ULTIMO PASSO VERSO IL BARATRO
“Non sei mai una
vittima, anche se quelli che ti sconfiggono
ti fanno credere di
esserlo.
Come altro potrebbero
sconfiggerti?”
Barbara Marciniak
(Derek Morgan).
Io sono un debole.
Già, proprio così. Potrebbe essere altrimenti?
La mia vita si giostra tra la schiavitù di un istante andato
perduto tra le pieghe infinite del tempo, e la stessa riproposta da tutti
quelli che mi circondano. E Sandro lì, e Sandro qua; sono solo io quello che
versa il suo sangue su questo asfalto maledetto.
Ah, povero che sono! Ma ormai sono tanto stanco di tutto. Ho
voglia di cambiare aria… potrei farcela, oppure ormai sono uno schiavo della
quotidianità, un vinto dal senso di superiorità che il concetto di famiglia
versa su di me. Ma non solo quello; è proprio il sistema in generale a
provocare un pesante fardello che gravita incessantemente sul mio animo.
A volte mi chiedo se è normale sentirsi dei diversi. Di
certo, non è normale sentirsi sempre dei perdenti.
Ogni cosa che faccio mi sembra sbagliata, un errore, ed è
proprio così nella maggior parte dei casi poiché poi finisco sempre con un
fallimento. Chiedo scusa se sbaglio, sono umano e può capitare di sbagliare.
Eppure c’è chi, attorno a me, pare non sbagliare mai; sono i
vincenti del sistema, coloro che faranno carriera.
Come mi sentirò a mangiar polvere a vita? Io sono uno degli
ultimi, appartengo alla categoria di quei bambini che quando salgono sul
pulmino che li porta a scuola sono vittime dei soprusi dei ragazzacci più
grandi e più forti.
Sono stato abituato fin da piccolo al concetto di essere un
eterno secondo, di non poter mai andare al di là dei miei limiti, giacché altri
avrebbero fatto molto meglio di me.
Se nella società ci sono persone sfavillanti o scintillanti,
io sono il grigio eterno di una giornata uggiosa. Per questo chi non fa parte
della mia vita mi evita… perché non vuole entrare nella mia orbita insipida,
composta da una convinzione che probabilmente mi è anche stata imposta e di cui
non so sbarazzarmi fino in fondo.
Sono vittima anche delle mie paranoie nebulose che albergano
dentro di me e infettano quel poco del mio animo che mi è rimasto.
Ho paura degli altri; ho paura che possano ferirmi o
illudermi, oppure deludermi… sono uno specchio in frantumi che può riflettere
solo una minima parte della realtà che in esso si rispecchia, mentre i
particolari che non colgo restano domande insolute, problemi irrisolti che non
riesco mai ad affrontare.
Ho pensato di andare da qualche specialista perché così non
posso andare avanti, essendo una persona confusa e comunque in grande
difficoltà, eppure ancora una volta il muro delle mie domande ha fatto
opposizione; e se mi chiedesse di descrivergli ciò che provo dentro di me, cosa
potrei mai dire?
Di sicuro, non posso raccontargli questo scempio che le mie
meningi stanno rielaborando, giacché mi vergognerei assai molto. Vorrei aver
studiato Freud, magari mi sarebbe stato di aiuto nella mia condizione di
costante incertezza, facendomi comprendere cosa non va in me.
Perché sono così diverso?
Quando parlo, a volte mi ritrovo a balbettare. Ho timore che
il mio interlocutore possa non comprendermi.
Ah, allora il mio è un problema di generale incomprensione…
io temo di non essere compreso, ma allo stesso tempo temo di non riuscire a
comprendermi. Ora mi è tutto più chiaro! Ehm, insomma…
Non adoro i giri di parole, di solito, eppure adoro tanto
complicarmi la vita. Sarà che io stesso sono quel caso perso su cui ho
ragionato finora.
