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Autore: i luv rainbow    08/09/2018    0 recensioni
La grotta finalmente si fa più affollata con l'aggiunta di Oliver al gruppo, anche se il giorno in cui saranno tutti riuniti è ancora lontano. Jason però, dopo essersi assicurato che tutti quanti stanno bene, cerca come sempre andarsene e sparire nella giungla. Le cose però andranno diversamente, visto che stavolta i suoi nemici sono stati più bravi del solito a cercare di ucciderlo...
FanFic incentrata sul rapporto d'amicizia tra Ollie e J, con contorno di Bromance tra fratelli Brody e quel pizzico di Vaas/Jason che ovviamente non guasta mai. Pubblicazione settimanale (possibilmente, altrimenti slitta a quella dopo...o a quella dopo ancora).
Max lunghezza tra i 5 o 6 capitoli (Forse anche 8 o 9).
[2° Parte The Warrior Inside Me - Tutti i missing moment del gioco parte 3]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Jason Brody, Oliver Carswell, Vaas Montenegro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Warrior Inside Me'
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I Got You

Author - I luv Rainbow
(I_luv_Rainbow_000)
EFP | AO3

Ancora una volta mi scuso per l'uso di Google Traduttore per i dialoghi in spagnolo. Se conoscete una traduzione migliore non temete di correggermi.

Hello Darkness, My Old Friend1

Era quasi come se l’americano fosse finito dritto in una delle sue trappole.

Vaas aveva già previsto che prima o poi Bianca Neve avrebbe assaltato la baia pirata2, più che altro, era una questione di tempo. Non sapeva come, non sapeva quando, ma ci avrebbe scomesso i testicoli che presto o tardi sarebbe accaduto; avvisando persino i suoi uomini per tempo. Anche se come al solito, alcuni di loro si erano dimostrate solo delle deludenti teste di cazzo, nel lasciarsi comunque sorprendere e uccidere, mentre altri, avevano fatto un buon lavoro nel catturarlo vivo e vegeto.

Ed ora il pirata folle sorrideva, perso tra i fumi dell’erba e i fiumi dell’acol, aspettava sognate il tanto attesto incontro con l’uomo che gli aveva tanto crudelmente rubato il cuore, solo per farlo impazzire; prima scappando via e poi negandosi di continuo a lui, facendo finta di odiarlo.

Oh, quant’era crudele e spiestato il suo adorato Jason.

Far soffrire così tanto l’amore della propria vita solamente per gioco.

Non era facile sopportarlo. Delle volte avrebbe tanto voluto incontrarlo solo per baciarlo e perdonarlo di tutto se fosse stato disposto ad abbandonare questo stupido giochetto infantile, del gatto e del topo – anche se doveva ammetterlo, metteva un bel po’ di pepe alla loro relazione. Il suo Jason dopotutto era fantasioso nello stuzzicare volutamente il proprio uomo. Oh sì, sì – ma altre volte…

Voleva solo spaccargli quella cazzo di testa o stringere le mani al suo collo e premere, premere, premere, fino a quando i suoi occhi terrorizzati e pieni di lacrime non gli sarebbero schizzati fuori dalle orbite; gustandosi quei dolci rantoli soffocati, che gli sarebbero scappati dalla bocca, mentre moriva stretto tra le proprie dita mortali.

Odiava avere questi continui pensieri verso di lui ma era solo colpa di Jason se ne aveva. Sua soltanto.

Quanto lo metteva alla prova. Quanto metteva alla prova il loro amore.

Ma andava bene così, tutto ok. Avevano giocato per un po’ alla preda e al cacciatore ed ora che la partita era finalmente finita, sarebbe tornato di nuovo tra le sue braccia e anche se avrebbe fatto finta di non volerlo, Vaas lo avrebbe amato profondamente, consumando il loro primo vero rapporto. Uno che finalmente non si sarebbe confuso con i sogni e le allucinazioni.

