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Autore: Shinyuke    07/09/2018    1 recensioni
Ogni secondo è di valore infinito, perché è il rappresentante di un'eternità tutta intera.
(Johann Goethe, 1800)
ONE SHOT
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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in un batter d'occhio
 



"e mentre siamo intenti al presente,
il tempo passa inosservato, 
e tanto vola via leggero 
nella sua fuga precipitosa."

 

23 Luglio 2019
 

"Notizia dell'ultimo minuto: caldo record a Seoul. Oggi è la giornata più calda degli ultimi cent'anni. Si consiglia di rimanere in casa e di tenere sotto controllo principalmente giovani e anziani. Da sbn news, per il momento, è tutto."  



 

Sorrisi amaramente, me lo ricordo ancora. Pensandoci bene, come avrei potuto dimenticarlo? Quel giorno era stato il più caldo e il più afoso di tutti. Avevo sentito le orecchie ronzarmi più del solito e il senso dell'equilibrio mancarmi parecchie volte.

Ovunque camminassi, c'era stata almeno una radio che trasmetteva continui aggiornamenti sulla situazione meteorologica del Paese e, sotto quel sole cocente, le persone mi erano sembrate come delle formiche impazzite. Ormai, era passato un bel po' di tempo da quando ero arrivata nel mondo dei terrestri, ma una giornata come quella non l'avevo mai vista.

Quello era stato lo stesso giorno in cui i miei poteri, per la prima volta, avevano iniziato a sbiadire, come fossero parole tracciate col gesso su una candida lavagna nera. 

In un istante, le risate dei bambini, lo schiocco delle lattine ghiacciate che venivano aperte, il ronzio delle mosche che si affollavano sopra i cassonetti, i clacson impazienti ai semafori e la musica del camioncino dei gelati si erano fatti strada nei miei timpani. Ero persino arrivata a pensare che, se quel rumore infernale fosse continuato anche solo un secondo di più, sarei potuta diventare sorda. "Sarà colpa del caldo" avevo pensato senza darci troppo peso, ma quello non era stato un semplice caldo eccessivo, era stato un presagio.

 

Il mio udito era stato il primo a venir meno. 

 

Mentre tutto ciò accadeva, stavo andando a salutare, per l'ultima volta, Hoshi e Nayun al solito locale. Vederli difronte a me così sorridenti mi aveva riportata alla realtà e, nonostante mi facessero stare davvero bene, avevo deciso di non partire con loro. Erano passati ben nove anni dall'ultima volta in cui Saturno si era allineato con la Luna, permettendoci di giungere qui sulla Terra, ma io avevo stabilito che non ci sarei mai più ritornata. Il mio infausto fato legato alla voglia che, sin dalla nascita, era rimasta impressa nella pelle della mia spalla sinistra sarebbe dovuto rimanere lì, nel mio mondo natale.

 

Che incosciente ero stata. Qualche giorno dopo la loro partenza, ero subito stata attaccata. Una mattina di inizio agosto, stavo passeggiando nel mio parco preferito, quando due spiriti malvagi avevano tentato di uccidermi. Gli spiriti, anch'essi provenienti dal nostro mondo, erano ciò che rimaneva di quelle persone che, avendo perso la loro anima a causa dell'egoismo e della crudeltà, andavano in giro cercando di rubare quella degli altri. Tuttavia, il loro desiderio di riavere una coscienza era del tutto inutile, infatti, una volta che questa andava persa, era perduta per sempre.

Non ci avevo messo molto a contrastarli, non era affatto la prima volta che mi era stato richiesto di sporcarmi le mani per poter sopravvivere. Intanto che mi sbarazzavo dell'ultimo rimasto, però, altri due erano apparsi alle mie spalle e ciascuno di loro mi aveva afferrata per un braccio, immobilizzandomi completamente. Improvvisamente, mi ero ritrovata a corto di respiro, mi ero sentita fiacca e spossata e le mie gambe avevano ceduto. Avevo tentato, avevo tentato con tutte le mie forze di rialzarmi per continuare a combattere, ma era stato tutto inutile. 

 

La mia sensibilità tattile era stata la seconda.