I miei coetanei si tengono alla larga da me perché sono
sfigato, come se questa condizione sia come la lebbra e possa pure attaccarsi;
ah, miei grami nemici! Perché o si è con me, o si è contro di me. Almeno questo
punto mi risulta più chiaro.
Cammino anche ora, stare in movimento mi aiuta a non
soffocare mai in quella nebbia che è dentro di me, e batto tutte le strade del
mio paese, tant’è che tutti coloro che vivono in questa realtà mi conoscono di
vista e mi credono ancora più strano di quel che sono.
Ciao, piacere, sono Sandro l’Evitato, quello che tutti
credono un po’ svitato! Ecco la mia giusta presentazione, che sa anche di
filastrocca.
Oh, adesso posso lasciare che sulle mie labbra albeggi un bel
sorriso libero. E’ un sorriso che mi viene spontaneo, proprio di cuore, e anche
se non dovrei sorridere per una cazzata che ha formulato questa testolina
alquanto bacata che mi ritrovo, beh, io mi lascio andare.
Potrei aggiungerci anche un po’ sfigato, aumenterebbe le
rime. Per fortuna non sono mai stato un buon poeta, anzi, non lo sarò mai;
perché in fondo scrivere poesie è anche giocare con le parole, e le parole sono
libere, giacché esse possono avere più significati e molte interpretazioni.
Il bello è anche che sono in grado di assumere uno spessore
differente a seconda di come le pronunciamo o in quale contesto le inseriamo,
nel caso di uno scritto. La parola può ferire o può addolcire, può lodare o
sfidare.
C’è qualcosa a questo mondo che sia più libero delle parole e
delle lettere che le compongono? Dio mio, io vorrei essere come loro.
Invece sono vittima di una realtà che mi sta decisamente
stretta, e a volte mi ritrovo a pensare se sono io quello con disturbi, colui
che è giusto che sia emarginato, oppure tutti coloro che lo credono. Essi in
fondo sono così attaccati alla quotidianità; casa, lavoro, famiglia.
Nascono, muovono i primi passi, vanno all’asilo, vanno alle
elementari, vanno alle superiori, poi c’è chi va all’università e chi a lavorare
(finalmente una piccola scelta!), e comunque alla fine tutti finiscono per
trovarsi un lavoro, sposarsi, metter su famiglia, avere bambini, crescere i
figli, andare in pensione e infine tirarsela poiché si è riusciti in tutto ciò.
A questo punto mi sorge un dubbio spontaneo; ma chi cazzo te
l’ha fatto fare?
Cazzarola, è un percorso così stabilito e conclamato che già
ai tempi dell’asilo i bimbi lo conoscono a memoria. Dove sta quindi la
creatività umana e l’istinto di libertà? Si è schiavi di un sistema.
Io potrei trovarmi un cavolo di impiego, anche solo un
lavoretto part-time, ma sarei felice? Mi godrei il dono dell’esistenza, che i
preti tanto adorano elogiare? No, non mi godrei una beata minchia, perché sarei
stato solo ciò che gli altri hanno desiderato che io fossi.
Io invece sono alternativo, quindi di conseguenza emarginato,
cestinato, vittima di pregiudizio. Sì, perché facendo in questo modo sono
passato alla storia della comunità come il più grande cialtrone e vagabondo
(oltreché strambo) che sia mai nato e cresciuto in questo buco di posto.
Anche quella coppia di anziani che mi sta fissando proprio
ora, mentre transito di fronte a casa loro, potrà mai capire ciò che io provo?
Essi poi sono vecchi, dovrebbero aver ricevuto il dono della saggezza.
Invece immagino che la saggezza sappiano solo somministrarla
in perle, di quelle orali che si trasmettono ai nipotini, al fine di
instradarli al meglio e di metterli fin da subito sull’autostrada lineare
costruita da chi prima di noi ha scelto di gettarne le basi e di asfaltarla. E’
qualcosa di già deciso, di stabilito, e ciò che va oltre lo schema lineare di
un destino già stabilito è da allontanare e lo si può temere.
