Fanfic su attori > Coppia Cumberbatch/Freeman
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Autore: ChiaFreebatch    08/09/2018    6 recensioni
Fanfiction scritta per l’evento “Happy Birthday Martin” Indetto dal gruppo Facebook “Johnlock is the way…” ( Tre capitoli conclusa)
Trama : C’è un cottage nascosto nei boschi di Frensham,la spiaggia di Pond a pochi passi, il rumore ed il profumo del mare giungono sino lì. Martin vi si è recato in preda alla nostalgia di quello che un tempo era stato il rifugio segreto in cui trascorreva giorni felici con Ben. Giorni d’amore al riparo da occhi indiscreti. C’è rabbia in Martin, tristezza e dolore, per una storia mai decollata, per un rapporto naufragato. E c’è Ben. Ben alle prese con un matrimonio tutt’altro che felice. Ben che ha bisogno di tornare a Frensham… Perché le voci del fidanzamento di Martin lo hanno colpito come una coltellata ed ha necessità di ritrovare la pace in quel luogo testimone del loro amore passato…Passato?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“It’s always you…Martin Freeman”

 

Fanfiction scritta per l’evento “Happy Birthday Martin” Indetto dal gruppo Facebook “Johnlock is the way…And Freebatch of course!”

Eccomi qua, nonostante il mio nickname questa è la mia prima Freebatch. Sin ora ho sempre scritto nel fandom di Sherlock quindi metto le mani avanti ^//^…

Questa storia nasce da una mia personalissima visione del rapporto tra Ben e Martin quindi mi auguro nessuno si offenda in alcun modo, è ambientata nel mese di agosto di quest’anno e presenta riferimenti reali su ambo le parti con i quali la mia fantasia ha giocato ( lasciatemi nel mio mondo di unicorni e arcobaleni, mi ci nascondo per sfuggire alla realtà)

Spero possa piacervi, un abbraccio

Chia.

 

Finale: Happy ending.

Tag: #angst pregresso #BenAttapirato #MatrimonioFinito #FreebatchIsReal #MartinSempreFigo

 

 

CAPITOLO UNO

 

L’estate londinese si rivelò essere una delle più calde degli ultimi anni, la colonnina del mercurio toccò i trentacinque gradi ed ogni inglese che si rispetti provò un moto di sconforto nell’osservarla.

Martin Freeman sospirò pesantemente passandosi una mano sulla nuca.

I capelli serici un poco inumiditi.

Storse le labbra innervosito gettando uno sguardo irritato al climatizzatore fuori uso.

Era reduce da una chiamata piuttosto stizzita con il tecnico che lo aveva gentilmente liquidato con un -Le faccio sapere il prima possibile-

Si mise le mani sui fianchi gonfiando nuovamente le guance.

Le iridi blu corsero alla tv senza volume.

Le immagini scorrevano pigre quasi vittime del caldo a loro volta.

Un insulso programma pomeridiano faceva mostra di sé.

Gossip, per lo più.

Arricciò il naso infastidito e recuperò il telecomando posato sul basso tavolino, con il chiaro intento di porre fine a quella sequela di idiozie.

Chinò il capo.

Il ciuffo biondo scivolò sulla fronte accaldata.

Il pollice sinistro sfiorò il tasto rosso.

Gli occhi corsero nuovamente allo schermo, il braccio teso.

“Ma cosa…”

Martin sussultò un poco.

Serrò i denti con forza.

Il suo cuore vacillò e quella debolezza ebbe il potere di irritarlo profondamente.

Benedict Cumberbatch sorrideva ad una telecamera di fortuna.

Web cam avrebbe azzardato.

Sorrideva seduto sul letto.

Le gambe incrociate.

La t-shirt grigia.

Quella t-shirt, già, una di quelle stupide magliette che tanto piacevano a Ben e che lui non aveva mai sopportato.

Troppo dozzinali, non gli rendevano giustizia.

Martin si passò la lingua sulle labbra.

Retrocedette di un passo e si sedette sul divano.

Non ebbe il coraggio  di alzare il volume.

Restò ad osservarlo nel silenzio del proprio appartamento.

Batté le palpebre, il respiro un poco veloce.

Posò i gomiti sulle ginocchia intrecciando le dita sottili.

Ben parlava, parlava e sorrideva in quella che riconobbe essere la sua stanza.

La stanza da letto non della casa in cui tecnicamente abitava con Sophie.

No.

La sua casa da scapolo.

Si morse un labbro.

Indugiò sulla testa rasata.

Si ritrovò a sorridere scuotendo appena il capo.

Quel look lo faceva sembrare un pulcino bagnato, un ragazzino.

Lo trovò bello come sempre.

Chiuse un istante gli occhi ed inspirò a fondo.

Il ricordo delle proprie dita serrate ai suoi ricci sulla nuca.

Cristo quanto gli piaceva stringerli con forza!

Si passò nervosamente le mani sul viso e rammentò a se stesso che le mani tra quei capelli non erano più le sue ma quelle di Sophie.

Sophie la stronza.

Imprecò scattando in piedi. Volse le spalle alla tv e si impose calma.

A poco servì.

Quell’immagine dolorosa non voleva abbandonare il suo cervello.

Le piccole mani sottili di quell’arrampicatrice sociale infilate tra i capelli soffici di Ben.

Quegli artigli insopportabili che ora sfioravano quella bella testa rasata.

“Cristo” Imprecò fissando la libreria.

Inspirò a fondo una, due, tre volte.

Si volse appena, sbirciando oltre la propria spalla.

Ben sullo schermò gesticolò , le labbra piene piegate in un mezzo sorriso.

