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Autore: Janen_Official    07/09/2018    0 recensioni
"...degli enormi occhi, possessori di una caratteristica alquanto singolare: essi infatti passavano dal grigio di un cielo nuvoloso al nero dell'anima più sporca su comando del giovane ragazzo. Faceva spesso questo giochetto: gli piaceva pensare che il detto "gli occhi sono lo specchio dell'anima" fosse vero e che lui, potendone cambiare il colore, di anime ne avesse due, entrambe prive di un cielo sereno al proprio interno. Più si guardava, più sorrideva compiaciuto: grigio, nero, grigio, nero. "
Taita non è un umano, ha dei poteri sovrannaturali e ne è consapevole; sebbene si sia impegnato a rimanere nell'anonimato conducendo una vita apparentemente normale, verrà a conoscenza di una scomoda verità che cambierà la sua esistenza per sempre.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10 AGOSTO 2018

Taita fissava la sua immagine riflessa nell'enorme specchio del bagno. Ancora fradicio dalla doccia, portava un asciugamano legato in vita; non era un mostro d'altezza, il fisico era definito ma allo stesso tempo troppo magro. I corti capelli castani risultavano più scuri essendo bagnati, e lasciavano scendere delle gocce lungo il viso magro e scavato, completamente privo di barba e baffi: una tela bianca che faceva risaltare degli enormi occhi, possessori di una caratteristica alquanto singolare: essi infatti passavano dal grigio di un cielo nuvoloso al nero dell'anima più sporca su comando del giovane ragazzo. Faceva spesso questo giochetto: gli piaceva pensare che il detto "gli occhi sono lo specchio dell'anima" fosse vero e che lui, potendone cambiare il colore, di anime ne avesse due, entrambe prive di un cielo sereno al proprio interno.
Più si guardava, più sorrideva compiaciuto: grigio, nero, grigio, nero.

Il silenzio della casa, troppo grande per una sola persona, sarebbe stato assordante per chiunque: la vibrazione del telefono lo squarciò come un tuono nel mezzo della notte.
«Dimmi Cristina» esclamò il ragazzo rispondendo al telefono con un sorriso.
«Dobbiamo tirarti fuori dalla tua tana di peso?» rispose la voce femminile con tono stizzito «O ci fidiamo dell'ora e del posto che ci hai indicato?»
«Vi ho mai dato buca?» chiese divertito Taita prevedendo la risposta dell'amica e sorridendo al sè nello specchio.
«Mille volte» rispose seccata Cristina.
«Passo a prelevare e arrivo, state tranquilli: come potrei mai perdermi i festeggiamenti per la mia ufficiale uscita dal mondo dei teen?» concluse Taita ridacchiando prima di chiudere la chiamata.

Il silenzio tornò ad avvolgere quella casa moderna, insonorizzata, asettica, senza emozioni.

Arrivato in camera, il ragazzo indossò i primi vestiti che trovò nel cassetto adibito ai capi sportivi dopodiché si guardò allo specchio: era anonimo e non attirava l'attenzione, come di consueto.
Dopo aver aperto la cassettiera sotto alla finestra, contenente un numero smodato di orologi costosissimi, scelse quello che avrebbe indossato alla sua festa di compleanno e lo ripose in un borsone preparato prima della doccia, che portò fino all'ingresso della casa, passando per il lungo corridoio che collegava i bagni e le innumerevoli camere alla zona giorno composta da un ampio soggiorno, una cucina ultramoderna ed una mastodontica terrazza.

Spense tutte le luci, uscì dalla porta di casa e scese le tre rampe di scale che lo separavano dalla strada accompagnato solo dal rimbombo dei propri passi sui gradini in marmo.

Ogni volta che Taita usciva dalla propria tana, si compiaceva di quanto essa fosse bella: aveva dovuto duplicare i suoi guadagni per permettersi di pagare il mutuo, inoltre gli erano serviti un bel po' di favori per stampare alcune carte false per convincere la banca ad affidare una cifra simile ad un ragazzo di appena diciannove anni ma ne era valsa decisamente la pena; non tanto per la tecnologia al suo interno, o per l'insonorizzazione totale, bensì per la sua posizione: infatti, il ragazzo non fece nemmeno in tempo a prendere dalla borsa una sigaretta, accenderla, inspirare a pieni polmoni e svoltare l'angolo, che il suo sguardo si infranse sul Duomo di Milano.

