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Autore: seavsalt    08/09/2018    0 recensioni
Correva voce che Havel la Roccia non avesse cuore, che fosse freddo come il ghiaccio e che chiunque avesse provato solo a parlargli sarebbe rimasto spiazzato dalla durezza delle sue parole. Nessuno conosceva Havel veramente. Nessuno, eccetto uno.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Cavaliere Artorias, Gwyn, Lord dei Tizzoni, Gwyndolin, il Sole Oscuro, Ornstein, l'Ammazzadraghi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Il beneficio di avere un elmo, oltre a evitarsi una spada conficcata nel cranio, era che il sole non ti andava dritto negli occhi, ma veniva filtrato tra le fessure e non ti accecava. Questa era la mera consolazione che Havel la Roccia ripeteva a se stesso mentre camminava sotto il caldo sole di Anor Londo. La città dorata rifletteva i raggi come fosse stato lo specchio d’acqua di un lago, ed era insopportabile. O almeno lo era per chi, come Havel, era costretto a portare un’armatura e a cuocersi dentro di essa. Lo chiamavano ‘la Roccia’ per un motivo; quel motivo lo stava facendo camminare lentamente e pesantemente sulle strade dorate della città degli dèi. Per quanto Lord Gwyn fosse un suo caro amico odiava quelle dannate riunioni a cui era costretto a partecipare per mantenere l’ordine ad Anor Londo e in tutta Lordran più in generale. Havel rappresentava un punto fisso per Gwyn, lo sapeva, era un amico, un fedele uomo di chiesa, ma allo stesso tempo un combattente forte e inamovibile, dallo scudo indistruttibile, dall’arma leggendaria e dall’armatura ancora più leggendaria; ‘la Roccia’, appunto, non a caso. Così grande e potente che gli fu permesso un esercito tutto suo: esercito che non faticò a formare vista la gran quantità di cavalieri disposti a servire e aiutare in battaglia la famosa Roccia. Tutti con la sua stessa armatura, alcuni addirittura con repliche della sua arma, persino l’anello che portava per diminuire il peso del suo carico di cui egli stesso aveva consegnato delle copie era ampiamente diffuso tra i suoi fedeli: ma rimaneva Havel l’unica grande Roccia. Correva voce che non avesse cuore, che fosse freddo come il ghiaccio -anzi, come la pietra- e che chiunque avesse provato solo a parlargli sarebbe rimasto spiazzato dalla durezza delle sue parole. Dicevano che per Gwyn lui era un amico fidato, ma per la Roccia Lord Gwyn era unicamente un dio, a cui rendere omaggio e assistenza. Nessuno conosceva Havel veramente. Nessuno sapeva quante volte era stato in compagnia di Gwyn anche solo per sentire le sue lamentele sui disastri che combinavano i figli, ad ascoltarlo durante i suoi crolli emotivi (anche gli dèi ne avevano, pareva) e a bere qualcosa insieme nei momenti di festa. Havel non parlava mai, non gli rivelava mai i suoi pensieri, per questo sembrava duro, impassibile e inoltre pareva che non vedesse Gwyn come un amico ma solo come il suo dio. Nessuno mai lo aveva sentito parlare ‘da amico’. Nessuno, eccetto uno.

 

Havel arrivò a passi lunghi nella stanza più grande della cattedrale di Anor Londo, dove già erano raccolti i quattro cavalieri di Gwyn, alcuni tra i suoi più fidati cavalieri d’argento e il Primogenito in persona. C’era da discutere di una questione delicata e Havel già lo sapeva. Gwyn parlò per primo.

“La strega di Izalith ha combinato un bel disastro con quella fiamma.”

C’era il silenzio nella sala, un silenzio che lasciava intendere però molte cose. Tutti sapevano e tutti tacevano. Intanto i demoni più disparati nascevano, ad Izalith, direttamente dall’abominio peggiore di tutta Lordran, l’esperimento fallito della strega, una di coloro che combatterono a fianco di Gwyn nella guerra contro i draghi immortali, e si spargevano per ogni angolo di quelle terre. Gwyn sospirò.

“Nito non ne vuole sapere di uscire dalle Catacombe e Seath non potrebbe fare nulla nemmeno volendo. Cosa fare, miei cavalieri?”

Al solo nominare quello schifoso drago viscido ad Havel prudevano le mani sotto i guanti. 

Ornstein fece ondulare il cimiero.

“Lord Gwyn, perché non provare ad eliminarli dalle terre di Lordran con le nostre forze? Cosa saranno due demoni in confronto ai draghi immortali che sono caduti sotto al suo immenso potere, Signore?”