 

Avevo percepito uno strano calore seguito da un dolore sordo, poi il nulla. Non ero riuscita più a captare alcuna sensazione e un unico solo pensiero si era fatto lentamente strada dentro di me: stavo per morire. Ricordo, come fosse ieri, che avevo chiuso gli occhi dalla paura. Mi ero rifiutata di guardare la vita passarmi difronte senza voltarsi verso la mia direzione e mai, prima di allora, avevo immaginato che la morte potesse essermi tanto vicina. E, mentre il cuore aveva iniziato a battere silenziosamente così da poter essere in grado di sentirla arrivare, i miei occhi erano diventati umidi, ma io non avevo potuto avvertire alcuna lacrima solcare il mio apatico volto. Stavo morendo, e lo stavo facendo nella maniera più miserabile.

 

Din, din, din


 

Un piccolo campanellino aveva trillato per un flebile istante e io avevo riso. Dovevo essere già morta, avevo pensato, ma, quando avevo riaperto gli occhi, ogni cosa mi era riapparsa esattamente nella stessa maniera in cui l'avevo lasciata. Eppure, avevo avuto il sentore che tutto quanto il mondo intero si fosse appena fermato, che ogni singola cosa avesse appena perso vita. La brezza che aveva movimentato le fronde degli alberi si era volatilizzata, le foglie si erano stranamente bloccate a mezz'aria e persino gli spiriti avevano smesso di strattonarmi. Il tempo si era bloccato e bloccandosi aveva fatto sì che ogni singola entità presente si bloccasse con lui, tranne me. Tranne te.

Quel giorno, avevi i capelli di un particolare colore biondo cenere che, alla luce, sembravano fatti d'oro. Quella era stata la prima vera cosa che avevo notato di te. Eri comodamente seduto su un muretto abbastanza distante da dove mi trovavo io, con una gamba poggiata al di sopra di esso e l'altra a penzoloni. Era stato proprio grazie a quella gamba penzolante che mi ero potuta render conto che io, in fin dei conti, non ero l'unica a non aver subito quello strano effetto di staticità prolungata. E, prima ancora che ti domandassi chi fossi tu veramente, ti avevo chiesto aiuto. 

Tra le tante cose, quella era stata anche la prima volta in cui i nostri sguardi si erano incrociati e, in quello stesso istante, il campanellino aveva suonato altre tre volte. Rammendo che, alla fine, dopo avermi scrutato per un tempo che mi era parso eterno, ti eri alzato e con un semplice gesto della mano avevi squarciato quegli spiriti. Una volta, prima di partire da Saturno, una vecchia mi aveva raccontato di un'antica leggenda secondo la quale il ripetuto trillo di un campanellino significava che due persone destinate a stare assieme e ad amarsi si erano, infine, incontrate. Così, mentre cadevo a terra inerme, avevo sorriso. A un passo dalla morte, avevo trovato la persona di cui tanto parlavano le leggende.

A un passo dalla morte, avevo trovato te e i tuoi passi verso di me erano stati l'ultima cosa che avevo visto, prima di toccare terra incosciente.


 

Ciò nonostante, quando mi ero accorta di essere sdraiata sotto l'ombra di un ciliegio, mi era sembrato che un tempo addirittura più lungo dell'infinito stesso fosse appena passato, e tu mi eri sembrato soltanto un lontano sogno. E avrei continuato a pensare che tu fossi solo un semplice frutto del mio fallace ingegno, se non mi fossi resa conto che, proprio affianco a me, giaceva un piccolo mazzo di fiori di ibisco. Di nuovo, eri riuscito a farmi sorridere.

Colorati di quel delicato rosa malva, erano talmente belli. Mi avevi regalato i fiori del colpo di fulmine, dell'incanto di un istante, della bellezza fugace, ma anche dell'immortalità. Mi avevi regalato i fiori che più erano stati in grado di riassumere il nostro primo incontro, quelli che più ti delineavano. Il tuo primo regalo per me era stato così inesorabilmente effimero, ma così dannatamente eterno. Tanto belli da poter togliere il fiato, tanto belli da essere indimenticabili. E dopo averli guardati e riguardati e aver appurato che tu non eri solo un'illusione, avevo inspirato il loro dolce profumo, il profumo che, da quel momento in poi, aveva continuato a ricordarmi di te.

 

Dopo quel giorno, era passato del tempo e, dopo quel tempo, dell'altro tempo ancora, ma di te non avevo più avuto alcuna notizia. Senza di te e in assenza di Nayun e di Hoshi, le giornate mi erano apparse come fossero le pagine bianche tutte uguali di uno stesso diario. Ormai, per paura di essere aggredita, avevo iniziato a guardarmi bene persino dall'uscire di casa. Le uniche volte in cui uscivo erano quelle in cui andavo dalla fioraia, che si trovava alla fine della strada in cui vivevo, per comperare il solito mazzetto di ibisco.