Inspirò ancora.

Taita provava una quiete indescrivibile guardando quel maestoso monumento, specialmente al tramonto: gli era sempre sembrato che quella struttura volesse toccare il cielo, protendendosi verso esso ma, non perché non riuscisse bensì perché non volesse farlo, non si permettesse di toccarlo, rimanendo ben ancorato alla piazza.

Inspirò ancora.

Si rivedeva in quella struttura: come essa, anche Taita non voleva toccare il cielo, non voleva abusare di ciò che la natura e la sua stirpe gli avevano donato, sebbene ne traesse nel mondo del lavoro qualche vantaggio spesso e volentieri, cercando comunque di rimanere nell'anonimato per sembrare una persona normale, uno dei tanti.

Inspirò ancora.

Il sole si abbassava di minuto in minuto e l'atmosfera era resa ancora più perfetta dall'assenza di persone: nessuno rimaneva in città nella notte di San Lorenzo, probabilmente a causa dello smog che non permetteva di vedere le stelle cadenti nitidamente o forse per l'afa della metropoli insopportabile in quel mese, anche se quel giorno l'aria risultasse quasi fresca.

Dopo aver ammirato lo splendido scenario a due passi da casa, Taita si diresse verso il taxi che lo stava aspettando, aprì la portiera, salì con la sigaretta ancora accesa e, senza degnare l'autista nemmeno di un saluto, gli porse il telefono per qualche secondo, dove vi era scritta la sua destinazione, continuando a fumare con lo sguardo rivolto verso il Duomo.

La voce dell'uomo però turbò i pensieri poetici e rilassati di Taita:
«Non qui dentro giovanotto!» tuonò l'anziano tassista, infastidito sia dal comportamento del giovane che dal fumo della sigaretta che avrebbe impregnato di cattivo odore gli interni della sua vettura.
«Ascoltami», rispose Taita inspirando a pieni polmoni nicotina, catrame e soprattutto pazienza, «io sarò più che lieto di farti dimenticare l'odore di fumo nel tuo taxi con una lauta mancia», disse estraendo due banconote da cinquanta euro dal portafoglio porgendole all'autista, «metà ora, metà a fine corsa se ti sarai comportato adeguatamente».
Il comportamento dell'uomo cambiò in un istante e, dopo essersi avventato sulle due banconote da cinquanta come un falco in picchiata sulla sua preda, sfoderò il suo miglior sorriso chiedendo con tono allegro e cordiale:
«Posso partire verso l'indirizzo da lei indicatomi?»
«Certamente. Quando arriveremo, ti darò ulteriori indicazioni. Svelto, non ho tutta la serata» tuonò il ragazzo, prima di infilarsi nelle orecchie un paio di cuffiette estratte dalla borsa qualche istante prima.

Taita, dopo essersi acceso una nuova sigaretta con la fine di quella precedente, guardò lo spaccato di vita quotidiana della sua città che il finestrino incorniciava come fosse un televisore mentre la musica in cuffia ne faceva da colonna sonora: il sole si abbassava sempre di più, le famiglie camminavano felici, le signore con una borsa che costava come due mesi di mutuo del ragazzo e gli uomini spensierati, probabilmente in ferie, lasciarono chilometro dopo chilometro spazio a scenari di certo più familiari al giovane: palazzoni sempre più grandi e grigi, macchine meno lussuose, persone vestite in maniera meno costosa, bambini che al posto dello smartphone avevano in mano un cono gelato.

Dopo sei canzoni e tre sigarette, Taita diede le ultime indicazioni all'autista, per raggiungere un vecchio hotel, apparentemente abbandonato e malmesso, con le finestre interamente imbrattate di vernice nera per non far vedere nulla di ciò che accadeva all'interno: nel quartiere, nessuno osava avvicinarsi a quella struttura ma, il proprietario, diceva che la sicurezza non era mai troppa.