Havel non era d’accordo. Un conto erano i draghi immortali, che di immortale avevano solo le scaglie che cadevano giù con un singolo fulmine di Lord Gwyn, un altro erano dei demoni del caos, nati nel fuoco di Izalith. Ma ancora una volta, Havel non disse la sua. Non parlò, non espresse il suo disappunto. Gwyn era il suo signore, oltre che amico, e avrebbe fatto qualsiasi cosa egli avesse ordinato. Ma in fondo Havel non era l’unico a pensare. A parlare fu un cavaliere d’argento, che spiccava in mezzo a tutti gli altri per l’arma che aveva in mano. Non una spada leggera, non una lancia, non un potente arco ammazzadraghi: era proprio un pesante martello, tenuto con due mani e appoggiato appena sulla spalla destra. Egli fece un mezzo inchino prima di dar voce ai suoi pensieri e contemporaneamente a quelli di Havel.

“Mi perdoni, Lord Gwyn, ma mi permetto di dissentire. Non abbiamo mai affrontato una simile minaccia e secondo la mia umile opinione sarebbe meglio notare prima i comportamenti dei suddetti demoni.”

Il silenzio calò di nuovo in sala. Quelle parole, Havel non credeva alle sue orecchie. Il bizzarro cavaliere d’argento aveva di certo attirato la sua attenzione e la sua curiosità. Insolito. Havel aveva visto e sentito di tutto, ma ancora non un uomo che la pensasse come lui. Il cavaliere con il martello cercò di rimediare all’imbarazzo causato dal silenzio.

“Ma ovviamente, Lord Gwyn, questo è solo il mio pensiero, non intendo dire che l’affermazione di sir Ornstein non sia altrettanto valida.”

Il cavaliere del leone colpì leggermente la pavimentazione con la coda della sua lancia. Lord Gwyn si grattò la testa per qualche secondo, pensandoci su.

“La tua potrebbe essere una saggia idea, Ledo.”

Ledo. Si chiamava Ledo.

“Ma, come hai detto, è una minaccia che non conosciamo e potrebbe distruggere tutta Lordran più in fretta di quanto pensiamo. Dobbiamo agire subito per prevenire. Accolgo la proposta del cavalier Ornstein, agiamo. Domattina chiamerò i cavalieri che dovranno unirsi a me in quest’impresa. Per il momento, l’assemblea è sciolta.”

Lord Gwyn si ritirò facendo ondeggiare il mantello e così fecero anche il resto dei presenti. I quattro cavalieri offrirono un veloce saluto ad Havel, che però era perso, un’altra volta, nei suoi pensieri. E stavolta tutti convergevano verso il cavaliere con il martello. Si guardò intorno per controllare se fosse ancora là, ma ovviamente era scomparso alla velocità di un fulmine. Ma in fondo cosa cambiava? Non gli avrebbe di certo rivolto la parola, così, dal nulla. Havel sospirò dietro l’elmo.

 

La sua arma, il Dente di Drago, chiamata così perché era letteralmente un dente strappato dalle fauci di un drago abbattuto dalla Roccia, era tanto potente quanto fragile. Havel non accettava che una singola scheggiatura impedisse all’arma di funzionare al meglio, per questo la revisionava periodicamente. Gli piaceva molto poterla pulire e testare, ma preferiva che fosse vista da qualcuno più esperto di lui nel campo. E chi meglio del fabbro gigante di Anor Londo? Quell’essere così enorme, seduto su una sedia così piccola da fare quasi pena, amava invece stare nel suo angolino a battere e aggiustare armi, infonderle con vari tipi di titanite, perfino rinforzare armature. Non era un gran chiacchierone, infatti sapeva parlare poco. Ripeteva solo ‘Io forgiare, io bravo!’ con tono soddisfatto e poi tutto quello che si sentiva in quella parte della cattedrale era solo il tintinnio del martello da fabbro che sbatteva sulle armi. Era quello che si aspettava di sentire anche Havel e invece, mentre scendeva le scale, senza elmo e senza scudo, il silenzio fu rotto da una grassa risata. Nella stanzina del fabbro c’era un’aria decisamente rilassata e tranquilla e di certo il riso del gigante era una cosa che Havel mai si sarebbe aspettato; ma ancor di più mai si sarebbe aspettato di trovare proprio lì, in quella stanza, appoggiato a un muro a braccia incrociate, che rideva con il gigante come si fossero appena detti un’esilarante battuta, il cavaliere con il martello, il quale ora era a terra assieme all’elmo. I suoi capelli erano riccioluti e marroni, nettamente in contrasto con quelli neri e tirati indietro di Havel, gli occhi, quasi socchiusi mentre rideva, di un azzurro chiaro e varie lentiggini gli costellavano le guance, mentre le labbra piuttosto carnose erano contratte in un sorriso a trentadue denti. Havel guardò incredulo con i suoi occhi grigi la scena sovrannaturale che aveva davanti agli occhi, mentre i due continuavano a ridere senza accorgersi di lui.

“Te lo giuro, è andata proprio così! Non sai che faccia ha fatto quando- “

Il cavaliere si fermò di colpo notando Havel la Roccia fissarlo con occhi severi -o che a lui parevano così- e immobile, incutendogli ancora più timore che quando si trovava in armatura completa. Le guance già piuttosto scure del cavaliere si colorarono di un rosa chiaro ed egli si affrettò a prendere il suo elmo e il suo martello da terra.