«Jefe. Te traje el prisionero» disse uno dei suoi uomini entrando nella stanza.
(Boss. Ti ho portato il prigioniero)

Vaas giaceva seduto al centro del divano, la testa completamente reclinata all’indietro a fissare con occhi annebbiatti il soffitto, le braccia completamente stese lungo i lati del poggia testa, le gambe sollevate e i piedi incrociati mentre poggiavano sopra di un tavolino pieno di armi, soldi e droga. Tra le dita stringeva mollamente un mozzicone d’erba.

Sul viso del pirata folle apparve un sorriso talmente largo che il sottoposto non poté intuire se fosse nato per la buona notizia o perché quelle sostanze psicadeliche stessero facendo il loro lavoro.

Il pirata, che tanto faceva tremare i suoi nemici quanto i propri uomini, si sollevvò dallo schienale del divano per guardare l’altro negli occhi, prima di indicargli di avvicinarsi e fargli lasciare il corpo inconscio del prigioniero ai propri piedi. E così, con un semplice muovimento, Jason gli cadde come tra le braccia e Vaas lasciò che l’americano pallido scivolasse tra le sue gambe, appoggiandosi con la schiena contro la parte bassa del divano mentre la testa gli ricadeva all’indietro, per giacere contro l’inguine del pirata.

«vete» gli ordinò e finalmente lui e la propria ossessione rimasero completamente soli.
(Vai)

Vaas non aspettava altro. Si curvò sopra il ragazzo, infilando le dita tra i suoi capelli, accarezzandogli prima la fronte, poi il viso; avvicinando così tanto al suo volto con il proprio da poter praticamente respirare sopra la sua pelle, prima di catturarlo in un lungo e profondo bacio.

Quanto gli era mancato.

Il sapore e la dolcezza della sue labbra era inebriante. Il pirata non poté fare a meno di sorridere contro le sue, nel sentirlo sussultare e quasi soffocare direttamente nella sua bocca. D’altronde Bianca Neve era ancora nel mondo dei sogni e ogni suo respiro era regolato per funzionare normalmente. Non poteva sapere che qualcosa, o qualcuno, glielo ostruisse volutamente a piacere.

«Jason, Jason, Jason…» lasciò che quel nome gli scivolasse ripetutamente dalle labbra.

Non vedeva l’ora che si risvegliasse.

Lo avrebbe baciato di nuovo. Gli avrebbe parlato di come il gioco fosse stato divertente ma che era ora di finirlo e di concedersi completamente.

Di essere perdonato per tutto.

Perché lo avrebbe fatto, non era un bastardo come tutti crevedevano. Anche lui sapeva usare il cuore e glielo avrebbe dimsotrato. Avrebbe dimenticato tutti i suo sabotaggi, avrebbe dimenticato tutti i propri uomini uccisi e persino i problemi che gli aveva procurato con Hoyt.

Tutto quanto.

E non vedeva l’ora di farlo, per tutto il giorno e tutta la notte, non vedeva l’ora di amarlo.

Ovviamente preferiva tenere la parte più divertente per dopo, per quando avrebbe potuto avere quegli occhi verdi ancora una volta tutti per se, come se nient’altro esistesse più nel mondo a parte loro due e mentre le mani del pirata scivolarono sempre più in giù, passando dal collo – per poter raggiungere zone ancora più interessanti sotta la maglietta e nei pantaloni – senza farlo apposta, l’occhio gli cadde su quelle che in un primo momento, scambiò per delle semplici macchie nere sul braccio sinistro dell’americano. Ma poi le riconobbe…e di colpo si fermò, mentre il sorriso gli morì lentamente sulle labbra.

Di nuovo sentì quel sentimento violento ripresentarsi.

La voglia di afferrarlo solo per buttarlo a terra e riempirlo di pugni, di vedere il suo viso trasformarsi in carne macinata e sangue. Riempirlo di calci fino a farlo rannicchiare, prendergli le ossa per spezzarle una ad una, fino a quando non sarebbe svenuto tra le sue stesse urla.