Il ragazzo scese dal taxi, prendendo dalla borsa solo sigarette ed accendino, dopodiché esclamò:
«Torno subito, aspetta qui»
«Q-qui? Non puoi chiamare un altro taxi?» disse tremando l'uomo «non mi interessa dell'altra metà della mancia lo giuro, questo posto mi mette i brividi!» aggiunse ma il ragazzo continuò a parlare come se non avesse sentito mezza parola:
«Dieci minuti, quindici al massimo e sarò di ritorno. Ho la mia borsa nel tuo taxi, se sparisci hai i giorni contati». Così dicendo Taita si allontanò, mentre il tassista si faceva sempre più piccolo dietro al volante, impaurito, all'ombra di quella struttura abbandonata, che sembrava minuta rispetto ai palazzoni della periferia che fungevano da sfondo a quella cupa fotografia.

Il giovane varcò la porta, quella che aveva varcato svariate volte: ad attenderlo un uomo sulla quarantina, decisamente in forma, brizzolato, con dei baffi curati e dei piccoli guardinghi occhi azzurri. La prima cosa che saltava all'occhio guardando l'uomo, oltre al suo completo interamente zebrato abbinato a dei mocassini con la stessa fantasia, era un appariscente anello rosso, che brillava anche alla penombra di quella lugubre stanza poco illuminata mentre nell'altra mano, stringeva un logoro passamontagna. L'uomo, con un sorriso stampato in faccia, andò incontro al giovane ragazzo che aveva appena varcato la porta, ed entusiasta esclamò: «Ecco il mio campione!»
«Ciao Vinny» rispose Taita sicuramente con meno entusiasmo.

Vinny.

Vinny era il Don King milanese e non solo per la sua eccentricità nel vestire: se volevi combattere illegalmente dovevi per forza rivolgerti a lui; rischiare di combattere per gli affari propri era rischioso: Vinny aveva occhi ed orecchie ovunque ed i suoi collaboratori erano uomini dal grilletto facile. L'uomo, dalla borsa del vincitore, guadagnava il venti percento: un bel bottino per una persona che seguiva circa cinque o sei combattimenti al giorno, ne organizzava almeno il triplo di quelli che riuscisse a seguire, duplicando questi numeri nei weekend, giorni in cui non si curava minimamente dei piccoli combattimenti con vincite di cinquecento euro, per concentrarsi sugli incontri con borse anche di mezzo milione, sennon milioni interi quando i ricconi desideravano provare esperienze nuove, animalesche, emozionanti, pericolose, sfidandosi tra loro. Come Vinny fosse diventato il padrone di questo giro di soldi e persone, rimaneva un mistero per tutti: l'uomo millantava di venire direttamente da Philadelphia, di essere quindi un italo-americano; sarebbe stata una storia fantastica: un uomo fuggito dal suo quartiere malfamato che, dopo aver attraversato l'oceano, si era arricchito da solo, da vero self made man. Il maestoso palco che ospitava la recita della vita di Vinny però, era fragile, troppo fragile: infatti l'uomo non sapeva mezza parola di inglese inoltre, sebbene sostenesse che Vinny fosse il diminutivo di Vincent, ogni qual volta sentisse urlare «Vincenzo» si girava di scatto. Se questo non fosse bastato alle persone attorno all'uomo per dubitare del suo passato, il marcato accento siciliano completava l'opera ma, proprio a causa del suo temperamento, tanto buono quanto spietato e vendicativo, nessuno metteva in dubbio la sua provenienza geografica, tantomeno il suo pessimo inglese.

«Allora campione, ti ho portato tre uomini come da richiesta. Sai che non ne servirebbero così tanti avversari se solo...»
«Vinny, non iniziare, non voglio sentire la solita ramanzina anche il giorno del mio compleanno» esclamò seccato Taita, lasciando l'uomo brizzolato con una faccia stupita ed imbarazzata.
«Oh...tanti auguri campione! Potevi dirmelo però, mi sarei presentato con un regalo! Che figura...che figura...» rispose l'uomo abbassando lo sguardo carico di vergogna.
«Tranquillo Vinny. Ora andiamo: voglio finire presto per festeggiare con i miei amici» disse Taita accendendosi una sigaretta, mentre Vinny gli porse il passamontagna che prontamente il ragazzo indossò.

I due si incamminarono verso la solita stanza dove Taita aveva combattuto mille volte: la vecchia sala da pranzo dell'hotel; dopo il suo proverbiale sospiro prima di varcare la soglia, entrò nella polverosa stanza dove lo accolse il solito scenario: una dozzina di uomini armati e un arbitro non vedevano l'ora di finire la lunga giornata di lavoro e che terminasse anche l'ultimo incontro mentre tre energumeni, troppo sicuri delle loro potenzialità, si scambiavano sguardi compiaciuti dopo aver visto entrare il loro sfidante, basso e magrolino, convinti di essere vicini all'incasso di un'ottima cifra vista la poca prestanza fisica del giovane.

