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Autore: evelyn80    10/09/2018    2 recensioni
Molte cose sono cambiate: il Knight Two Thousand non è più un auto. Michelle Boswald, nipote di Bonnie, è la sua nuova pilota. Con lei lavorano altre due ragazze, Mary Cassidy e Helen Seepepper. Insieme si fanno chiamare le K.I.T.T.'s Angels.
La nuova Fondazione, diretta da Michael e Bonnie, le invia in Alaska, nelle isole Aleutine, per sventare un traffico di droga tra la Russia e gli USA. Ma poiché quasi nessuno sa della loro esistenza, dovranno lavorare in incognito per passare inosservate tra le ciurme degli altri pescherecci.
Avranno a che fare con pescatori scorbutici e maschilisti e dovranno faticare un bel po' per portare a termine la loro missione.
Storia cross-over tra Supercar e Deadliest Catch (settima stagione)
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Spazio autrice:
Ho iniziato a scrivere questa storia circa sei o sette anni fa, arrivando più o meno fino a metà. Poi, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per mancanza di ispirazione, l’ho abbandonata a se stessa. Fino a poco tempo fa, quando l’ho ritrovata quasi per caso e ho deciso di portarla a termine. Quindi è molto probabile che si possa notare un cambiamento di stile da un certo punto in avanti.
Questa storia è un cross-over tra Supercar e Deadliest Catch, il docu-reality tuttora trasmesso su Discovery Channel. Per quanto riguarda Supercar, ho creato un ipotetico futuro post-Devon, mentre per Deadliest Catch mi sono ispirata alla settima stagione, quella che veniva trasmessa in tv quando ho iniziato a scrivere la storia.
Per questo motivo, il mio K.I.T.T. è molto, molto particolare, anche in funzione di ciò di cui parla il docu-reality.
Per concludere questa prefazione, vi lascio i link alle immagini dei protagonisti di Deadliest Catch che compaiono più volte nella mia storia, se ci fosse qualcuno che non ha mai visto il programma.
Northwestern: (da sinistra a destra: Jake Anderson, Matt Bradley, Edgar Hansen, Sigurd Hansen, Norman Hansen, Nick Mavar)
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Time Bandit: (da sinistra a destra: Neal Hillstrand, Andy Hillstrand, Johnatan Hillstrand, Scott Hillstrand)
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Ramblin’ Rose: (Elliott Neese)
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Kodiak: (Bill Wichrowski in primo piano)
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Cornelia Marie: (da sinistra a destra: Jake e Josh Harris)
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Dedicata a Jarmione, che mi segue sempre nelle mie pazzie


 
Un nuovo peschereccio


Era il 16 di ottobre: una delle ultime splendide giornate d’autunno nell’arcipelago delle isole Aleutine. I capitani e gli equipaggi dei molti pescherecci dediti alla pesca dei granchi ultimavano con fervore, e velato buon umore, i preparativi per l’imminente partenza. La mattina successiva si sarebbe aperta la stagione autunnale di pesca ai granchi reali.
Un solo uomo faceva eccezione nell’atmosfera di entusiasmo generale: Sig Hansen, capitano del motopeschereccio Northwestern.
L’uomo era seduto sulla sua poltrona nella timoniera a fumare la terza sigaretta degli ultimi dieci minuti, aspirando a grandi boccate ed esalando in secchi sbuffi. Le sue bionde sopracciglia erano aggrottate sopra gli occhi color blu cupo che mandavano lampi di furore. Afferrò la tazza di caffè piena fino all’orlo, ma le sue mani tremavano per la rabbia. A metà strada il contenitore gli sfuggì e la bevanda bollente gli finì sui pantaloni.
Il capitano imprecò a gran voce in Norvegese, la sua lingua natia, mentre si alzava di scatto dalla poltrona. Tentò inutilmente di scuotersi il caffè di dosso, con l’unico risultato di farsi cadere la sigaretta accesa sulla camicia che prese immediatamente a fumare. Con un’altra bestemmia, l’uomo fece rotolare via il mozzicone che finì a terra, dove fu schiacciato sotto il tacco delle sue scarpe.
Furibondo e bruciacchiato, Sig scese dalla timoniera nella cambusa, dove si scontrò con uno dei suoi fratelli minori, Edgar, che stava controllando le loro scorte di viveri ammucchiate nel grande frigorifero. Il più giovane alzò lo sguardo sul fratello e l’apostrofò: “Ehi, Sig, sei un disastro! Cosa fottuto diavolo ti è successo?!”.
