto, facendola sobbalzare.
- Alicia!
Il coniglio si era trasformato in un giovane mago elegantemente abbigliato, molto smile a quello ritratto con la gorgiera, che si sporgeva oltre il parapetto e la chiamava; aveva occhi chiarissimi e capelli scuri pettinati con la riga in parte, stile anni'40.
- Alicia! Oh, benedetta ragazza. Dove hai messo i miei guanti?
- Gua... guanti? - balbettò lei, confusa.
- Sì, i guanti fatti a mano! Dove li hai cacciati? Lo sai bene che, senza guanti, non posso recarmi a Corte!...
Un po' titubante, Alicia varcò la soglia. Il giovane, che evidentemente la conosceva anche se lei non ricordava il suo nome, aveva bisogno di aiuto per cercare i suoi preziosi guanti: sembrava molto, molto agitato.
Una volta dentro, la vista della parte interna della Stamberga le fece sgranare gli occhi per la sorpresa. Niente detriti, polvere o pareti scrostate: tutto era impeccabilmente pulito, lindo e lucido, organizzato con un ordine a dir poco maniacale.
Nelle librerie, i volumi erano perfettamente allineati per argomento, colore e dimensioni; nelle cristalliere, gli alambicchi di vetro rilucevano tanto da accecare; appesi alle pareti, i calderoni di rame erano così lustri da potercisi specchiare. I tappeti non avevano un pelo fuori posto; i cuscini del divano non presentavano una grinza; le superfici di legno scintillavano di cera d'api.
Molto impressionata, Alicia imboccò le scale che conducevano di sopra.
Nella stanza da letto, una parete dipinta di verde era interamente occupata da decine e decine di ampolle perfettamente allineate, contenenti pozioni di ogni tipo; dirimpetto, c'era invece un armadio di legno scuro a dodici ante.
Del giovane mago nessuna traccia, cosicché la ragazza si avvicinò al guardaroba e si mise in ginocchio per cercare i guanti. Le ante dell'armadio erano piene di grucce e cassetti rigorosamente ordinati, ricolmi di abiti e accessori dall'aspetto carissimo. Un vago aroma di inchiostro, fuliggine e acqua di colonia le fece fremere le narici; all'improvviso, lo specchio affisso sulla parte interna dell'anta le rivelò che lui si trovava alle sue spalle e che si stava chinando su di lei.
Alicia percepì il corpo snello che le si premeva contro con delicatezza; il tocco del suo respiro che le carezzava la nuca la immobilizzò come un Incantesimo delle Pastoie, e dovette chiudere gli occhi quando lui, a voce bassissima, sussurrò al suo orecchio:
- Non solo i guanti, ma anche il senno e il sonno mi hai portato via, bionda e incantevole Aussie - per poi accostare le labbra al suo collo e sfiorarlo appena, facendola sospirare.
Una mano giocherellò con le punte dei suoi capelli ancora umidi, indugiando scherzosamente sulla parte bassa della sua schiena; Alicia spalancò di scatto gli occhi, voltandosi indietro.
Era sola: lui era sparito.
Nel frattempo, le pareti avevano cominciato a restringersi tutto intorno a lei. Presa dal panico, la ragazza tentò di raggiungere le scale, ma le sue dimensioni già troppo aumentate le impedirono di passare dalla porta. In un lampo di lucidità, però, ricordò l'esposizione di ampolle allineate lungo la parete opposta al guardaroba; lesse le etichette in tutta fretta e finalmente, con suo immenso sollievo, la trovò: Pozione Reducto.
Anche questa volta l'effetto fu istantaneo: divenuta nuovamente piccina, Alicia discese i gradini correndo a perdifiato e si allontanò dalla casa a tutta velocità.

Tornata piccina, Alicia proseguì lungo il sentiero, correndo a perdifiato per allontanarsi il più possibile dalla casa infestata, finché non si trovò davanti le serre di Erbologia, che le sbarravano il passo.
La ragazza sapeva che là dentro la professoressa Sprite coltivava alcune specie botaniche molto pericolose cosicchè, prudente, decise di aggirare le serre descrivendo un giro leggermente più lungo del normale.
Non aveva alcuna voglia di impelagarsi in discussioni potenzialmente mortali con specie del calibro del Tranello del Diavolo o delle Mandragole Urlatrici.