Taita si diresse verso il centro della vecchia sala da pranzo con la sigaretta ancora accesa: il fumo in contrasto con la luce fioca emanata dalle vecchie lampadine impolverate riusciva a dare un tocco poetico, quasi da film di gangsters anni ottanta, alla stanza sporca che odorava di chiuso e malavita. Con un sorriso, Vinny conquistò il centro dell'ambiente a sua volta e, dopo aver ritirato e contato i soldi dei tre uomini destinati al premio per il vincente dell'incontro, si allontanò verso l'angolo della stanza sorridendo ai presenti e si accese un sigaro per poi mettersi comodamente appoggiato al muro guardando il suo smartphone, come se tutto ciò che stesse per accadere attorno a lui fosse normale. Per lui i combattimenti erano pane quotidiano, è vero, ma era un business man attento: seguiva quanti più incontri possibili, per scovare nuovi talenti da far combattere in posti ed eventi più affollati, per guadagnare di più dalle borse degli incontri e dalle scommesse sugli stessi ma, quando combatteva Taita, non c'era niente da guardare di nuovo: anche questa volta sarebbe stato il solito libro già scritto, letto e riletto, dal finale scontato, tanto che nemmeno più chiedeva al ragazzo il disturbo di consegnargli i soldi per la borsa del vincente visto che le stesse banconote sarebbero tornate nelle tasche di quest'ultimo in qualche minuto, a volte qualche secondo.

Mentre Taita spegneva la sigaretta schiacciandola con la scarpa destra, l'arbitro, un uomo sulla quarantina, basso e cicciottello, con dei baffoni ben curati, visibilmente stanco dalla giornata lavorativa, si mise tra il ragazzo e i tre uomini.
«Le regole le sapete signori» tuonò l'arbitro mentre la sua voce rimbombava per tutta la stanza vuota «questo è un incontro senza armi, se a qualcuno di voi venisse la brillante idea di utilizzare qualsivoglia oggetto, verrà crivellato dai nostri uomini in un istante. L'incontro finisce quando lo decido io, non vogliamo cadaveri qui. Certo se a causa di un colpo doveste chiudere gli occhi per sempre... il silenzio degli altri presenti sarebbe d'obbligo. Ciò che si fa qui dentro, rimane qui dentro. Tutto chiaro signori?» disse rivolgendosi ai tre uomini, che all'unanimità risposero «sì, chiaro».
«È chiaro anche a lei?» esclamò guardando Taita, il quale rispose con un cenno della testa.
«Allora buon combattimento signori, che vinca il migliore! Combattete!» ringhiò l'arbitro, tentando di enfatizzare quella frase nonostante la stanchezza, per poi scansarsi un poco per far iniziare lo show ai quattro mentre gli uomini armati si allontanarono verso i lati della stanza, tenendo minacciosamente le pistole in mano, rimanendo sull'attenti e pronti ad intervenire nel caso in cui qualcuno dei combattenti trasgredisse le ferree regole imposte da Vinny.

Taita avanzò con passo sicuro verso i suoi avversari guardandoli meglio; uno di loro era di colore, ed era sicuramente il più muscoloso dei tre: una piccola montagna con una bandana in testa e un fisico veramente invidiabile. Gli altri due, sebbene fossero più snelli e meno alti, erano comunque il doppio del ragazzo. Essendo abituato agli sfottò degli avversari, Taita ignorò la voce dei tre sfidanti senza battere ciglio, concentrato nel finire quel rapido prelievo di soldi il più in fretta possibile poichè, sebbene combattere contro degli energumeni di certo non lo spaventasse, al contrario temeva gli eventuali rimproveri che avrebbe ricevuto da Cristina, qualora fosse arrivato in ritardo alla festa dei suoi vent'anni.

Una frase pronunciata dal più muscoloso dei tre però, trapassò la corazza di concentrazione del ragazzo, il quale non potè fare a meno di ascoltarla.
«Ragazzi è arrivato l'uomo tigre, che paura!» esclamò l'uomo con la bandana ridendo.
La risata non durò a lungo.