Mentre cammino imperterrito e senza darmi tregua, ecco che
finalmente avverto un brivido che attraversa tutta la mia spina dorsale… sì, è
un segnale dell’onnipotenza che prende piede dentro di me.
E’ vero che sulla carta e agli occhi di tutti sono uno
sconfitto, una persona che non ha nulla e che non pretende niente dalla vita;
un essere non autonomo che non crescerà mai, probabilmente, isolato come si
trova. Perché in fondo posso anche paragonarmi a un’isoletta sperduta in mezzo
all’oceano. Ma è pure vero che io in tutto questo ho imparato a viverci e a
sguazzarci.
Questo senso di inferiorità che la società mi impone è forse
qualcosa che dovrebbe schiacciarmi e opprimermi per sempre, rendendomi vittima
di un’umanità implacabile.
In fondo, però, sono io la vittima o sono loro? Loro, loro
tutti; schiavi di idee già create dai loro predecessori, di una realtà vittima
dei piani alti, così assorbiti dal sistema che concedono di mettere le loro
vite nelle mani di altri o tra le grinfie e le rughe delle tradizioni. Ed io…
io ora sono così solo!
Mi sento così solo, vorrei tanto imbattermi in qualcuno che
la pensa come me e che sia un animo libero. Qualcuno con cui poter parlare
senza che esso gridi o provi a imporsi su di me. Sono fragile, eh, basterebbe
poco per mettermi a tacere, anche se il mio animo resta sempre coerente.
Sono solo, ma in fondo non mi sento solo nel vero senso della
parola… perché ho sempre me stesso su cui poter contare. Io sarò la mia
roccaforte, un castello imprendibile.
Esiste quindi infine una distinzione tra me e loro; tra me e
le masse. Tra me e tutto quello che c’è e che non c’è… tra me e il resto.
Finisce che incontro Francesca, per strada. Tutto casuale,
figuriamoci se lei desidera trovarsi a faccia a faccia con me!
Abbiamo frequentato lo stesso liceo e siamo coetanei. Bella e
bionda, dalle forme sode e rotondeggianti, pare così un emblema di fertilità
per la nostra sterile realtà dove nascono sempre meno bambini, e dove le
ragazze mirano solo ad essere magre come spilli e a partecipare a concorsi di
bellezza.
La saluto con un cenno deciso della testa, mica le rivolgo la
parola, anche se mi è sempre piaciuta. Mi piaceva ai tempi del liceo e mi piace
ancora.
Ah, per una notte da trascorrere assieme a lei darei la vita,
penso…
“Ciao, Sandro”, mi saluta con grinta, un po’ a sorpresa. Poi
mi viene improvvisamente incontro.
Io sono già in tilt; non sono abituato a qualcuno che sembri
avere una chiara intenzione di farmi festa.
Sono già sulla difensiva, quando ormai ha bruciato tutta la
breve distanza che ci separa.
“Come va? E’ da un pezzo che non ti ho visto in giro”, mi
dice, sorridendomi.
“Va abbastanza bene, dai. Tu?”, replico, un po’ troppo
freddo.
Vorrei forse mettere un po’ di distanza tra noi? Sono così
disadattato? Resta il fatto che non riesco a trattenermi oltre e faccio due
passi indietro.
“Va a gonfie vele!”, esclama gioiosa, come se non aspettasse
altro che io glielo chiedessi, o come se mi avesse avvicinato e posto un
quesito solo per riceverlo indietro e potersi esporre.
Solo che a questo punto starebbe bene se io le domandassi cosa
sta accadendo di tanto significativo nella sua vita, oppure almeno offrirle un
tacito sorriso di cortesia… ma non mi viene proprio nulla di tutto ciò, sono
come una statua.