Il tatau.

Aveva il sacro tatau sul braccio.

Vaas era il leader incontrastato dei sanguinari pirati delle Rooks Island, ma era stato anche un Rakyat, un tempo, e questo lo rendeva perfettamente consapevole di cosa volesse significare, che un uomo portasse un simile tatuaggio e se ne sentì tradito dal più profondo della propria anima.

Rimase a lungo a fissarlo nel silenzio più totale, non potendo far a meno di ricordandare cose che preferiva seppellire quotidianamente con l’alcol, le droghe, il sesso e la vioenza. Poi un sorriso gli apparve tremolante sul viso, come quello di un pazzo che aveva mischiato le medicine sbagliate. Gli occhi erano rossi e lucidi, poche volte Vaas aveva lacrimato nella propria vita e non perché fosse un oltraggio per un uomo duro e cattivo come lui, ma per il semplice fatto che le sue emozioni erano sempre del tutto violente e scordinate tra loro.

Di solito vederlo in quelle condizioni significava “stargli alla larga” se non si voleva finire male, ma per fortuna di Jason, sarebbe stato addormentato ancora lungo, riprendendo i sensi quando ormai quei sentimenti fossero scemanti completamente – anche se questo non voleva dire che non ne avrebbe pagato le conseguenze.

«Preferisci lei a me, non è così?» gli sussurrò a pochi centimetri dal viso, prendendoglielo di nuovo tra le mani.

Ovviamente, l’americano non era in grado di rispondere.

«Saresti disposto a fare di tutto per lei, a darle la tua vita…» aggiunse, come avrebbe insinuato anche più tardi, con altre parole, quando la sua mente completamente sconnessa dalla realtà avrebbe confuso continuamente – anche se a intermittenza – la povera Liza Snow con sua sorella Citra.

«Lo capisco Hermano, lo capisco davvero…» gli sussurrò ancora appoggiando il proprio viso al suo: «…allora lei ti vedrà luccicare, ti verdà risplendere» sorrise a tretadue denti contro il viso mentre lo bagnava con le proprie lacrime. «…perché ti accederò come un cazzo di fuoco d’artificio” sibilò poi, fremendo dall’impazienza, dall’ecitazione e dalla rabbia, mentre sentenziava la condanna a morte.

…Più tardi quello stesso giorno, Jason, Liza e Oliver sarebbero stati legati a delle sedie, e Vaas, avrebbe cercato di dare fuoco a due di loro…

.... .... .... ....

Ora il pirata folle fumava tranquillo e inconsapevole, sopra le teste dei due americani, visto che Felipe aveva smesso finalmente di urlare – probabilmente perché qualcun’altro gli aveva dato un destro, assecondando il desiderio di pace e tranquillità esplicitamente richiesta dal loro capo.

Appoggiando di nuovo la testa sul cuscino, osservando il fumo che danzava nell’aria, ripensò a come quel dannato idiota lo aveva quasi fatto uccidere. Con quella richiesta di soccorso per un motore difettoso; né lui ne la sua scorta si aspettava di finire in una trappola. Motivo per cui una volta uccisi tutti i Rakyat dell’assalto, Vaas scaricò un’intera carica di proiettili nella gamba del quel patetico piccolo portoricano tremante. Così, senza troppi pensieri. Staccandogliela quasi dal corpo per come gli ridusse la giuntura del ginocchio ad un osso spolpato.

Certo, l’aveva anche portato dal dottore inglese – era il più vicino in zona – ma già sapeva che l’inutile bastardo avrebbe sicuramente perso l’arto. Forse anche la vita; non che ci sarebbero state lacrime da versare. Era solo una scocciatura dover contare su un uomo in meno nel proprio esercito. Inoltre, se sarebbe sorpavvissuto, il diventare zoppo avrebbe ricordato a quell’idiota di non scherzare più con il fuoco.