Taita caricò un gancio col braccio sinistro e, un secondo prima che accadesse, vide l'esatto movimento che l'uomo, sicuramente più esperto di lui nel combattimento, avrebbe fatto per proteggersi dal suo pugno. Quel movimento non venne mai completato a differenza di quanto aveva visto Taita nella propria visione.

Se aveste chiesto a qualsiasi psicologo, che seguiva qualsivoglia malcapitato che avesse avuto la sfortuna di affrontare Taita per farsi due soldi, cosa non andasse nel suo paziente, tutti, vi avrebbero detto la stessa cosa:
«il mio paziente è ossessionato dagli occhi».
Se aveste chiesto direttamente ai malcapitati quale fosse il loro problema, tutti vi avrebbero risposto:
«Occhi, milioni di occhi mi guardavano, mi paralizzavano, mi giudicavano, mi schernivano, mi terrorizzavano. Li vedo ogni volta che chiudo gli occhi, li vedrò per sempre».
Quel movimento non venne mai completato perchè, per una frazione di secondo che l'uomo visse come fossero stati anni e anni nel suo cervello, egli vide apparire dai vestiti, dal passamontagna, dalle mani, da qualsiasi parte del corpo scoperta e non di Taita, degli occhi neri, che lo guardavano, che lo paralizzavano, che lo giudicavano, schernivano e terrorizzavano.
Li avrebbe visti ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi, fino ad impazzire.

La montagna di muscoli, paralizzato dalla paura, permise a Taita un colpo facile.
Non crollò per la potenza del pugno, che normalmente l'avrebbe a malapena scalfito, bensì perchè ormai pietrificato, anche il peso di una piuma sarebbe pesato come un macigno su quelle gambe troppo stanche per resistere al più soffice degli impatti. Il corpo caduto sul legno lurido del pavimento alzò un polverone ed il suono di esso rimbombò per tutte le pareti. Il poveraccio fissava il soffitto tremando, con gli occhi sbarrati, come se avesse visto un demone.

La stessa sorte capitò agli altri due: un pugno a testa bastò per farli crollare; sempre lo stesso copione: suono del corpo che crollava e rimbombava nella stanza vuota, polvere alzata dal pavimento lurido, occhi sbarrati del malcapitato verso il soffitto mentre tremava.

Taita non attese nemmeno che l'arbitro sancisse la fine dell'incontro per scavalcare i tre corpi sotto shock e dirigersi verso Vinny. Prima peró volle rispondere all'offesa così eccentrica che aveva ricevuto prima dell'incontro; sebbene fosse consapevole che la vittima non avrebbe sentito le sue parole in quello stato, quando fu il momento di scavalcare il corpo dell'uomo muscoloso con la bandana, esclamò con tono strafottente: «Comunque, non è una maschera da tigre, è un passamontagna», per poi avviarsi verso l'uomo brizzolato che aveva avuto a malapena il tempo di dare cinque o sei tiri al sigaro cubano che bruciava come le speranze dei tre uomini a terra.