“B- beh, io me ne vado, sembrerebbe che tu abbia un cliente. Ci rivediamo, stammi bene.”

Si dirigeva a passi svelti verso il portone quando la voce ferma di Havel lo richiamò.

“Fermati, cavaliere. Il tuo nome è... Ledo, giusto?”

Il cavaliere d’argento si fermò di colpo e girò lentamente la testa, fortemente in soggezione.

“Oh? Sì, sono io Ledo. So benissimo chi è lei, il grande Havel la Roccia. Sto ricevendo tantissime attenzioni oggi.”

Havel aggrottò un sopracciglio a quell’affermazione, non ricordandosi del mezzo complimento che Lord Gwyn aveva rivolto al cavaliere poco prima dopo che aveva coraggiosamente espresso la sua opinione, ma decise di lasciar perdere. Continuò a parlare con il suo solito tono deciso e solenne, per cui tutti si sentivano di dover mostrare il loro rispetto e ne avevano anche un po’ paura, come Ledo in quel momento.

“Complimenti per il tuo coraggio di poco fa. Nessuno si sarebbe permesso di fare una tale osservazione al cospetto di Lord Gwyn.”

Nemmeno il grande Havel la Roccia, avrebbe voluto aggiungere, ma forse non era proprio il caso. Ledo fece un inchino in segno di gratitudine.

“La ringrazio infinitamente, sir Havel. Sa, non potevo rimanere in silenzio, quella proposta mi sembrava giusta nel contesto, ma a quanto pare il coraggio non è bastato per farmela approvare.”

Ledo aggiunse una mezza risata prima di congedarsi.

“Con il suo permesso, me ne vado.”

La conversazione sarebbe finita lì? Quando Havel aveva visto Ledo inchinarsi davanti a lui e chiamarlo ‘il grande’ aveva capito che non era poi diverso da tutti gli altri cavalieri d’argento. Però sentiva allo stesso tempo che c’era qualcosa in lui che lo distingueva. Perché scegliere il martello al posto della spada, dell’arco o della lancia? Perché azzardare una prova di coraggio in mezzo a un’importante riunione? Perché fraternizzare con un gigante? Perché essere così diverso e speciale, tanto da superare Havel la Roccia in coraggio, e poi inchinarsi morendo di paura davanti a lui?

“Un’ultima cosa, Ledo. Stasera vorrei che tu venissi sui tetti della cattedrale. Ho una cosa di cui parlarti, ma adesso non mi sembra il momento né il luogo adatto.”

Ledo lo guardò confuso con quegli occhi azzurri come il cielo splendente di Anor Londo per poi annuire con un cenno della testa.

“Ci sarò. Arrivederci e a più tardi.”

Havel guardò il cavaliere allontanarsi e uscire dal portone, fino a non farsi più visibile ai suoi occhi. Il fabbro gigante lo fissava nel nuovo silenzio che era calato.

“Cos’hai da guardare? Perché invece di osservare me non osservi l’arma invece. È il momento della revisione.”

Il gigante girò nuovamente la testa verso il suo tavolo da lavoro, in imbarazzo.

“Io forgiare, io bravo!”

 

Si diceva che il sole fosse eterno ad Anor Londo, ma anche quei cieli venivano solcati dalla luna a un certo punto. Era in quel momento che il quarto nato di Gwyn, il piccolo Gwyndolin, faceva capolino dalla sua stanza. Ed era in quel momento che Havel si dirigeva sui tetti di Anor Londo. Quel posto era frequentato da centinaia di cavalieri d’argento anche di notte, ma c’era un punto particolare che sfuggiva alla loro ronda e questo lo sapeva bene Havel, ma soprattutto Ledo. La Roccia non fu sorpresa infatti nel trovarlo lì, seduto sulle tegole della cattedrale a osservare il cielo. Ancora una volta era senza elmo, ma non aveva nemmeno il martello con sé. Anche Havel d’altro canto era senz’elmo, ma aveva il suo Dente di Drago. Non sarebbe mai andato in giro senza di esso, il suo compagno più fidato. Ledo si alzò in piedi e si inchinò velocemente.

“Buonasera, sir Havel.”

Havel scosse la testa e lo salutò a sua volta, per poi dirgli di tornare seduto e mettersi nella stessa posizione, al suo fianco. Ledo lo guardava con ammirazione e subito aprì bocca.

“La sua arma sembra molto più splendente di prima!”

Havel lo guardò impassibile.

“Sì, beh, l’ho fatta revisionare. A proposito, mi è sembrato di capire che hai un certo rapporto con quel gigante...?”

Ledo si grattò la nuca in imbarazzo.

“Siamo buoni amici... Provo una certa simpatia per i giganti da quando ho visto Gough Occhio di Falco all’opera. E poi mi sembrava così solo, in quella stanza, a ripetere la stessa azione all’infinito... Non crede?”

Havel alzò un sopracciglio.

