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Autore: koan_abyss    07/09/2018    2 recensioni
Lestrade e Mycroft Holmes si incontrano inaspettatamente in Tribunale, e per quanto la cosa sia piacevole, Lestrade è alle prese con il divorzio e un caso complicato. Non ha le forze nè il tempo neanche di pensare a conseguenze e aspettative dopo uno strano mercoledì pomeriggio. O almeno così crede.
CaseFic
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Al secondo giro di giostra (avevo ancora un po' di paura)'
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If You come on to me


Capitolo 1



Lestrade potrebbe dirsi che c’è qualcosa di ipnotico nel movimento delle dita di Mycroft mentre si riabbottona la camicia, ma Mycroft gli dà le spalle quasi subito, e lui ammette con se stesso che concentrarsi sui movimenti dell’altro uomo è molto più facile che pensare a quello che è appena successo e a quale dovrebbe essere la sua reazione.
E mentre Lestrade è ancora sdraiato tra le lenzuola sfatte a pensare (a non pensare) alla propria reazione, Mycroft sta abbottonando polsini e gemelli della camicia, già proiettato verso quello che sarà il suo prossimo passo. Lestrade non ha il minimo indizio di quale possa essere. Pensa che dovrebbe indagare e si schiarisce la gola prima di parlare, pensando magari di chiedere “stai andando?”, ma quella sarebbe una domanda oltremodo stupida, perché Mycroft sta chiudendo l’ultimo bottone del suo colletto e ci fa scorrere sotto la cravatta per annodarla (e l’immagine di quelle lunghe dita che costruiscono il complicato nodo sarebbe sicuramente ipnotica, ma è completamente nascosta alla sua vista), e in fin dei conti, che cosa si aspetta, Lestrade? Che Mycroft Holmes resti nel suo appartamento dopo che hanno fatto sesso? Che si attardi anche solo il tempo necessario per bere una tazza di tè? L’idea è totalmente assurda, ridicola, ma lo è anche il fatto che Mycroft sia a casa sua in primo luogo.
Lestrade non è sicuro di come si è ritrovato in quella situazione.
I fatti nudi e crudi sono che si è ritrovato Mycroft davanti in Tribunale, dopo aver deposto per un caso a cui ha collaborato con Dimmock, con la prospettiva di un pomeriggio libero, perché si era preso qualche ora di permesso (teoricamente per guardare con calma le carte del divorzio, ma sapeva che con tutta probabilità avrebbe finito per restarsene buttato sul divano a bere, con il calcio di sottofondo alla sua depressione. Ogni tanto ci vuole, un pomeriggio così, no?); il che significava che Donovan era allo Yard, e Lestrade era solo, quando aveva incontrato Mycroft Holmes casualmente per la prima volta in cinque? sei? anni che si conoscevano. Il che era più che normale, visto che di sicuro non c’è il rischio che si incontrino al supermercato il sabato pomeriggio. Inoltre Lestrade ha il sospetto che nessun incontro nella vita di Mycroft sia davvero casuale.
Ma il maggiore degli Holmes non era certamente in Tribunale per vedere Lestrade, e Lestrade era abbastanza sollevato all’idea di vedere un volto conosciuto ma inusuale, qualcuno che non fosse un collega, un superiore o Sherlock con John, e abbastanza atterrito di fronte alla prospettiva del pomeriggio che lo attendeva da invitarlo per un caffè.
Quindi Lestrade ha sicuramente le sue colpe, ma Mycroft non è da meno.
“Sarebbe un piacere, Ispettore, in cui avrei tutto l’interesse ad indulgere, visto che ne abbiamo l’occasione,” aveva risposto Mycroft e Lestrade era sì abituato all’eloquio altisonante di Mycroft Holmes, ma non è né sordo né cieco, e il tono di Mycroft era inequivocabilmente provocante e il piccolo sorriso che lo accompagnava quasi malizioso.
Quale uomo nel bel mezzo di un divorzio rinuncerebbe a una mezz’ora di flirt innocente? Chi rifiuterebbe un passaggio a casa, dopo? E quale uomo avrebbe rifiutato l’invito di Lestrade a salire da lui, palesemente sfacciato, senza neanche il contorno di una buona scusa?
A Lestrade era balenata in mente la scena di Quantum of Solace in cui Daniel Craig invita Gemma Artenton in camera sua perché “non riesco a trovare…la carta da lettere…”: gli viene facile associare Mycroft a James Bond, nonostante la scarsa somiglianza con Daniel Craig.