Normale amministrazione nel regno selvaggio di Vaas Montenegro.

Poi la sua mente tornò finalmente rilassata, libera di vagare – la buona erba aveva sempre un’ottimo effetto su di lui – facendolo tornare invitabilmente a pensare al guerriero bianco.

Perché Vaas pensava sempre al suo Jason…

A quel figlio di puttana aveva osato tradirlo! Prima stuzzicandolo, faciendoglielo venire duro apposta in ogni occasione; con quei suoi occhi verdi e vogliosi, con quelle sue morbide labbra provocanti, con quella sua voce tentatrice – ma era solo i giochetti di una lurida cagna! Una puttana che aveva giocato con il suo sentimenti! Tutto solo per poterlo andare a roccontare a quella maledetta stronza di Citra quando si infilava nel suo letto per scopa…

«Shhhh…» si era detto con un sussurrò massaggiandosi la fronte come quei pensieri violenti tornatono a tormentarlo. Urlanogli stavolta di come Jason fosse un uomo ingrato, completamente immeritevole del proprio amore e forse avevano ragione, ma non voleva pensarci ora.

L’erba che stava fumando non era solo buona, era dannatamente ottima.

Riuscì a pacificare quelle voci violenti che si agitavano nella sua testa, a farlo sentire tranquillo come raramente gli capitava; a fargli dimenticare per un bel pezzo tutto. Il lavoro, Hoyt, l’isola. Persino di Jason, anche se fu solo per un breve tempo…

.... .... .... ....

Oliver tremava terrorizzato. La mano di Jason ancora gli tappava la bocca e non poteva che esserne grato, perché altrimenti avrebbe urlato.

Era vero tutto quello che aveva raccontato all’amico; dei trattamenti di favore, del fatto che l’avessero messo a trattare le droghe, che nessuno lo importunava o badava troppo a lui se si limitava a fare bene il suo lavoro. Ma questo putroppo non voleva dire che non fosse stato testimonie di avvenimenti del tutto spiacevoli. Alcune volte, delle persone urlavano supliccanti nel cortile e smettevano solamente quando una lunga scarica definitiva di proiettili squarciava orribilmente l’aria. Altre volte, qualcuno tentava di fare il furbo e di rubare; per questo veniva legato, picchiato e poi trascinato in lacrime verso una stanza dove non sarebbe più uscito, se non in un sacco per cadaveri. Quando la punizione doveva essere esemplare, fermavano il lavoro per mostrarlo a tutti, ma fortuna volle che Oliver, dopo essere svenuto quasi subito per l’orrore – oltre che a essere una tipologia di ostaggio molto particolare – fu completamente esonerato dal dover assistere a qualsiasi altro tipo di spettacolino decisamente troppo macabro, per un ricco e pallido ragazzo occidentale.

Ma la consapevolezza di sapere…

Ascoltare tutte quelle urla gli aveva sempre messo addosso una debolezza che gli faceva tremare le gambe e un dolore che avrebbe solamente voluto scacciare. E lui aveva le mani infilate in tutta quella droga, mentre la paura era così tanta. Anche in quel momento, sotto quel piccolo letto, si chiedeva dove avesse mai trovato la forza per riuscire a resistere.

Era stato fortunato; a parte qualche occasionale spintone, nessuno l’aveva mai picchiato o torturato e tranne che quell’unica volta, in cui aveva perso i sensi, non si erami mai trovato un testimone visivo degli orrori che potevano capitare in altri capannoni, appena accanto al suo. Ma sapeva, e nonostante Oliver non conoscesse neanche la metà delle cose orribili che quegli uomini erano in grado di fare, l’idea generale di quel poco che era riuscito ad apprendere, bastava e avanzava per far scattare in lui un sentimento di profonda ansia e paura.