“Provi ammirazione verso l’Occhio di Falco, eppure come arma hai scelto un martello.”

Ledo fu colto alla sprovvista e tirò fuori una risata, estremamente in imbarazzo, così come indicavano le sue guance nuovamente rosee. Havel non poteva fare a meno di fissarle incuriosito. Le proprie guance non erano mai arrossite.

“No è che... prediligo semplicemente le armi più pesanti. È una lunga storia, ma in poche parole ho trovato questo martello e mi ci sono trovato subito bene. Non ha niente a che vedere con il Giustiziere!”

Havel si lasciò scappare una risatina. Una risatina? Non si faceva delle risate, nemmeno se piccole, da troppo tempo. Gli sembrava tutto così surreale.

“Se è una lunga storia, non ti chiederò altro. Dopotutto non è per questo che sono qui.”

Ledo annuì. Quanto era che Havel non parlava con qualcuno di argomenti non prefissati? Da quanto non aveva una normale e spontanea conversazione, senza che stesse ad ascoltare e basta, ma parlando lui stesso? Aveva appena conversato con Ledo di cose futili, che non rientravano in ciò di cui doveva parlargli, eppure si era lasciato scappare una risatina, e gli era piaciuto.

“Giusto. Di cosa voleva parlare?”

Havel sospirò.

“Da quando oggi hai dimostrato quel coraggio all’assemblea ho sentito che c’era qualcosa di strano in te. Sembri un normale cavaliere d’argento con un martello al posto delle normali spade o lance. Invece hai dimostrato di pensarla come me e hai avuto persino il coraggio di esternare i tuoi pensieri, pur rischiando. Magari starò esagerando, ma non ho mai trovato qualcuno come te. Che avesse i miei stessi pensieri.”

Ledo sbattè le palpebre, decisamente confuso.

“B- beh, credo sia un complimento, quindi la ringrazio, ma... dove vuole arrivare con questo?”

Havel lo guardò negli occhi. Occhi sinceri.

“Avrai sentito parlare di me. Che sono temibile, impassibile, freddo, severo. Che non parlo mai. È così, ma anche io posso pensare, sai.”

Ledo inclinò la testa da un lato sempre più confuso e Havel rivolse lo sguardo verso la luna, brillante e luminosa come non mai. Gli riusciva difficile tirare fuori le parole.

“Quello che voglio dire è che... sei il primo che mi fa venir voglia di dire la mia. Di parlare, in generale. Di solito non lo faccio. Forse mi manca il coraggio. Non mi sono mai sentito così... strano.”

Si fermò un attimo per riordinare i pensieri, senza che né lui né Ledo dicessero una parola e poi riprese, trovando coraggio.

“Insomma, Ledo. Saresti disposto a condividere i tuoi pensieri con i miei?”

Ledo lo guardò stranito.

“Cioè... vorrebbe che fossimo amici?”

Amici. Perché quella parola gli suonava così strana?

“Diciamo di sì... sì.”

Ledo sorrise improvvisamente, illuminando il suo volto di gioia.

“Incredibile! Il grande Havel la Roccia che vuole fare amicizia con me!”

Ledo era così strano per lui, così fuori dal mondo. Come faceva a dire cose del genere a cuor leggero?

“Ti prego, non chiamarmi così.”

“Oh, mi scusi. È che sono felice di avere un amico del genere. L’ammiro molto. Non si annoierà con me, vedrà!” disse Ledo ridendo.

Quella risata era quasi contagiosa.

“Sono solo Havel per te. E dammi del tu.”

Ledo gli cinse un braccio attorno alle spalle e diede un pugnetto su quella destra. Erano amici da nemmeno due minuti e già era come se si conoscessero da anni. Havel non era certo abituato, Gwyn non aveva mai avuto atteggiamenti così affettuosi nei suoi confronti. Ma si lasciò andare.

“Come vuoi, Havel. Direi che possiamo proprio festeggiare.”

Havel voleva superare la propria pesantezza.

“Cosa? Vuoi già bere?”

Ledo portava un martello, ma lo reggeva come fosse una piuma.

“Certo! Cosa c’è di meglio di bere in compagnia per festeggiare una nuova amicizia?”

Ledo lo trascinò alle cucine e Havel si lasciò trasportare, per una volta nella sua vita.

Non più la Roccia pesante che conoscevano tutti. Sarebbe stato una Roccia più leggera, dopo l’incontro con una tale piuma.

 

Il mattino seguente Havel si sentiva frastornato. Colpa di Ledo, pensava, ma in fondo non gli dispiaceva più di tanto. Indossò la sua pesante armatura e si diresse ancora una volta verso la cattedrale di Anor Londo, da cui Gwyn avrebbe annunciato chi sarebbe partito assieme a lui per Izalith. Havel non fece nemmeno in tempo a mettere piede nella cattedrale che subito Ciaran, una dei quattro cavalieri di Gwyn nonché unica donna tra i suoi guerrieri più fidati, gli andò incontro.