Prima di farcela, avevo impiegato tanti sforzi, ma ero infine riuscita a far sì che il pensiero di te potesse essere abbastanza per rendere la mia giornata anche solo leggermente migliore rispetto a come era in realtà. Un pomeriggio, mentre ritornavo dal negozio di fiori, come al mio solito, avevo tentato di annusare quei teneri boccioli appena schiusi, ma non era servito a nulla. Eppure, prima che uscissi, la fioraia aveva tanto lodato l'intenso profumo che possedevano quel giorno. Che fossi stata io il problema?

 

L'olfatto era stato il terzo.

 

Quasi come fossi stata presa da un'impercettibile follia, mi ero gettata a terra sulle mie stesse ginocchia. Quella volta, le lacrime che avevano rigato con prepotenza il mio viso le avevo percepite chiaramente, eccome se le avevo percepite. Ma mi ero rifiutata. Sì, mi ero rifiutata categoricamente che l'unica cosa in grado di legarmi a te si fosse vanificata senza che io me ne potessi rendere conto o, comunque, senza che io potessi fare qualcosa a riguardo. E, dopo essermi resa invisibile agli occhi degli umani, avevo iniziato a piangere a dirotto, finendo col gettare via quei fiori che avevano, d'un tratto, perso tutto il loro valore. 

 

"Non abbandonare mai qualcosa, solo perché non sei in grado di apprezzarla a pieno" erano state le prime parole che mi avevi rivolto. All'inizio, non avevo assolutamente pensato che quella voce potesse appartenere a te, ma poi ti avevo visto in piedi lì, di nuovo difronte a me. Ti avevo osservato mentre avvolgevi con le tue delicate e agili dita i gambi degli ibisco e mi ero completamente dimenticata di respirare quando, dopo esserti avvicinato al mio corpo tremante, me li avevi offerti. Quella era stata la prima volta in cui la mia mano era finita sulla tua ed era stata anche la prima volta in cui il primo a sorridere eri stato tu.

Fortunatamente, dopo quella volta, ce n'erano state tante altre. La frequenza con cui ci eravamo cercati e ci eravamo visti e ci eravamo desiderati aveva continuato ad aumentare. Il tempo aveva iniziato a sembrare un lasso infinito senza di te, ma un solo esile momento in tua compagnia. I nostri sguardi avevano continuato a cercarsi, le nostre mani a volersi stringere, le nostre dita a volersi intrecciare. D'improvviso, ero finita a tremare per la paura. Avevo iniziato ad aver paura che, forse, non avrei mai avuto abbastanza tempo per poterti amare pienamente, Taehyung.

C'era voluto un solo attimo per ritrovarmi ad essere innamorata di te.

Un semplice attimo era bastato a farmi capire che, senza te accanto, avrei potuto fare ben poche cose. Avevo costantemente bisogno del tuo sguardo profondo più del cielo per poter ritrovare la calma; del tuo sorriso più brillante di cento stelle cadenti per poter essere felice; di te per poter vivere.

Il resto del mondo non mi serviva, se c'eri tu.

 

Mi ero impegnata a collezionare ciascun singolo momento passato assieme, stando attenta a non tralasciarne neanche uno. Scorrendo tra quei ricordi, sorrido ancora ripensando alla sera in cui, seppur tra mille indugi, ti eri deciso a baciarmi. Era stato un bacio dolce e il mio cuore quasi era scoppiato. Senza troppe parole, attraverso quel piccolo e singolare gesto, mi avevi fatto capire che stavi provando per me gli stessi sentimenti che, per tutto quel tempo, avevo provato io per te. E, finalmente, il nostro amore aveva iniziato a percorrere un'unica direzione.

Così, avevo imparato a memoria il sapore delle tue labbra, dei tuoi baci, di te. Ogni tanto, mi erano apparse più dolci, altre volte, più salate. Tuttavia, ciò che era rimasto e rimaneva invariato era stato quel familiare sapore di casa e di affetto che, tutte le volte, ti eri preoccupato di trasmettermi.

Ma, come tutte le storie, anche la nostra era giunta ad un ma.

Un giorno di metà ottobre, purtroppo, eri finito col rendertene conto. Ti eri reso conto che qualcosa, dentro di me, aveva smesso di funzionare già da un po', ti eri reso conto che qualcosa in me non era più lo stesso. Non avevo minimamente valutato l'idea di dirtelo. L'ultima cosa che avrei mai desiderato era farti sentire in colpa, ma non avevo alcuna intenzione di giustificarmi. Per la prima volta, ti avevo visto andare su tutte le furie, per la prima volta, mi avevi fatta tremare a causa di qualcosa che era completamente diverso dall'amore: la paura. Per la prima volta, avevo avuto sinceramente paura di te.