Martin inarcò un sopracciglio appellandosi ad una labile consolazione.

Era cosa certa che quei due facessero poco, pochissimo sesso e quelle dannate mani forse non avevano ancora avuto modo di sfiorare il capo fresco di rasatura.

Freeman si passò nervosamente la lingua sulle labbra.

Era poi definibile consolazione quella?

Spense la tv al primo accenno di immagini di repertorio.

La coppia definita perfetta sfilava su svariati red carpet.

Perfetta.

L’ennesima imprecazione sibilò oltre le labbra sottili.

Gettò il telecomando di malagrazia sul tavolino e raggiunse la camera.

Un moto di nausea lo colse e dovette serrare con forza il palmo della mano sulla bocca.

Si sedette sul letto con il viso sorridente dell’altro ancora dinnanzi agli occhi.

Sorridente.

No.

Non era il termine esatto.

O meglio, lo era in termini tecnici, ma personalmente era perfettamente in grado di distinguere un vero sorriso di Ben da uno fasullo.

Fittizio.

Attoriale.

Ecco, quello che leggeva sul volto dell’altro negli ultimi anni era solo la mera caricatura dell’originale.

L’originale che si era preso il lusso di vedere personalmente.

Dentro e fuori dal set.

Dentro e fuori dal letto.

Prima.

Prima dell’arrivo di Sophie e di tutta quella sottospecie di matrimonio nel quale si era imbarcato.

“Merda…”Sospirò sfiorando il comodino.

Le dita scivolarono sul pomello del cassetto, lo afferrò.

Le nocche di indice e medio tirarono con lentezza.

Si sporse guardando il portachiavi ben visibile all’interno.

Un dannato pinguino peluche.

Lo afferrò titubante.

Un paio di chiavi ciondolarono.

Il suono metallico dell’una contro l’altra.

Gli occhi neri del pinguino lo fissavano.

Il becco un poco rovinato.

Martin lo portò ad un palmo dal viso osservandolo con sguardo serio.

Nella propria mente il flash di quella fredda giornata invernale seduti sulla sabbia di Pond’s beach.

Il vento leggero muoveva il ciuffo corvino di quello che per tutti, al momento, era Sherlock Holmes.

Gli occhi acquamarina fissi sull’orizzonte.

Avevano fatto l’amore non più di un’ora prima, nel piccolo cottage a Frensham.

Il loro cottage, quello poco lontano dalla spiaggia.

Quello affittato con la massima discrezione.

Discrezione profumatamente pagata.

Ricordò di averlo fissato con sguardo ai limiti dell’adorazione per svariati istanti.

Poi Ben si era voltato e gli aveva sorriso.

Sorriso per davvero, ed era arrossito sugli zigomi in maniera deliziosa.

Silenzioso si era infilato una mano in tasca ed aveva estratto il portachiavi nuovo di zecca.

Il piccolo pinguino era scivolato davanti al suo viso.

Rammentò di avere riso e di averlo fugacemente baciato.

Le chiavi del cottage erano subito finite al gancio metallico.

Si riebbe dai ricordi e con un gesto brusco richiuse il cassetto scattando in piedi.

“Ok Martin, ok…” Borbottò.

Spalancò l’armadio ed afferrò un piccolo trolley.

Vi ripose con scarsa cura il necessario ed in una dozzina di minuti si chiuse la porta di casa alle spalle.

Era sciocco.

Infantile forse.

Ma aveva bisogno di ritornare a Frensham.

Voleva respirare l’aria del mare.

L’aria dei ricordi seppur dolorosi.

Non aveva mai smesso di pagare l’affitto del cottage.

Nonostante si fossero separati, nonostante quasi non si rivolgessero più la parola.

Non aveva mai avuto il coraggio di liberarsi di quella casetta tra gli alberi.

Era l’unico appiglio, l’unico al quale poteva aggrapparsi sentendosi un dannato idiota sentimentale.

Sbuffò con forza infilandosi nell’utilitaria anonima che aveva da poco acquistato.

Detestava guidare, ma per necessità di copione aveva  dovuto prendere quella maledetta patente e nonostante faticasse ad ammetterlo la cosa si era rivelata piuttosto utile.

Si infilò nel traffico di Londra.

Una settantina di km lo separavano dal paesino nel Surrey.

Piccolo, discreto, quasi confinante con il proprio d’origine, Aldershot.

Pigiò il tasto d’accensione dell’autoradio.

Soul time di Shirley Ellis riempì l’abitacolo.

Martin inspirò a fondo.

Un piccolo sorriso sulle labbra.

…………..

Benedict Cumberbatch chiuse con lentezza la porta dell’imponente frigorifero in stile americano.

Un kiwi ed una mela nella mano sinistra.

Prese posto a tavola posando la frutta sulla tovaglietta plastificata.

L’immagine della Union Jack spiccava sotto la propria tazza di porridge.

Vi aggiunse un cucchiaino di miele e con delicatezza prese a rimestare.

Gli occhi limpidi fissarono i fiocchi d’avena senza in realtà vederli.

Intinse il cucchiaio in quella pappa ricca di fibre e proteine portandosela poi alle labbra.

Il trillo del cellulare lo fece sussultare.

Sbuffò posando il cucchiaio ancora intatto nella ciotola.

Inarcò un sopracciglio ed afferrò il telefono curioso di sapere chi potesse essere così molesto alle sette del mattino.

Serrò un’imprecazione tra le belle labbra piene.

Sophie.

Ovviamente.

Inspirò con forza prima di rispondere.