Dietro le serre, Alicia si imbattè poi in due figure nerovestite che si affaccendavano intorno ad una nutrita schiera di calderoni. Teso al di sopra dei preparati magici che sobbollivano in un'eterogenea profusione di aromi, colori e consistenze, c'era uno striscione con su scritto: Warning. Pozionisti Matti all'opera.
Alicia li guardò meglio e li riconobbe. Uno, dall'aspetto più dimesso, era senz'ombra di dubbio il professor Piton. L'altro era il giovane mago dagli occhi celesti che le aveva chiesto di aiutarlo a cercare i guanti, e che subito le si avvicinò, puntando lo sguardo su di lei.
- Eccoti qui - le disse, sfiorandole la mano.
- Dov'eri finito? - gli domandò lei, sfregandosi freneticamente il braccio per far svanire la pelle d'oca.
- Devo lavorare. Il mio principale ha bisogno della mia assistenza - le rispose il ragazzo, accostandosi a lei. Poi, abbassando il tono della voce, bisbigliò: - Tu, intanto, torna a scuola e aspettami là. Ti raggiungerò non appena avrò finito.
- E da che parte devo andare?
- Da quella parte, segui il sentiero tracciato in rosso.
- Grazie. A più tardi, allora.
- A dopo, bionda e affascinante Aussie - la salutò lui, indicandole ancora una volta l'imbocco del sentiero.

Mentre camminava assorta nei suoi pensieri, qualcuno la chiamò.
- Chi sei tu, bionda visitatrice?
Un giovane dalla pelle scura, infilato in una lunga tunica africana dai colori vivaci, la guardava dall'alto di un enorme fungo e fumava il narghilè. Sulla sua testa, una corona di rasta gli conferiva un aspetto regale; il suo sorriso era bianco e naturalmente simpatico.
- Io sono Alicia, e tu lo sai benissimo - gli rispose lei, agitando la mano. - Cos'è, Jordan? L'eccesso di fumo ti ha obliviato la memoria per caso?
- Chiamami BrucaLeeffo, prego - replicò lui, con un sorriso affettuoso. - E certo che so chi sei, solo che l'Alicia che conoscevo io è un po'diversa da quella che vedo adesso.
- Che cosa intendi dire? - domandò lei, un po' a disagio.
- Che sei cresciuta, sei cambiata, hai fatto le tue scelte.
- E questo... è un male?
- Assolutamente no, mia bionda amica. È del tutto naturale. La nostra vita è una continua metamorfosi. È giusto così. Ed ora scusami mia cara, ma debbo proprio trasfigurarmi: la bisnonna mi aspetta in Giamaica. Ha bisogno di qualcuno che le curi l'orto delle erbe... ehm, medicinali.
Con un lieve pop il ragazzo si trasformò in una coloratissima farfalla.
- Ma ricorda sempre, Aussie: anche se tutto si trasforma, nulla si perde. La materia, i pensieri, i sentimenti. Addio!
La farfalla volò via e Alicia, rimasta sola, proseguì per la sua strada.

Tutti i sentieri che attraversavano la Foresta Proibita erano infidi ed ingannevoli.
Dopo aver vagato senza meta per una buona mezz'ora, Alicia si rese conto di essersi persa.
Le fronde degli alberi occludevano la vista del sole, impedendole di orientarsi; la ragazza non osava chiamare aiuto né emettere scintille rosse dalla punta della bacchetta, per paura di richiamare l'attenzione delle creature pericolose che abitavano da quelle parti.
Una voce autoritaria ruppe il silenzio, facendola sobbalzare.
- Che cosa sta facendo qui, signorina Spinnet? E soprattutto - aggiunse la voce - che cos'è mai questa inopportuna mancanza di decoro?
Seduto sul ramo di un albero antico c'era un gatto soriano dalla pelliccia striata, che parlava con la voce della professoressa McGranitt. Alicia tentò di rassettare al meglio la striminzita camicetta da notte, assumento un'aria di colpevole contrizione.
- Professoressa! Stavo inseguendo il coniglio per la lezione del professor Vitious e mi sono persa...
- Benedetti studenti sprovveduti- bofonchiò la StreGatta, spazientita. - Ci dovrò pensare io, come sempre.
Alicia le si avvicinò, speranzosa.
- Mantenga le distanze, signorina Spinnet: questo è un Platano Picchiatore. Aspetti un attimo che premo il nodo... ecco fatto.
Alla base dell'albero, ormai inoffensivo, si aprì un pertugio.
- Passi di qui: c'è un tunnel che conduce direttamente in Presidenza.
- Grazie infinite, professoressa! - la ringraziò Alicia, infilandosi nel pertugio. Nel frattempo, striscia dopo stricia, pelo dopo pelo e baffo dopo baffo, l'Animagus McGranitt era svanito nel nulla.