“Buongiorno, sir Havel. Devo informarla che Lord Gwyn è già partito con Ornstein, Artorias e gran parte dei suoi cavalieri d’argento, mentre ha voluto che il resto dei cavalieri rimanesse a sorvegliare Anor Londo durante la sua assenza. Anche lei, sir Havel.”

Havel si maledì: Ciaran gli aveva praticamente detto, in modo più elegante, che era arrivato in ritardo e che Gwyn lo aveva dunque messo a guardia di Anor Londo. Non sapeva se sarebbe stato meglio affrontare i demoni di Izalith oppure la noia mortale della città degli dèi, dominata dalla calma e dal silenzio. Si ricordò che Ciaran aveva menzionato i cavalieri d’argento.

“Ti ringrazio per le informazioni, Ciaran, ma avrei una domanda per te; sai se anche un cavaliere d’argento di nome Ledo era compreso tra quelli scelti da Lord Gwyn?”

Ciaran portò un dito avvolto dal guanto al mento, pensierosa.

“Ledo? Dice il cavaliere con il martello? In quel caso mi pare che Lord Gwyn avesse voluto anche lui con sé.”

I cavalieri d’argento erano tutti uguali, armature ripetute all’infinito. Ma chiunque si sarebbe ricordato di Ledo, l’unico a distinguersi in quella massa uniforme. 

Havel sospirò. Gli dispiaceva. Il dispiacere era un’emozione che non provava da tempo immemore. Fortunatamente Ciaran non fece nessun tipo di domanda, così Havel potè tornare al suo dovere. E il sole calò, mentre Anor Londo era immersa nella noia più totale e nella speranza che Gwyn e i cavalieri riuscissero ad abbattere i demoni e a tornare sani e salvi. Il Primogenito faceva le veci del Lord del Sole, ma non c’era effettivamente molto da fare in quella giornata, così come in quelle che sarebbero venute e in quelle che erano già venute prima. Quella notte Havel non avrebbe camminato spedito verso il proprio alloggio. La parte di tetto in cui lui e Ledo avevano parlato la sera prima era un luogo ideale per pensare. E Havel pensò, pensò alla guerra contro i draghi primordiali, pensò a Gwyn e ai suoi cavalieri, e poi pensò a Ledo. Chissà se se la sarebbe cavata, ad Izalith. Non avrebbe desiderato perdere un amico così in fretta. Rumori di passi lo distolsero dai suoi pensieri, assieme alla proiezione di un’ombra familiare. Ormai avrebbe riconosciuto quel martello ovunque.

“Ledo? Cosa ci fai tu qui?” disse voltandosi, stupito.

Ledo, in tutta risposta, ridacchiò.

“Ero contrario ieri, lo sono anche oggi. Non mi va di morire contro dei demoni, sai.”

Si sedette accanto ad Havel, che lo guardava sempre più stupito. Ledo non passava di certo inosservato e Gwyn si sarebbe accorto della sua mancanza tra le file dei suoi cavalieri. Come poteva avere, ancora una volta, tanto coraggio?

“Sei completamente pazzo! Se Lord Gwyn se ne accorge, rischi di essere preso per un disertore.” Che alla fine non è proprio sbagliata come definizione. “Rischi qualcosa di peggio della morte per mano dei demoni.”

Ledo lo guardò senza cambiare la sua espressione soddisfatta, ma non gli rispose.

“Perché ora non mi dici tu cosa ci stai facendo qui?”

Havel sbuffò. Non gli importava nulla?

“Non t’interessa. Rispondimi, Ledo. Perché rischiare tanto?”

Ledo fece spallucce.

“Perché no? Si vive una volta sola e non voglio di certo buttare questa volta contro dei diamine di demoni.”

Havel lo guardava incredulo. Ledo aveva da insegnargli più di quanto pensasse.

“Sei... incredibile, Ledo. Ma come fai.”

Nessuno aveva mai visto il leggendario Havel la Roccia rimanere senza parole davanti a qualcosa. Ledo ci riuscì senza nemmeno volerlo.

“Non so se voleva essere un complimento, ma grazie. A te è andata bene, vedo.”

“Mi hanno messo a guardia di Anor Londo.”

“Oh, splendido.”

Havel scosse la testa.

“No, sono solo arrivato in ritardo stamattina e Gwyn era già partito.”

Ledo si mise una mano davanti alla bocca.

“Guai se ridi, Ledo. È colpa tua se è successo.”

“Però io in ritardo non sono arrivato.”

“Però ti sei rifiutato di partire, che è peggio.”

Ledo si lasciò scappare una risata, ignorando l’avvertimento di Havel.

“Ma dai. Sei più buffo di quanto pensassi.”

Havel capiva che lo stava prendendo in giro scherzosamente, ma per mantenere il suo contegno e la sua impassibilità non rise, né si arrabbiò. Si limitò a spedire Ledo di schiena sulle tegole con una semplice spallata. In fondo, sia il contegno che l’impassibilità crollavano come un castello di carte quando era insieme a Ledo. E si conoscevano a malapena da un giorno.