L’uomo rispose con un grugnito, chiudendosi nella sua cabina per cambiarsi. Ne uscì dopo pochi minuti con in mano gli indumenti rovinati. Sbatté i pantaloni nel cesto della biancheria sporca e la camicia, irrimediabilmente bucata dalle braci della sigaretta, nel bidone della spazzatura.
“Si può sapere cosa diavolo ti è preso?! Ti ho sentito maledire Odino, prima…”, commentò Edgar, con la testa infilata nel freezer.
“Mi ha telefonato quello stronzo di Jeremy!”, esclamò Sig, riferendosi al loro grossista, lasciandosi cadere seduto sullo sgabello fissato dal lato obliquo del tavolo. “Ha detto che la Trident ha deciso di assumere un nuovo peschereccio, perché le richieste di granchi sono molto aumentate, ultimamente. E mi ha chiesto di fargli da “nave appoggio”! Che pezzi di merda!”, imprecò ancora, rivolto alla fabbrica ittica per la quale lavorava.
“E allora?!”, chiese il fratello, emergendo dal cassetto del congelatore che stava esaminando per lanciargli un’occhiata obliqua. “È una prassi normale, non è la prima volta che lo facciamo. D’altronde, tu sei il capitano della flotta della Trident con più anni di esperienza alle spalle”.
“Sì, ma il fottuto problema è che questo cazzo di nuovo peschereccio e tutto il suo equipaggio vengono dalla California! Dalla fottuta California!”, esclamò ancora il capitano. “Non hanno una cazzo di idea di cosa significhi pescare d’inverno nel Mare di Bering! Alla prima lieve mareggiata ci ritroveremo con un gruppo di fottuti mozzi balbettanti e piangenti! Io non sono pagato per fare da balia ad un cazzo di capitano, ma per pescare granchi!”. Sig concluse la frase sbattendo il pugno sul tavolo.
“Perché non hai rifiutato?”. La voce del minore dei fratelli Hansen giunse attutita dalle profondità del frigorifero.
“Perché quel pezzo di merda di Jeremy mi ha fatto capire chiaramente che, dai vertici, tengono personalmente che sia io ad occuparmi di questi nuovi arrivati, e che se mi fossi rifiutato avrebbero potuto dimezzarci la quota di pescato! E meno fottuti granchi significano meno fottuti soldi!”.
“Non fasciarti la testa prima di essertela rotta”, lo consigliò Edgar, raddrizzandosi e chiudendo lo sportello del frigo. “Non è detto che siano così privi di esperienza”.
Sig rispose con un grugnito e una smorfia. Si accese un’altra sigaretta e si alzò.
“Jeremy mi ha detto che sono già qui a Dutch Harbor, e che mi aspettano all’Elbow Room per fare conoscenza. Prima mi tolgo il fottuto dente e meglio è! Ci vediamo più tardi”.
Prese la sua giacca a vento blu dall’armadietto e uscì sul ponte, sbuffando fumo come una ciminiera. Edgar lo seguì fin sulla porta. Il capitano passò in mezzo ai suoi uomini senza dire una parola, scuro in volto, e salì agilmente sulla banchina. Poi piegò a sinistra in direzione dell’Elbow Room, l’unico bar di Dutch Harbor.
I marinai si fermarono per un attimo a guardarlo, sconcertati, poi si volsero tutti verso Edgar che stava ancora ritto sulla soglia.
“Dove va così di corsa? E perché sembrava che avesse un nuvolone al posto delle sopracciglia?”, chiese Jake Anderson, il marinaio più giovane della Northwestern. Edgar raccontò loro la storia della telefonata di Jeremy, e suo fratello Norman, il mezzano dei tre, commentò: “Prevedo tempi cupi…”.
Nick Mavar e Matt Bradley, gli altri due marinai del peschereccio, annuirono prima di riprendere il loro lavoro.

Il peschereccio che tanto aveva fatto inalberare il capitano Hansen era ormeggiato un centinaio di metri più avanti. L’uomo capì subito che si trattava proprio di quello perché, oltre a non averlo mai visto prima, era anche il peschereccio più strano e ridicolo su cui avesse mai posato gli occhi.
Era di gran lunga più corto della sua Northwestern, misurava circa una ventina di metri, a occhio e croce, e somigliava più ad un grosso motoscafo che non ad un’imbarcazione da pesca. Lo scafo era dipinto interamente di un nero lucido e brillante, anche se era quasi impossibile distinguerne il colore di fondo sulle pareti della timoniera, che erano decorate da un enorme disegno ad aerografo. Il nome del peschereccio spiccava sulle fiancate, scritto in rosso in uno strano carattere: “Knight Rider”.