Vinny, come nei migliori film, fece un applauso al rallentatore dopodichè tirò fuori dalla tasca un piccolo pacchetto con un fiocco sopra.
«Pensavi che mi fossi dimenticato il compleanno del mio combattente preferito? Del mio "Pugno-shock?" » disse soddisfatto l'uomo dando al ragazzo una pacca sulla spalla.
«Penso che tu debba migliorare con i soprannomi» rispose Taita ridendo attraverso il passamontagna mentre apriva il regalo, che si rivelò essere un bellissimo orologio di lusso, nero opaco.
«Come piacciono a te no? Costoso ma non appariscente» esclamò Vinny gongolando per la scelta azzeccata; Taita sorrise e ringraziò l'uomo, che gli porse anche la mazzetta che si era guadagnato con la vittoria, aggiungendo:
«Tienili tutti, millecinquecento, non mi permetterei mai di prendere la mia parte nel giorno del tuo compleanno. Tuttavia, mi spiace ripetertelo, so che mi hai detto di non romperti oggi, ma non sei fatto per questi postacci. Ne fai venti oggi, e hai due scelte: iniziare a studiare e lavorare come tutti quelli della tua età o mettere via un bel gruzzoletto in vista del futuro e, finchè pagherai una casa simile, vivrai comprandoti un orologio di lusso alla settimana e mangerai in continuo nei migliori ristoranti offrendo pranzi e cene ai tuoi amici, tre pugni in posti schifosi come questo non ti basteranno. Pensaci campione, potresti lavorare solo i weekend, un incontro alla settimana; vieni giù alla "Gabbia": diventeresti l'idolo della folla! Un combattimento, e invece di cinquecento miseri euro per avversario ne prenderesti dieci volte tanto, venti, trenta! Ti farei diventare la star del mio giro! Sei anche giovane, ti facciamo un'immagine togliendoti quel brutto passamontagna sgualcito e...»
Il discorso e l'entusiasmo dell'uomo vennero interrotti da un sospiro di Taita che gli voltò le spalle e si avviò verso l'uscita.
«Fermo ragazzo» tuonò Vinny «Non ho ancora finito con te».
Taita si girò di scatto, i suoi occhi annoiati e allo stesso tempo carichi di insofferenza fissarono l'uomo brizzolato per qualche secondo.
«Che devo dirti Vinny? Cosa vuoi sentirti dire? Non ho intenzione di avere un pubblico, di far vedere il mio volto, che qualche gang dopo aver battuto il loro capo venga a cercarmi sotto casa, che qualche pazzo strafatto di cocaina perda i risparmi di una vita nel tentativo di arricchirsi e che si ammazzi per non dover affrontare le conseguenze a casa con la moglie o peggio, che la ammazzi e poi si pianti il coltello col quale ha ucciso lei in gola. Troppi soldi, troppi problemi. Pago il mutuo, pago i miei vizi, ma metto via qualcosa ogni mese, e...»
«E cosa Taita?» esclamò Vinny interrompendo il ragazzo «E se ti spaccassi la gamba domani e per qualche mese non potessi combattere? Cosa faresti? Se mi arrestassero? Mantenere i tuoi vizi sarebbe l'ultimo dei tuoi problemi! Prima dovresti vendere tutti i tuoi averi per pagare il mutuo dopodichè probabilmente perderesti anche la casa! Taita, dammi retta».
«No Vinny mi spiace. Non voglio fama, popolarità e cose simili. Non ne ho la minima intenzione» rispose con freddezza il giovane, tamburellando l'indice con nervosismo sulla coscia, sperando di divincolarsi presto da quella conversazione.
«Quando crescerai ragazzo, e vorrai fare i soldi veri e smettere di far finta di farli, chiamami. O ti dai una regolata, o con tutte le tue spese non ti basterà questa merda, ricordati le mie parole» concluse Vinny con tono sconsolato, sospirando e scuotendo la testa, guardando il lercio pavimento.
«Voglio solo godermi il mio compleanno Vinny. Ti chiamo domani per il prossimo incontro ok?» disse Taita tendendogli la mano in segno di pace, mano che venne immediatamente stretta dall'uomo brizzolato che aggiunse:
«Va bene divertiti ragazzo, divertiti».

Taita si allontanò dalla vecchia sala da pranzo e lasciò cadere il passamontagna a terra solo quando la sua identità fu al sicuro dagli uomini di Vinny.

Il capo dei combattimenti clandestini invece, tornato in sè, dopo aver abbandonato ancora una volta il suo sogno di far diventare Taita un glorioso combattente milionario, esclamò bruscamente alla sua combriccola:
«Tirate su questi tre sacchi di merda, e andatevene a casa ragazzi. Ottimo lavoro anche oggi».
Dopodichè, anche l'uomo uscì dalla vecchia sala da pranzo, raccolse con un sorriso il passamontagna lasciato qualche secondo prima dal giovane e aspettò che tutti uscissero dalla struttura per potersi godere il meritato riposo.

Mentre gli uomini di Vinny cercavano con scarsi risultati di far alzare da terra i tre uomini terrorizzati, il colpevole di quel triste epilogo per i tre malcapitati era tornato al taxi.
«C-che hai fatto?» chiese il tassista incuriosito e allo stesso tempo impaurito, ottenendo come risposta il telefono di Taita che segnava la sua prossima destinazione ed un brusco «Andiamocene da qui».