Il percorso, quasi interamente in salita, fu breve.
Dopo pochi minuti, Alicia sbucò dal camino di quello che, tecnicamente, avrebbe dovuto essere l'Ufficio del Preside. Strano, però: non lo ricordava così. Le pareti erano state tappezzate con una carta da parati rosa confetto di dubbio gusto; le poltroncine imbottite erano rosa bebé; tendine di pizzo e centrini di macramê rivestivano in modo ridondante le superfici orizzontali e verticali della stanza. Il dettaglio più orripilante, però, erano le decine e decine di piatti di porcellana appesi alle pareti, abitati da gattini semoventi che miagolavano incessantemente, facevano le fusa e giocavano con gomitoli di lana.
Seduta alla scrivania del professor Silente c'era una strega grassa con l'aspetto da rospo, intenta a scrivere su una pergamena rosata. Fra le dita, stringeva una lunga penna di fenicottero rosa. Alle sue spalle, un quadretto ricamato al punto croce, inserito in una cornice di cuoricini rossi e rosa, recava la scritta: Suprema Inquisitrice e Regina di Hogwarts. Tutti i corridoi appartengono a lei.
- Professoressa Umbridge?! - Alicia la guardò sbalordita.
La strega alzò gli occhi ed immediatamente li strinse, mettendola bene a fuoco.
- Oh, guarda chi si vede - sibilò la strega, scrutandola con aria malvagia. - È la bionda bambolina che ha fatto perdere la testa al nostro caro Sebastian.
Alicia arretrò di un passo.
- Ti meriti una bella punizione, tesorino bello - continuò la strega, afferrando un campanellino dorato posato sulla sua scrivania. - Per prima cosa, scriverai seicentoventicinque volte la frase: Non devo far perdere la testa ai giovani ammodo. E poi, per la pena del contrappasso, verrai punita allo stesso modo. Walden!
Un inquietante figuro coperto da una cappa nera col cappuccio si materializzò all'istante. Fra le mani, reggeva una mannaia dalla lama affilatissima.
- Comandi, mia Regina - disse il boia, con una calma raggelante.
- Tagliale la testa!
- Sì, Maaestaaaade!
Terrorizzata, Alicia si diede alla fuga, guadagnando di gran carriera la scala a chiocciola che portava alla Presidenza. Invece di ritrovarsi nel corridoio che recava all'Atrio, però, la ragazza si trovò davanti un muro di siepi.
Un labirinto.