Ledo rise rialzandosi e massaggiandosi la parte in cui era stato colpito, ribattendo con una pacca sulla spalla che fece più male a lui che ad Havel, visto il materiale di cui era fatta l’armatura della Roccia. Quest’atmosfera si mantenne tale per tutta la notte e per quelle successive, in cui i due cavalieri continuavano a incontrarsi e a parlare. Parlavano degli dèi, dei draghi, della noia di Anor Londo, del fatto che quello in cui sedevano fosse il luogo preferito da Ledo in cui osservare la luna, a volte si domandavano cosa stessero facendo Gwyn e i suoi commilitoni. Fino al giorno in cui Lord Gwyn non tornò, decisamente sconfitto. Assieme a lui, centinaia e centinaia di cavalieri d’argento bruciati, irriconoscibili. Le armature una volta splendenti erano rese opache dal fuoco e dal fumo dei demoni del caos di Izalith. Per fortuna Ornstein, Artorias che Gwyn me erano usciti quasi illesi, a differenza dell’umore del Lord del Sole, distrutto. Havel ebbe paura per la prima volta dopo troppo tempo per questo. Perché Ledo ebbe la sfortuna di essere incrociato da Lord Gwyn per i corridoi della cattedrale. Il dio gli urlava contro di tutto, lo chiamava nei peggiori modi in cui un cavaliere potesse essere chiamato. Se l’è cercata, pensò Havel, nascosto dietro una delle statue colosssali del primogenito del Lord del Sole. Finché il sentir parlare di ‘punizione’ non lo fece uscire dal suo

nascondiglio. Con un coraggio che non credeva di avere si mise tra Gwyn e Ledo, intervenendo prima che la situazione si facesse irrimediabile. Quelle erano le conseguenze di un coraggio eccessivo. Anche Ledo aveva da imparare da Havel dopotutto.

“Lord Gwyn, mi sono permesso io di trattenere questo cavaliere ad Anor Londo, poiché infatti aveva mostrato segni di debolezza fisica.”

Il malore improvviso era la scusa più banale che potesse esserci, eppure con Gwyn funzionò. Era stanco e stremato e quindi non cercò nemmeno di indagare troppo sulla faccenda.

“La prossima volta -che spero non ci sia- vorrei essere avvertito in persona. E ora tornate entrambi ai vostri doveri.” disse liquidandoli mentre si ritirava nelle sue stanze private. Ledo sorrise e si avvicinò ad Havel, sussurrandogli nell’elmo.

“Poi sono io quello estremamente coraggioso.”

 

Qualche giorno dopo Gwyn se ne era uscito fuori con la creazione dell’ordine dei cavalieri neri. Una giustificazione per quei poveri cavalieri d’argento arrostiti dalle fiamme del caos che ancora dilagavano ad Izalith. Havel era sempre più convinto che Gwyn fosse sulla via della corruzione. Quell’attacco avventato e impreparato contro i demoni e il non aver accettato le conseguenze, accampando persino una scusa terribile, lo rendevano chiaro alla sua mente. 

Lui e Ledo continuavano a vedersi di notte nel loro posticino sui tetti di Anor Londo. Ormai era passato molto tempo dalla prima volta che si erano trovati lì ed erano dei grandi amici a tutti gli effetti. Scherzavano, ma sapevano anche essere seri. Passavano in ogni caso ottimi momenti insieme ed entrambi provavano emozioni mai sentite fino a quei momenti. Havel imparava da Ledo e Ledo imparava da Havel. Coraggio e intelletto, spensieratezza e serietà si mescolavano negli attimi in cui parlavano tra loro. Havel gli raccontava spesso del suo pensiero su Gwyn e Ledo ascoltava in silenzio, ma non approvava né condannava le sue parole. Forse non si sentiva nella posizione di poter giudicare Gwyn dopo averlo abbandonato egli stesso. Poi, una notte, Ledo gli chiese di Seath. Non l’avesse mai fatto! Havel diventò furioso come un drago appena risvegliato dal suo sonno. Ledo poteva quasi vedere del fumo uscirgli dalle narici.

“Quell’orrendo drago, non merita nemmeno di essere chiamato tale, non porta le scaglie, è viscido e sta combinando qualcosa di orribile agli Archivi. Solo perché Lord Gwyn gli ha donato il titolo di Duca e un’anima dei Lord si è permesso di fare esperimenti a destra e a manca e ora gli Archivi pullulano di cristalli. Gwyn diceva che secondo lui Seath stava creando qualcosa di rivoluzionario, capisci? Gli sta facendo il lavaggio del cervello! Quell’essere schifoso lo sta corrompendo. Se si è alleato con Gwyn è solo per il suo odio contro i suoi simili. Dovrebbe solo sparire, accidenti!”

Ledo non aveva mai visto Havel così nervoso e irato, nessuno lo aveva mai visto così. Ledo tirava fuori i suoi lati più positivi, ma anche quelli più negativi.

“Ohi, calmati, Havel...”