 

Il senso del gusto era stato il quarto.

 

Mai avrei pensato che tu potessi rendertene conto, ma non ti ci era voluto molto. Quella mattina, eri riuscito a leggere una nota di tristezza che mi era divenuta difficile nasconderti. Mi era sembrato che fosse passato del tempo immemorabile da quando tuoi dolci baci avevano smesso di essere dolci e i tuoi baci salati avevano smesso di essere salati. Ma, ciò che più di tutti mi mancava, era stato il poter assaporare nelle tue labbra la sensazione di essere a casa.

Purtroppo, il gusto non era mai più tornato come prima e le tue preoccupazioni non avevano fatto altro che crescere. Alle volte, sebbene tutto questo, avevi continuato a rubarmi qualche bacio e a sorridermi, per il resto, avevi compensato i tuoi baci con premurose carezze. 

 

Una notte, avevamo deciso di voler vedere assieme l'alba, te lo ricordi Taehyung?

Tuttavia, l'unica persona che era riuscita a vederla eri stato tu. Io, dopo essermi comodamente accoccolata sulla tua soffice spalla, ero finita per addormentarmi e mi ero risvegliata soltanto quando, ormai, le luci della città avevano iniziato a spegnersi una dopo l'altra.

Quanto erano belle. Erano sembrate proprio come delle piccole lucciole e la mia emozione era stata talmente tanta che avevo iniziato ad indicartele una per una. Quella mattina, le nostre risate complici erano riuscite a risvegliare tutta Seoul. Ed era stato proprio mentre ridevamo di gusto che qualcosa, sulla mia pelle, aveva catturato la tua attenzione. Sotto la giovane luce dell'alba, la mia voglia aveva brillato e tu, in quel momento, avevi capito. 

 

Sai, qualche giorno prima che decidessimo di vedere l'alba assieme, era accaduto qualcosa di veramente singolare: mi ero imbattuta nella stessa vecchietta di molti anni fa. Ciò nonostante, non essendo sicura che lei si ricordasse di me, avevo preso la decisione di non avvicinarmi e l'avevo semplicemente osservata da lontano. Era intenta ad armeggiare con una scatola stracolma di campanellini e, mentre cercava di sollevarla, uno di questi era caduto.

Din din din aveva risuonato e io subito l'avevo riconosciuto.

Ero praticamente certa che quello fosse lo stesso identico campanellino che aveva trillato il primo giorno in cui ti avevo visto. Il suo suono aveva un non so che di particolare, di peculiare. Era diverso da tutti gli altri, un po' come lo eri tu. Non immagini quanto mi ero sentita felice alla sua vista, ma la faccia preoccupata della vecchia, quando lo aveva visto, mi aveva spinta a guardarlo meglio.
 

Oh amore mio, che stupida ero stata.

Il campanellino, proprio quel campanellino che tanto mi aveva legata al pensiero di te, era ornato da un laccio nero. Inizialmente, avevo pensato che con quel laccetto di quel colore fosse proprio elegante, ma poi mi ero ricordata. Da piccola, l'avevo già visto altre volte in quei grossi libroni che parlavano di oggetti divini, e quello era uno di loro. Il suo suono era unico e inconfondibile, il suo suono era decisamente più intenso di quello del campanello dal laccio rosso.

Nel momento più bello e importante della mia intera esistenza, nel momento in cui i nostri occhi si erano incrociati, il campanello nero di Krónos aveva risuonato cristallino nell'immobile aria di quella giornata di mezza estate. Il dio del tempo e della morte, il dio dell'oltre tomba e della caducità della vita, aveva segnato il nostro destino con una facilità disarmante e noi non avevamo potuto farci nulla.

Dopo tutto, in quale altro modo avremmo potuto contrastare la divina personificazione dell'inesorabile tempo? Sotto la sua ineluttabile forza, i miei sensi avevano, già da tempo, iniziato ad affievolirsi e il mio corpo, pian piano, aveva iniziato a dissolversi nel nulla.

Colui che ingoiava i suoi stessi figli era già a un passo da te e io, grazie al potere che era stato racchiuso all'interno della mia voglia, ero l'unica entità in grado di bloccarlo. Io, Kang Hyuna, ero l'unica persona in grado di proteggere te, Kim Taehyung, figlio di Krónos.