-Dimmi-

-Buongiorno anche a te Ben-

-Sono le sette del mattino- Replicò sfiorando con l’indice la buccia del kiwi –Sai quanto io mal sopporti le telefonate a quest’ora-

-Non me lo ricordavo- Storse le labbra in un mezzo sorriso ironico.

-Cosa vuoi?- Sospirò.

-Solo ricordarti che lunedì abbiamo appuntamento dall’avvocato alle dieci del mattino, vedi di essere puntuale-

-Punto primo, non potrei scordarmelo nemmeno se finissi sotto un autobus e punto secondo, oggi è sabato, non vedo la necessità di interrompere la mia colazione per rammentarmi una cosa così scontata e che  accadrà tra due giorni-

-Colazione, la tua pappetta immagino- Accavallò le gambe seduta sul proprio divano.

-Non ricominciare con le tue inutili chiacchiere sulla mia dieta per cortesia-

Ben si mise il telefono tra spalla ed orecchio iniziando a sbucciare la mela golden.

-A proposito di inutili chiacchiere…- Ridacchiò.

Cumberbatch inarcò un sopracciglio affettando con decisione il frutto.

-Gesù Sophie! Non sono in vena di fare conversazione con nessuno, men che meno con te- Tagliò corto.

-Nemmeno se ti dicessi che il tuo amichetto si è trovato la fidanzata?- Attaccò cattiva.

Il silenzio giunse in risposta interrotto unicamente dal chiaro suono di una posata caduta a terra.

La donna sorrise.

Gelida.

-Benny ci sei?- Cinguettò.

-Non chiamarmi così- La voce profonda vibrò sino all’orecchio di lei.

-Non dici niente?-

-Dico che non mi interessa, non sono affari miei- Si chinò a raccogliere il coltello da terra per poi gettarlo nel lavandino con un gesto brusco.

-Ho saputo che il fratellino ed il figlio la seguono su Instagram- Seguitò come se il marito non avesse nemmeno replicato –Mettono cuoricini alle foto del tuo amichetto-

-Sophie, dacci un taglio- Ringhiò.

-E dire che non sembrerebbe il suo tipo…Asiatica… Jeannie Jo se non ricordo male…- Si finse meditabonda.

-Smettila- Il palmo picchiò deciso sul tavolo.

Il cucchiaino in bilico sulla ciotola del porridge vacillò per poi scivolare sulla tovaglietta.

-Come siamo aggressivi- Ghignò – Perchè ti scaldi tanto? Volevo solo avvisarti…- 

-Sai che c’è? Vattene al diavolo- Riattaccò gettando con stizza il telefono sul ripiano della cucina.

Inspirò a fondo, le mani sulle tempie.

Prese a camminare rapidamente in maniera totalmente sconclusionata tra cucina e soggiorno.

La colazione abbandonata.

Fermò il proprio incedere dopo un paio di minuti.

Indice e medio tamburellarono sulle labbra.

Le iridi velate fisse sul cellulare.

Meditò alcuni istanti prima di afferrarlo ed aprire il proprio profilo instagram fasullo.

L’indice tremò un poco nel digitare il nome di lei nella barra delle ricerche.

Si vergognò di quella debolezza.

Si sedette sul divano.

I piedi nudi ben piantati a terra.

Pochi secondi.

Eccola li.

Non che fosse questa grande novità.

Erano amici lei e Martin, si sapeva.

Più che amici dedusse, conoscendo Freeman.

Si morse il labbro inferiore ripetutamente, gli occhi limpidi scivolavano lesti alla ricerca di una qualsiasi foto compromettente.

Uno scatto che avesse permesso al mondo esterno di fare deduzioni più o meno azzardate.

Non trovò nulla di così tanto doloroso, nessuna foto di coppia.

Non che fosse nello stile di Martin in effetti.

Gonfiò le guance con forza.

Espirò lentamente.

Il cuore batteva, batteva sin troppo velocemente.

Le pupille piantate su quella foto che ritraeva il biondino di spalle.

Manhattan Beach di sfondo.

Si chiese scioccamente così ci facesse Martin sotto il sole californiano.

Lui, che mal sopportava persino il tiepido sole londinese.

Lui, con quella pelle così pallida che si scottava anche sotto ad un ombrellone.

I like di Jamie e Joe spiccavano peggio di un’insegna luminosa.

Posò il telefono sul basso tavolino.

Chiuse gli occhi lasciando scivolare i grandi palmi sul proprio viso.

“Cristo Ben respira…” Mormorò a se stesso.

Posò la nuca sulla spalliera e cercò di regolarizzare il proprio cuore.

“Non adesso” Pigolò “ Non adesso che ho quelle dannate carte del divorzio pronte da firmare”

Scivolò su un fianco.

Le ginocchia al petto.

Nella mente il flash di se stesso nei panni di Sherlock.

Raggomitolato sul divano nella fittizia Baker Street con il suo Martin/John che gli punzecchiava i fianchi mandando a monte le riprese in corso.

Sorrise al ricordo ed inspirò nuovamente.

Scostò un poco il capo gettando uno sguardo al vasetto di ansiolitici posato sul mobile.

Si morse con forza il labbro inferiore, era seriamente tentato dal cedere dinnanzi a quelle pillole che seppur totalmente naturali gli stavano creando dipendenza.

Il telefono riprese a squillare distogliendolo dalle proprie tentazioni rilassanti.

Ben imprecò posando di malagrazia i piedi a terra.

Il nome della sua quasi ex moglie lampeggiavano nuovamente sullo schermo.

Levò gli occhi al cielo e si trattenne dall’urlare.

Troppo presto.