La Roccia sbattè un fortissimo pugno sulle tegole, che fece tremare il cavaliere con il martello seduto poco più in là.

“No! Merda, devo fare qualcosa.”

Ledo aveva un’espressione preoccupata.

“E cosa pensi di fare, esattamente? Seath è un duca e se ha messo veramente in ginocchio Gwyn come dici, a chi pensi che crederà il Lord non appena ti vedrà sospetto o non appena scoprirà cosa vuoi fare?”

Havel sbuffò, mantenendo l’aria arrabbiata.

“La situazione non può rimanere tale, comunque. So io cosa ci vuole. Seath deve cadere.”

Ledo si avvicinò ad Havel, ancora più preoccupato.

“Stai scherzando? Stai passando dal non avere coraggio ad averne troppo. Ricordi cosa ho rischiato io dopo la questione dei demoni di Izalith? Tu rischieresti mille volte peggio! Pensaci, Havel. Se anche ci riuscissi cosa accadrebbe? Saresti tu l’obiettivo di Gwyn.”

Havel lo guardò negli occhi; i loro volti non erano poi così lontani. Le loro dita erano intrecciate e nessuno dei due se ne era accorto. Ma ormai era troppo tardi.

“Allora... potrei far cadere anche Gwyn...”

Ledo non credeva alle proprie orecchie.

“No, Havel. Non puoi farlo. Promettimi che non lo farai.”

Il respiro di Havel si era fatto pesante, non sapeva nemmeno lui cosa gli stesse accadendo. La testa gli faceva male.

“Io... non so che mi è preso.”

“Havel. Promettilo.”

Ledo avvolse le sue braccia attorno a lui. Havel annuì scuotendo la testa. Il cavaliere con il martello affondò il volto nel suo collo.

“Me lo hai promesso, ricordatelo.”

 

I giorni passavano e Havel venne a sapere, in un modo o nell’altro, dell’esistenza delle armi occulte. Le uniche armi che gli dèi potessero temere. Aveva promesso a Ledo di non combinare nulla, ma ogni tanto ne parlava e il cavaliere con il martello lo interrompeva bruscamente, ripetendogli:

“Havel, la promessa.”

Quando gli tornavano in mente quei pensieri poggiava la testa sulle gambe di Ledo, si lasciava accarezzare il volto dagli zigomi pronunciati e i capelli neri e chiudeva gli occhi. In quei momenti credeva che non gli sarebbe accaduto mai nulla. Eppure, un giorno che si prospettava essere come tutti gli altri, immerso nella noia, gli accadde la cosa peggiore che ci potesse essere. C’era un gran vociferare per le strade di Anor Londo e Havel, curioso, si mise ad ascoltare la conversazione di due cavalieri d’argento. Venne così a sapere che Ledo era morto. Non era proprio morto, in realtà, ma l’unica parola che la mente di Havel riuscì a scandire bene fu solo la parola ‘morte’. La Roccia trovò il suo amico cavaliere disteso su un letto e guardato da una chierica di Anor Londo. La donna gli disse che sembrava morto, ma sentiva il suo cuore battere ancora, seppur debolmente. Il cuore di Havel, invece, ne aveva mancati molti, dì battiti. Il comportamento di Gwyn peggiorava di giorno in giorno, al punto da cacciare il proprio figlio in esilio e da cancellare lui, il suo nome e la sua esistenza dagli annali storici. Ma Havel non poteva fare a meno di pensare a Ledo, al loro rapporto di quella che credeva ancora fosse vera amicizia, di come lui lo calmasse nei momenti in cui si sentiva scoppiare, di come fosse la sua unica fonte di coraggio. Poteva mantenere il senno solamente grazie a lui. E mancando il suo sostegno, Havel impazzì. Chiamò a raccolta tutti i suoi cavalieri e disse che chi gli era veramente fedele lo avrebbe dovuto seguire. Rivoltosi, tutti contro Seath, Gwyn e le loro pazzie. In pochi non gli rimasero fedeli. In un ultimo momento di lucidità, Havel andò a visitare Ledo, ancora disteso sul letto quasi morto. Di lacrime non ne aveva mai versate. Non prima di quello stesso momento. Si tolse l’anello, quello di cui aveva distribuito innumerevoli copie tra i suoi soldati, indossando una di queste ultime al posto di quello originale, che infilò in un dito della mano sinistra, debole e floscia, di Ledo. Quando si sarebbe svegliato, ovunque fosse, si sarebbe sentito meno pesante.

 

Passò all’incirca un mese e mezzo. La chierica che controllava lo stato di Ledo ormai non ci sperava più, e invece in un giorno qualsiasi Ledo aprì gli occhi proprio davanti a lei. La donna quasi urlò di gioia e lo abbracciò dicendo:

“Tutte le preghiere sono servite, sia lodato Lord Gwyn!”