Andiamo bene…”, pensò Sig, sbattendosi una mano sulla fronte. “Oltre ad essere californiani, devono anche essere appassionati di quel telefilm!”. Una seconda occhiata alla timoniera confermò i suoi sospetti. Il disegno rappresentava scene di Knight Rider, e per la precisione la “base mobile” della Fondazione sul lato di dritta, K.I.T.T. in volo sopra K.A.R.R. al centro, sotto le finestre della timoniera, e Goliat all’assalto sul lato sinistro. A completare il tutto, sulla prua dell’imbarcazione faceva bella mostra di sé uno scanner, in tutto e per tutto uguale a quello dell’automobile protagonista del telefilm.
Sig lo conosceva bene: sia lui sia i suoi fratelli minori avevano seguito quel serial. All’epoca avevano quindici, quattordici e dieci anni rispettivamente, e anche loro si erano appassionati alle avventure di Michael e K.I.T.T., ma ritrovarlo su un peschereccio era alquanto ridicolo.
Con un’altra smorfia, lanciò la sigaretta ormai consumata contro la fiancata dell’imbarcazione e si voltò per attraversare la strada e andare all’Elbow Room. Si fermò però per un istante, guardando il peschereccio da sopra la spalla sinistra: avrebbe giurato di aver sentito qualcuno schiarirsi la voce. Ma a bordo non vide movimento alcuno, così si strinse nelle spalle e riprese a camminare.
Una volta all’interno del locale l’uomo si guardò intorno, in cerca del capitano del Knight Rider. L’Elbow Room era abbastanza affollato. Ormai molti degli equipaggi avevano terminato i preparativi per la partenza e si stavano godendo un drink, in attesa della cena beneaugurante che si sarebbe tenuta quella sera.
Salutò Keith e Monte Colburn – capitano e nostromo della Wizard – che erano seduti su due sgabelli al bancone del bar, diede uno scappellotto scherzoso a Andy Hillstrand – co-capitano della Time Bandit, che era seduto ad uno dei tavoli con i fratelli Johnatan e Neal, il nipote Scott ed il resto della sua ciurma – facendogli volare via il cappello da cowboy che aveva in testa, e lanciò una voce a Josh e Jake Harris – proprietari della Cornelia Marie e figli del compianto capitano Phil Harris, migliore amico di Sig, passato a miglior vita quasi due anni prima – che stavano bevendo una birra ciascuno appoggiati contro il grande caminetto che riscaldava la sala.
Ad un tavolo d’angolo, lontano dalla marmaglia di gente, vide infine tre ragazze sedute, ciascuna con davanti un bicchiere, che chiacchieravano animatamente tra loro. Tutte e tre indossavano una felpa con cappuccio nera, con il nome “Knight Rider” ricamato in rosso all’altezza del cuore. Capì quindi immediatamente che facevano parte dell’equipaggio di quello strampalato peschereccio e ciò lo mandò, se possibile, ancora più in bestia: non solo avrebbe dovuto fare da balia a dei novellini del Mare di Bering, ma tre di quei novellini erano donne!
Le osservò attentamente mentre si avvicinava con studiata lentezza al loro tavolo. La ragazza alla sua sinistra era la più alta delle tre: aveva corti capelli biondi legati in un piccolo ciuffo sbarazzino e gesticolava molto mentre parlava e beveva il suo rum e cola. Quella alla sua destra era, viceversa, la più bassa, con lunghi capelli castano-rossicci e ricci, tenuti fermi dietro la testa da un’enorme pinza che ogni tanto risistemava tra un sorso di birra scura e l’altro. Quella in mezzo aveva lunghissimi capelli castano scuro, legati in una stretta treccia, che continuava a lisciarsi quando non assaporava la sua vodka alla frutta. La prima e l’ultima portavano gli occhiali, e tutte e tre avevano una corporatura che non si poteva proprio definire esile, anche se erano tutt’altro che grasse.
Il capitano Hansen finì la sua osservazione proprio mentre raggiungeva il tavolo. Tutte e tre le ragazze smisero di parlare ed alzarono gli occhi su di lui.
“Sì?”, chiese quella in mezzo.
L’uomo affondò le mani nelle tasche della giacca a vento e cominciò a parlare.
“Sono il capitano Sig Hansen della Northwestern. Il mio grossista mi ha detto che il vostro peschereccio è stato appena assunto dalla Trident e mi ha chiesto di farvi da nave appoggio. Sono venuto a conoscere il vostro capitano”.
Pronunciò quelle parole in tono cupo. Era furioso e non voleva fare assolutamente nulla per nasconderlo. Non riuscì nemmeno a nascondere il suo stupore e il suo sconcerto quando la ragazza di mezzo si alzò in piedi e gli tese la mano con un sorriso.