Allora, notando il mio completo distacco, non si fa scrupoli
a prendere in mano la situazione.
“Sai, io e Franco ci sposiamo”, mi rivela con fare un po’
pettegolo e come se non avesse notato nulla di anomalo nelle mie recenti
reazioni.
Inarco involontariamente le sopracciglia.
“Bene, meglio così”, sussurro… poi mi dico; aggiungi almeno
congratulazioni, ma proprio non ci riesco!
Cioè, cazzo, Franco è più brutto del cassonetto della
spazzatura che staziona a pochi metri da casa mia. Antipatico come pochi,
eppure figo agli occhi di tutti solo perché il padre è uno degli uomini più
ricchi della zona. Ha sempre organizzato feste fin dai tempi delle medie, e
durante queste fantastiche serate si dice che giri un po’ di tutto, tra droghe
e alcolici. Una pupa del genere deve proprio scegliere uno così?
“Sì, ne sono tanto felice”, prosegue la mia interlocutrice,
imperterrita, “ci sposiamo a ottobre. Ti va di esserci anche tu?”.
Oh, caspiterina! A questo punto mi sale la risata spontanea.
Franco il Brutto è stato uno dei bulli che più mi ha
asfissiato durante la mia giovinezza, e me lo sogno ancora durante le notti,
poiché pare popolare i miei incubi. E lei questo lo sa, rideva molto e molto
forte quando mi sfotteva pubblicamente.
Non solo; so che non è felice di avermi a quella cerimonia
insulsa, però mi ha invitato lo stesso… mi si è avvicinata con fare amichevole
dopo anni interi in cui mi ha evitato come la peste.
E’ così importante avere un numero in più? Sì, io faccio
numero e poi di regola dovrei anche portare un pensiero. Quindi doppio guadagno
con una fava… ehm, no, con un matrimonio.
Per giungere ad invitare anche me doveva già aver sparso bene
la voce in tutto il centro abitato e anche oltre, al fine di riuscire a trovare
un esercito di persone che avrebbe partecipato a quella farsa. Ma certo che
sarebbe stato così, tanto Franco il Brutto è soprannominato anche il Bruto,
quindi la loro relazione non è di certo destinata ad andare avanti a lungo, ma
a questo non ci devo mica pensare siccome non è affare mio.
L’unico mio affare che sono chiamato a sbrigare è riguardante
il rifiuto di quell’invito.
Francesca ancora mi guarda attonita, confusa dal mio silenzio
e da quel balenare di espressioni inferte al mio volto.
“Non lo so se sono libero”, le rispondo con diplomazia, “non
prometto nulla”.
Voglio farmi percepire importante.
Lei scrolla le spalle, forse la mia risposta si è rivelata un
buon sollievo.
“Come vuoi. Ti arriverà poi a casa l’invito scritto”, mi dice
con un disinteresse solo blandamente velato, e ne approfitta per salutare con
un cenno della mano e battere in fretta in ritirata.
Io resto a guardarla ancora per un attimo, mentre rientra a
casa sua e sparisce dalla mia vista. Mi ritrovo anche a sospirare; quant’è
bella, quant’è soave. Peccato che abbia già preso il volo.
Scrollo la testa e riconosco che è giunta l’ora di riprendere
a camminare, non devo sostare molto se no mi sale il nervosismo. Devo logorarlo
questo corpo, farlo senza pensare.
Continuo a camminare e questo dannato cervello non mi lascia
in pace, anzi, non molla minimamente la presa. Cazzo, è possibile che io sia
l’unico a non volare? A non prendere mai una decisione, a non scegliere di
uscire da questa inerzia e… no!
No!
Ecco, ecco che sono caduto in fallo!
Anche il mio cervello mi vuole far ragionare esattamente come
loro.