Taita si cambiò sui sedili posteriori dell'automobile, indossando i vestiti che aveva accuratamente piegato nel suo borsone: il piano poi, sarebbe stato quello di riempirlo con i vestiti e le scarpe usate per il combattimento, al fine di abbandonarlo nel taxi ma subito notò un'enorme falla nel suo piano... il regalo di Vinny. Il ragazzo infatti avendo preso uno dei suoi orologi di lusso da casa ed avendone ricevuto un altro in regalo, non aspettandoselo minimamente, ora aveva ben due bei pezzi da novanta da mettere al polso: non avrebbe certamente potuto tenere in tasca uno dei due gioiellini, col rischio di finire addosso a qualcuno al party e rovinarlo; tantomeno avrebbe affidato uno dei suoi due bambini a qualcun altro: quegli orologi erano i suoi figli.
Rise non poco tra sè e sè quando indossò un orologio per polso: si sentiva ridicolo ma, allo stesso tempo, maledettamente ricco o almeno abbastanza per scacciare un po' i pensieri che gli aveva fatto venire Vinny con i suoi continui discorsi.

Si infilò le cuffiette, si accese una sigaretta, abbassò il finestrino e inspirò a pieni polmoni.

Forse avrebbe dovuto dare retta a Vinny? Non voleva quel futuro: Vinny l'aveva raccolto da una palestra di MMA e sicuramente voleva solo forgiarlo, abituarlo a un grande pubblico e lanciarlo nel mondo dei combattimenti legali, magari per fare qualche soldo come suo manager.

Inspirò ancora.

Non voleva gli occhi addosso, tantomeno che qualcuno comprendesse i suoi poteri: i suoi genitori lo avevano avvisato di non esporsi troppo, di essere discreto e qualsiasi cosa sarebbe stata più discreta di farsi vedere in mondovisione sconfiggere chiunque con un pugno, match dopo match.

Inspirò ancora.

Inoltre, cosa sarebbe accaduto se un altro suo simile l'avesse visto? I loro poteri erano invisibili agli occhi degli umani a meno che uno di essi non fosse bersaglio di questi o, in alternativa, che un sovrannaturale volesse mostrare il suo potere consapevolmente ad altri umani presenti al di fuori della propria vittima ma, tra sovrannaturali, potevano vedere i poteri reciproci chiaramente.

Inspirò ancora.

Chissà quanti erano i sovrannaturali come lui; in televisione non aveva mai notato nulla di strano, tantomeno nella vita quotidiana. Evidentemente, era un pensiero comune tra i suoi simili quello di non dare troppo nell'occhio e non solo una malsana ossessione dei suoi genitori: tutti i suoi simili avevano l'interesse di mantenere al sicuro le stirpi degli angeli e quelle dei demoni da occhi indiscreti.

Inspirò ancora.

"Meglio stare lontani dai riflettori", pensò tra sè e sè, "inoltre in una palestra seria, per combattere da professionista, dovrei almeno far finta di allenarmi, e non ne ho la minima voglia". Il demone ridacchiò a bassa voce e con la testa chinata della propria pigrizia.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, Taita disse all'uomo, tirando fuori qualche banconota di vario taglio:
«Questi sono per il conto e questa è l'altra metà della mancia che ti avevo promesso. Ti lascio qui la mia borsa: buttala, tienila come ricordo, fanne ciò che vuoi: non ha roba di valore dentro».
Senza dare occasione all'uomo di replicare, per non sentire nuovamente quella fastidiosa voce, Taita chiuse la portiera sorridendo forzatamente all'autista, per poi allontanarsi nell'enorme parcheggio del locale dirigendosi verso l'entrata di esso, ma delle voci alle sue spalle lo fermarono:
«Ho capito che cadono le stelle stanotte, ma vederlo con due orologi è un regalo fin troppo grande dal cielo» esclamò un uomo ridacchiando.
«Hai ragione, sta diventando un tamarro. Oggi due orologi, domani la smetterà di vestirsi solamente di nero per confondersi con le ombre: chissà se prima o poi uscirà di casa anche senza essere obbligato da noi» aggiunse un'altra voce maschile, meno profonda della prima ma non meno divertita.
«È già tanto che il demone sia uscito dalla sua tana e stia presenziando al suo stesso compleanno ragazzi: continuare a prenderlo in giro potrebbe farlo fuggire!» concluse una voce femminile, probabilmente la più divertita, prima di aggiungere: «Tanti auguri Taita!» con voce entusiasta.

   
 
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