Troppi vicini impiccioni.

Afferrò l’Iphone e con decisione lo spense.

Tornò in cucina gettando il porridge nell’immondizia insieme ai residui di frutta quasi intatta.

Lo stomaco chiuso in una morsa.

Raggiunse la propria stanza da letto e si fissò allo specchio.

Era pallido, troppo.

Magro, troppo.

Si passò nervosamente le mani sul viso.

Sulla testa rasata.

Notò nuove piccole rughe attorno agli occhi.

Si morse la lingua posando i palmi sullo specchio.

Fissò le proprie pupille sino ad avvertire un senso di vertigine.

Annaspò un poco in cerca d’aria.

Si sentì uno stupido.

Uno stupido idiota sentimentale, legato ad un passato che non gli apparteneva più.

Un codardo che aveva gettato al vento l’unico vero amore della propria vita, nascondendosi dietro a quell’odioso personaggio costruito a tavolino.

Quel marito perfetto.

Il gentelman inglese per eccellenza.

“Coglione” Si additò voltando poi le spalle al proprio riflesso “Coglione….” Sussurrò nuovamente fissandosi la punta dei piedi.

Arricciò le dita sulla moquette blu scuro.

Inspirò ed espirò.

Spalancò le ante del grande mobile bianco.

Si accucciò a terra rovistando alla ricerca di una scatola ben nascosta nella parte bassa.

Si sedette incrociando le gambe.

Ne sfiorò la superfice metallica.

Sollevò il coperchio posandolo con cura accanto a sé e sorrise.

Sorrise sebbene avesse il cuore stretto in una morsa.

Decine di scatti fatti da una polaroid residuo degli anni 70.

Uno di quei cimeli che tanto piacevano a Martin e che personalmente poco capiva.

Si morse il labbro, gli occhi corsero a quegli scatti inediti.

Personali.

Le iridi lucide.

Ogni singola foto raffigurava loro nelle vesti di coppia quale erano stati.

Coppia non dichiarata.

Coppia spesso sospettata, sottointesa.

Scatti fatti nel letto tra le lenzuola sfatte.

In cucina, nel salottino.

Persino in vasca.

Momenti idilliaci di un passato che forse non sarebbe mai tornato.

Il cottage palcoscenico costante di quei momenti di vita felice.

Ben sfiorò con l’indice il volto sorridente di Martin.

Rammentò il momento esatto in cui lo aveva fotografato.

Era una calda mattina di maggio, si erano presi un week-end di riposo tra le riprese di Sherlock ed erano fuggiti da Londra.

I telefoni spenti, irreperibili entrambi per quarant’otto ore.

Martin se ne stava in piedi, l’asciugamano legato in vita, una mano tra i corti capelli biondi.

Più corti e più biondi di quanto non fossero ora.

Cumberbatch sorrise ricordando perfettamente il bacio che si erano scambiati dopo quello scatto.

La pelle ancora un poco umida e profumata dopo la doccia.

Serrò con forza i denti e richiuse la scatola.

La nascose con cura e decise di prendersi quella giornata per sé.

Per rivivere i propri ricordi.

Masochista si disse.

Ma poco importava.

Aveva bisogno di tornare a Frensham.

Voleva passeggiare sul lungo mare di Pond’s Beach e raggiungere il cottage ben nascosto nel piccolo bosco.

Annuì.

Le mani sui fianchi, lo sguardo deciso.

“Coraggio Ben…”

Il piccolo bosco sul limitare della spiaggia di Pond era piuttosto fitto ma ben curato. A tutti gli effetti si sarebbe più potuto definire un parco per quanto la contea del Surrey se ne prendeva cura.

All’interno del presunto bosco, erano stati costruiti dei piccoli cottage in un’area riservata e ben distanti gli uni dagli altri.

Casette utili a chi cercava pace e discrezione beandosi del profumo del mare e della foresta.

Benedict parcheggiò la propria auto in una zona poco distante dalla spiaggia.

In lontananza potè scorgere i bagnanti.

Si spinse con l’indice gli occhiali da sole sulla punta del naso e si calcò meglio il cappello sul capo.

A passo lesto raggiunse il vialetto che si insinuava nel folto della vegetazione.

Inspirò a fondo l’aria salmastra.

Espirò sorridendo alla pace di quei luoghi ben noti e che non frequentava ormai da tre anni.

Le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri.

Un refolo di vento mosse i lembi della camicia azzurra.

Si volse verso destra e scorse in lontananza il primo dei cottage.

Accelerò il passo.

I piccoli sassi e la terra asciutta sotto le suole delle converse blu.

Si godette appieno quella passeggiata , quei minuti trascorsi pigri circondato dalla natura.

La luce del sole si infilava tra gli alberi scivolando sulla sua pelle pallida.

D’un tratto il sentiero si fece un poco impervio.

Rammentò quella salita sdrucciolevole ed il capitombolo buffo di cui fu vittima Martin anni prima.

Scosse il capo divertito e nostalgico.

Quello era l’esatto punto in cui il piccolo bivio lo avrebbe condotto alla loro ex casetta.

Gli occhi schermati dalle lenti scure la scorsero in lontananza.

Era identica ad allora.

Rivestita in legno scuro, nascosta all’ombra dei larici.

Osservò la porta a vetri che conduceva al piccolo patio.

La vernice bianca immacolata che tingeva gli stipiti.

Avanzò lentamente.

I suoni del bosco parvero scomparire.

Raggiunse i tre gradini a salire.

Si morse la lingua sollevando il naso all’insù e notando quanto fosse perfetta.