In ogni caso, l’altro uomo è quasi completamente vestito ormai, e Lestrade deve dire qualcosa.
“Hai…hai tutto quello che ti serve?”
Mycroft si gira con un sorrisetto divertito, ma si ricompone in fretta.
“Ho tutto quello che mi serve, Ispettore, grazie. Non occorre che si alzi per accompagnarmi alla porta,” risponde e prende il suo cellulare per richiamare l’autista, forse.
O la macchina è rimasta ad aspettarlo? Lestrade si sente avvampare al pensiero. Ma almeno la bellissima assistente di Mycroft non c’era. Lestrade dubita che avrebbe osato invitare Mycroft nel suo appartamento se la donna fosse stata in macchina con loro: non avrebbe sopportato uno dei suoi sguardi disinteressati al di sopra dello schermo del black berry.
Il pensiero dello sguardo di Anthea richiama quello di occhi ancora più penetranti e Lestrade si copre la faccia con un gemito sonoro.
“Oh, mio dio. Sherlock…” spiega futilmente a Mycroft.
Sherlock lo farà a pezzi. Gli darà un’occhiata e saprà quello che è successo, dedurrà esattamente ogni cosa: che Lestrade ha invitato Mycroft per scopare, che gli ha infilato la lingua in bocca appena chiusa la porta (in parte anche per evitare che Mycroft facesse troppo caso al disastro che è casa sua…), che nel giro di cinque minuti era nudo come un verme e sbavava vergognosamente alla vista di Mycroft che si spogliava meticolosamente. Lestrade può già quasi sentire il tono di oltraggiato disgusto con cui Sherlock gli chiederà se è così debole e patetico da non saper resistere alla minima manifestazione di attenzione nei suoi confronti, se il fallimento di una vuota istituzione, di una convenzione sociale illogica e incomprensibile come il matrimonio può renderlo ancora più idiota, se la solitudine lo ha già trasformato in una meretrice schiava dei propri istinti. E ovviamente Sherlock lo farà davanti a John, e…
Mycroft scuote la testa, interrompendo i suoi pensieri orripilati: “Sherlock e il Dottor Watson sono fuori Londra per le prossime 72 ore. Abbastanza perché qualunque indizio di questo incontro, come segni, profumi, bruciature da barba e quant’altro svanisca. E tra quattro giorno confido che riuscirà a guardare mio fratello senza che il panico e il senso di colpa siano troppo evidenti sulla sua faccia, Ispettore.”
Il tono è pratico, e Lestrade lo trova quasi rassicurante. Quasi. Ovviamente Mycroft ha calcolato conseguenze e variabili, probabilmente dal momento stesso in cui Lestrade gli ha proposto una tazza di caffè: non è uomo da indulgere in ispirazioni o impulsi improvvisi, al contrario di Lestrade.
“Ok. Be’. È bello sapere che almeno uno di noi due ci ha pensato su un minimo.” Si rende conto che non suona molto gentile da dire. “Scusa. Volevo solo dire che…non avevo pensato a Sherlock. Forse avrei dovuto.”
Mycroft alza un sopracciglio: “Per fortuna-o sfortuna-sembra che invece io sia del tutto incapace di escludere Sherlock da qualunque equazione. Ma non si preoccupi, Ispettore. Non c’è niente di questo piccolo arrangiamento di oggi a cui lei debba pensare, se non vuole. Buona serata,” lo saluta poi uscendo dalla camera da letto.
Nonostante l’appartamento abbia le dimensioni di una scatola da scarpe, Lestrade non sente chiudersi la porta d’ingresso. Sente però da lì a poco un rombo di motore che mormora ‘auto di lusso’ e sa che Mycroft se n’è andato davvero.
Lestrade, che era rimasto all’erta e contratto fino a quel momento, si abbandona di nuovo sul materasso, lasciandosi andare a un altro verso di autocommiserazione.
Anche se Sherlock non lo farà allo spiedo, si è comportato da sciocco: avrebbe dovuto riflettere un minimo sulle conseguenze. Non ha certo bisogno di sperimentare con Mycroft l’imbarazzo che talvolta causa il sesso occasionale, visto che sono costretti a frequentarsi, oltre che a Baker Street, anche per lavoro, di tanto in tanto. Questo non sembra il caso, per fortuna, perché soprattutto ora Lestrade non ha bisogno di quel genere di complicazioni, non quando le sue ore di permesso andrebbero dedicate a documenti e telefonate all’avvocato.
