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Autore: Chemical Beam    10/09/2018    0 recensioni
Alexander Randall, ragazzo relativamente pacifico, ama i dolci, la matematica e soprattutto vincere le gare di scacchi; detesta il francese, non avere le idee chiare e le persone irruenti.
Thomas Harris, ragazzaccio dalle origini irlandesi, ama i biscotti al cioccolato (solo quelli cotti alla perfezione), leggere e suonare la chitarra; detesta le sveglie, gli scacchi e le persone prive di carattere.
Due universi paralleli, destinati a non intersecarsi mai.
Ma se fossero destinati ad un incontro?
La parte fondamentale degli scacchi è non sottovalutare mai il proprio avversario.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Quanto mancava alle quindici?

Alexander aveva il gomito sinistro appoggiato sul banco e il braccio che sorreggeva la testa. Era seduto rigorosamente al primo banco.

Era l'ultima ora di lezione: storia. Gli piaceva quella materia; permetteva di capire le proprie origini, il modo in cui le persone e la mentalità si trasformano nel corso dei secoli. Studiare la storia serviva a non ripetere più certi sbagli.

Buffo, pensò Alexander, per tutto ciò che ne poteva sapere, lui stesso avrebbe potuto essere un discendente di un guerriero sassone vissuto anni prima di Cristo. Avrebbe potuto avere lontani legami con Enrico VIII, anche se quell'idea non gli aggradava molto – non aveva in simpatia l'antico re.

«Bene, ragazzi, per la prossima volta studiate le pagine che ho spiegato oggi, quelle riguardanti il romanticismo». Le parole della professoressa lo ridestarono.

Gli piaceva imparare, era un ragazzo estremamente curioso ed aveva sempre fame di conoscenza. Tuttavia, detestava studiare per ricevere dei voti.

Alexander era convinto che tutto ciò che studiava dovesse rimanere sempre impresso nella sua mente. Studiare argomenti solo per avere voti alti in un'interrogazione o in una verifica non era la giusta motivazione per imparare.

Paradossalmente, però, era uno dei più bravi, nella sua classe.
I suoi voti erano buoni perché i professori riconoscevano la passione che impiegava per studiare i vari argomenti, nonostante alcuni di questi non fossero i suoi preferiti.

E poi sì, gli piaceva avere gratificazioni: lo facevano sentire apprezzato.
Per uno come lui, che credeva di non avere grandi capacità – non sapeva suonare uno strumento, non era capace di disegnare, per non parlare dello sport –, la scuola era l'unico modo per dimostrare di valere qualcosa. E così si impegnava più di tutti, anche nelle materie che non gli piacevano.

Finalmente la campanella suonò e lui si affrettò a mettere a posto il libro e il borsellino. Aspettò che Paul lo raggiungesse, dal suo posto in penultima fila, e insieme si diressero fuori dalla classe, dopo aver salutato la professoressa.

Ma una voce all'esterno dell'aula improvvisamente li fece arrestare. «Alexander, potresti aspettare, per favore?»

I due si voltarono, riconoscendo la voce profonda di Mr. Davies, il loro insegnante di matematica.

«Oh, sì, ma certo.»

«Io vado?» chiese il rosso, confuso.

«Paul, è questione di alcuni minuti; se vuoi, puoi aspettare il tuo amico» rispose l'uomo, per poi rivolgersi al biondo. «Alexander, seguimi nel mio ufficio.»

Il ragazzo, mentre camminava dietro al professore, lanciò uno sguardo all'amico, con cui mostrò una vaga preoccupazione.
Per tutta risposta, Paul si limitò ad alzare le spalle. Di grande aiuto, pensò Alexander.

Finalmente i due giunsero appena fuori dall'ufficio dell'insegnante e quest'ultimo, proprio davanti alla porta, lanciò uno strano sguardo al suo alunno.
Per qualche motivo, questo fece aumentare la tensione che il ragazzo sentiva all'altezza dello stomaco, anche se non capiva il perché.

Il professore portò avanti una mano e spostò verso il basso la maniglia, indicando poi al biondo di entrare prima di lui.