Per questo gli era impossibile controllarsi o riuscire a calmarsi da solo. Eppure doveva trovare la forza per farlo. Così come aveva trovato la forza per dire di no a tutte quelle droghe…

Perché Jason non sarebbe stato lì a proteggerlo per sempre.

Così incominciò a cercare di ritronare a respirare normalmente, di placare il suo cuore che batteva frenetico nel proprio petto e di ricacciare indietro le lacrime che gli arrossavano gli occhi. Sì, poteva farcela. Per questo cercò di controllarsi quando il suo migliore amico finalmente fece scvivolare via la sua mano dalle proprie labbra. I due ragazzi rimanevano stretti assieme e Oliver continuava a fissare le assi di legno oltre il quale giaceva un mostro.

Di certo non sarebbe mai stato Rambo, di certo non sarebbe mai stato Jason, ma finalmente era in grado di controllarsi almeno un po’ e non poteva esserci un’occasione migliore, in cui quella sua nuova qualità, riuscì a risultare più che utile. Anzi, fondamentale.

C’era da ammettere che Oliver all’inizio era stato troppo spaventato per notarlo, ma non era affatto il solo a tremare sotto quel materasso. Il ragazzo biondo spostò lo sgaurdo vero l’amico che gli stava affianco, ritrovandosi inaspettatamente a impallidire e a sgranare gli occhi. Perché Jason non era affatto in se. Le sue vene gli pulsavano, rabbia cieca era quello si poteva leggere nei suoi occhi iniettati di sangue e le sue nocche erano bordò, completamente tese per come nel pugno stringevano ossessivo un vecchio e arrugginito cacciavite, pronto solo ad affondare nella carne viva di qualcuno…

«No…» gli stava quasi per scappare dalle labbra. «No, no, no!» pensò poi freneticamente nella propria testa, ritrovandosi nuovamente paralizzato dalla paura e non appena gli lesse negli occhi che stava per scattare – che jason stava veramente per saltare fuori, da quel letto, per giocarsi il tutto per tutto e provare ad ammazzare l’uomo che riposava sopra le loro teste – anche la mano di Oliver si mosse fulminea e si strinse con disperazione intorno a quel polso, che tanto rabbiosamente stringeva la letale arma.

Stroncando completamente quell’azione folle sul nascere…

In quel momento il ragazzo dai capelli biondi non poteva saperlo ma il proprio tocco, per l’altro, fu come una secchiata si acqua gelida sul suo cervello; strappandolo da qui pensieri ossessivi, di violenza e di vendetta, che si erano impadroniti di lui fin dal momento che l’uomo, chiamato Vaas, era entrato nella stanza, intrappolandolo in una spirale di follia senza via d’uscita. Costringendolo persino a dimenticarsi per un momento che ci fosse anche Oliver lì con lui e per questo, spingendolo a tentare un’azione che, anche se molto probabilmente avrebbe portato alla morte del pirata folle, si sarebbe inevitabilmente conclusa anche con la sua. Quella del guerriero bianco.

E il biondo ora poteva finalente leggere questa consapevolezza anche sul suo viso dell’amico.

Guardandosi a vicenda, vedendolo finalmente lasciarsi andare sul pavimento, poteva osservare come persino J, in quel momento, era scioccato e incredulo su quello che stava per fare. Di come avrebbe voluto chiedere scusa a Oliver, di come avrebbe voluto piangere. Di come il pensiero della morte di Grant era tornato ancora una volta a tormentarlo e di come comprendosi silenzioso il volto tremante, di dolore e rabbia, avrebbe voluto solo sprofondare nell’oblio per poterlo dimenticare.

Jason…

1Titolo tratto dalla prima strofa del famoso brano del 64' "The Sound Of Silence" di Simon & Garfunkel
2La "Baia Pirata" è una zona reale del gioco. Praticamente il pezzettino all'estremità ovest dell'isola nord, diviso dal mare e unito con il resto dell'isola da una piccola striscia di spiaggia.


   
 
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