Lestrade pensa di alzarsi, stringere i denti e mettersi sotto con la sgradevole incombenza, ma si ritrova a sonnecchiare distratto: il suo corpo è rilassato, anche se la sua mente si oppone ancora. Ma non per molto. In fin dei conti è il suo pomeriggio libero, e non c’è niente di male a passare un apio d’ore sonnecchiando, prima di dedicarsi alle responsabilità della vita adulta…
Lo sveglia il trillo insistente del suo cellulare, alle 19:47, dice il display quando lo recupera con un mare di imprecazioni dalla tasca dei suoi pantaloni sul pavimento accanto al letto. Ma che cavolo…?
“Lestrade,” biascica.
“Mi spiace, boss. Brutte notizie,” dice Donovan nel suo orecchio, mentre i ricordi del pomeriggio inondano la mente di Lestrade.
Donovan scambia il suo gemito per un rimprovero.
“Non chiamerei se non fosse importante! Abbiamo due corpi, a Fulham, nel parco Parsons Green. Devi venire.”
Il primo pensiero di Lestrade è di sollievo. Lavoro. Bene. Qualcosa che lo tenga impegnato, fuori da quell’appartamento arrangiato alla bell’è meglio, lontano dai resti della sua vita passata e già che ci siamo anche dal pensiero di Mycroft Holmes che lo guarda soddisfatto mentre Lestrade lo spinge sul letto…cosa che gli ricorda all’improvviso perché le sue lenzuola sono così poco piacevoli, sotto di lui.
“Ok, ok, Sally. Arrivo. Dammi un quarto d’ora per farmi una doccia.”


Non appena arriva segue Donovan oltre i nastri e gli agenti che bloccano l’accesso alla scena, fino alle due tende impermeabili montate in fretta e furia per proteggere le prove dalla pioggia, nella speranza che non siano già state lavate via dal diluvio che Lestrade ha attraversato per raggiungere Fulham e lo squallido prato incolto tra un parchetto e un gruppo di case.
Il primo corpo appartiene a un uomo sulla quarantina, lo informa Donovan.
“Niente portafogli o telefono, ma ha dieci sterline e degli spiccioli in tasca…”
“È uscito solo per una commissione veloce? Per fare un salto al negozio, tagliando dal parco?” ipotizza Lestrade avvicinandosi.
Se si fosse trattato di una rapina, il responsabile avrebbe preso il denaro, almeno la banconota.
“Può darsi. È stato colpito al viso, più volte, con forza, e accoltellato quattro volte,” continua Donovan.
“Due volte poco sopra i reni e poi altre due al ventre,” interviene Anderson, salutando con un cenno Lestrade.
“Una stima dell’ora della morte?” domanda Lestrade.
“Direi due ore.”
“Difficile che siano più di tre. Prima delle 17.30 questa zona dev’essere movimentata…l’orario di rientro, il parco…” precisa Donovan.
“Uhmm…”
I vestiti dell’uomo sono stropicciati e zuppi di pioggia, il sangue attorno alle ferite ha lasciato enormi aloni rosati sulla stoffa. Il viso è tumefatto, quasi irriconoscibile.
Lestrade non può credere di essere stato così bastardo da provare sollievo alla notizia del ritrovamento del cadavere di quel poveraccio. Aveva davvero bisogno della morte di quell’uomo, del dolore di chi lo aspetta a casa, se c’è, per non pensare al fallimento del suo matrimonio e al casino che è la sua vita? Il pensiero gli gela i polmoni peggio dell’aria umida che li avvolge.
“Puoi dirmi che cos’è successo, Anderson?”
“Non aspetti lo strambo, questa volta?” chiede Donovan incrociando le braccia.
“Sherlock è fuori città,” rispose Lestrade prima di pensare.
L’espressione di Anderson si inacidisce subito, all’implicita ammissione che Lestrade lo avrebbe chiamato sulla scena, altrimenti: “È una fortuna che il lavoro non si debba fermare per attendere Sherlock Holmes.”
Lestrade reprime un sospiro.
“Che è successo a quest’uomo, Anderson?” chiede di nuovo. “L’assassino l’ha colpito al volto, al ventre e poi alla schiena quando ha provato a fuggire?” Magari ha perso il telefono fuggendo.