Alexander camminò lentamente all'interno con la testa chinata, ma quando la sollevò, non riuscì a credere ai propri occhi.

Appollaiato bellamente su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania, con le gambe appoggiate al tavolo davanti a lui e intento a leggere un libro, c'era il suo sconosciuto.
Arrossì a quel pensiero e scosse la testa come per cacciarlo via – quel tipo non era assolutamente il suo sconosciuto.

Mosse qualche passo in avanti, schiarendosi la gola e si sedette sull'altra poltroncina libera, alla destra del ragazzo. Subito incrociò le braccia, come per proteggersi, e mentre fece per aprire la bocca per chiedere perché si trovasse lì, Mr. Davies lo precedette.

«Thomas, sarebbe gradito se togliessi le tue scarpe dalla mia scrivania» lo apostrofò ironico, accompagnando il tutto da un'occhiata gelida. L'altro alzò lo sguardo dalle pagine e molto lentamente, con fare svogliato, si sistemò composto sulla sedia, per poi chiudere il libro di scatto.

«Sarà meglio che questa pagliacciata finisca presto» lo sentì mormorare il ragazzo affianco.

«Allora, Alexander, sicuramente ti starai chiedendo perché sei qui» il professore rivolse la sua attenzione al biondo, che non rispose subito, impegnato com'era a studiare Thomas.

«Oh, beh, sì» disse dopo qualche secondo, ridestandosi e volgendo lo sguardo verso il professore.

«Vedi, lui è Thomas Harris. Frequenta la sezione B e vorrebbe ricevere un aiuto in matematica». Notando che nessuno dei due alunni rispondeva – Thomas annoiato, Alexander con gli occhi stranamente sgranati –, proseguì. «Gli ho proposto il tuo nome perché sei uno degli alunni più brillanti a cui io abbia insegnato. Ti andrebbe di dargli una mano?»

Il biondo arrossì, mentre Thomas roteava gli occhi.

Alexander era sicuro di non stare molto simpatico all'altro ragazzo, anzi. Notava che, ogni volta che era in sua presenza, il moro era irritato come non mai, e non ne capiva il perché.

Prima di dare una risposta al professore, riflesse velocemente. Era impegnato con gli scacchi – quello era il suo ultimo anno e doveva vincere a tutti i costi. E poi, era già abbastanza timido di per sé: non gli andava di avere a che fare con un ragazzo dai modi scorbutici e che lo metteva terribilmente in soggezione.

«Beh?» lo richiamò Thomas, non degnandolo di un'occhiata, preso com'era a fissare un punto nel vuoto. Fu subito zittito dallo sguardo di Mr. Davies.

Dannato professore e dannato secchione, pensò stizzito. Non voleva trovarsi lì, ad elemosinare l'aiuto di quel tipo strano. Tuttavia, non poteva continuare con quei voti da schifo in una materia così importante.

«Ecco, io...» prese parola Alexander «non sono sicuro che sia una buona idea.»

Il moro lo guardò per la prima volta da quando il secchione aveva messo piede nella stanza, corrugando le sopracciglia.
La stessa espressione fu assunta dal professore.

«Posso chiederti perché?»

Le guance del biondo si tinsero di un tenue color rosso.
«Ehm... Beh, sono molto impegnato, anche con progetti scolastici, e poi devo studiare tanto, il che mi occupa molto tempo, per cui–»

Fu interrotto da uno sbuffo del ragazzo accanto a sé, e Alexander lo guardò storto. Quegli atteggiamenti gli stavano dando veramente ai nervi.

«Beh, direi che è comprensibile. Metti sempre lo studio al primo posto, in effetti sarebbe difficile mantenere i tuoi voti e allo stesso tempo fare da tutor a Thomas». Il biondo sorrise vittorioso, ma solo nella propria mente, perché in realtà assunse un'espressione quasi dispiaciuta. Quasi.

«Bene, Thomas, mi sa che dovrai arrangiarti da solo, oppure potresti chiedere a qualche altro alunno–»

Il moro si alzò improvvisamente. «Non ce n'è bisogno, grazie. Faccio da me», il tono intriso di sarcasmo.