I vasi di fiori sul piccolo davanzale.

Sospirò.

Era dunque nuovamente affittata.

Si chiese cosa avessero potuto pensare i proprietari nel vederlo osservare con tanta dedizione la loro casa.

Fece spallucce ed ebbe il coraggio di sedersi sul secondo gradino ligneo.

Le spalle alla porta di casa, i gomiti sulle ginocchia.

Le iridi limpide levate verso il cielo.

Martin Freeman asciugò distrattamente le stoviglie appena lavate.

Il pranzo appena consumato lo aveva saziato ma meditò di recuperare un dolcetto dalla piccola dispensa.

Necessitava di zuccheri e la cosa lo fece sorridere.

Il dolcino di fine pasto, nemmeno fosse un bambino.

Ripiegò lo strofinaccio e prese a rovistare nell’armadietto.

Aveva raggiunto Frensham da un paio di giorni ed era intenzionato a restarvi per tutta la settimana.

Prima di lasciare Londra aveva fatto una capatina da Tesco per provvedere alla spesa. Lungi da sé l’idea di intrufolarsi nel piccolo emporio del paese. Di tutto necessitava tranne che di rendere partecipi i locali della propria presenza.

Afferrò un muffin al mirtillo e prese a scartarlo con il chiaro intento di gustarselo sul patio.

La posizione del cottage lo collocava in zona d’ombra a quell’ora e Martin pregustò l’idea della frescura comodamente seduto sulla vecchia sdraio in vimini.

Si avvicinò alla porta finestra scostando la tendina e gettando un’occhiata all’esterno augurandosi di non vedere anima viva.

Un’anima c’era.

Ed era decisamente viva.

Viva e seduta sui suoi gradini.

Freeman sussultò.

Il suo cuore mancò un battito ed il muffin quasi ruzzolò a terra.

Inspirò ed espirò con forza svariate volte e batté le palpebre ripetutamente.

Avrebbe riconosciuto quella schiena tra mille.

La camicia azzurra tesa sulle spalle ampie.

La coppola.

Quella bianca.

Quella che gli aveva letteralmente rubato dall’armadio quattro o cinque anni prima e si era sempre rifiutato di restituirgli.

Martin si passò nervosamente la lingua sulle labbra e rammentò a se stesso di essere in vantaggio.

Ben era voltato, non lo aveva ancora visto.

Anzi, per quello che poteva dedurre il suo ex compagno, quella casa avrebbe potuto tranquillamente avere un altro affittuario.

Si morse la lingua ed indugiò sul profilo dell’altro che in quel mentre pareva fissare il corrimano.

Retrocedette di un passo nascondendosi oltre la tenda.

Cosa diavolo ci faceva lì Ben?

Imprecò. Il suo stupido cuore non voleva saperne di darsi una calmata.

Cosa avrebbe dovuto fare? Fingere ed attendere una mossa dell’ex o prendere la situazione di petto ed uscire allo scoperto?

Sbuffò.

Non era mai stato un codardo e non avrebbe iniziato in quella calda giornata estiva.

No.

Non lo incontrava da quelli che gli parevano secoli e sebbene sarebbe stato doloroso non si sarebbe lasciato fuggire l’occasione di rivedere quegli occhi splendidi a pochi passi dai propri.

Prese un profondo respiro ed abbassò la maniglia della porta finestra.

Nella quiete del bosco il rumore non sfuggì alle orecchie di Cumberbatch.

Voltò appena il capo senza abbandonare la propria postura seduta.

Martin adocchiò il lungo collo pallido torcersi appena.

Il profilo perfetto all’insù.

Ben sussultò in maniera scomposta, quasi scivolò dal gradino nello scattare in piedi.

Una mano corse al corrimano serrandolo con forza.

Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto, il respiro corto.

Martin lo stava fissando.

Scalzo, con i pantaloni della tuta ed una t-shirt bianca.

Lo fissava con un dolcetto in mano ed il sopracciglio inarcato.

Era bello.

Lo era sempre stato, ma quella maledetta barba ed il ciuffo che sfoggiava negli ultimi mesi lo rendevano ancor più attraente.

Ben cercò di rammentare a se stesso come si facesse a respirare.

Aprì le labbra ed incamerò una dose generosa di aria.

Freeman uscì dal salottino.

I piedi sul pavimento ligneo.

“Ben” La voce uscì limpida.

Non una sbavatura.

Ben.

Tre semplici lettere.

Il suo maledetto diminutivo.

Tre piccole lettere pronunciate da Martin bastarono al suo stupido cuore per fare l’ennesima e quantomeno inutile capriola.

Cristo Benedict datti una calmata.

“Ben” Ripetè l’altro non vedendo cenno di movimento alcuno.

Cumberbatch deglutì sonoramente ed invitò se stesso a reagire così da evitare una figuraccia in perfetto stile teenager.

Uomo, quarantadue anni rammentò.

Dignità.

“Ciao Martin” Risalì i due gradini ponendosi allo stesso livello dell’altro “Sei…Sei qui” Sussurrò levandosi gli occhiali.

Freeman vacillò alla vista di quegli occhi felini che da sempre considerava i più belli su cui mai avesse avuto la fortuna di posare lo sguardo.

“Anche tu” Rispose e le sue labbra si piegarono in un piccolo sorriso.

“Già…” Annuì sorridendo a sua volta.

Quel sorriso debole, carico di rassegnazione.

Il silenzio calò tra i due uomini.

Lo sciabordio delle onde non molto distanti giunse sino a loro.

I suoni del bosco scivolarono delicati.

“Vuoi entrare?” Martin tentennò passandosi la lingua sulle labbra.