Ma Gwyn era l’ultimo dei pensieri di Ledo. Il cavaliere d’argento si mise in fretta l’armatura e passò in rassegna tutti gli angoli di Anor Londo, tornando pure dal fabbro gigante a chiedergli dove fosse Havel. La risposta che ricevette fu una scrollata di spalle. Mentre girava come un pazzo per tutta Anor Londo fu trovato e fermato da Ciaran.

“Ciaran! Oh, Ciaran, cosa è successo? Lei lo deve sapere!”

La cavalleressa rimase felicemente sorpresa nel vedere che si era ripreso così velocemente, ma allo stesso tempo era preoccupata dal suo atteggiamento.

“Ti sei ripreso, finalmente, cavaliere! In tutta Anor Londo si è creduto che potessi resuscitare dalla morte.”

A Ledo tutto ciò di cui Ciaran parlava non importava nulla, perciò la incalzò.

“Mi chiedi cosa è successo? Molte cose direi, visto che sei rimasto in quello stato per parecchio tempo. Ad esempio, il primogenito di Lord Gwyn è stato esiliato per aver tradito la famiglia ed è stato cancellato dalla storia. Un colpo veramente duro per tutta Anor Londo direi. Non te ne potrei nemmeno parlare in realtà.”

Ledo fu scosso dalle parole di Ciaran. Non credeva che Gwyn fosse capace di una cosa del genere. E se Havel avesse avuto ragione?

E cosa ne è stato di Havel? Dove si trova ora il leggendario Havel la Roccia?”

Il suo tono era quasi isterico e aveva il respiro pesante. Ciaran abbassò la testa di colpo. E Ledo capì. Corse diretto verso Gwyn, che si trovava nella sala più grande della cattedrale. Persino il Lord del Sole fu sorpreso del suo essere tornato nuovamente in piena salute. Ma a Ledo importava solo di una cosa e gli chiese dove fosse Havel senza troppi giri di parole.

“È inutile che lo cerchi, coraggioso cavaliere. È stato scoperto con armi occulte assieme al suo esercito e accusato di tradimento. Era un mio amico, un fedele cavaliere, quindi ho deciso di rinchiuderlo soltanto in una torre nel borgo dei non-morti. Ma credo che ormai sia diventato vuoto. Mi duole dirlo, ma era impazzito totalmente già prima.”

Ledo si sentì mancare. Sentì tutto il mondo crollargli addosso. Per cosa aveva lottato finora, rimanendo attaccato alla vita con i denti? Sarebbe stato meglio se fossi morto.

“E prima che me ne dimentichi: visto che ora sei in buona salute, ti invierò a occuparti insieme ai tuoi compagni delle ultime fasi della costruzione della Città ad Anelli, un regalo che voglio fare ai pigmei. Partirete domattina assieme a mia figlia, Filianore. Mi raccomando, conto su di voi.”

Gwyn se ne andò lasciando Ledo solo in mezzo alla sala, e quest’ultimo rispose al suo invito, dopo che il Lord se n’era già andato, scuotendo la testa, con lo sguardo perso nel vuoto e il volto privo di qualsiasi espressione.

Nelle sue stanze Ledo consumò tutte le lacrime che aveva. Non doveva finire così, pensava. Non era lui quello che doveva diventare vuoto. Togliendosi i guanti si accorse di ciò che prima non aveva notato, forse perché preso dalla troppa fretta di cercare Havel, fretta rivelatasi poi inutile. Al suo dito vi era un anello. Avrebbe riconosciuto quell’anello anche da venti miglia. Sorrise tra le lacrime guardandolo. Era l’ultimo ricordo che gli rimaneva di lui.

“Sei uno stupido. Mi avevi promesso che non avresti combinato nulla...”

La mattina successiva era pronto a partire per la nuova Città ad Anelli, dono di Gwyn ai pigmei. Con loro si trovava la principessa Filianore. Ledo si girò a guardare per l’ultima volta Anor Londo e il suo sole splendente e strinse nel proprio palmo l’anello di Havel. Avrebbe conservato la sua memoria per sempre, poiché era ciò che aveva di più prezioso al mondo. Gli doveva tutto. Avrebbe già abbandonato il ruolo di cavaliere d'argento senza di lui. La sua intera vita, la doveva a lui. 

 

Probabilmente molte cose della lore non torneranno affatto con ciò che ho scritto, ma mi piaceva vederla in questo modo. Ho cercato di dare una spiegazione per cui, molto vicino al punto in cui Ledo invade nella Città ad Anelli, si trova un Anello di Havel +3. Ho cercato anche di inserire il dettaglio che si legge in quelle quattro righe di descrizione dedicate a Ledo per cui simpatizzava con i giganti, rendendolo un amicone del fabbro gigante di Anor Londo. E sì, i non troppo sottintesi momenti romantici sono totalmente voluti. Mi piaceva vederli così. Il titolo è dovuto sia al ruolo che ha l'anello di Havel sia alla presenza della Città ad Anelli (che fantasia, eh?). Mi scuso ancora nel caso la lore non coincidesse perfettamente con quella dell’opera originale e ringrazio chiunque abbia letto fino a questo punto!

   
 
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