“No, no. L’opposto, probabilmente, o non sarebbe caduto di schiena, no? Non ha tracce di fango sul petto,” risponde Anderson. “Deve averlo accoltellato mentre fuggiva. L’ha raggiunto, l’ha afferrato e zack,” mima. “Poi l’ha girato, o la vittima ha cercato di difendersi come poteva-ha un taglio su una mano, anche-ed è caduto a terra. Ma le ferite al volto…sulle mani non ho trovato segni di difesa compatibili con quelle,” aggiunge. “È difficile dirlo, con queste luci e la pioggia…sarò più preciso nel rapporto…ma forse queste sono state provocate post mortem.”
Lestrade si rialza: “Quindi l’assassino si è accanito su di lui, dopo averlo ucciso.”
“Personale. Rabbia, vendetta,” fa Donovan, pensierosa. Poi gli regala un ghigno cinico: “Vedi? Non ci serve, lo strambo.”
Ma non appena mette piede nella seconda tenda, Lestrade desidera con tutto il cuore che Sherlock appaia, contro ogni logica, a dare a tutti degli idioti e a risolvere il caso con un’occhiata, perché l’altra vittima è una ragazza che non può avere più di 22 o 23 anni, e ogni secondo che passa buttata in terra nell’erba fangosa senza che il suo assassino paghi è un oltraggio.
Anche lei è adagiata sulla schiena, ma non in modo scomposto come l’uomo: ha le braccia distese lungo i fianchi, i piedi uniti. La gola tagliata.
“Un affondo, non un taglio,” gli spiega Anderson. “E a giudicare dalla posizione del corpo, dalla quantità di sangue sui vestiti e sul terreno…”
“È stata spostata,” lo anticipa Lestrade, sforzandosi di studiare il viso della ragazza, le sue mani, i suoi vestiti. “Quanto è distante dall’uomo?”
Donovan risponde che sono 40 metri. A Lestrade sembrava di più, ma il breve tratto tra gli alberi che hanno dovuto percorrere e le luci delle lampade d’emergenza che appiattiscono tutto forse la hanno confuso.
“Chi è? L’uomo è probabilmente di queste parti, forse anche lei,” dice.
Donovan scuote la testa: “E qui si fa strano: lei non ha borsa, né portafogli, niente cellulare, niente abbonamenti della metro, niente di niente.”
Lestrade la guarda: “Niente che ci permetta di identificarla? Questo si direbbe intenzionale…”
“Già. Un lavoro meticoloso, oltretutto…”
Lestrade si rimette a studiare la ragazza, rimpiangendo ancora di più l’assenza di Sherlock. Un paio di minuti al massimo, e Sherlock saprebbe dire che lavoro faceva o cosa studiava, dove abitava e con chi, se praticava sport e cosa diavolo ci faceva a Parsons Green tra le 17:30 e le 18:00, l’ora del decesso, tutto guardandole la cerniera del giubbotto, le suole delle scarpe, i capelli…
Lestrade nota un particolare e indica a Donovan: “È un hijab, quello che indossa?”
Donovan e Anderson guardano entrambi.
“Mi sembra solo una sciarpa, boss.”
È una sciarpa: l’aveva attorno al collo, quando è stata accoltellata. Guardi le macchie di sangue, Ispettore,” fa Anderson con sufficienza.
“Allora perché le copre i capelli, ora? Non mi sembra sia finita lì per caso, mentre l’assassino trascinava il corpo, vero?”
La stoffa è sistemata con cura, Lestrade ne è certo, per nascondere i capelli della ragazza. E il corpo è stato composto.
Anderson osserva con attenzione: “Non può essere finita lì per caso. Ma cosa significa?”
“Non lo so,” ammette Lestrade.
Esce dalla tenda sotto l’acquerugiola insistente che continua a cadere. Non ha bisogno di far cenno a Donovan di seguirlo.
“La nostra mossa?” chiede lei.
Lestrade inspira: “Chi ha trovato i corpi?”
Donovan legge sul suo taccuino: “Peter Wald. Ha fatto gli straordinari al lavoro ed è passato per il parco. Ha visto il cadavere dell’uomo e ci ha chiamati. Siamo stati noi a trovare la ragazza.”
“È ancora qui?”
“Sì. L’ho lasciato con un paio di agenti e una tazza di tè. Era un po’ scosso.”
“Andiamo a parlarci.”
Peter Wald e i due agenti hanno trovato riparo sotto a una pensilina del pullman. Wald sta fumando assieme all’autista dell’ambulanza che sta aspettando l’ordine di rimuovere i corpi.
“Buonasera, signor Wald, sono l’Ispettore Greg Lestrade. Mi spiace incontrarla in queste circostanze. Le prometto che faremo il possibile per permetterle di tornare a casa presto.”