Ben spalancò un poco gli occhi ed annuì grattandosi la nuca con nervosismo mal celato.

Freeman gli dette le spalle e tornò sui propri passi inspirando a fondo.

Gli occhi blu indugiarono sulla porta della cucina senza in realtà vederla.

Pochi secondi per decidere come agire.

Pochissimi per capire cosa fare.

Perché se avesse aspettato l’iniziativa di Ben… Beh, sicuramente il sole avrebbe avuto il tempo di tramontare.

La lingua scattò nuovamente alle labbra.

Si voltò.

Cumberbatch se ne stava al centro del salottino.

La porta finestra diligentemente chiusa.

Aveva appeso gli occhiali alla camicia e con le mani in tasca si guardava attorno.

Gli parve un ragazzino timido ed impacciato ma… Cristo era una delle cose che aveva sempre amato di lui!

Si schiarì la voce e l’altro sussultò.

Si accorse il quel momento di avere ancora in mano il muffin. Storse le labbra in un mezzo sorriso posandolo sul tavolo in noce.

Infilò una mano in tasca e con l’altra additò il capo di Benedict.

“Quella è mia”

L’altro sorrise levando entrambe le mani e sfiorandosi il cappello.

Gli occhi all’insù per un istante.

“Sì, beh.. E’ sempre stata meglio a te che a me ma… In questo periodo è stata l’unica soluzione con quel taglio pessimo di scena…” Si grattò nuovamente la nuca “In questi giorni però sono finalmente riuscito a tagliarli”

Martin inclinò il capo ed assottigliò lo sguardo.

“Sì, l’ho visto in tv” Annuì avanzando di un passo.

Ben serrò un poco le labbra in un cenno d’assenso ed indugiò spostandosi ritmicamente su punte e talloni.

“Dai siediti faccio un tè” Indicò con gesti e tono spiccio il divano.

“Grazie”

“O vuoi una bibita? Ho poco in realtà”

“No il tè andrà benissimo” Si sfiorò la punta del naso sedendosi.

Martin annuì senza sorridere.

Le dita intrecciate scivolarono le une sulle altre producendo un suono secco.

Cumberbatch rabbrividì e distolse lo sguardo.

Il biondino si allontanò dileguandosi in cucina.

Pose entrambi i palmi sul piccolo tavolino e chiuse gli occhi inspirando a fondo.

Era difficile, difficile guardarlo negli occhi.

Difficile e pericoloso, per se stesso, per il proprio cuore malandato.

Era sul serio Benedict quello seduto in salotto?

Lui, con quel suo sorriso preoccupato e gli occhi velati di timore?

O era forse frutto di un sogno all’ombra dei larici?

Sbirciò oltre la porta.

Era lì. Reale.

Seduto in poltrona.

Il cappello serrato tra le dita.

Lo stropicciava con nervosismo.

Martin si morse il labbro inferiore osservandolo e confermò la propria sensazione avuta un paio di giorni prima vedendolo in tv.

Quel look lo faceva sembrare tanto più piccolo ed innocente.

“Merda” Imprecò voltandosi e decidendosi a riempire il bollitore “Merdissima”

Recuperò due mug tra la mezza dozzina presente sullo scaffale.

Si accorse dopo averle posate su un vassoio quali effettivamente avesse preso inconsciamente .

Due tazze nere con inciso i nomi di Sherlock e John.

Due tazze regalo scherzoso di Mark al ciack di fine serie.

La terza serie.

Quella del matrimonio.

Martin scosse con forza il capo serrando con forza la tazza con il nome di Sherlock vergato in bianco.

Le dita tremarono.

Rammentò l’istinto di volerle scaraventare a terra il giorno in cui seppe del matrimonio dell’altro.

Rammentò anche di non averlo fatto per puro spirito masochistico.

Per mera illusione romantica e ridicola.

John e Sherlock, almeno nel suo scaffale, stavano insieme.

Martin smettila di fare il coglione!

Imprecò nuovamente e le rimise a posto afferrando di malagrazia due tazze neutre.

Chiuse lo sportello con sin troppa forza.

Tanta che Ben sussultò sulla poltrona.

Il bollitore fischiò.

“Forza Martin” Sussurrò posando un barattolo di biscotti sul vassoio “ Forza”.

Un silenzio irreale avvolse il piccolo salotto del cottage.

Il tintinnare del cucchiaino con cui Benedict rimestava il proprio tè, era l’unico suono percepibile.

Gli occhi limpidi dell’attore fissi sul liquido ambrato.

Quelli blu dell’altro, studiavano la figura di Cumberbatch in tutta la sua interezza.

Martin sedeva sul divano.

I piedi ben piantati a terra.

I gomiti sulle ginocchia e la tazza serrata tra le mani.

Si passò nervosamente la lingua sulle labbra sospirando con forza.

Ben sollevò il capo con un movimento lesto.

Le sue iridi intercettarono quelle più scure.

Si portò la tazza alle labbra soffiandovi sopra.

Freeman, le sopracciglia bionde corrugate, decise di prendere parola.

“Deve durare ancora molto questo gioco del silenzio?”

Ben inspirò a fondo prima di sorseggiare una piccola dose di earley grey.

Deglutì con forza.

A fatica.

“Tu che ne dici?” Replicò.

“Perché sei qui?” Domandò posando con scarsa delicatezza la tazza sul tavolino.

“Anche tu sei qui” Storse le labbra in un mezzo sorriso imbarazzato.

“Questa è casa mia” Rispose aspro allargando le braccia.