Ormai, era passato tanto tempo da quando mi avevi detto di non rinunciare a qualcosa solo perché non possedevo i mezzi per apprezzarla al meglio, ma avevo davvero custodito quella tua lezione. Durante tutto quel tempo passato assieme, ero stata pienamente consapevole che tu non avresti potuto rivelarmi la tua vera identità, ma non mi era mai davvero importato. Giorno dopo giorno, mi avevi insegnato ad amarti e ad apprezzarti per ciò che realmente eri, rendendo ogni singolo istante assieme unico.

Nel mentre, il tempo dell'autunno era arrivato alle porte e tu eri voluto tornare a tutti i costi nel posto in cui ci eravamo visti la prima volta, lo stesso posto in cui, senza che me lo aspettassi, mi avevi poi chiesto di essere la tua compagna di vita. Così, dopo che io avevo accettato, mi avevi fatto un altro dei tuoi soliti e meravigliosi regali, mi avevi regalato il tramonto. Eppure, mi avevi fatta aspettare talmente tanto a lungo prima di regalarmelo per davvero, mi avevi fatta aspettare sino al giorno in cui le foglie secche avevano iniziato a staccarsi dai rami degli alberi. Desideravi che i colori del crepuscolo si riflettessero su di loro, desideravi che assieme fossero in grado di riempire il mio cuore. E, benché avessi fatto finta di niente, quest'ultimo tuo desiderio non era affatto realizzabile perché il mio cuore era già pieno di te, Taehyung figlio del tempo.

Così, adesso, ci ritroviamo seduti all'ultimo piano di un grattacielo ancora in costruzione per goderci ciò che resta del tuo prezioso dono. E, ancora una volta, intanto che ti guardo con la testa poggiata sulle tue gambe, sorrido. Neppure ti immagini quanto mi faccia strano parlare di tutto questo in questo modo.

La nostra storia, quella fatta di millesimi di secondo, di secondi infiniti, di attimi eterni, di situazioni inaspettate, di momenti fugaci e di per sempre, sta giungendo al termine. Ma non mi pento di aver deciso di affrontare a testa alta il mio fato, se questo significa far sì che tu possa vivere anche solo un momento di più. 

Desidero soltanto che, nella mia prossima vita, io sia in grado di riconoscere te e tu sia in grado di riconoscere me. Desidero soltanto che, in un solo batter d'occhio, tutto possa ricominciare. 

 

La vista era stata l'ultima.


 

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Spazio autrice
 

Salve, salve, salve!

Se siete giunti sin qui, significa che avete appena letto la mia prima one shot e non immaginate quanto io mi sia emozionata a scriverla. A dirla tutta, l'idea fondante, che mi ha portato a scrivere tutta questa storia, è scaturita da un semplice sogno fatto qualche giorno fa. Non pensavo affatto che sarei stata in grado di scrivere qualcosa di questo genere e, soprattutto, il lato fantastico della storia mi ha lasciata con molte perplessità all'inizio.

Detto ciò, desidero fare alcune delucidazioni.

Per coloro che, prima di leggere questa storia, non lo sapevano, Krónos, nel mondo greco, era l'antico dio del tempo, che prese poi la denominazione di Saturno nella cultura latina, diventando così anche il dio della morte. Ma Saturno, non è solo questo.

Il mito racconta che lui mangiasse le teste dei suoi figli per evitare di essere detronizzato da loro. Da un punto di vista più allegorico, invece, si pensava che questo indicasse come tutto ciò che nasceva nella materia ad essa tornava morendo per poi ridiventare qualcos'altro. Nulla veniva quindi perduto, perché tutto finiva col tornare nel ciclo dell'esistenza di cui il tempo era il padrone assoluto. La protagonista si colloca, quindi, all'interno di questa storia come colei in grado di salvare il figlio di Krònos da morte certa, in una concezione del tempo completamente idealizzata.

A questo mito, ho deciso di unire alcuni elementi di antiche leggende orientali come quella dei campanellini e il risultato finale è stato il seguente. Una storia d'amore ricca di prime volte e di per sempre caratterizzata da personaggi che pur venendo da Saturno, il pianeta della stabilità e della metodicità, si trovano in mezzo a un turbinio di intense emozioni, finendo per assecondarle.



Dedicata al tempo e a quelle persone che hanno letto la storia e la recensiranno, vi auguro di poterne sempre trovare abbastanza da sprecare in cose non necessarie.

   
 
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