Mi sono ripetuto fino a ora che non farò mai scelte scontate,
e che ciò non dovrà mai trasmettermi ansie o preoccupazioni. Sono felice così
perché io sono io e sono una persona libera. Piegarmi a ciò che fanno tutti gli
altri è come piegarsi al sistema condiviso di esperienze e di valori che voglio
proprio evitare per davvero.
Non sopporterei… non potrei sopportare di diventare a mia
volta un cliché, un’altra vita già vissuta.
Dai, un ipotetico e arguto interlocutore potrebbe anche farmi
notare che se anche si compiono le medesime azioni, restano i particolari a
renderci tutti quanti distinti e diversi. Ma egli sarebbe in fallo due volte,
poiché non solo compiere le medesime azioni dei predecessori e di chi ci
circonda è qualcosa a cui ci si può tranquillamente opporre, e infine alla
storia e alla memoria collettiva non
restano mai i particolari. Particolari… cose insulse poi, che vengono scordate
subito.
Mettiamo che a me piacciano le piante, e a Tizio Caio Sempronio
i cioccolatini della Ferrero. I posteri ricorderebbero solo che noi due ci
siamo sposati, abbiamo avuto figli, siamo morti… eccetera, ma non di certo
questi particolari del cazzo, avanti. Io devo e voglio essere originale, punto
e basta.
E lei… ah, lei è così bella e si sposa col bruttone ricco…
Per carità di Dio, mi rendo conto che soffro a causa di
questo. E all’improvviso è come se calasse un sipario ricolmo di oscurità su di
me, giacché mi rendo conto di nuovo di quanto io sia solo.
È per questo che tendo a pensare troppo; perché sono troppo
solo, mi sento così… unico, così… ah, non posso descrivermi oltre, poiché nella
mia follia non faccio altro che riflettere sulle mie caratteristiche.
Ebbene, credo ora più che mai che Francesca debba in realtà
essere innamorata di me, e che non è giusto che conceda la virtù della sua
bellezza estrema a quel giovane mostro. La rivelazione che ho appena ricevuto
da lei in realtà ha fatto una bella breccia nel mio cuore, e so che sto male.
Ho un improvviso capogiro e smetto di camminare… cazzo…
Devo chiamare il 118, c’è qualcosa in me che mi sta facendo
avere una sorta di collasso…
“Ci sono volte in cui
la mente riceve un tale colpo
da nascondersi nella
follia. Ci sono volte in cui la realtà
non è altro che
sofferenza. E per sfuggire a quella sofferenza,
la mente deve lasciarsi
alle spalle la realtà”.
Patrick Rothfuss (Derek
Morgan).
Sì, cazzo.
È giunto il momento di dire basta alla mia solitudine e al
mio non essere compreso.
Mi riprendo dallo svenimento che sto già correndo come un
pazzo verso l’ultimo piano del palazzo in cui vivo… percorro le scale e non ho
fiato, e per fortuna non penso più, finalmente. Ora sono più libero che mai.
Adesso so che ho liberato anche la bestia che a lungo ho
nascosto dentro di me, nel mio animo dilaniato; essa ha covato i tantissimi
pensieri che per anni hanno asfissiato la mia mente, redendola fragile come non
mai.
Alla fine non sono stato solo vittima della società, ma anche
del mio stesso cervello…
In questo concitato momento, i frutti generati dalla cova del
mostro sono maturi e profumati, hanno qualcosa di così dolce che mi inebria.
Sì, io sono assetato di libertà e giustizia come lo è ciò che mi sta
ammazzando.
Collaboro e corro, corro sempre più in alto.
L’ultima porta che mi separa dal grande terrazzo soprastante
l’alto edificio è una blanda barriera per un giovane motivato quanto me. La
sbatto alle mie spalle e mi muovo con prontezza verso le ringhiere di ferro
arrugginito che separano quello squallido ambiente dal baratro.
C’è una signora quassù con me, è una di quelle che abitano
nei piani superiori, estende i panni nei lunghi fili bianchi che qualcuno,
tempo fa, ha appositamente installato.