Cumberbatch serrò le labbra in una linea triste “Pensavo non ci venissi più”

“Bè pensavi male” Si alzò in piedi con uno scatto nervoso.

L’altro sussultò sollevando un poco il viso per non perdere il contatto visivo.

Martin gli dette le spalle.

Le mani sui fianchi prese a camminare innanzi ed indietro.

“Martin…” Attaccò , con quella sua voce così profonda.

Quel tono grave vibrò sotto la pelle dell’altro.

“Perché sei qui!” Lo interruppe bloccando quell’incedere confusionario.

Ben serrò con forza la tazza nella mano sinistra.

La destra corse alla nuca in un gesto consolidato.

Le dita corsero alla ricerca dei ricci che era solito stropicciare nervosamente.

Non li trovò.

Il palmo risalì nervoso al capo rasato.

“Perché avevo bisogno di…”

“Di?” Lo incalzò accompagnando il tono spiccio ad un gesto della mano.

“Di ritrovare un po’ di pace” Sussurrò distogliendo lo sguardo e posando a sua volta la tazza.

Freeman spalancò un poco i grandi occhi espressivi.

Inspirò ed espirò con decisione.

“Pace” Replicò sprezzante.

“E’ sempre stata la nostra oasi di pace questa” Si sfiorò la punta del naso con l’indice guardandosi intorno.

“Lo era, lo era prima che tu…” Lo additò avanzando di un passo.

Ben levò i propri occhi felini verso il viso di Martin.

Ne percepì l’espressione severa.

I denti serrati.

Il collo teso.

“Avanti dillo” Inarcò un sopracciglio facendo spallucce rassegnato alla piega che avrebbe preso quella discussione.

“Prima che tu mandassi tutto a puttane” Sibilò.

 “Martin…” Attaccò con un sospiro

“O vaffanculo Ben! Non utilizzare quel tono con me… Non osare” Ringhiò.

“Quale tono?!” Si stizzì un poco.

“Quel tono da cantastorie, quel tono bonario che si usa con dei bambini piccoli!”

“Santo Dio Martin non essere assurdo non mi stai nemmeno facendo parlare!” Si alzò in piedi.

Freeman retrocedette di un basso indispettito.

Non aveva mai troppo amato la loro differenza d’altezza.

Levò il naso all’insù additandolo di nuovo.

“Non ti faccio parlare perché non c’è proprio un cazzo da dire”

“Sì invece!” Seguito l’altro caparbio.

L’aria remissiva abbandonata come quella tazza di tè.

“No, non c’è, e anche se ci fosse, io non ti voglio ascoltare”

“Perché?!” Spalancò le braccia esasperato.

“Perché non piombi qui all’improvviso con la faccia da cucciolo bastonato a parlarmi della tua cazzo di ricerca della pace! Se vuoi un po’ di pace continua a cercarla nei tuoi cazzo di esercizi zen come hai fatto sin ora! Non ti sei portato appresso il monaco oggi? ”Urlò.

“Non prendermi per il culo” Si incupì. “Non lo fare”

“E tu non prendere per il culo me. Non si riappare così dopo anni di silenzi, dopo tutto quel cazzo di casino che è successo” La voce scemò rapidamente “ Non si fa” Un sussurro.

Si accorse del tremito di rabbia e dolore che gli attraversò gli arti.

Ben deglutì a fatica.

Si passò con forza i palmi della mani sul viso e poi scosse il capo.

“Cristo Martin perché non vuoi capire?”

“Cosa c’è da capire? Cosa?!!” La voce si fece quasi stridula “ Eravamo io e te Ben” Si allontanò di qualche passo.

Le mani corsero nuovamente ai fianchi.

Le dita sottili conficcate nelle anche.

“Io e te porca puttana e stavamo da Dio! Ho lasciato Amanda per te, lo sai... L’ho lasciata dopo anni insieme e due figli!” Ruggì.

Cumberbatch si lasciò scivolare nuovamente sulla poltrona.

Serrò con forza le palpebre, il volto chino.

“Ero pronto a tutto per stare con te! Me ne sarei strafottuto del giudizio della gente! E tu in cambio  che hai fatto??Eh?? Cosa?!” Urlò.

Ben si morse la lingua e scosse il capo.

“Rispondimi!”

L’altro sollevò titubante il viso.

Gli occhi limpidi velati.

Restò silente.

“Non mi rispondi?” Ansimò e sorrise.

Quel sorriso cattivo che tanto bene portava sulla schermo.

“Molto bene, te lo dico io” Annuì.

La lingua scivolò lesta sulle labbra.

Riprese parola.

“Hai sposato quella stronza, quella cazzo di arrampicatrice sociale! E perché lo hai fatto? Eh?? Perché il signor Cumberbatch è volato ad Hollywood” Lo scimmiottò “Perché il signor Cumberbatch doveva portare avanti quella sua cazzo di immagine da uomo per bene! L’inglese perfetto con moglie e figli al seguito! Perché il signor Cumberbatch non poteva semplicemente dire al mondo di essere un cazzo di bisessuale innamorato di quello stronzo del suo collega!”

Ben imprecò a denti serrati e si alzò nuovamente in piedi.

Superò Martin e raggiunse la finestra , la aprì ed inspirò a fondo.

Una, due, tre volte.

Freeman fissò la schiena un poco ricurva sotto la camicia celeste.

“Fa male eh” Infierì “ La verità sbattuta in faccia”

Benedict non si mosse per svariati istanti.

L’altro non aggiunse nulla.

Si prese del tempo per imporre al proprio cuore un battito regolare.

Si appoggiò con la schiena al tavolo.