“Ce l’hai davanti! Michelle Boswald, capitano del Knight Rider, molto piacere! E loro sono Mary Cassidy e Helen Seepepper, il mio equipaggio!”, disse, indicando prima la ragazza di sinistra e poi quella di destra. Ma il capitano Hansen non rispose al saluto, lasciandola con la mano al vento prima che lei si decidesse a riabbassarla, con imbarazzo e anche una punta di stizza.
“Credo di non aver capito bene… TU saresti il capitano?!”, sbottò Sig, incredulo.
“Sì, IO sarei il capitano!”.
“E LORO sono il tuo equipaggio? TUTTO il tuo equipaggio?!”.
“Sì, è così! Perché, ci trovi qualcosa di strano?”.
La ragazza si portò le mani sui fianchi, mentre le altre due incrociarono le braccia sui petti. Tutte e tre lo guardarono socchiudendo gli occhi in strette fessure.
“Qualcosa di strano?! Ma è semplicemente ridicolo! E io dovrei fare da nave appoggio a un peschereccio con un equipaggio composto da sole donne?! Quello stronzo di Jeremy deve essere impazzito!”.
Il tono della voce dell’uomo si era alzato notevolmente, catturando l’attenzione di quasi tutti gli avventori, che si misero a seguire la scena con una punta di divertimento.
“Stammi a sentire! Non sono io che gliel’ho chiesto, è stato lui che me l’ha proposto e io ho accettato!”, replicò Michelle, incrociando anche lei le braccia sul petto.
“Se credete che farò da baby sitter a tre ragazzine vi sbagliate di grosso! Io non ho nessuna fottutissima intenzione di badare a voi tre, mi avete capito?!”.
“A noi non ci interessa quello che vuoi fare o non fare! Sei liberissimo di scegliere!”, replicò Mary.
“Ed è proprio quello che ho intenzione di fare! Non vi azzardate a chiamarmi per nessun motivo al mondo! Io per voi non esisto!”, gridò Sig, puntando il dito contro tutte e tre e sputacchiando saliva all’intorno.
“Non preoccuparti, non ti chiameremmo neanche se stessimo per affondare! Meglio i pescecani che la tua brutta faccia!”, aggiunse Helen.
La faccia in questione diventò ancora più paonazza per la rabbia e l’affronto, poi, balbettando e sputacchiando come sempre gli succedeva quando era sopraffatto dalle sue emozioni, Sig girò sui tacchi e lasciò l’Elbow Room veloce come il vento.
Tornò di corsa al suo peschereccio, salì le scale della timoniera come una furia e lì si sprofondò nella sua poltrona, accendendosi una sigaretta dopo l’altra e bestemmiando in un mix di Americano e Norvegese.
Continuò su quel tono fino a che non fu raggiunto da suo fratello Edgar.
“Allora? Com’è andata?”, chiese, sarcastico, aspettandosi una delle classiche sfuriate del fratello maggiore.
“COM’È ANDATA?! COM’È ANDATA?! L’EQUIPAGGIO DI QUEL PESCHERECCIO È COMPOSTO SOLO DA TRE DONNE!!!”, gridò l’uomo saltando in piedi e facendo trasalire il fratello minore. “SONO TRE FOTTUTISSIME RAGAZZE! ALLA PRIMA OCCASIONE SI CACCERANNO NEI GUAI ED IO NON HO NESSUNA INTENZIONE DI METTERE IN PERICOLO LA VOSTRA VITA, E LA MIA, PER TRE STUPIDE GALLINE SENZA CERVELLO!!!”.
“Calmati, Sig, o ti scoppierà una vena!”, cercò di placarlo Edgar indicando il collo del fratello, i cui vasi sanguigni erano diventati grandi come dita. “È inutile urlare. Ormai la Trident le ha assunte e ce le dobbiamo tenere…”.
A quell’affermazione il capitano rispose con un ruggito incoerente, e Edgar ritenne più prudente lasciarlo da solo a sbollire la sua proverbiale furia.
Tornò di nuovo in cambusa, dove i suoi compagni lo accolsero scuotendo il capo.
“Speriamo che da qui all’ora di cena si sia calmato, altrimenti chi ci sopravviverà?”, si chiese Jake Anderson. Nick Mavar annuì poi cadde il silenzio, rotto soltanto dalle imprecazioni gutturali del capitano.


Ri-spazio autrice:
Avete capito cosa è diventato K.I.T.T.? Esatto, un motoscafo, e nel prossimo capitolo sapremo di più su ciò che gli è successo nel corso degli anni. Per questa sua trasformazione mi sono ispirata alla parodia di Supercar che compare in una puntata de “I Simpson”: “La barca paladina”.
Spero che questo inizio vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la storia.
  
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