Mi osserva come se fossi un alieno, in un modo davvero
inquietante. Ma io mica ho occhi per lei, anzi, dopo aver incrociato per un
istante il suo sguardo un po’ confuso non mi fermo affatto.
Il punto in cui cielo e muratura si fondono è a pochi passi
da me. Mi piazzo a gambe larghe e a braccia alzate proprio sul ciglio di quello
che immagino come un burrone, mentre il ventre lo lascio premere con forza
contro la ringhiera antistante.
Sì, sì! Percepisco che la mia realtà distorta si fonde con altra
immaginazione… esatto, è come un cocktail micidiale. Ho perso completamente la
testa… o, meglio, il controllo su di essa. Sono libero quanto lei.
Mi sporgo, sono onnipotente.
Vorrei urlare a squarciagola, siccome mi sento come se fossi
sul picco più altro della catena Himalayana, sul tetto di un mondo che ho
sempre odiato e che mi ha oppresso. Le parole arrabbiate di chi ho deluso
sembra che siano diventate la colonna sonora del mio momento di pura pazzia, le
avverto come se me le stessero pronunciando adesso e in faccia.
Il vento che quassù soffia costantemente diventa l’alito
caldo dei miei interlocutori, che tutti assieme mi insultano e mi perseguitano.
La signora grida qualcosa verso di me, ma la sua voce giunge
così distorta alle mie orecchie che la scambio per quella di Franco il Brutto.
Franco il Bruto, il bastardo che dopo avermi umiliato durante tutti gli anni
del mio percorso scolastico si è anche preso la briga di fottermi Francesca.
Allora abbasso le braccia e mi giro lentamente verso quel
nemico che si sta avvicinando e che mi afferra per la maglietta, come a tirarmi
indietro… ma no, no, mi vuole percuotere. Ne ha però di faccia tosta, a volermi
percuotere proprio sopra casa mia!
Esatto, è un po’ come se fosse entrato nella mia dimora per
maltrattarmi. Questo è davvero intollerabile.
Allontano da me quelle manacce umide che hanno provato ad
allontanarmi dalla mia postazione, poi mi lancio su Franco, pronto a fare a
botte. Non risponde mica ai miei pugni, anzi, grida e urla senza difendersi, in
balìa della mia forza.
Scivoliamo giù… a terra, entrambi avvinghiati in quella lotta
impari; mi sembra che ci stiamo ruzzolando su un prato fiorito e profumato
dalle fragranze di primavera, eppure le mie braccia nude si scorticano come se
stessi sfregando contro del cemento puro. È tutta questione di punti di vista,
in fondo.
Il mio male interno è diventato il cancro oscuro che mi sta
divorando le membra e la razionalità, e di razionale non mi è rimasto più nulla,
non so neanche bene fino a che punto me ne stia rendendo contro.
Eppure questa è la mia vendetta, oh sì, è il finale perfetto
che sta ricucendo la frattura che si è formata tra me e la società da quando ho
fatto la mia prima scelta indipendente. E’ il vuoto spasmodico che ho provato
fin da subito ad avermi ingerito nel suo più profondo e segreto baratro, dove
sono pochi coloro che provano ad affrontarlo e ne escono illesi.
Per una volta almeno sono padrone della mia vita, della mia
stessa esistenza, e non devo più rendere conto a nessuno se sto sbagliando o
meno; non mi coglierà mai più quella strana ansia che mi ha perseguitato fin
dalla più tenera età, quando non mi sentivo a mio agio con i miei coetanei e mi
comportavo diversamente da loro.
Sandro lo Sfigato ora si è tramutato all’improvviso in un
Leone, e si sente così tanto dalla parte del giusto da credere di star
malmenando il suo storico nemico. Ma d’altronde anche in questo caso è
questione di particolari, di puri e meri dettagli; questo Franco il Brutto che
sto pestando per bene potrebbe anche non essere realmente lui, ma in fin dei
conti potrebbe anche essere lui.