Il muffin abbandonato sul tavolo cadde a terra.

Rotolò sfiorando i suoi piedi nudi.

“Hai ragione”

La voce profonda lo fece sussultare.

Ben si volse cercando il suo sguardo.

Lo trovò.

“Hai dannatamente ragione” Levò i palmi in segno di resa.

Freeman si stupì di quell’arrendevolezza.

Arricciò il naso e si impettì un poco.

“Non mi è molto utile questa tua considerazione” Seguitò ad esser ostile.

“No, ma volevo che tu lo sapessi”

Martin si limitò ad annuire con un cenno del capo soppesando quell’affermazione.

Ben si guardò attorno e sospirò.

“Senti, non volevo disturbarti” Scosse il capo “Sul serio non pensavo nemmeno che tu potessi essere qui” Si morse il labbro inferiore.

Freeman si infilò le mani in tasca ed annuì di nuovo.

“E’ solo che…Questa giornata è iniziata di merda e poi… Ho riaperto la scatola con le polaroid” Ammise arrossendo un poco sulla punta delle orecchie.

Freeman gli concesse un piccolo sorriso sincero.

“Giusto, è rimasta a te…”

“Già…E… insomma, avevo bisogno di rivedere tutto questo”

Martin  distolse lo sguardo incamminandosi verso la porta finestra.

Uscì sul patio.

Il sole oscurato da delle nuvole passeggere.

Inspirò a fondo, la rabbia scemata.

L’altro lo seguì mantenendosi a debita distanza.

Lo osservò sedersi sui gradini.

Rimase a fissare la sua nuca ed i capelli argentei.

Il sole fece di nuovo capolino illuminando la sua figura.

Martin consapevole di quelle iridi fisse su di sé restò silenzioso a farsi analizzare.

“Ben” Lo richiamò dopo un tempo indefinito.

L’altro sussultò ancora sulla soglia di casa.

“Sì?” Rispose titubante.

Freeman si volse un poco e con la mano destra batté sul pavimento ligneo accanto a sé.

“Dai vieni qui” Borbottò.

L’altro annuì lesto e gli si sedette accanto.

Il gomito di Martin sfiorò quello di Ben celato dal cotone azzurro.

Il primo contatto seppur fortuito dopo mesi, anni.

Nessuno dei due si mosse.

Restarono fermi in quella posizione.

Il volto di entrambi rivolto al cielo.

“Quelle nuvole laggiù portano pioggia” Benedict sollevò il dito indicando un punto indistinto verso est.

“No, il meteo dava sole sino a domani sera”

Cumberbatch sorrise scuotendo appena il capo.

“Ti fidi ancora delle previsioni metereologiche?” Inarcò un sopracciglio voltandosi verso l’altro.

Freeman inarcò un sopracciglio, pose i palmi sul pavimento allungando un poco la schiena.

“Certo, io mi fido sempre delle previsioni”

“Lo so, ed è per questo motivo che abbiamo beccato più di una volta dei grossi acquazzoni senza avere mezzo ombrello” Azzardò un sorriso timido.

Martin storse le labbra a sua volta in un mezzo sorriso ed annuì “ Touchè”

Il silenzio scese nuovamente sui due, questa volta meno teso, meno pesante.

Un silenzio più carico di imbarazzo e velato di nostalgia.

Benedict lo sopportò per pochi minuti poi si levò in piedi.

“Ho bisogno di fare una passeggiata nel bosco prima che quelle nuvole si facciano nere e si scateni un temporale sul serio” Sospirò.

Freeman levò il viso serrando appena gli occhi colpiti da un raggio di sole.

“Buona passeggiata”

Cumberbatch annuì stirando un poco le labbra, si sfilò gli occhiali dalla camicia e li indossò.

Scese a ritroso i tre scalini.

“Hai dimenticato in casa la coppola” Lo richiamò Freeman.

Si voltò a metà del vialetto mordendosi la lingua e ponderando bene la propria risposta.

“Posso riprenderla al rientro dalla passeggiata?” Azzardò con un filo di speranza.

Martin inspirò a fondo.

Inclinò un poco il capo ed annuì.

“Certo”

Ben sorrise.

Un bel sorriso.

Uno di quelli luminosi, quelli che Martin aveva amato e che non avrebbe mai smesso di amare nonostante la rabbia e la delusione accumulata.

Lo vide sollevare una mano in segno di saluto.

Replicò nella stessa maniera.

Gli occhi blu seguirono la figura aggraziata sino a che non la vide sparire tra gli alberi.

Sapeva esattamente quale sentiero avrebbe percorso.

Quello tra i larici che costeggiava il mare.

Ben amava quegli scorci.

Li amavano entrambi.

Imprecò levandosi in piedi e decise di rientrare in casa.

Chiuse la porta finestra dietro di se.

Gli occhi catturarono lesti ilo cappello abbandonato sul tavolino.

Lo sfiorò titubante quasi fosse un oggetto pericoloso.

Ci mise più di quanto avrebbe mai ammesso a stringerlo tra le mani.

Lo rigirò un poco.

Sbirciò a destra e a manca inconsciamente timoroso della presenza di qualcuno.

Lo avvicinò al proprio viso.

La punta del naso ne sfiorò la stoffa.

Inspirò chiudendo gli occhi.

Il profumo di Ben gli giunse forte e chiaro quanto un pugno allo stomaco.

Cristo se gli era mancato!

Imprecò posandolo sul tavolo.

A passo lesto raggiunse la piccola stanza da letto.

Aveva bisogno di stendersi un poco a riflettere.

 

 Fine capitolo uno

   
 
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