Passi rumorosi e pesanti scendevano lungo i gradini alle sue spalle.
Decisa a sottrarsi alla cattura, Alicia imboccò l'entrata del labirinto e si mise a correre fra le siepi. Gira di qua, svolta di là, dopo pochi minuti la ragazza aveva già completamente perso il senso dell'orientamento. Mentre svoltava un angolo, trafelata, andò a sbattere contro ad un bel ragazzo vestito di giallo e nero, che le rivolse un sorriso un po' triste.
- Diggory?! - esclamò Alicia, sbalordita. - Cre... credevamo tutti che tu fossi... ehm, deceduto....
- Balle - rispose lui, con un'espressione da "sono ligio al dovere, e me ne vanto". - Sono ancora qui che cerco la Coppa del Torneo Tremaghi.
- Ma... ma il Torneo è finito l'anno scorso, Cedric!... - replicò Alicia, esterrefatta. - Perché non ti sei fatto venire a prendere?
- Un vero Tassorosso non accetta la pappa pronta: sappi che noi, a differenza di altri...
- Va bene, va bene - lo interruppe Alicia, che voleva evitare di sentirsi dire che la sua era una Casa di ammanicati. - Non è che per caso sai dove si trova l'uscita?
- Ma certo: tre volte a sinistra, due a destra, dritto, sinistra, destra, due Avemarie, un Confundus, un Surya Namaskar fatto come Tosca comanda e sei fuori.
Alicia lo salutò e corse via.
Ogni tanto, oltre le siepi potate alla perfezione, le sembrava di percepire la presenza di qualcuno che correva ansimando fra gli stretti sentieri coperti di ghiaia. Ben presto, la ragazza si rese conto di essersi persa di nuovo e cominciò ad avvertire una fastidiosa inquietudine.
Qualcuno la teneva intrappolata.
Qualcuno non voleva che se ne andasse da lì.
Facendo bene attenzione ad assicurarsi a rami abbastanza resistenti da reggere il suo peso, Alicia si issò sulla cime di una siepe e si mise dritta, tentando di far vagare lo sguardo il più lontano possibile. Cioè che vide le strappò un grido: non si trovava in un labirinto, ma all'interno di un cervello. Il labirinto era un enorme, sconfinato, smisurato cervello umano, con le sue pieghe, le sue rughe, le sue grinze e le sue increspature.
Si trovava all'interno di una mente che si rifiutava di lasciarla andare, in una ragnatela di pensieri costantemente concentrati su di lei. Chilometri e chilometri di meandri macchinosi, curve a gomito, fantasie tortuose, recondite fissazioni curvilinee e deliranti, dedali contorti; e mano a mano che Alicia si spostava, camminando incerta sulla cresta delle siepi tagliate alla perfezione, il labirinto si muoveva, impedendole di raggiungere i bordi. Qualunque cosa avesse fatto, qualsiasi direzioni avesse preso, il centro di tutte quelle oniriche elucubrazioni sarebbe stato sempre e solo lei.
La giornata volgeva al termine: il cielo azzurro e senza nuvole si tingeva piano piano di arabeschi arancioni. Bagliori pulsanti l'avvisarono che le stelle aveva o cominciato a spuntare, luminose e brillanti come le opali magiche estratte da suo padre in Australia.
Stanca morta, Alicia sedette sul bordo della siepe, chiedendosi come avrebbe fatto ad uscire da quella testa che, ormai, aveva capito a chi appartenesse. E si diede della stupida per aver sottovalutato gli aspetti potenzialmente pericolosi e inquietanti che, assieme a tanti altri, convivevano nella mente di Sebastian Macnair, da sempre intrisa di un'insaziabile e insana ossessione per lei.
E mentre si chiedeva, afflitta, che cosa mai avrebbe potuto fare, un turbinare di penne nere come la pece vorticò intorno al capo. Alicia si sentì sollevare: guardando in su, vide che un'enorme cornacchia nera l'aveva catturata e la teneva prigioniera fra le zampe coriacee.
La ragazza gridò e tentò di divincolarsi; niente da fare: la presa era troppo solida.
La cornacchia proseguì imperterrita nel suo volo, allontanandosi rapidamente dal labirinto alla volta di Londra.

La Capitale si trovava immersa nella luce un po'surreale del crepuscolo.
La cornacchia volò dritta dritta fino a Diagon Alley; poi, raggiunta la destinazione prefissata, aprì le zampe e la lasciò cadere attraverso il buco che si apriva nel tetto di una costruzione imponente.
In men che non si dica, Alicia si ritrovò in un'aula di tribunale, davanti alla Corte del Wizengamot al gran completo, relegata nel banco degli imputati.
La Corte era composta da stregoni e fattucchiere imparruccati dall'aspetto severo; il Giudice, un anziano mago sorprendentemente simile al professor Silente, battè la bacchetta trasformata in martelletto e prese la parola.
- Chaimo a deporre il dottor Aidan Avery, Pubblico Ministero, per la proclamazione del pronunciamento finale.
Un giovane mago dai lunghi capelli corvini e dall'aria truce, completamente vestito di nero, prese posto al banco dell'Accusa, riordinò velocemente alcuni fogli di pergamena, si schiarì la voce e tuonò:
- La qui presente imputata, Alicia Spinnet, nata ad Alice Springs, Australia, il 5 gennaio 1978, è accusata di avere subdolamente irretito la vittima, Sebastian Alexander Macnair, e di averlo condotto alla follia da delirio amoroso.
- Ma io non... - protestò Alicia, tentando di alzarsi in piedi.
Il giudice battè il martelletto.
- Silenzio! Continui pure, dottor Avery.
- Per questo reato di seduzione aggravata, proponiamo la condanna al rogo nella pubblica piazza di Hogsmeade, della suddetta e della di lei scopa, Comet Meridian Modello K, originaria fonte del primordiale malinteso fra le parti.
- Molto bene - disse il giudice. - Qual è il verdetto della giuria?
Le streghe e i maghi seduti in tribuna si alzarono in piedi, uno ad uno, pronunciando a gran voce il loro giudizio.
- Colpevole!
- Colpevole!
- Colpevole, vostro Onore!
Alici li guardava, gli occhi sbarrati per la disperazione. Tentò di muoversi, ma le alabarde del boia le sbarrarono il passo. Nel frattempo, il pronunciamento continuava:
- Colpevole!
- Colpevolissima!
- Innocente!
Una voce autoritaria, bassa e un po' graffiante, s'impose sul brusio che percorreva l'aula. Alicia girò di scatto la testa e lo vide: eccolo là Basteen che, impeccabile ed elegante come sempre, discendeva la scala con passo sicuro, avvicinandosi a lei e rivolgendole un sorriso sottile.
- Signor Macnair - disse il giudice, meravigliato. - Proprio lei, che costituisce la parte offesa, si posiziona in favore dell'imputata?
- Sì, vostro Onore - rispose lui, sistemando con estrema precisione i polsini inamidati della candida camicia di lino del Nilo. - Con la sua inconsapevole bellezza Alicia Spinnet, invero, possiede tutte le caratteristiche in grado di portare un uomo alla pazzia. Tuttavia - e qui Bastian fece una breve pausa ad effetto - l'imputata ha già da tempo saldato il suo debito, restituendomi vieppiù qualcosa che mai avevo avuto.
- E sarebbe? - chiese Avery, arcigno.
- La gioia di vivere.
Un intenso 'oooh' serpeggiò fra i presenti; improvvisamente, la giuria fu bersagliata da una grandinata di confetti di zucchero a forma di cuore.
- E quindi? - indagò il giudice, sinceramente impressionato.
- E quindi, tenendo in considerazione il rispetto e l'affetto che nutro nei confronti dell'imputata - concluse Bastian con un accenno di inchino - chiedo che essa venga scagionata da tutte le accuse che le sono state mosse.
E mentre i giurati, la corte, i curiosi e i giornalisti della Gazzetta del profeta di alzavano in piedi per applaudire e soffiare commossi nei loro coloratissimi fazzoletti, Bastian raggiunse Alicia, ancora confinata nel banco degli imputati.
Guardandola con tenerezza tese la mano e le carezzò i capelli; poi, abbracciatala stretta, si chinò su di lei e la baciò (ohibò).