Franco lo sono e lo diventano tutti gli oppressori, tutti
coloro che si fissano nel voler perseguire la strada battuta dagli altri e nel
voler propinare al prossimo quella pasta scotta che ormai è la sbobba che sfama
la globalizzazione. Globalizzazione che sta mandando tutto a rotoli, anche la
più minima originalità.
Io mi sono tramutato da oppresso a vendetta, sono una furia
irrefrenabile che è totalmente scissa dalla realtà, sono…
Razionalizzo per un istante; mi vedo, come se mi stessi
osservando da una certa distanza. Sono diventato tutto a un tratto ciò che non
avrei mai voluto diventare.
È meglio dire che adesso da oppresso mi sono tramutato in
oppressore, poiché sto compiendo violenza contro un altro mio simile, al di là
di chi si tratti. Quindi, alla fine abbiamo ceduto entrambi, sia io e sia il
mio mostro interiore…
Abbandono tutta la mostruosità che stavo perpetrando, poiché
è giunto il momento di mettere la parola fine alla mia follia e alla mia vita
di merda, pure alquanto inutile.
Forse è stato proprio il senso di iniquità che ho voluto
attribuire alla mia esistenza ad avermi gettato gradualmente in questo baratro,
dove il buio mi avvolge sempre di più. È quel buio metaforico premorte, quando
si sente che non si può andare avanti così.
Forse hanno sempre avuto ragione i miei cari e i miei vicini,
quando mi criticavano, ma in ogni caso sono stato io stesso la radice di ogni
mio male… giungo pure a pensare che non sono stato mai veramente alternativo,
una persona che voleva distinguersi dalle masse attraverso un modo di
comportarsi originale, bensì solo un riflesso di tutto ciò.
Ho fallito, e ho pure fatto del male a chi non c’entrava un
cazzo in questa vicenda personale.
Ho vissuto qualche attimo di rivincita, ma adesso si
prospetta di fronte a me un qualcosa di imperituro, che finalmente potrà porre
rimedio a questo calvario troppo prolungato.
Avverto che sto per trovare un sollievo eterno, di quelli che
ti fanno sentire per sempre a posto con te stesso e col mondo…
Mi sporgo, ma quella volta per cadere. È la fine.
Volerò, la mia vita si concluderà con un bel volo giù
dall’ultimo piano di un palazzo piuttosto alto… non nuocerò mai più a me stesso
e agli altri.
Ecco, credo di aver trovato l’uscita dal mio circolo vizioso.
Cosa sono? Chi sono, realmente? Domande che mi sorgono
spontanee mentre avverto il senso di caduta.
Sì, ho anche allargato le braccia… e comincio a urlare,
fintanto che non acquisto così tanta velocità che la pelle delle mie labbra si
tende e mi procura un dolore tale che sembrano volersi lacerare. D’altronde, la
mia vita intera è sempre e solo stata una sofferenza interiore, tutta ansia e
problemi di adattamento, quindi penso che non potrà mai andarmi peggio di così,
probabilmente.
All’improvviso, poi, e più in fretta del previsto,
sopraggiunge quell’impatto che ho tanto atteso in questi ultimi secondi.
So che il buio e l’oscurità mi avvolgono per davvero. Eppure
persistono solo per qualche istante, prima che anch’essi spariscano, lasciando
spazio all’ignoto che mi avvolgerà per l’eternità.
NOTA DELL’AUTORE
Ehm… a voi i giudizi xD
Ringrazio Milla per il suo splendido Contest, dal quale sono
rimasto molto colpito.
Le frasi che ho scelto e che appaiono nel testo sono tratte
dalla serie tv Criminal Minds (9 x 19; La realtà dimenticata).
Il testo è
formato da 4200 parole.