Wald mormora un ‘buonasera’ e si aggrappa alla sua sigaretta come se ne andasse della sua vita. Fa il gesto di allungare il pacchetto verso Lestrade, ma lui lo blocca con una mano. L’autista dell’ambulanza, che lo conosce, invece, si affretta a levargli la tentazione da sotto gli occhi dandogli le spalle e spostandosi all’estremità della pensilina. Peccato che non sia neanche lontanamente sufficiente.
“Signor Wald, può ripetere anche a me di come ha trovato il corpo?”
Wald racconta a Lestrade quello che Donovan gli ha già anticipato sugli straordinari (“Il mio capo, sa, ha avuto un infarto l’anno scorso, e ora deve prendersela più calma…così si accumula un po’ di lavoro per noialtri, a volte…”) e sul percorso attraverso il parco.
“Se l’è ritrovato proprio davanti?” chiede Lestrade. “Era vicino al sentiero?”
“Il…il corpo? No, in effetti, no,” risponde Wald.  “Non sono passato vicino al sentiero, ho tagliato per quel prato. Ma lui era…vicino al passaggio. Voglio dire, il prato non è proprio piano, e viene spontaneo passare dove c’è una leggera pendenza…Lui era più in là, dopo una specie di dosso e non si vedeva bene. Ho pensato che fosse un ubriaco o un senzatetto, e con questo freddo…poteva essere pericoloso.” Wald si interrompe e sbatte gli occhi in modo gufesco. “Così sono andato a vedere. È strano? Che sia andato a curiosare? Insomma, non mi fa apparire…vero, Ispettore?”
“No, no, tutt’altro,” lo rassicura Lestrade con un sorriso stanco. “Voleva aiutare. E ha fatto bene a chiamare la polizia.”
Wald annuisce e si aggrappa ancora alla sua nicotina. Lestrade si sente prudere le mani.
“Vedrò di farla accompagnare a casa, signor Wald. Grazie per la collaborazione.”
Quando Wald e gli agenti sono lontani, l’autista è risalito sul suo mezzo, Lestrade e Donovan hanno la pensilina tutta per loro. Si godono gli ultimi momenti all’asciutto.
“Che ne pensi?” chiede Donovan.
Lestrade inspira a fondo: “O l’uomo si è allontanato dal passaggio più ovvio fuggendo all’assassino, o…”
“O anche lui è stato spostato,” conclude Donovan.
Lestrade annuisce e occhieggia il parchetto e poi le case.
“Quindi, con ordine: recintiamo e battiamo il perimetro del parco, e a seguire le vie circostanti per trovare il luogo del delitto. E dei delitti. Se siamo fortunati, salta fuori almeno il cellulare dell’uomo. Magari anche il coltello.”
Donovan comincia ad organizzare tutto mentalmente, Lestrade può dirlo dal modo in cui si guarda attorno e annuisce tra sé e sé.
Lui si gira di nuovo a osservare le case dietro di loro: molte finestre accese, ma poche sagome affacciate sul trambusto della polizia. L’unico vantaggio di quella pioggia, quella notte: tiene lontani i curiosi. Ma se da una di quelle case mancasse qualcuno, da ore, ormai, qualcuno che era uscito solo per pochi minuti, i lampeggianti blu e bianchi avrebbero certamente richiamato qualcuno. Quindi probabilmente il loro uomo abitava vicino, ma non così vicino.
“Troviamo due agenti per fare il giro delle case, sentiamo se qualcuno ha notato qualcosa o sentito urlare. Magari qualcuno ha incrociato l’uomo o la ragazza.”
Donovan fa un cenno d’assenso.
“Io e te ci spostiamo ancora un po’ e cerchiamo da quale casa è uscito quel povero diavolo.”
Per la ragazza non c’è altro che possono fare, nell’immediato: forse qualcuno la aspetta per cena, o resterà sveglio per controllare che non sfori l’orario del suo coprifuoco…no, è troppo grande per un coprifuoco, Lestrade, dannazione; ma non vuol dire che non ci siano genitori preoccupati ad aspettarla. Domattina controlleranno tra le persone scomparse, ma è più urgente capire dove è morta, ora, prima che sia troppo tardi. Ma dopo ore di pioggia gelata…
Lestrade scuote la testa: “Andiamo.”
“Sì, boss.”


Note:
Grazie per aver letto questo primo capitolo!
La storia è già terminata e posterò i successivi capitoli a cadenza settimanale, salvo imprevisti.
Ogni commento è ben accetto, specie sulle questioni poliziesche;)
   
 
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