Alicia sbattè le palpebre.
Un viso conosciuto fece capolino nel suo campo visivo. Era Bastian che la guardava dall'alto, piuttosto preoccupato.
- Basteen? Ma cosa...
- Sei svenuta - le spiegò lui, mentre lei si metteva faticosamente seduta massaggiandosi la testa. - Hai inghiottito un po' di quella mia nuova pozione sperimentale... Mi sa che l'ho fatta un po' troppo forte.
La ragazza si guardò intorno e, un po' smarrita, realizzò che Bastian l'aveva sollevata da terra, adagiandola sul suo letto morbido dalle lenzuola profumate. Il ragazzo la osservava, seduto sul bordo.
- Ti senti bene?
- Sì.
- Ottimo - commentò lui, rivolgendole un'occhiata che la percorse da capo a piedi, come una carezza fatta con un guanto di velluto. Alicia rabbrividì di piacere.
- Ehi! E la mia maglietta, dov'è finita...?
- Ah, sai - rispose Bastian con una bassa risata afona. - Ho ritenuto necessario rimuoverla per monitorare al meglio le funzioni vitali...
Con la punta dell'indice le picchiettò affettuosamente il naso e poi discese lungo il suo profilo, dischiudendole le labbra col polpastrello e poi scivolando lungo il mento, lungo la linea palpitante del collo, e poi più giù, fra le due coppe del reggiseno, giù fino all'ombelico e poi ancora...
- Fermo lì!
Con uno sberlotto secco, Alicia interruppe l'incedere della sua mano e saltò in piedi, nervosa.
Forse, si disse, avrebbe dovuto dirgli che l'assaggio della pozione l'aveva portata all'interno della sua mente e che aveva visto i suoi pensieri più segreti; avrebbe dovuto rivelargli che il modo un po' (!) ossessivo con cui lui la pensava la inquietava parecchio.
Ancora seduto sul bordo del letto lui le sorrise un po' incerto, i begli occhi celesti velati d'affetto. E così, il ricordo di come tutta quella stramba visione era terminata riaffiorò in lei, rasserenandola all'istante: Bastian aveva le sue fantasie, come tutti, ma le voleva bene e lo aveva dimostrato perfino davanti alla corte del Wizengamot.
Cosicché, senza più indugiare, gli si avvicinò e, carezzatagli la guancia, gli prese il viso fra le mani.
- Hai finito di correggere i temi?
- Sì.
- Che voto mi hai dato? - gli chiese, in tono scherzoso.
- Te lo dico dopo.
- E sia - convenne lei, spingendolo giù.
"Per Salazar. Questi Grifondoro e i loro mezzucci".

Note:
Non ho molto da dichiarare, eccetto forse il fatto che tutto questo è un delirio senza capo né coda e che mi scuso anticipatamente con tutti coloro che, in qualche modo, ne risentiranno.
   
 
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