«Posso andare, ora?»

«Sì, certo. Buona giornata.»

E senza rispondere, Thomas si chiuse – o meglio, sbatté – la porta alle spalle.

Per tutto il tempo, Alexander era rimasto in silenzio, non osando guardare il moro direttamente in faccia. Si sentiva intimorito in sua presenza e non sopportava tutto ciò.

Fu l'improvviso rumore sordo della porta che si chiudeva a ridestarlo dai suoi pensieri.

«Che ragazzo...» borbottò Mr. Davies a mezza voce. «Alexander, ti chiedo scusa se ti ho fatto perdere del tempo prezioso, puoi tornare a casa con il tuo amico.»

Il ragazzo si alzò lentamente e, dopo aver salutato il professore, si diresse verso la porta.

Non appena la chiuse dietro di sé, notò Thomas poggiato alla parete opposta, con le braccia incrociate e lo sguardo fisso davanti a sé, in evidente attesa.
Lo guardò per qualche secondo, chiedendosi cosa stesse facendo, e in seguito si avviò verso il punto in cui aveva lasciato Paul.

Poi, tutto a un tratto, sentì una mano che, senza dargli il tempo di reagire, lo prese per un braccio e lo trascinò in un corridoio lì vicino, sbattendolo al muro senza tanti complimenti.

Alexander sgranò gli occhi.

«Allora, ragazzino, fai molta attenzione a ciò che sto per dirti. Non sono uno che prega, per cui te lo chiederò solo una volta». Thomas era lì davanti a lui, con le mani in tasca, e lo guardava dritto negli occhi.

«Ho bisogno di una mano, e tu mi sembri il tipo giusto per aiutarmi. A quanto dice quel professore, sei il migliore alunno mai esistito» e alzò un sopracciglio ironico.

«Io non...» cercò di protestare Alexander, ma fu subito interrotto.

«Fammi finire. Io voglio solo il meglio, e il meglio, in questa situazione, sei tu – paradossale, direi. Per cui, tu mi aiuterai». Dicendo queste parole, si era avvicinato pericolosamente all'altro, che aveva stretto le palpebre e socchiuso la bocca.

Il biondo non seppe da dove tirò fuori il coraggio, ma, ancora con gli occhi chiusi, contrastò le parole del ragazzo che si ergeva davanti a sé.

«Io... Non posso» e aprì lentamente gli occhi. Il petto del moro gli si parava davanti, e fu costretto ad alzare la testa per guardarlo, seppur molto timoroso.

«Tu cosa?» Thomas aveva assunto un'espressione minacciosa.

«Non posso, non lo farò. Chiedi a qualche professore, di sicuro saprà spiegarti meglio di quanto potrei fare io». Alexander si preparò a ricevere un bel pugno nello stomaco, nel migliore dei casi.

Il moro fece per aprire la bocca, ma una voce lo interruppe.

«Alex, ma dove ti eri cacciato?» Thomas guardò quel tipo dai capelli rossi con uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

«Paul, ehm...» e il biondo ne approfittò per allontanarsi di qualche passo dal moro.

«Sbrigati, dai. Mia madre è venuta a prenderci». E senza aspettare una risposta, poggiò una mano fra le scapole di Alexander e lo accompagnò verso l'uscita.

Il biondo non osava voltarsi indietro e, mentre scendeva i gradini, pensava che aveva fatto bene a togliere di mezzo quel ragazzo prima che creasse problemi, a non lasciarlo entrare nella sua vita. Ringraziò mentalmente Paul per l'aiuto che gli aveva fornito, seppur inconsapevolmente.

E così, sovrappensiero, entrò nell'auto della madre dell'amico, per poi portarsi una mano sullo stesso punto del braccio che Thomas aveva stretto.

Note dell'autrice: non aggiorno da un sacco, che schifo. A mia discolpa, posso dire che questo è il penultimo capitolo della prima parte della storia e che la seconda durerà circa il doppio di questa. Che ne dite?
E poi, vi è piaciuto il capitolo? Se lasciaste una recensione, ne sarei felicissima! <3
  
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